Itaca nel Sole

Itaca nel Sole
a cura di www.itacanelsole.it

La storia di Gian Piero Motti presto sarà un film

Torino non premia i suoi figli più delicati, alti e fragili artisti se non con il dono dell’oblio, il dono di dimenticare la sua grata di strade diritte come sbarre per chi vive le sue storie d’un giorno, la sua vita d’impegni, di piccole sfide ai semafori, di rancori e ricordi sperduti sotto la cappa grigia, confusi nella nebbia… Tardi, fino a tardi nella notte si continuò a essere tristi, nella città delle officine, perché quell’uomo alto, fragile e bello non aveva sopportato il nostro dolore quotidiano ed era andato via senza dirci che Itaca è nel sole (Andrea Gobetti)”.

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Presentazione
La notizia ha ora carattere di ufficialità. Dopo tre anni di ricerche e contatti, spesso difficoltosi, sta per diventare realtà il progetto cinematografico fortemente voluto dai documentaristi Tiziano Gaia e Fabio Mancari: Itaca nel Sole. Cercando Gian Piero Motti. Il film, che indaga sulla figura del grande arrampicatore e scrittore torinese nato esattamente 70 anni fa, entra nella sua fase produttiva e dopo i sopralluoghi di rito si appresta a dare il via alle riprese.

Il film parte da una premessa narrativa fondamentale: nonostante l’aura quasi mitica che avvolge il protagonista, poco si sa (o meglio, pochi sanno e si vogliono pronunciare) sulla figura di Gian Piero Motti. Non parliamo tanto degli aspetti biografici, ma di quelli letterari, filosofici e simbolici di cui Motti ha voluto ammantare il proprio breve passaggio esistenziale.

Nato a Torino il 6 agosto 1946, Gian Piero brucia le tappe dell’apprendistato alpinistico nel rigido ambiente sabaudo ancora avvolto di eroismo retorico e spirito militaresco. Per Motti scalare non è soltanto un hobby: originario di una famiglia agiata, può permettersi di vivere senza lavorare e non avrà mai problemi a manifestare la sua estrazione borghese, tanto che di lui si ricorda che andava ad arrampicare in Lancia Fulvia coupè e disponeva sempre dei materiali migliori. Per questo, oltre che per lo stile plastico ed elegante di arrampicata, viene soprannominato il “Principe”. Nel 1970 è da solo al Pilier Gervasutti sul Mont Blanc du Tacul, l’impresa alpinistica che lo rende famoso. Due anni dopo pubblica il primo dei due articoli-chiave della sua carriera e di un’intera generazione: I Falliti, nel quale attacca chi non sa più vivere senza montagna. La frizione con l’ambiente conservatore e sabaudo dell’alpinismo torinese diventa insanabile.

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Altri due anni e, nel 1974, esce il secondo, celebre scritto: Il Nuovo Mattino. Anche se in realtà si tratta di un excursus sul mondo dell’arrampicata libera californiana, viene da tutti letto come il manifesto di un nuovo modo di intendere l’arrampicata, non più come dovere, ma come puro piacere estetico e intellettuale. Ne deriva una corrente alpinistica vera e propria, con tanto di discepoli e adepti, che Motti – va detto – non fa nulla per alimentare. Comunque lo si voglia vedere, è il ’68 della montagna.

Ritratto di Gian Piero affisso in sala bar da Cesarin, Breno (Chialamberto)

Nello stesso anno, Motti scopre le pareti fino ad allora inviolate della Valle dell’Orco, dove inventa, letterariamente prima ancora che in falesia, un Eldorado di granito nostrano. Il Capitan della Yosemite Valley viene riprodotto sulle rocce piemontesi e diventa il Caporal. Su queste pareti l’anno successivo Motti traccia, insieme a Guido Morello, una via destinata a fare epoca: Itaca nel Sole. Nel 1983, dopo svariate pause dall’attività di arrampicata e lunghi momenti di crisi, l’articolo Le Antiche Sere rovescia in parte i concetti espressi nel “Nuovo Mattino”, ribadendo la necessità di un approccio meno integralista alla montagna. Sono gli anni del riflusso dopo l’epoca della contestazione e Motti fatica a trovare il suo spazio in un ambiente che sta di nuovo cambiando pelle. Il 21 giugno dello stesso anno si toglie la vita in Val Grande di Lanzo, ai piedi delle “sue” montagne (33 anni fa, esatti).

Nelle tre decadi successive alla sua morte molto si è detto di Gian Piero Motti, ma vuoi per l’impossibilità di un qualunque, vero contraddittorio, vuoi per l’assenza di interviste o materiali d’archivio (Motti stesso bruciò tutte le sue foto), quasi sempre s’è detto male e a sproposito, ora speculando sul suo spirito tormentato e sul presunto uso di droghe, ora affibbiandogli patenti politico-culturali che in realtà non gli sono mai appartenute, e chi addirittura considerandolo l’ispiratore di una serie di imprese alpinistiche suicide, secondo una consolidata tradizione italica che vede ideologi ovunque e attribuisce loro una responsabilità “a prescindere”. Così facendo, giorno dopo giorno l’uomo Motti è scomparso e al suo posto è apparso e si è accresciuto il mito di Motti, senz’altro suggestivo per la forte componente epico-misteriosa, ma mistificatore come ogni sovrastruttura slegata dalla realtà e, in ultima battuta, menzognero. Le difficoltà iniziali e le tante porte chiuse in faccia agli autori nei lunghi mesi di avvicinamento alla fase realizzativa del film si spiegano proprio con i numerosi pregiudizi e le tante contraddizioni che avvolgono la figura oggettivamente enigmatica e ingombrante di Motti, spesso accostato a un Cesare Pavese per la sensibilità tragica sul senso della vita e il forte simbolismo, cui bisogna aggiungere, nel caso di Gian Piero, un sottile gusto per la provocazione e l’insofferenza esplicita verso le restrizioni culturali del mondo della montagna, che gli procurarono più di un nemico.

Ritratto di Gian Piero affisso in sala bar da Cesarin, Breno (Chialamberto)

Alcuni brani di Gian Piero
I falliti
Rivista Mensile del CAI, settembre 1972
Andavo ad arrampicare tutti i giorni, o quasi, preoccupatissimo di ogni leggero calo di forma. Ma non mi accorsi nemmeno che stava divenendo primavera, non vidi neanche che qualcosa di diverso succedeva nella terra e nel cielo e chi ben mi conosce sa che questo equivale a una grave malattia. Arrampicare, arrampicare sempre e null’altro che arrampicare, chiudermi sempre di più in me stesso, leggere quasi con frenesia tutto ciò che riguarda l’alpinismo e dimenticare, triste realtà, le letture che sempre hanno saputo dirmi qualcosa di vero e che con l’alpinismo non hanno nulla a che spartire. Ma qualcosa comincia a non funzionare: ritornando a casa la sera mi sento svuotato e deluso, mi sento soprattutto inutile a me stesso e agli altri, mi sembra anzi, e ne ho la netta sensazione, che il mio intimo si stia ribellando a poco a poco a questo stato di cose, che il mio cervello non tolleri questo modo di vivere. Ed ecco che giunge la crisi, terribile e cupa”.

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Il Nuovo MattinoScàndere, 1974
Nella Yosemite Valley c’è il Capitan, parete immensa, guscio di granito dalle proporzioni disumane. Balma Fiorant presenta al centro una parete che è un microcosmo del Capitan, noi l’abbiamo chiamato il Caporal (…) Sarei molto felice se su queste pareti potesse evolversi sempre più quella nuova dimensione dell’alpinismo spogliata di eroismo e di gloriuzza da regime, impostata invece su una serena accettazione dei propri limiti, in un’atmosfera gioiosa, con l’intento di trarre, come in un gioco, il massimo piacere possibile da un’attività che finora pareva essere caratterizzata dalla negazione del piacere a vantaggio della sofferenza. Se qualcuno poi dirà che questo non è più alpinismo, di certo non ci sentiremo offesi nel sentirci definire semplici “arrampicatori” e non “alpinisti”. Cosa sia poi veramente l’alpinismo ancor non l’ho ben capito”.

Un ricordo di Cesarin Griva, ritratto mentre richiama impaziente la figlia Claudia (Claudiaaa! Così non si può… non è possibile… c’è la gente da servire… muovitoi, Claudia!)
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La sala da pranzo del ristorante Da Cesarin, piena di ricordi di Gian Piero
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Alla ricerca delle antiche sereRivista della Montagna, 1983
Perché antiche sere? Perché un albero mette frutti e fiori soltanto se ha radici e soltanto se la linfa vitale scorre dalle radici ai rami: se si taglia l’albero all’altezza delle radici, ahimè!, ben presto esso morirà, diverrà un tronco secco da ardere, senza fiori e senza frutti. Qualcuno, forse in buona fede, sta cercando di segare l’albero per staccarlo dalle sue radici, con l’illusione di dargli finalmente la libertà di movimento. Ma forse si è ancora in tempo a porre riparo, a cicatrizzare la ferita, ormai molto estesa, e a ricollegare i capillari della linfa con le radici sottostanti. Molti cominciano già a vedere che l’albero dà frutti avvizziti, quasi non dà più fiori, va perdendo le foglie e rinsecchendosi nei rami. Ed è per questo che mi sono preso l’arbitrio di usare tanto mito nel battezzare le pareti rocciose: lo si voglia o no, è nel mito che possiamo trovare il senso del nostro esistere e la risposta ai grandi perché della vita”.

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Chi è oggi Gian Piero
Oggi possiamo dire che il passaggio di Gian Piero Motti nel mondo dell’alpinismo abbia rappresentato un’autentica boccata di aria fresca. La sua visione ludica della montagna, l’assoluta assenza di discriminazione tra alpinismo classico e scalata in falesia o su massi, l’apertura mentale e l’avversione verso il provincialismo hanno permesso all’ambiente di avvicinarsi alla scuola francese prima e a quella americana poi, cioè di adeguarsi ai tempi. Da questo punto di vista Motti è stato davvero l’uomo nuovo, il grimaldello che ha spalancato le porte su una nuova epoca. Il suo essere imbevuto dei miti musicali, letterari e cinematografici d’Oltreoceano ne fanno un rappresentante atipico e sfaccettato dell’alpinismo non solo italiano.

A settant’anni esatti dalla nascita, Gian Piero Motti è un personaggio che non finisce di sollevare interrogativi. La sua parabola alpinistica è stata una ricerca sofferta del senso più profondo della vita. Il mondo di Gian Piero era una foresta di simboli da interpretare, mentre la profonda cultura che lo animava ne fa uno dei campioni dell’ambiente intellettuale italiano del secondo dopoguerra. La personale visione del ’68, poi, lo rende una figura ancora più complessa, perché di quel periodo di cambiamenti epocali Motti fece proprie primariamente le istanze culturali, letterarie e spirituali, lasciando ad altri, non necessariamente più preparati o intellettualmente onesti, il compito di portare la discussione su un piano politico e sociale.

Il ristorante Da Cesarin, Breno (Chialamberto)
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Il film
L’idea del film nasce da lontano. Tiziano Gaia si è sempre occupato di altri temi, ma quando alcuni anni fa, grazie a un cugino scalatore, ha conosciuto l’epopea dei “pazzi del Verdon”, si è avvicinato alle storie di montagna e di lì ad ampliare il suo raggio di conoscenze fino a scoprire il Nuovo Mattino, i Falliti e la figura del suo straordinario capostipite, il passo è stato breve. Fabio Mancari invece di montagna si è occupato anche di recente, avendo firmato nel 2014 il grande successo de L’Alpinista, ispirato alla storia di Agostino Gustìn Gazzera, vincitore di numerosi premi e ancora oggi capace di riscuotere sbalorditivi riscontri di pubblico ovunque venga proiettato. Stuffilm, la casa di produzione indipendente di cui Mancari è socio fondatore, ha pertanto deciso di “bissare” impegnandosi nello sforzo produttivo del nuovo titolo.

Il film si inserisce nel filone delle “recherche”, perché Motti è una figura ancora in gran parte inesplorata e il primo atteggiamento a cui ci spinge è quello di “andarlo a cercare”. Il film lo farà, oltre che con l’ausilio del materiale d’archivio a disposizione, attraverso un percorso corale di voci, testimonianze e azioni di chi lo ha conosciuto, ha arrampicato con lui, gli è stato accanto nei momenti privati, oppure di chi, non avendolo conosciuto, ne è stato affascinato dagli scritti e dal pensiero. La montagna sarà la grande protagonista del film, ma non si pensi a un documentario di pareti e corde, linee verticali e chiodi da roccia. Sarà una montagna in gran parte allegorica, così come la intendeva Motti; quel tipo di montagna che spinge l’uomo a grandi sfide e ad ancor più grandi interrogativi: chi siamo? dove andiamo? qual è il nostro destino? cosa c’è laggiù, oltre l’ultima vetta?
Torino e le sue valli, in primis Valle Orco e quella Val Grande di Lanzo in cui Motti era di casa e nella quale ha compiuto il suo definitivo “ritorno”, saranno il set privilegiato per questo film d’atmosfera, poetico e nello stesso tempo biografico. L’epoca storica, a ridosso immediato del ’68, sarà puntualmente ricostruita, con un occhio particolare al fermento culturale ed editoriale che caratterizzò il capoluogo piemontese di quegli anni, di cui la redazione della Rivista della Montagna costituiva una delle punte avanzate.

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Itaca nel Sole diventa un titolo-testamento su cui appoggiare, più che la nuda mano dello scalatore, cuore e mente per capire chi si cela davvero dietro uno dei protagonisti del dibattito alpinistico e filosofico del Novecento italiano.

A livello produttivo ed economico, oltre all’impegno di Stuffilm e alla partecipazione di alcuni sostenitori pubblici e privati, tra cui spicca da subito il nome di Montura, molto ci si aspetta dalla base: è partita infatti una forte campagna di crowdfunding che mira a coinvolgere, anche con il versamento di micro-quote, i tanti appassionati di roccia. In alcuni casi, il premio fedeltà consisterà nella possibilità di partecipare direttamente alle riprese, oltre a una serie di altri benefit che mirano a creare una “cordata” – è il caso di dirlo – di micro-produttori partecipi e appassionati.

Sul sito ufficiale www.itacanelsole.it si possono trovare tutte le informazioni e si potrà seguire in presa diretta lo stato di avanzamento delle riprese e del successivo montaggio. Il film dovrebbe uscire nella primavera 2017, in tempo per i grandi appuntamenti festivalieri del nuovo anno. Poi seguirà l’iter classico di ogni pellicola, con l’augurio che possa contribuire a far conoscere al maggior numero di persone una delle più singolari e sfaccettate figure italiane dal dopoguerra a oggi.

Alcuni momenti prima delle riprese
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Alcuni momenti prima delle riprese
di Tiziano Gaia
Sabato 21 maggio 2016 sono iniziati i sopralluoghi per le riprese del film documentario Itaca nel Sole. Parte della troupe si è spinta fino a Breno, nel cuore della Val Grande di Lanzo, uno dei luoghi simbolo della vita e dell’attività sportiva e letteraria di Motti. Nonostante l’assenza di vette famose a livello nazionale o internazionale, la Val Grande da quarant’anni non cessa di attirare l’attenzione del mondo della montagna per la presenza di innumerevoli vie di roccia di pregevole bellezza estetica e notevole difficoltà tecnica. Pioniere di questi luoghi e di queste vie è stato proprio Gian Piero, valligiano “doc” (la famiglia aveva una casa nella minuscola borgata di Breno (Chialamberto) e innamorato dei suoi prati e dei suoi boschi al punto da averli messi al centro di buona parte della sua produzione letteraria. Se per Cesare Pavese Santo Stefano e le Langhe erano i luoghi del costante ritorno, per Gian Piero Motti, da molti considerato il Pavese della montagna per sensibilità e marcato simbolismo, la Val Grande di Lanzo era la sede dei ricordi d’infanzia, dell’innocenza e delle persone più care. Alcune di queste persone noi le abbiamo incontrate durante la nostra giornata, in particolare da Cesarin, la mitica osteria-bar-alimentari in cui Gian Piero e i suoi facevano tappa prima e dopo ogni scalata. Entrare da Cesarin – oggi scomparso, ma restano i figli a portare avanti il locale, Claudia in sala e Piero in cucina – è come attraversare lo specchio e ritrovarsi in un mondo di meraviglie e suggestioni. A parte il livello molto alto della cucina (che non guasta, anche in vista delle lunghe giornate di ripresa che ci aspettano!), l’ambiente “trasuda Motti” a ogni angolo e su ogni parete, tra foto d’epoca, cimeli e la copia del “registro delle vie” che Motti e il suo gruppo aggiornavano di volta in volta, su cui ovviamente abbiamo subito messo gli occhi prima ancora di ordinare vino e antipasti… Miglior inizio non poteva esserci. Che Cesarin e la sua valle tornino a essere, dopo l’epoca mottiana, un centro pulsante di energia grazie alla nostra produzione? È quello che tutti noi ci auguriamo, ovviamente!

Piero e Claudia al lavoro
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Ed eccoci sul Bec di Mea! Non siamo ancora partiti con le riprese, che già tocca mettere le mani sulla roccia. Non sappiamo se Motti sarebbe particolarmente orgoglioso di noi, vista la fatica fatta per raggiungere la cima – ovviamente dal sentiero che passa per le grange, mica dal fondovalle! – ma noi di certo ci siamo calati, o meglio siamo ascesi, nell’universo di Gian Piero come non avremmo potuto fare in nessun altro posto. Diciamolo subito: ragionando in termini cinematografici, la valle vista dalla Mea è uno spettacolo, come pure il sentiero per arrivarci, che attraversa il villaggio degli Alboni fresco di precisissimo restyling e si intrufola in un bosco di faggi che disegnano una galleria verde sopra le nostre teste. Ci fermiamo per qualche scatto di rito, due brevi riprese a qualche bel dettaglio, poi arriviamo alle spalle della parete e contempliamo il paesaggio circostante. Roccia, acqua, verde e cielo: la natura nella sua espressione essenziale ed estetizzante. Un gruppo di rocciatori sbuca dalla Mea, ci dicono di essere dei soccorritori alpini impegnati in un’esercitazione, dal momento che sono i primi arrampicatori che incontriamo viene naturale fare un gesto scaramantico! Decidiamo come organizzare le vere riprese, quando torneremo in forze, e soprattutto ipotizziamo chi, tra i personaggi e testimoni coinvolti – i cui nomi sveleremo man mano – sarebbe interessante riportare in questi luoghi… Scendiamo su Breno che il sole è ancora alto, dettaglio non da poco per chi deve girare un film. Da Cesarin ci hanno detto: la Val Grande è come la Norvegia, in pratica resta in ombra per sei mesi d’inverno e in piena luce per gli altri sei. Ci immaginiamo una bella tavolozza di contrasti, ci sarà da lavorare parecchio sul piano fotografico e non vediamo l’ora di iniziare. Alla prossima.

Il Bec di Mea, Val Grande di LanzoItacaNelSole-DSCN3381

Gli autori
Fabio Mancari
Laureato nel 2002 al DAMS di Torino in Teoria e Tecnica del Linguaggio Audiovisivo, dopo aver svolto il ruolo di montatore per broadcaster internazionali nel 2007 avvia l’attività di operatore freelance per documentari e cortometraggi. Nel 2009 fonda insieme ad altri tre soci la Stuffilm, casa di produzione indipendente. Nel 2010 con il film documentario Vetro Piano è in concorso ai David di Donatello 2010 nella categoria documentari di lungometraggio. Altre sue opere sono L’ultima borgata (2011), Rally, polvere e passione (2012) e L’Alpinista (2014).

Tiziano Gaia
Nato a Torino nel 1975, ha fatto parte del movimento Slow Food dal 2000 al 2008. Nel 2009 ha lavorato all’interno del carcere delle Vallette di Torino nell’ambito del progetto di cooperazione sociale Pausa Café, da cui è scaturito il suo primo libro, Puoi chiamarmi fratello (Instar Libri, 2011). Nel 2012 ha ideato, scritto e allestito il musical 6 come noi, in scena nei teatri tra l’autunno di quell’anno e la primavera 2013. Il film Barolo Boys, storia di una rivoluzione, scritto e diretto assieme a Paolo Casalis e prodotto dalla Stuffilm.

Fabio Mancari e Tiziano Gaia
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Itaca nel Sole ultima modifica: 2016-06-21T05:59:33+02:00 da GognaBlog

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17 pensieri su “Itaca nel Sole”

  1. Ci sono e ci saranno quelli che sgomitano così come ci sono quelli che si defilano. Ognuno è libero di fare quello che crede e non deve essere biasimato per questo. Magari verrà fuori un bel prodotto. Magari no. Io ho sottolineato solo quello che era giusto sottolineare. I due autori sul loro blog “ironizzano” definendo “intoppi” le voci contrarie, anche se questa contrarietà è frutto di scelte di amicizia nei confronti dei famigliari o di sensazioni personali. Benissimo e liberissimi. Saranno magari bravissimi nel loro lavoro. Io non ho l’ “autorità” né la lunga e approfondita conoscenza che Ugo aveva di Gian Piero. Mi accorgo semmai delle inesattezza che per ora ho letto (alcune corrette dopo evidente segnalazione). E mi piace anche poco lo “stile” con cui i promotori si pongono sul blog se devo essere sincero. P.S: il quaderno da Cesarin non è affatto quello su cui Motti e compagni scrivevano dopo le loro ascensioni. Motti non ha mai lasciato nulla di scritto da Cesarin, soprattutto delle sue scalate. Il quaderno originale era di Grassi datato 1987 (ben 4 anni dopo la morte di Motti) e quello fotografato con “soddisfazione” nel blog dagli autori l’abbiamo messo noi nel 2004! (Dal blog Itacanelsole: “l’ambiente “trasuda Motti” a ogni angolo e su ogni parete, tra foto d’epoca, cimeli e la copia del “registro delle vie” che Motti e il suo gruppo aggiornavano di volta in volta, su cui ovviamente abbiamo subito messo gli occhi prima ancora di ordinare vino e antipasti… Miglior inizio non poteva esserci. Che Cesarin e la sua valle tornino ad essere, dopo l’epoca mottiana, un centro pulsante di energia grazie alla nostra produzione? È quello che tutti noi ci auguriamo”). Magari un inizio migliore poteva esserci. Nonostante l’augurio salvifico post-produzione per la nostra valle (che forse non necessariamente deve trovare sempre nuovi profeti), noi, invece, ci auguriamo solo che venga fatto un buon lavoro, davvero. Sempre per dovere di cronaca preciso anche che la foto dell’home page del blog raffigura Grassi alla cresta della Cittadella (Sea) ed è di Angelo Siri, che peraltro non ha mai autorizzato la sua pubblicazione su detta pagina.

  2. Come già visto comincerà la corsa degli Sgomitanti : io ero il suo unico amico, io ero il suo compagno di cordata preferito, con me si confidava sempre, a me regalava il materiale, con lui ho fatto questo, quello, serate indimenticabili, giornate eroiche, imprese mirabolanti, gli ho prestato la fidanzata, mi ha lasciato usare la sua automobile e avanti così. roberto bonelli

  3. nel pratico, cos’è che è apparso sconfortante ? cos’è che ha infastidito ?

  4. “Doveroso” perché è giusto che si sappia la posizione della famiglia che, interpellata, non ha offerto ne collaborazione ne appoggio, ritenendo sulla base delle idee dei promotori il progetto non “condivisibile”. “Rispetto” perché in valle, a differenza di chi viene dall’esterno, nutriamo amicizia e rispetto nei confronti dei famigliari, così come della vicenda umana di Gianpiero nel cui passato, scavare con velleità psicologiche, è fatto arduo e complesso anche per gli amici di quell’infanzia che si vorrebbe raccontare. E gli amici della valle, non necessariamente tutti scalatori, è ovvio che rispettino la posizione della famiglia. Poi ognuno è libero di fare e raccontare ciò che vuole, sia chiaro, ma l’inizio non è apparso affatto confortante.

  5. Buongiorno Marco,
    in che senso “doveroso” ?
    in che senso “rispetto” ?

  6. E’ doveroso sottolineare fin da subito che la famiglia Motti non appoggia in alcun modo questa iniziativa, come lo stesso nipote Francesco ha già avuto modo di riferire agli autori. A questa decisione e per rispetto nei confronti di famigliari, si allineano una buona parte degli amici della Val Grande.

  7. Ciao Ugo
    leggere queste tue parole quasi mi “conforta”. Grazie.
    Se non ricordo male le parole che Alessandro ha buttato lì quando gli parlai: “Ugo non vedrà, Alessandro non vedrà”, non credo fossero riferite ad una comunicazione “personale”: almeno, io le ho capite come la necessità di una evoluzione umana futura affinché certe realtà possano essere ascoltate, viste, capite. Tu mi dici “impossibilità” e… mi torna.
    .
    A riguardo della riservatezza, io la voglio e devo rispettare! La mia mail è giorgio.robino@gmail.com ma credo che sarebbe solo una curiosità meschina, la mia. Ad ogni modo, se un domani sarebbe anche bello parlare tutti insieme, ma per farlo davvero dovrei raccogliere forze e ri-guardarmi bene i fatti; intendo sia i fatti “materiali” e quegli altri non-materiali (quasi una missione impossibile), la qual cosa mi richiederà tanta ma tanta energia.
    Peraltro, sarò io fissato, ma mi pare che Alessandro un post ogni tre ci parli degli argomenti importanti.
    Il martello batte sempre su quei chiodi 🙂
    .
    respect
    giorgio

  8. Ciao Giorgio
    Grazie alle tue indicazioni sono andato a ripescare “la pervicace ricerca del destino-parte 2”
    Sostanzialmente condivido tutto quanto espresso da Alessandro. Gian Piero più volte mi disse che un giorno mi avrebbe raccontato e spiegato della sua scomparsa di 5 giorni a Ceresole Reale nel 1975 e dei suoi viaggi in un mondo non percepibile ai più, oltre il comune pensare. Questo durante la preparazione della spedizione al Changabang nel 1981 (per la quale egli ci dette un aiuto importante) e soprattutto dopo, in un periodo nel quale ci frequentammo parecchio. Questa spiegazione però non me la dette mai e, come afferma Alessandro, non me l’avrebbe mai data e forse non era possibile darla. Io ascoltavo le sue esternazioni attentamente, senza fare domande. Forse sono stato sempre troppo materialista per addentrarmi ad esplorare le cose non facilmente percepibili ed esplorabili. Da quei discorsi però sono giunto alla conclusione che Motti era convinto dell’esistenza di qualche orizzonte che andava oltre la normalità percepita.
    Per quanto riguarda alcuni fenomeni trasgressivi, ai margini del periodo del nostro Nuovo Mattino non sono cose che amo diffondere attraverso il web, per me la riservatezza ha ancora un valore. Al massimo, se sei curioso, posso raccontarti qualche episodio ad un tuo indirizzo mail personale, confidando sulla riservatezza.
    Ugo Manera

  9. Buon giorno Giorgio
    Mi poni tante domande che per rispondere dovrei riempire molte pagine. Io sono un pessimo dilettante nell’uso del computer, non amo i “social” e non li frequento, Il testo: “la pervicace ricerca del destino” mi è sfuggito e non saprei proprio come fare per ricuperarlo perciò su questo non so darti risposte.
    Per le altre domande credo che molte risposte si trovino già nella mia postfazione al “Lichene” I Falliti di Motti e nella sua lettera al sottoscritto qui pubblicata. Altre risposte su Gian Piero e su quello che è stato il nostro Nuovo Mattino si trovano nel mio “Pan e Pera” sempre dei Licheni.
    Per quanto riguarda il mio non gradimento del documentario citato deriva da una delusione, io speravo si raccontasse quell’interessante periodo attraverso la ricostruzione dei fatti e l’analisi delle idee che a questi fatti hanno portato, accentuando l’incidenza, almeno a casa nostra, dell’alpinismo di allora. Invece si è voluto privilegiare la componente trasgressiva che è stata marginale a scapito del racconto dei fatti e l’analisi dei personaggi più importanti. in alcune delle interviste poi ci sono analisi strampalate lontane da quella che è stata la realtà.
    Ugo

  10. Ero molto giovane ma la butto lì: quando morì Jimi Hendrix si disse che Dio volesse imparare a suonare la chitarra. Forse chiamando Motti a sé voleva imparare ad arrampicare.

  11. Buongiorno Ugo
    .
    Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi della conversazione con Alessandro in “La pervicace ricerca del destino – parte 2”, articolo che scrivemmo per questo blog, e dove forse ti fischiarono le orecchie… per le domande ad Alessandro (su Gian Piero Motti), scelsi alcuni stralci dai libri di Motti, in particolare un passaggio di una lettera sua a te… ed Alessandro mi disse testualmente, riprendendo-ti dopo aver parlato d’altro per un’ora: “Ugo non vedrà, Alessandro non vedrà.”… So che sono argomenti scottanti ed “inopportuni” ma anche il tuo punto di vista, toccandoti/ci le palle, che sei/siamo vivi, è importante.
    .
    Io non mi sento più di chiedere un’intervista, perchè mi manca l’energia…, ma la prendo alla larga allora, riportando la domanda ad essere più leggera, ti chiedo cosa ti infastidì in “cannabis roc” ? Un titolo che occhio e spanne mi tiene lontano dall’aver voglia di vederlo e forse non lo vedrò mai. Ma perchè non ti è piaciuto per nulla ?
    .
    “I più non hanno mai capito nulla di Motti”, dici, dunque qual’è in fraintendimento che c’è stato ?
    .
    Ed è ovvio che i registi / autori di questo film prossimo venturo dovrebbero chiedere a chi lo ha conosciuto Motti, a te, ad Alessandro (e chi altro ?). Penso che fare un film su Gian Piero Motti, sia impresa disperata del percorrere un terreno minato, quasi tabù. Come nel film “stalker”, una “zona” che cambia al passaggio di ognuno di noi, nè. O la faccio troppo difficile ?

    respect
    giorgio

  12. ho letto alcuni suoi scritti. Persona decisamente affascinante.
    Farsi gli scherzi è una delle cose più belle che si possono fare tra amici.

  13. Speriamo………
    Dico speriamo sul fatto che venga fatto un film su Gian Piero Motti. Mi fa molto piacere che venga ricordata ed in qualche modo celebrata la figura di Gian Piero. Il mio speriamo…….. deriva dal fatto che ho sentito e letto tante cose imprecise (per non dire peggio) su Motti e sul periodo del Nuovo Mattino e non vorrei che la figura di questo, che considero uno dei miei più grandi amici, venga mal trattata con imprecisioni con interpretazioni e ricostruzioni lontane dalla realtà. Il che mi arrecherebbe molto dispiacere. Già in questa breve presentazione ho notato due imprecisioni: la solitaria del Pilier Gervasutti è stata effettuata a luglio del 1969 e non nel 1970. La scoperta dei dirupi di Balma Fiorant e l’invenzione del Caporal in valle dell’Orco l’abbiamo fatta insieme nell’autunno del 1972 e non nello stesso anno della pubblicazione dell’articolo di Gian Piero: 1974.
    Tra gli scalatori viventi che hanno arrampicato con Gian Piero, probabilmente sono quello che ha trascorso più momenti scalando e disquisendo di montagna con lui, per quasi tutto l’arco della sua vita legata al mondo della montagna. Insieme abbiamo cercato nuove possibilità per l’arrampicata al Plu. scoprendo ed esplorando il Bec di Mea fino ad arrivare al Caporal in valle dell’Orco. Passammo un inverno a tracciare vie sul Bec di Mea con inevitabili movimentate “merende” da Cesarin. Insieme scoprimmo, e primi italiani, esplorammo le prealpi Francesi, iniziando dalle vicine Tète d’Aval e Tenaille de Montbrison. Una cosa che mi preme evidenziare, che non compare tra le varie cose scritte su Gian Piero: nelle innumerevoli scalate effettuate insieme, sempre la componente scherzo, divertimento, presa in giro reciproca si sovrapponeva a tutto il resto; quando aprimmo la prima via (pesce d’aprile) ad Aimonin io stesso fui vittima di uno scherzo abbastanza spinto da parte di Gian Piero.
    Dopo la sua scomparsa di 5 giorni a Ceresole Reale nel 1975 Motti si allontanò dal mondo della montagna una sera a casa sua regalò a me e a Claudio S’ant’Unione gran parte del suo materiale alpinisti compreso il suo mitico martello americano (ora al museo della montagna). Qualche anno dopo ritornò a scalare con me, non più in alta montagna, accompagnato dai suoi giovani “discepoli” incantati dalla sua personalità, cosi tracciammo ancora vie nuove insieme alla suggestiva Parete Nera di Caprie.
    Una caratteristica di Gian Piero era quella di non comparire di fronte ad una platea, gli capito di dover partecipare a serate/proiezioni,
    organizzava il tutto poi catturava me per parlare di fronte al pubblico, prendendomi poi in giro per il mio italiano e per alcune mie espressioni tipiche.
    Agli autori/registi del film in progetto rivolgo una preghiera, documentatevi bene, cercare di capire quale era il vero Gian Piero, i più non hanno mai capito nulla di lui, in modo che ne venga fuori un’opera degna di quello che lui è stato.

    Nel recente passato è stato realizzato un documentario: “Cannabis Roc” rivolto al periodo del Nuovo Mattino, al quale pure io ho partecipato ma che alla fine, ad opera compiuta, non mi è piaciuto nulla e lo considero una opportunità sprecata. Spero proprio che il prossimo film su Motti non segua la stessa strada.
    Ugo Manera

  14. grazie Alessandro,
    per avermi chiarito (fatto un pò di luce su) il fraintendimento comune,
    e cioè che l’enigma e l’ingombro non sia (stato) politico,
    per esempio tra un vecchio ed un nuovo “modo”,
    e che il “martirio” sia tra il reale ed il mistero dei boschi e dei ghiacchi,
    un percorso quasi assurdo, per ognuno di noi
    http://www.banff.it/la-pervicace-ricerca-del-destino-parte-2/

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