Prima salita della Cima Ovest del Monte Sarmiento (Terra del Fuoco, Cile), effettuata per la parete nord il 24 dicembre 1986 dai Ragni di Lecco Salvatore Panzeri, Lorenzo Mazzoleni, Bruno Pennati, Pinuccio Castelnuovo e Gianmaria Confalonieri. Della spedizione facevano parte anche Gigi Alippi, Clemente Maffei, Salvatore Fantozzi e Luciano Bovina. La Cima Est, di pochi metri più alta, misura 2246 m, ma anche è stata misurata a 2207 m, a seconda dell’altezza del fungo di ghiaccio.
Knock, knock, knocking on hell’s door (bussando alla porta dell’inferno)
di Salvatore Panzeri
“Hai perso molto, abitante di città. Dormi nel tuo guscio di cemento fino a che il sole è alto e rinunci all’alba. Rinunci al vento fresco e al sommesso ronzio come d’una conchiglia marina, rinunci al tappeto di erba alta e verde e all’ovattato silenzio del vento mattutino… (Richard Bach, Biplano)”.
Un attimo di pausa, la tempesta di colpo svanisce, la tendina si ferma, lo stressante picchiettare della neve sparisce e i nostri occhi incuriositi scoprono timidamente i nuovi orizzonti, i nuovi colori.
Qualche colpo sul telo per rimuovere la neve e le prime impronte si muovono già su quel bianco e accecante manto che ricopre i ghiacciai, le rocce, i prati sottostanti fino a perdersi nel contrastante blu cupo delle agitate acque del mare.
Il cielo si è fatto di nuovo scuro, grosse nuvole nere, spinte dai tremendi venti del Pacifico, coprono ogni cosa e si fermano sopra le nostre teste, opprimenti, minacciose, pronte a scaricare la loro ira sul mare, sulle spiagge, sulle foreste, sui monti.
Lontanissimo, tra le acque limacciose, in mezzo a tali tenebre un luccichio intermittente richiama la nostra attenzione, un ronzio strano copre per un attimo il silenzio del vento, entra nelle nostre teste e… e compaiono tra le onde antichi velieri che sospinti qua e là dal vento tempestoso cercano di aprirsi la strada in quegli infidi canali sulle orme dei grandi navigatori ed esploratori di questi mari, uomini di ferro, intelligenti conoscitori degli elementi naturali…
Il luccichio svanisce e poco dopo anche il ronzio ci lascia; una raffica di vento ci riporta nella realtà e ci spinge nella tenda gridando: “E’ in arrivo la tempesta”. Un momento come altri di una giornata come tante altre alla ricerca di qualcosa di diverso della cima, alla ricerca di un luogo nuovo, posto oltre quell’impenetrabile barriera di nebbie e tempeste, posto oltre quella grossa porta tenuta sbarrata dal fortissimo vento.
In tanti hanno bussato a quella porta ma mai nessuno ha avuto il permesso di entrare, la forza di sfondare, la fortuna di trovare i due guardiani distratti; il vento e la nebbia non si possono distrarre, hanno degli ordini, il loro compito è ben preciso: “non far passare nessuno dalla porta dell’inferno bianco”.
Fu così che nelle nostre teste si sostituì la parola “vetta” con la parola “porta”, fu così che iniziammo a ragionare un attimo sulla situazione, analizzammo le sconfitte dei nostri predecessori chiedendoci perché; passammo giorni e giorni a studiare il tempo, pazzo ma abitudinario da queste parti, passammo giorni e giorni sia nelle vicinanze delle mura che sulla spiaggia, in riva al mare, dove si poteva avere una panoramica più grande di quella parte di mondo impazzita, di quella terra strappata dal continente, fatta sprofondare e re-innalzata, avvolta dai ghiacci eterni, modellati e fragili come cristalli.
Doveva proprio essere una montagna di cristalli, una montagna splendente, quella che custodivano con tante cure e precauzioni all’interno di quei luoghi ed è per questo che eravamo lì, per conoscere l’immagine della parola splendente, per cercare l’ignoto, per scoprire quella parte di noi che resta, sempre nascosta, avvolta dalle nebbie, oscurata dalle tempeste.
Era quindi impossibile stancarsi, innervosirsi, litigare in tale situazione; ogni giorno uguale era nello stesso tempo diverso, si cercava di far di tutto per cogliere una piccola parte di quel bianco splendore ma era impossibile, anche dal più alto dei faggi la vista era interrotta dalla nebbia. Talvolta lasciavamo la tranquillità del mare per provare a bussare, arrivando talvolta con fatica persino alla porta e ritornando poi distrutti a navigare con i sogni sulle spumeggianti onde del mare.
Fu in uno di questi tentativi che cogliemmo i due guardiani distratti, assenti, sbandati e soffocati dai fumi dell’alcol, fu in uno di questi tentativi che la porta dell’inferno si aprì davanti a noi… magnifico… fantastico… sublime.
Ci lanciammo di corsa su una lunghissima rampa di scale attorniati da migliaia di fiori cristallini posti in ordinate aiuole di neve, spinti da un raggio di sole, potente, irruente, devastante e deciso come i nostri passi, i nostri movimenti in quel paradisiaco inferno.
L’ultimo gradino ti sprofondava nell’altissima neve di un parco dove ogni cosa era al suo posto, dove il sole si muoveva caleidoscopicamente tra un cristallo e l’altro, tra una pianta e un fiore.
Davanti a tale splendore nemmeno la fatica aveva il coraggio di urlare, così che a passi da gigante attraversammo interamente quel parco fino al suo termine, laggiù dove all’orizzontale si sostituiva il verticale, dove dalla bellezza di quei giardini si innalzava splendente il nostro sogno, il tesoro, la “vetta” delle profondità dell’inferno bianco. Ancora pochi di quei giganteschi passi e la cima è nostra, il mondo è nostro, l’orizzonte è nostro ma…… ma ora noi apparteniamo all’inferno e a distanza di poche settimane, ancora stregati da quel luogo tanto attraente quanto infernale, ci assale un po’ di nostalgia dell’avventura, del ritmo di vita preistorico e sogniamo già altri viaggi, altre peripezie, altre porte a cui bussare…
Gli stessi occhi che scrutavano timidamente gli orizzonti, captandone gli straordinari colori, sono ora in attesa dietro le grosse vetrate di un aeroporto, incuriositi, animati da una pazza voglia di vedere gli occhi di alcuni amici che, come loro, erano partiti alla ricerca di una porta a cui bussare; desiderosi di conoscere le loro sensazioni, le loro emozioni di fronte ad un’avventura del genere, di fronte alla porta che separa la persona dalla propria personalità.
Non cercatelo altrove, il vostro “Io” è proprio là, bussate anche voi a quelle porte…!
4Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Poetico e semplice.
Molto intenso
Poetico (anche troppo), ma si capisce quanto certe esperienze possano esaltare gli animi, specialmente a risultato ottenuto.
Comunque, contrariamente a quanto si potrebbe inmaginare, è proprio il successo dopo situazioni che lo facevano sembrare impossibile, quello che maggiormente dona felicità.
Folle e geniale, ingenuo e profondo.
Un bel racconto.