Metadiario – 128 – Il Tetto del Kaiser (AG 1985-001)
Di ritorno dai grandi spazi del Niger, Nella ed io ci ributtammo nell’impresa di far crescere (magari prosperando) la Melograno Edizioni. Anzitutto il problema del magazzinaggio. I libri pesano e occupano molto spazio: dall’1 giugno 1985 avevamo in locazione uno scomodissimo magazzino in via Mestre 9, proprietaria la Tessgrò. Per l’eccessiva lontananza dal nostro ufficio, ci risolvemmo acosto maggiore ad affittare una stanza al pianterreno del nostro stesso stabile di via Volta 10. Il padrone era lo stesso che ci aveva venduto l’appartamento quattordici anni prima, con il quale sapevamo era necessario trattare fino allo sfinimento. Dopo aver firmato il contratto, rinunciammo quasi subito a fare di quella stanza una dependence del nostro ufficio-casa, come inizialmente avevamo progettato. Per evitare i costi di una linea telefonica indipendente, avevo pensato di far pendere giù da una mia finestra del secondo piano un cavo telefonico fino ad avere il sospirato collegamento con la stanza. Ci provai, ma fui immediatamente bloccato dalla nostra amica portinaia che ci disse di non costringerla, per favore, a denunciare al padrone di casa e agli altri condomini quell’antiestetico espediente. Non poteva funzionare neppure il fissare il filo al muro esterno tramite appositi ferma-cavo.
Ci limitammo così a un massiccio acquisto di librerie dell’Ikea in modo da poter avere il nostro magazzino di libri, il cui numero continuava ad aumentare, anche perché le vendite non procedevano ai ritmi sperati.
Oltre alle guide varie, nel 1984 avevamo editato E’ buio sul ghiacciaio di Hermann Buhl e, sempre per la narrativa, stavamo preparando Il Fortissimo, di Giusto Gervasutti. Eravamo in tre a lavorare, oltre a una signora che ogni tanto ci curava la contabilità (e che m’insegnò i rudimenti di come si tiene un magazzino e una contabilità semplificata). E per fortuna che, avendo scelto la formula della società in nome collettivo, non avevamo a che fare con la famigerata partita doppia. Giuliana Scaglioni ci aiutava con la segreteria e le spedizioni, Nella e io curavamo la redazione, i rapporti con gli autori, fotocompositori, fotolitisti e tipografi. Ma la parte più difficile e spinosa era la vendita. Imparai la tragedia del cosiddetto “conto deposito”: i maledetti distributori (quelli che poi avrebbero dovuto vendere ai librai) non prendevano neppure in considerazione il “conto assoluto”. Con quest’ultimo i libri avrebbero dovuto essere pagati a 90 giorni fine mese, mentre con il conto deposito si assisteva alla presa in ostaggio dei libri da parte di quei “farabutti”, con pagamenti annuali su resoconti della cui onestà imparammo presto a dubitare. Il vendere direttamente alle librerie, cosa che facevamo solo in mancanza di un distributore più o meno valido, aggiungeva tragedia alla tragedia. Perché oltre alle stesse problematiche dei distributori, con le librerie c’era l’aggravante di dover tenere una contabilità moltiplicata. Le rare volte che vendevamo qualcosa in “conto assoluto” avevamo a che fare con l’esecrabile gabella della “tredicesima” che, in analogia con quanto avviene con gli stipendi, allora prevedeva la concessione al libraio di una copia gratuita per ogni dodici acquistate. Di questa barbara usanza, che incasinava la contabilità in modo pauroso anche per il mancato rispetto di un sistema metrico decimale, ho cercato traccia su Google, almeno per capire se ogni tanto l’umanità fa qualche progresso. In effetti non ne ho trovata neppure l’ombra, il che lascia sperare che qualcosa in quaranta anni si sia mosso. Ma non ne sono così sicuro…


Ricordo a chi non ci avesse pensato che allora non esistevano i computer e quindi neppure i programmi che oggi rendono tutto più semplice. I primi tempi furono davvero impegnativi e alla fine i costi non riuscivano a essere coperti dai ricavi. Perciò ad ogni fine mese dovevamo inventare qualcosa per riuscire a pagare i fornitori e i collaboratori.
Ricordo che l’edizione del mio Rock Story (ne facemmo 3.000 copie) fu impilata nella casa-ufficio-magazzino di Angelo Recalcati in piazzale Baiamonti 3. Ovviamente il trasporto fu fatto tutto a mano fino al secondo piano. Quella casa era vecchia già allora ed era piena di libri. Oltre alle librerie alle pareti da cui esondavano i volumi, dal pavimento delle due stanze si alzavano instabili colonne di libri fino al soffitto. Solo Angelo sapeva l’ordine di disposizione dei vari titoli: ogni volta che ne vendeva uno si doveva sobbarcare lo smontaggio e il rimontaggio della colonna. Tra le varie “torri” in equilibrio il passaggio era difficoltoso e labirintico, figuratevi con una scala in mano. L’unica lampadina della stanza non poteva diffondersi oltre un metro, quindi nei pressi delle pareti ci si consumava la vista, specie in assenza del chiarore del giorno. La casa dava modo di capire le proprie dimensioni solo in corrispondenza del bagno, del cucinino e di una scrivania, anche questa peraltro occupata da colonne di libri (che però non arrivavano al soffitto). In quell’inferno dantesco, dove comunque grande era la mia preoccupazione che l’intero pavimento crollasse sui poveretti del primo piano, riuscimmo a collocare almeno 2.000 copie di Rock Story. Sono grato ad Angelo ancora oggi per quell’impresa veramente epica. Quei libri rimasero lì per qualche anno, fino a che cioè non affittammo un intero seminterrato, sempre dallo stesso padrone di casa e sempre in via Volta 10.
Ricordo che in quel periodo lavoravo molto assieme a Lele Dinoia e Valerio Casari sulla loro guida Arrampicate scelte nel Lecchese. In più ero ancora a contatto frequente con Popi Miotti per la stesura di Bergell-Disgrazia-Bernina, les 100 plus belles courses et randonnées, opera che ci aveva affidato il grande Gaston Rébuffat nell’ambito della collana da lui diretta per Denoël, Parigi. Eravamo stati anche a casa sua in Provenza e si vedeva che Gaston era già molto malato… Era previsto che l’edizione in italiano sarebbe uscita l’anno dopo, nel 1986, grazie a Zanichelli.
In tutto quel gran daffare il tempo per l’arrampicata era poco, in genere relegato al weekend. E per la montagna ancora meno. In gennaio approfittai di qualche giornata fredda per salire alcune cascate a portata di mano. Il 12 andai con Alessandro Pestalozza alla Cascata della Troggia. Sono 160 metri di sviluppo, tra i 50° e gli 85°, proprio al di sopra degli stabilimenti dell’acqua minerale Norda. La Troggia è definita in Scalate in frigorifero del Popi Miotti (da noi editato nell’ottobre 1982, seconda pubblicazione in assoluto della Melograno Edizioni) la più bella cascata del Lecchese. “Già vedendola dalla strada della Valsassina non si può restare indifferenti di fronte a quella striscia bianca che solca la grigia e paurosa parete rocciosa, partendo da chissà dove e portando chissà dove. L’ambiente è molto selvaggio, l’itinerario è molto lungo e reso impegnativo dal fatto che la cascata non sempre gela completamente. Quindi si sale in genere ai lati della colata con l’acqua che scorre al centro. Inoltre la forte portata d’acqua crea un pulviscolo che gelando forma delle tozze stalagmiti che rendono difficile l’uso degli attrezzi”. Anche noi fummo costretti a fare le soste con chiodi sulle rocce laterali.
Il giorno dopo era freddo e grigio, ma ugualmente col Pestalozza ci alzammo presto per fare un’escursione con gli sci. La zona prescelta riguardava la guida che stavo facendo con Angelo per la Collana Monti d’Italia, così anche lui si aggregò, forte della maggiore conoscenza dei luoghi. Salimmo da Splugen al Colletto 2790 m del Mittler Schwarzhorn 2838 m (gruppo del Suretta), scendendo poi sul versante opposto verso il Passo dello Spluga e quindi ancora all’auto.
Il 20 gennaio, con Valerio Casari, Cermenati e Gianni Rossetti, andai alla Cascata di Baiedo, mentre il 26, con Nella, salimmo una goulotte a destra della Troggia.
Chi fosse interessato, può consultare qui in fondo la mia restante attività di quel periodo registrata con maniacale puntualità sul mio diario. Tra le varie arrampicate qua e là mi va di spuntare solo la via Magic moment a Cornalba, fatta il 10 marzo con Giovanni Rosti e Manolo per fotografare quest’ultimo in vestiario Francital. E per il particolare significato che le attribuimmo, accenno anche all’escursione fatta con Nella e con gli sci dal Colle di Joux alla Testa di Comagna (Val d’Ayas), il 7 aprile 1985. Se non ricordo male fu l’ultima stagione in cui usufruimmo della casetta delle Fate Nere. La fine del matrimonio di Ettore e Mary aveva segnato la chiusura di un periodo. Dovevamo lasciare per sempre quella bellissima baita. Che ebbe un destino scialbo, praticamente abbandonata dal padrone Oliviero Frachey negli ultimi anni della sua vita. Alla sua morte (16 maggio 1999) il figlio Andrea la lasciò andare completamente fino a che un incendio non la distrusse. Oggi, chi cammina da Champoluc verso il Crest, a cinque minuti di cammino dal paese non può che osservare la tristezza di un rudere. Chissà se un giorno verrò a sapere dove sono migrate le Fate?
Ci furono le uscite di arrampicata fatte a Lumignano, vicino a Vicenza, grazie alla nuova amicizia con un giovane che mi piaceva, oltre che per la sua preparazione, per la sua simpatia e per ciò che aveva dentro: Michele Guerrini, allora ben lontano dal pensare che un giorno sarebbe diventato guida alpina.
Ultima annotazione, la giornata del 12 marzo passata con gli amici Romolo Nottaris, Fulvio Mariani e Silvio Vicari: eravamo a Perti (Finale Ligure), lì riuniti alla Parete delle Gemme per riprendermi in arrampicata, la prima volta che mi succedeva. Ero emozionato, davvero.
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C’era un albero. Si vede anche nel video.
È stato tagliato e l’uscita è più comoda ma anche più difficile. Se non ricordo male 6c.
Ma la vera domanda relativa a questo articolo è: all’uscita del Tetto del Kaiser è lecito prendere la radice in mezzo alla fessura o non vale?
È vero!!!! Chi ci pensa più al peso ed al volume dei libri!! Ancora oggi mi preoccupo di mettere guida e cartina in un sacchetto di nylon, vedo altri preoccupati che ci sia segnale e che duri la batteria! Poi, a casa, davanti alla traballante e pluri rinforzata libreria, nel riporre la guida, inevitabilmente, sfoglio e nel rassicurante rumore dello sfogliare ricordo, programmo ….sogno. mentre altri ripongono nella chiavetta e nel cloud!! Case moderne più leggere e vuote….speriamo altrettanto proprie!!
Last revelation.
Senza patemi or son certo
Da adorato totem da comodino
E un po di grano alla Melograno
Ho tolto peso alla soletta del vicino
Evitai allora un crollo ma non ora versi da cretino…
Bon di’ a tutti.
Molto interessante: apre una finestra sulla vita, anche pratica, di un appassionato di montagna ad alto livello.
Grazie per questa condivisione.