Intervista a François Cazzanelli

Intervista a François Cazzanelli
a cura della Redazione de Lo Zaino
(pubblicato su Lo Zaino n. 18 e su lozaino.it)

Nato all’ombra del Cervino, in un freddo giorno del gennaio 1990, la sua vita è stata segnata ancor prima di venire al mondo. I cognomi Cazzanelli, da parte di padre, e Maquignaz. da parte di madre, sono legati al mestiere di Guida Alpina da oltre un secolo. Così anche François Cazzanelli, raggiunta la maturità ha scelto di prendere picche e ramponi trasformandoli in attrezzi da lavoro. La sua quotidianità è fatta di albe frizzanti d’alta montagna, di corde che scorrono, di roccia e di ghiaccio. Sul Cervino è salito quasi 100 volte e la passione l’ha portato alla scoperta delle più alte montagne della Terra, su cui ama mettersi alla prova con salite in velocità, a tempo di cronometro. Negli anni l’abbiamo visto salire e scendere dal Manaslu, in sole 17 ore e 43 minuti! L’estate 2022 ci ha invece raccontato di una salita sul Nanga Parbat, per una via parzialmente nuova lungo la parete Diamir; di una bella prestazione sul Broad Peak, sfortunatamente interrotta oltre quota ottomila dove François sceglie di fermarsi in soccorso a un alpinista britannico precipitato e poi deceduto; e ancora sul K2, un sogno coltivato per anni e condiviso con l’amico e maestro Marco Camandona.

Ma l’alpinismo di François Cazzanelli non si ferma agli Ottomila con il cronometro. Nel suo curriculum ci sono nuove vie sul Cervino, un nuovo itinerario sul Pilastro Rosso del Brouillard. Una cavalcata invernale attraverso Catena Furggen, Cervino, Catena delle Grandes Murailles, Catena delle Petites Murailles. Scalatore poliedrico dal 2012 è membro della storica e rinomata Società Guide del Cervino, mentre prima è stato un atleta di alto profilo, parte della nazionale italiana di sci alpinismo, e ancora oggi continua a gareggiare nelle più importanti competizioni internazionali su lunga distanza. Chi, meglio di lui, può portarci all’interno del variopinto panorama alpinistico italiano?

François, pratichi il mestiere di guida alpina da 10 anni. Ripensando ai primi anni noti delle differenze in chi si avvicina al mondo alpinistico?
Oggi noto un crescente afflusso di persone in montagna. Sia sui sentieri, che sulle classiche vie alpinistiche si incontrano sempre più cordate appassionate e vogliose di scoprire il nostro territorio. Quello che non è cambiato è l’approccio.

Cosa intendi?
Molte persone si approcciano alla montagna in modo corretto e preparato, con le idee chiare su quelli che sono i percorsi e gli iter da seguire per assorbire determinate nozioni. In molti altri casi si incontrano persone non del tutto formate su itinerari che richiedono preparazioni specifiche. Questa differenza, ovviamente, emerge in modo ancora più evidente al crescere dei numeri. Sicuramente chi si avvicina alla montagna grazie a un percorso di formazione con le guide alpine, o con il Club Alpino, ha un approccio più professionale e competente.

La crescita del numero degli appassionati si rispecchia in una crescita del livello alpinistico?
Sicuramente in Italia l’alpinismo sta vivendo una fase fiorente, di riscoperta. Questo grazie a nomi come quelli di Matteo Della Bordella, Federica Mingolla, Luca Schiera, Tomas Franchini, David Bacci e molti altri. Ognuno con il proprio stile sta costruendo un percorso, ovviamente personale, di cui giova tutto l’alpinismo italiano grazie a prestazioni e idee fresche che portano qualcosa di nuovo nell’ambiente. Tra tutte quelle che abbiamo potuto vivere e seguire quest’estate mi viene subito in mente la spedizione di successo portata avanti da Francesco Ratti, Alessandro Baù e Leonardo Gheza sull’Uli Biaho. Purtroppo è stata poco mediatizzata, ma il risultato è veramente notevole e importante.

Abbiamo tanti validi esponenti, che stanno cancellando il mito dell’alpinista super eroe. Siamo una generazione di ragazzi che vive di una passione incredibile e totalizzante. Abbiamo voglia di metterci in gioco prima di tutto per soddisfare il nostro desiderio esplorativo, senza bisogno di sentirci migliori o peggiori degli altri.

Abbiamo qualcosa da invidiare al mondo estero?
No. Spesso si pensa che l’erta del vicino sia sempre la migliore, ma non sempre è così. In Italia abbiamo una lunga tradizione alpinistica e continuiamo a coltivarla, e a innovarla grazie a realizzazioni e competenze di altissimo livello.

All’estero ci sono molti fuoriclasse, anche figure da cui prendere spunto e grazie a cui iniziare a immaginare quello che potrebbe essere il futuro. Uno tra tutti secondo me è Tom Livingstone. Un ragazzo della nostra generazione che guarda due passi avanti rispetto agli altri. Ma anche Alex Honnold o Tommy CaldwelL

Quindi, ci stai dicendo che il futuro arriva dall’estero?
No, non voglio essere frainteso! All’estero, come in Italia, c’è una base di alpinisti preparati e forti, capaci di grandi prestazioni, mentre i nomi che davvero possono illuminare una strada per il futuro si contano sulle dita di una mano. Esattamente come accade qui da noi: abbiamo una base che spicca ogni anno per il numero di spedizioni e di realizzazioni, da questa emergono poi quei nomi che davvero stanno scrivendo nuove pagine di storia dell’alpinismo. Loro, insieme agli alpinisti esteri, devono essere i punti di riferimento per chi vive la passione ricercando un continuo miglioramento.

Spostiamoci per un attimo in Himalaya. Tra i tuoi obiettivi alpinistici degli ultimi anni ci sono anche gli Ottomila. Si può ancora portare innovazione a quelle quote o lo spazio è terminato?

Sostengo da sempre che l’alpinismo non finirà mai finché gli alpinisti avranno fantasia. Quello che forse manca oggi sugli Ottomila non è tanto lo spazio per fare qualcosa di nuovo, ma il fatto che pochi alpinisti osano mettersi in gioco seguendo una strada diversa da quella perseguita dalla maggior parte degli scalatori. Inoltre, penso ci sia una grande mancanza dal punto di vista della comunicazione.

In che senso?
Sovente, ma non sempre, si tende a fare di tutta l’erba un fascio. Che sia una via nuova, una solitaria o una salita in velocità se vengono realizzate durante il periodo di maggior afflusso, quando le agenzie portano in quota i clienti, spesso vengono messe sullo stesso livello della salita fatta con il supporto di un team di portatori. Quello che intendo dire è che non ci sono solo le invernali sugli Ottomila, basta guardare alle realizzazioni di molti forti scalatori degli ultimi anni. Cerchiamo spazio sulle più grandi montagne della Terra? Esiste! Basta guardarsi intorno per trovare vie vergini, itinerari nuovi. Serve l’originalità per uscire dal tracciato battuto e immaginare nuovi stili e nuove possibilità.

Quando non sei sugli Ottomila, ti dedichi a un alpinismo tecnico… sei molto polivalente…

La polivalenza è sicuramente la qualità che più apprezzo di me stesso. Se dovessi pensare alla mia vita come focalizzata su un unico obiettivo mi annoierei dopo poco. Variare, cambiare ambiente e stile rende molto più variegata la mia attività, e anche le mie possibilità.

Cerchiamo di tirare le somme su tutto quanto emerso in questa intervista. Secondo te quale può essere il ruolo del CAI nel panorama alpinistico italiano?
Penso che si debba lavorare molto sulla comunicazione, per far conoscere il nostro mondo e renderlo più appetibile. Far comprendere cosa significa vivere le montagne nella loro sfumatura verticale. Sicuramente attraverso il CAI e le Guide Alpine si possono avvicinare i giovani attraverso gli step più corretti, fornendo una preparazione di base fondamentale per un primo approccio al terreno senza traumi che, al contrario, non fanno altro che allontanare le persone.

Il secondo step sta nel far crescere i talenti, nel fornirgli l’opportunità e gli strumenti per alzare il proprio livello, per guardare alle montagne ricercando un obiettivo da perseguire.

Quali sono gli strumenti che secondo te vanno forniti per scovare nuovi talenti?
Fornire ai ragazzi il numero di Marco Camandona (ride). A parte le battute, figure come Marco Camandona, Franco Nicolini e molti altri sono fondamentali per il lavoro di volontariato che stanno portando avanti nelle loro valli avvicinando sempre più giovani al mondo della montagna. Grazie alle loro competenze permettono anche ai giovanissimi di scoprire la bellezza delle terre alte e dello sport in ambiente outdoor, poi starà a ognuno di loro scegliere la strada da seguire. Chi diventerà guida alpina, chi un fuoriclasse dello sci alpinismo, chi andrà verso mete lontane a disegnare itinerari visionari. Loro lo fanno a titolo personale, ma l’ideale sarebbero delle strutture organizzate. Ricordandoci sempre che l’obiettivo non è scovare fuoriclasse, ma nuovi amanti della montagna vogliosi di portare la loro fantasia sulle cime alpine e del mondo.

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Intervista a François Cazzanelli ultima modifica: 2023-01-02T05:38:00+01:00 da GognaBlog

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3 pensieri su “Intervista a François Cazzanelli”

  1. Uno che “ama mettersi alla prova con salite in velocità, a tempo di cronometro”, magari abbigliato con la tutina è un cannibale (cit. che detesto), non può essere vero amante della montagna. Via, via, spazio ai veri amanti! 
    Scherzi a parte, bella la conclusione, dove “fantasia” è l’esatto opposto di quanto predica qualcuno da anni in questo blog.

  2. Grazie a Gogna Blog che fa conoscere queste imprese, che non si leggono sulla stampa del cai.

  3. Bella lì, Cazzanelli jr.!
    Conosciuto quando era un bocia, che già si vedeva che era scalpitante,  e ora al vertice con tanta passione.
     
    Ti sei scordato di dire che il Cai dovrebbe ricordarsi dei giovani (te compreso) e portarli come esempio, anziché restare ancorato ai soliti tromboni più chiacchiere che fatti. 
     

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