Il passaparola

Lettura: spessore-weight(3), impegno-effort(2), disimpegno-entertainment(3)

Sulla pagina facebook dei Camosci Bianchi, Beppe Leyduan il 19 aprile 2018 scriveva: “Montagna chiusa. Fino a quando? Dopo i divieti della Val d’Ala (Balme e Ala di Stura), nelle #VallidiLanzo ora tocca al Comune di Groscavallo, in Val Grande, chiudere la montagna ed ovviamente lo fa nel modo più odioso, con una bella ordinanza, datata 13 aprile 2018 (senza previsione di revoca) che continua a valere… fino a quando? Intanto le condizioni nivologiche sono cambiate decisamente e anche il grado di pericolo. Non importa. Per Groscavallo (http://www.comune.groscavallo.to.it/…/avviso-pericolo-valan…) la montagna è chiusa e con essa anche tutti i sentieri che non sono storicamente mai stati interessati da fenomeni valanghivi.
Tutto questo è molto grave e non saremmo mai dovuti arrivare al punto di doverci appigliare a commissioni valanghe, bollettini, discussioni infinite, ragionamenti assurdi e quant’altro per difendere un diritto fondamentale dell’essere umano: la libertà e la sua connessa percezione del rischio che non deve essere demandata a nessuno, perché così facendo si spiana la strada a forme di pensiero ed atteggiamenti liberticidi, dove qualcuno si arroga il diritto di decidere se puoi vivere o meno un’esperienza nella natura, con tutto ciò che esso comporta. Senza se e senza ma.
Ad ogni modo, visto che gli alpinisti denunciati (VEDI IL CASO DI RICCARDO M) erano all’oscuro del divieto, vi suggeriamo di non venire nelle Valli di Lanzo nei prossimi giorni perché rischiate di beccarvi una bella denuncia mentre siete su di un sentiero. E come fare, d’altronde, a sapere se qualche comune ha vietato o meno la montagna? E magari l’ordinanza la fa all’ultimo momento, quando voi siete già in escursione, come è successo a noi qualche anno fa nel Comune di Balme? E quando verrà revocato, poi, il divieto? Per evitare errori, state a casa”.

Dopo qualche giorno di decantazione e dopo l’ordinanza a parziale revoca di quella del 13 aprile 2018, Leyduan scrive un articolo più approfondito che siamo lieti di presentarvi integralmente.

Il passaparola
di Beppe Leyduan
(già pubblicato su https://camoscibianchi.wordpress.com/2018/04/24/il-patrimonio-escursionistico-del-piemonte/ il 24 aprile 2018 con il titolo originale Il patrimonio escursionistico del Piemonte)

[…] Il passaparola è il mezzo principale che ha motivato il soggiorno. Occorre ricordare come il passaparola può funzionare in entrambi i sensi: può essere “positivo”, che invita cioè a visitare le valli attorno al Monviso, la loro cultura e il loro ambiente incontaminato; ma può anche malauguratamente essere “negativo”, qualora la realtà incontrata non corrisponda più alle attese, e questo vale soprattutto per i visitatori stranieri. Quindi occorre che l’intero ambiente (come quello in generale e delle montagne in particolare) venga preservato intatto con un’apposita tutela ambientale e paesaggistica […].

Quanto avete appena letto è tratto da “Politiche Piemonte n. 52” pubblicazione dell’IRES Piemonte dove, tra l’altro, si trova un articolo di Carlo Alberto Dondona, l’interessantissimo La valorizzazione del patrimonio escursionistico regionale.

Un tema attualissimo quello del passaparola che fa il paio con quello della preservazione dell’ambiente: “occorre che l’intero ambiente (come quello in generale e delle montagne in particolare) venga preservato intatto con un’apposita tutela ambientale e paesaggistica“.

Attualissimo perché i recenti fatti delle Valli di Lanzo, (delibere comunali che chiudono la montagna ed ennesime aggressioni al loro ambiente) non aiutano di certo a visitare queste Valli e tutte quelle aree alpine dove il sentimento istituzionale (comuni ed unioni montane) non è favorevole. Sarebbe, credo, opportuna una riflessione importante soprattutto sulla grave abitudine a chiudere intere porzioni delle valli appena si presenta un rischio valanghe più importante del consueto, pensando proprio al passaparola e all’identità delle montagne, dove la libertà di frequentazione ne è il sommo caposaldo.

L’ordinanza del Comune di Groscavallo del 13 aprile 2018 con cui si chiude tutta la montagna del territorio comunale. Emessa a fronte del bollettino nivologico dell’Arpa Piemonte del giorno precedente (bollettino che non suggerisce mai di stare a casa). Delibera che è rimasta valida fino al 20 aprile (le condizioni nivologiche cambiano di ora in ora).

Chi abitualmente va in montagna (per escursionismo, alpinismo, scialpinismo, ecc…) fa una scelta di libertà nel momento in cui esce di casa perché sa che ci sono montagne libere ad accoglierlo. Chi parte, ad esempio, da Pavia, per fare un’escursione nelle Valli di Lanzo, non sarà certo molto contento di prendersi, a sua insaputa, una denuncia a fronte di una delibera emessa da un comune, che tra l’altro non prevede revoca. Vi immaginate il nostro scialpinista o una sezione del Club Alpino Italiano (che, ad esempio, ha programmato mesi prima, tra le sue attività sociali, la ciaspolata Rivotti-Gias Nuovo Fontane in Val Grande di Lanzo), il turista svizzero piuttosto che quello olandese, che, recandosi nelle Valli di Lanzo (ma potrebbe essere qualsiasi altra valle), non si sente più libero di vagare per le montagne perché corre il rischio (devastante per il turismo alpino) di essere multato o addirittura di farsi tre mesi di carcere? Riescono le istituzioni (che dimostrano palesemente di non comprendere la seduzione dell’ambiente montano) a intercettare i gravi problemi cui si sta andando incontro, ad ogni livello?

E come farebbe d’altronde il turista svedese, dopo essersi sobbarcato i costi di viaggio per raggiungere Balme in Val d’Ala (giusto per rimanere nell’attualità), a sapere a priori, prima di partire, se qualche comune decide all’ultimo momento di chiudere tutte le montagne e tutti gli itinerari del suo territorio?

Ordinanza del Comune di Balme del 7 febbraio 2015

Quello che appena avete letto si traduce in un “passaparola“, e non si verifica solo perché a un certo punto le montagne decidono di far cadere valanghe ma anche perché un sentiero si perde nel nulla oppure non è adeguatamente segnalato. Perché entrando nel locale di fondovalle mi sento un intruso e non trovo un sorriso ad accogliermi. Oppure perché le aspettative del turista escursionistico (escursionismo in senso lato) rimangono deluse incontrando ambienti alpini pesantemente compromessi da opere altamente impattanti, dannose e pericolose: il sentimento che prevale allora è di rigetto, di rifiuto perché chi ama gli ambienti montani, e li frequenta assiduamente, ne comprende la loro cultura in relazione alle attività umane: se queste risultano non in armonia e aggressive, allora si comprende subitaneamente come l’identità delle montagna sia compromessa e con essa il suo paesaggio, che certamente è costituito anche da elementi non visibili e immateriali, come il poter prendere contatto con la wilderness, per quanto possa essere rischiosa.

L’interferenza normativa nell’identità delle Alpi, (qui il Regolamento che istituisce le Commissioni Valanghe in Piemonte e qui la delibera che istituisce la Commissione Valanghe dell’Unione Montana Alpi Graie, giusto per rimanere nell’attualità), immenso serbatoio di libertà e silenzio, è un colpo mortale proprio ad un elemento fondamentale del paesaggio alpino, da tempo immemore.

Si percepisce sempre di più l’avanzata delle logiche di pianura (dove tutto deve essere normato) che stanno infettando istituzioni locali e genti alpine incapaci di opporsi alla continua perdita di identità culturale (un altro grave esempio sono le piste costruite con i fondi europei che cancellano in un solo colpo secoli di sedimentazione culturale che scorreva sui sentieri).

Piste che favoriscono il ruscellamento con i conseguenti dissesti idrogeologici che si ripercuoteranno a valle e, complessivamente, anche in pianura.

Dobbiamo riscontrare amaramente che di questi pesantissimi danni la responsabilità è anche delle istituzioni “superiori” come la Regione Piemonte che non è in grado, attraverso le leggi, di preservare una millenaria cultura di montagna che rappresenta le fondamenta del saper vivere ed abitare le Alpi ma anche una fondamentale attrazione turistica.

E’ assurdo consegnare a una commissione valanghe (domani sarà una commissione temporali? o una commissione venti? o quella del freddo?) la libertà di frequentare le aree wilderness (intese come aree caotiche, estranee alle aree pubbliche dove invece tutto è regolamentato), di cui sentiamo sempre più bisogno di fronte alla pervasività dei mondi tecnologici e sintetici.

La verità ontologica – la realtà profonda del mondo – è il caos. Ma la verità pragmatica – la verità che possiamo usare, la verità che ci porta da qualche parte – è una riduzione del caos. La prima è la wilderness, la seconda è un sentiero. Entrambe sono essenziali, entrambe sono vere (Robert Moor, Percorsi).

Il sentiero, di cui parla il bellissimo libro di Robert Moor, non è da intendersi esclusivamente come un’infrastruttura fisica, bensì come una “linea del desiderio”. Quando le “linee del desiderio” (una traccia di sci, di ciaspole, una via di roccia, le orme della fauna selvatica, un sentiero) vengono ignorate (chiudendo la montagna), si crea automaticamente disaffezione e perdita culturale. E in questi casi il passaparola, di cui parla Dondona, è l’arma finale.

Personalmente, ritengo compito di ogni istituzione (regioni, città metropolitane, unione montane, comuni e loro rappresentanti) garantire la libera frequentazione di aree wilderness, caratteristiche soprattutto degli ambienti fortemente identitari come lo sono le aree montane, da proteggere dall’interferenza delle logiche di pianura (che vanno verso la direzione – utopica e mortale – del tutto sicuro al 100%): ne va della stessa idea di turismo escursionistico, soprattutto quello che nasce nel momento in cui, da casa, sento un’attrazione forte (esplorativa e culturale) verso quegli immensi contenitori di libertà che includono anche forti e desiderati elementi di incertezza.

Da quanto emerge negli ultimi tempi nei dibattiti sui social, c’è una realtà lacerata, dove frequentatori della montagna e istituzioni locali rimangono divisi da un solco incolmabile. Questo è molto grave perché spinge la montagna verso forme vetuste e antistoriche di chiusure incomprensibili che non faranno altro che ingenerare un passaparola negativo (anche per quanto riguarda le aggressioni immotivate all’ambiente).

È urgente che ogni istituzione interessata a preservare la montagna, con le sue occasioni di sviluppo, prenda coscienza di questo problema che ne sta erodendo identità e paesaggio. Perché nel patrimonio escursionistico si annovera, a pieno diritto, anche la libertà di frequentazione.

Commenti
Lucia (24 aprile 2018, ore 19.18): Sento astio nei confronti degli amministratori locali e anche nei confronti dei valligiani. Il dibattito dovrebbe essere sereno da entrambe le parti, vanno ascoltate le ragioni di chi vive in montagna e anche di chi vuole fare escursionismo non solo in libertà ma anche in sicurezza. È assurdo che un sindaco debba avere la responsabilità della sicurezza nel caso di valanghe, l’escursionista va avvisato del pericolo e poi sarà la sua responsabilità di mettersi eventualmente in una situazione pericolosa e saranno tutte a suo carico le spese per eventuali soccorsi.

Marina Girardi (24 aprile 2018, ore 19.55): Con queste ordinanze i Comuni che hanno partorito queste norme si comportano come Ponzio Pilato, poco a che vedere con l’impegno a difesa della Montagna, con l’onere di far rispettare i codici di autoregolamentazione riguardanti i rifugi e le vie ferrate, o la chiusura di strade carrozzabili in quota…
Non sanno della gioia di chi vuole sperimentare i grandi spazi, viverne i ritmi, le leggi naturali e anche… i pericoli di questi luoghi incontaminati?
Temo che a fronte di queste delibere ci sarà un passaparola negativo soprattutto tra gli stranieri e per coloro che vengono da altre zone poco incentivati da tali disposizioni e, nel peggiore dei casi, multati.

Toni Farina (24 aprile 2018, ore 21.40): Mi è difficile intervenire sull’argomento, abbastanza complesso. Certo è che alla base di tutto c’è molta improvvisazione, nonché una molto parziale e personalissima interpretazione di termini quali “sicurezza del visitatore”. Allora perché non far rispettare alla lettera i limiti di velocità sulle strade? Molto più insidiose delle valanghe… La strada di Viù apprezzata dai “centauri” impegnati nell’anello del Col del Lys diventa nelle domeniche estive un vero circuito di gara… Una cosa risaputa da tutti, senza che nessuna autorità pubblica (o di PS) vi ponga rimedio.
Ma al contempo ritengo insidiose le molto parziali e personali interpretazioni del concetto di libertà che stridono con il concetto di limite proprio della montagna (montagna maestra del limite).
Come uscirne?

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Il passaparola ultima modifica: 2018-05-11T05:02:28+02:00 da GognaBlog

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20 pensieri su “Il passaparola”

  1. Grazie Antonio per la risposta. E per questo intendevo che se le leggi fossero piu’ efficaci, cioe’ se gli ambiti di responsabilita’ fossero ben definiti a priori, e quindi decadesse il rischio di essere coinvolto penalmente, allora verebbe a mancare quella motivazione al divieto ( che allora forse non e’ del tutto una scusa ).

     

  2. Scusate, mi è partito il post prima che finissi.

    Dicevo che il sindaco potrebbe anche essere indagato a seguito di denuncia sporta dalla parte lesa.

    Mettiamo che alla fine ne esca indenne, deve comuqnue difendersi in tribunale, nominare un avvocato e pagare le spese. In breve sono rogne.

    Quindi è normale che uno cerchi di tutelarsi, mors tua vita mea.

    Poi è chiaro che dietro ci sta’ un mondo di valutazioni di varia natura, talvolta molto discutibili.

  3. Pur avendo studiato diritto nemmeno io sono un giurista però nel momento in cui si verifica un episodio rilevante penalmente viene aperta un’inchiesta che non si sa mai fin da subito dove possa portare.

    Può darsi, ma dipende dei casi, che un sindaco non venga nemmeno sfiorato ma può anche darsi che venga indagato o dallo stesso titolare de

  4. Dopo il terremoto che alcuni anni fa, colpì la parte settentreonale delle Apuane. Un sindaco vietò la frequentazione delle vette settentrionali agli alpinisti e agli escursionisti. Questo per la loro salvaguardia.

    Però non vietò ai cavatori di continuare l’escavazione. Eppure molte cave sono in zona a  rischio in caso di terremoto. Senza poi considerare che i cavatori stanno in zona pericolosa sotto tagli di cava con rocce fratturate per  5/6 giorni su 7 per un minimo di 8 ore giornaliere. Quindi molto più a rischio di alpinisti o escursionisti, o no…?

    Ignoranza, incapacità del sindaco, che non si preoccupa dell’incolumità di chi lavora nelle cave?

  5. Pur nella evidente esagerazione a voler regolamentare ogni attività’ umana ( che a noi da fastidio quando ci crea degli impedimenti, ma ci fa piacere quando limita azioni ed attività’ dannose all’ambiente o all’uomo ), io credo che alcuni problemi si risolverebbero con una più’ efficace definìzione delle leggi.
    Pur non essendo un giurista – se c’e’ uno tra i lettori si faccia avanti! – io dubito fortemente che un sindaco che NON vieta l’attivita’ escursionistica in condizioni di alto rischio di valanghe, avrebbe dei problemi in caso di incidenti. In val di Fassa qualche hanno fa avevano introdotto uno di questi divieti, uno dei primi a fare scalpore. La mia impressione e’ che questa misura era volta a togliere dalla stampa le notizie degli incidenti, percepite dagli operatori turistici come cattiva pubblicità’ per le famiglie e i clienti in generale. Ma non credo che i sindaci avessero paura di denunce. 
    L’altra domanda tecnica riguarda la fondatezza ‘formale’ di questi decreti dei sindaci. Sono davvero possibili? Quale e’ il razionale? I sentieri sono una infrastruttura mantenuta ufficialmente? E se io non percorro un sentiero ( cosa che normalmente si fa con gli sci  su un pendio )?
    Io credo che sia necessaria una chiarezza formale su quello che si può’ vietare ( in quanto utilizzante una infrastruttura mantenuta dal comune ) e quello che resta al di fuori della loro competenza. 
    Giuristi e/o costituzionalisti cercansi…

  6. molte leggi vengono fatte  su suggerimento dei lobbisti, che, invece di avere l’interesse primario del paese, hanno solamente quello di favorire un interesse privato della lobbi a cui appartengono o rappresentano.

    Queste leggi spesso e volentieri sono ingiuste e sbagliate.

  7. Si ma quando le leggi sono palesemente sbagliate succede qualcosa che le rende di fatto inapplicabili.

    Comunque non è solo una questione di leggi, le quali non possono mai essere esaustive in presenza di situazioni complesse da normare. E’ anche una questione di prassi e giurisprudenza.

    Vi sono leggi che nascono sull’onda dell’emotività, leggi populiste che discendono dalle emozioni anziché dalle ragioni e vi sono filoni giurisprudenziali che non sempre seguono l’intento normativo.

    Se le leggi non sono giuste va a finire che il popolo tende ad ignorarle o a bypassarle perchè non le ritiene rappresentative e necessarie per non dire vessatorie. E’ il caso, per esempio, delle norme fiscali che prevedono aliquote e sanzioni molto pesanti.

    Se devo pagare il 50% d’imposte e tasse sarò portato ad evadere, se devo pagare il 10%, a parità di sanzioni, il gioco non varrà la candela.

    La democrazia sta’ in piedi se le leggi che la sostengono sono comprensibili, in caso contrario diventano fonte di anarchia perchè il popolo non le sente sue e le vede solamente come uno strumento per esercitare un potere.

  8. “l’ordine democratico”

     

    questa è bella!!

     

    a me invece che l’ordine democratico mi sta per cadere qualcos’ altro…

  9. La legge, giusta o sbagliata, se c’è va rispettata. La legge sbagliata la si cambia, ma l a si rispetta, altrimenti cade l’ordine democratico e si va nell’anarchia. Chi decide da solo che una legge non va e non la osserva compie reato e va punito.

  10. Segnalo che solo il 10/5/2018 il Comune di Groscavallo ha revocato le ordinanze di divieto: http://www.comune.groscavallo.to.it/it-it/avvisi/2018/ordinanza-revoca-totale-89750-1-26e64e8ffe3f74528468bd487114216c

    Colgo l’occasione per ricordare il convegno del 16 maggio a Torino dal titolo “Valorizzazione del patrimonio outdoor regionale: nuove prospettive e sfide“.
    Sarebbe importante, in quella sede, proporre come tema di discussione il valore della libertà in montagna, che personalmente ritengo un tassello fondamentale del “patrimonio” outdoor.
    Tutte le info sul convegno sono qui:
    http://www.regione.piemonte.it/retescursionistica/cms/index.php?option=com_acymailing&ctrl=archive&task=view&mailid=79&key=e311459cd8796340e3105f138a6b32c9&subid=1390-63e2fd76558634abdb8c93483fe7428f

    Grazie infinite ad Alessandro per il suo impegno in difesa della libertà.

     

  11. C’è una sola soluzione: disobbedienza civile dura e pura, uniti, a tutti i costi… o sarà la fine.
    Da facebook, 11 maggio 2018, ore 11.55

  12. quando da ragazzetto andavo  a scuola , se tornavo  a casa e dicevo ai miei che la maestra mi aveva messo in castigo oppure miaveva dato un votaccio. I miei me ne davano di santa ragione

     

    Oggi il genitore, come minimo  denuncia la maestra se non addirittura la gonfia di colpi.

     

    Mi sa che in questa società ci sono un pò di storture.

  13. Tutto vero però vorrei aggiungere che una buona parte di colpa ce l’abbiamo anche noi (noi in senso lato) perchè non siamo più in grado di collocare una perdita, di persone e cose, nel giusto ambito.

    Vien giù una valanga, muore una persona, i familiari vogliono giustizia. Solite cose, non se ne può più, anche perchè sono convinto che molti vogliono in realtà vendetta, e quindi una vittima sacrificale, e soldi.

    Siamo in presenza di due drammi, quello della persona morta e dei familiari affranti e quello di chi ha procurato la valanga non certo volutamente (sempre che si sia salvato).

    La classica disgrazia? Ma quando mai! Forse cinquant’anni fa era una disgrazia, oggi è un omicidio bello e buono che richiamerebbe i migliori detective da Sherlok Holmes a Poirot, passando per Maigret e Nick Carter (il quale alla fine scoprirebbe che dietro a tutto c’è lo zampino di Stanislao Moulinski).

    Qulacuno penserà che parlo bene perchè non ho mai avuto un familaire morto sotto una valanga ma, perdindirindina, come cavolo si fa a vivere in una società dove qualunque cosa tu faccia, anche con le migliori intenzioni, rischi di finre sul banco degli imputati? Ha ragione Crovella, fra un po’ ci chiuderemo in casa perchè se usciamo a pulire il pianerottolo e il vicino scivolando si rompe l’osso del collo finiamo in gagliuffa per omicidio colposo se non addirittura preterintenzionale (perchè pulendo so che qualcuno potrebbe scivolare ma non penso possa morire).

    Quindi anche noi dovremmo piantarla e contribuire affinchè le disgrazie rimangano tali e non soffiare acqua sul fuoco per avere una giustizia di cui forse il familiare morto si rivolterebbe nella tomba se conoscesse le reali motivazioni per cui viene chiesta.

  14. “Si dice che lo si fa per il bene dei cittadini (per prevenire effetti negativi su di loro)2

    questa è solo la scusa , la facciata.

    In verità   si cerca di limitare sempre di più la libertà delle persone, con controlli e divieti.

  15. Il problema sollevato è uno dei tanti corollari della attuale società che vuole “normare” il tutto, codificarlo, ingabbiarlo…. Si dice che lo si fa per il bene dei cittadini (per prevenire effetti negativi su di loro) e quindi si caricano di responsabilità, nella fattiscpecie, le amministrazioni locali, come se fossero dei “tutori legali” di chi mette piede nel territorio di loro competenza. Alla fine accade che, per evitare guai giudiziari in prima persona, gli amministratori non hanno altra possibilità che…”vietare”….

    Di questo passo arriveremo al parodosso che nessuno uscirà più dal proprio appartamento perchè ci sarà sempre qualche autorità (a sua volta investita di responsabilità giuridiche, in caso di incidente a nostro carico) che vieterà di fare… qualsiasi cosa!

  16. In questi casi penso “ma se fossi un sindaco cosa farei?”

    La vulgata continua a considerare gli amministratori pubblici come degli incompetenti negligenti che guadagnano soldi e intascano prebende facendo poco e male se non addirittura nulla.

    Ovviamente c’è anche del vero ma ad amministrare, per quanto uno sia bravo e cerchi di fare le cose per bene, si riuscirà sempre a far incazzare qualcuno. Ciò in quanto le istanze della popolazione sono varie e riuscire a fare contenti tutti è praticamente impossibile.

    Credo che i veri problemi siano altri e risiedano nel costante rischio di prendersi una denuncia, la qual cosa non consente di operare con la dovuta lucidità.

    Volendo fare un bel lavoro bisognerebbe modificare un po’ di norme oppure modificare i regimi di procedibilità (d’ufficio o querela), sostituire la pena detentiva con sanzioni pecuniarie. Ci sarebbero in poche parole un po’ di azioni a monte che si potrebbero porre in essere e che probabilmente non si pongono in essere per vari motivi (disinteresse, scarsa informazione, ridotto impatto sociale, ecc.).

    Se non erro mi pare che questo blog sia nato proprio con lo scopo (o comunque con uno scopo fra i tanti) di sensibilizzare maggiormente le istituzioni e l’opinione pubblica con riguardo a una maggiore libertà in montagna, libertà che però deve per forza di cose portare ad una revisione delle norme che disciplinano determinati comportamenti e relative conseguenze.

    Non può esserci libertà in montagna se per ogni errore si rischia di finire nella graticola della giustizia. Nessuno vuole norme speciali che forse risulterebbero discriminanti ma semplicemente una diversa valutazione del concetto di colpa (perchè in presenza di dolo non esiste discussione).

    Ciò che non si riesce a comprendere è che la colpa dell’alpinista/sciatore/escursionista non può essere equiparata alla colpa di chi, per esempio, commette un’infrazione stradale per distrazione. Sono due cose diverse perchè cambia il contesto.

    Il rischio di commettere degli errori (mi sto’ chiaramente allargando ed uscendo dall’argomento in oggetto) è talmente ampio che o si arriva a vietare l’accesso ai monti oppure bisogna rivedere il concetto di colpa contestualizzandolo all’attività svolta, dove spesso e volentieri bisogna fare scelte rapide con la consapevolezza che ciascuna comporta dei rischi.

    In caso contrario non se ne verrà mai fuori.

  17. Ormai chi si muove in montagna è abituato ai concetti di rischio e pericolo. Al pericolo di valanga adesso si aggiunge quello di multa (e di carcere?). Un pericolo in più insieme alle code per il rientro, al bollettino valanghe stilato preoccupandosi più del fuoripista che degli sci alpinisti, al bollettino meteo che è fatto a misura di albergatore, alla carenza di carte topografiche decenti per la zona, al costo del parcheggio, ai vandalismi sulle auto al parcheggio, alla possibile presenza di altre decine di persone sul medesimo itinerario, etc etc.

    La chiusura della montagna è solo (?) un aspetto in più da valutare e considerare nelle proprie scelte. Logico che come un bollettino valanghe a rischio 4 tenga lontani gli appassionati di sci alpinismo, allora anche un “bollettino delle ordinanze” potrebbe tenere lontani anche i più temerari. Ecco, magari un bollettino ordinanze aggiornato settimanalmente non sarebbe male, avremmo una bella mappa dell’arco alpino e scopriremmo che oltre il confine i rischi siano forse minori (a parte le code al rientro).

  18. “Per evitare errori, state a casa

    Siamo sicuri che sia il metodo migliore?

    Non sarebbe meglio andarci apposta, in tanti, tutti assieme facendo un bel giretto senza rischi anche se proibito dal comune? (direi che in tutti icomuni citati ce ne sono in abbondanza)

    E magari coinvolgere anche qualche giornalista.

    Una cosa tipo la Marcia del sale di Gandhi dicamo (si parva licet…)

  19. Sottoscrivo in pieno, nulla da aggiungere. Chissá però se i sindaci, ma più in generale l’opinione pubblica, è in grado di capire il concetto di “sentiero come linea del desiderio”? Molto più facile e diffusa la concezione di rischio come disvalore, sempre e comunque, e quindi da vietare con la norna, a meno che non faccia parte di un contesto culturale socialmente accettato come nello spettacolo, o al limite, nel lavoro.Chiudere la montagna poi è totalmente privo di senso e potrebbe indurre a credere che in assenza di ordinanze tutto il territorio sia sicuro.

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