La decisione di diventare padre

Metadiario – 158 – La decisione di diventare padre

Nei primi mesi del 1991 succedettero cose importanti a livello notarile. Con Marco Milani, Giuseppe Miotti, Monica Mazzucchi e Paolo Romanini in febbraio costituimmo la K3 S.n.c. di Alessandro Gogna e C. Già da due anni funzionavamo come società separata da Melograno Edizioni, ma la gestione della contabilità per essere corretta era davvero complicata e al limite del legale. Ci perdevo un sacco di tempo, con giri di carte e fatture da far girare la testa. Finalmente con una società apposta potevamo fatturare lavori che con Melograno non avevano nulla a che fare.

La Ritonda, Cant del Gal, Val Canali

Nello stesso febbraio fu la volta anche della regolarizzazione della società di fatto che si era creata per Aquila Verde. Verso fine 1990, quindi in coincidenza dell’uscita degli articoli di Aquila Verde su L’Espresso, l’amico Giovanni Rosti fu ingaggiato a tempo pieno per essere Amministratore di una nuova società, Montana S.r.l. I soci, oltre a me, erano Luca Moro, Giovanni Rosti e la coppia Stefano Salvi e Nella Picco, tutti al 25%. I due ultimi erano i titolari del CRC, quel Centro Ricerche Chimiche che aveva fatto tutte le analisi per Aquila Verde. Di tutte le varie mie società, allora non potevo saperlo, ma questa fu l’unica destinata ad avere successo. Oggi Montana, nel frattempo diventata S.p.A., è un’autorità in campo ambientale e fattura 14 milioni di euro all’anno. Dei soci iniziali, per varie vicende nel tempo, siamo rimasti solo Moro (con la sua società Unità di Misura S.r.l.) ed io.

Ma il 1991 (11 giugno) fu anche l’anno costitutivo di Mountain Wilderness Italia, associazione che di fatto operava già dal 1988 ma sotto l’egida di Mountain Wilderness International.

Segnalo anche l’organizzazione con Mountain Wilderness (5 gennaio 1991) del secondo evento (con circa 2.000 persone) a favore del parco del Monte Terminillo, visto il notevole successo del primo. Lavorammo molto anche alla difesa in provincia di Trento dellorso bruno alpino: si cominciava a parlare dell’introduzione nel Parco Adamello-Brenta di qualche orso della Slovenia.

Gianpaolo Depaoli. Foto: Pierluigi Orler.

In mezzo a tutta questa burocrazia e al furore ambientalista, qualcosa di ben più importante maturò tra Bibi e me. Lei andava per i 29 anni, io per i 45, vivevamo felici e contenti nei nostri locali di corso Vercelli: una sera c’era stata anche una mia richiesta formale a suo padre e sua madre: mi ricordo che eravamo nella sala del caminetto ed io ero emozionato come un pivello. Praticamente ci fu l’assenso al fidanzamento. In quest’onda emotiva maturò pure la decisione di mettere in cantiere un bambino. Mi fossi trovato in quella situazione anche solo un anno prima me la sarei fatta addosso e avrei negato ogni possibilità: invece nel febbraio 1991 tutto ciò mi sembrava normale. Ero stato anche in uno studio medico per verificare la nostra corrispondenza genetica. Al di là dell’impacciata produzione solitaria di sperma in quello stanzino squallido dotato anche di qualche rivista semi-porno, quando mi furono consegnati i risultati, oltre a dirmi che era tutto in regola, il medico mi aggiunse che aveva riscontrato che i miei spermatozoi erano “un po’ lenti”, profetizzando quindi una sensibile difficoltà a fecondare. Ci rimasi malissimo, quella sera tornai a casa e feci vedere i risultati a Bibi. Ero affranto, ricordo che eravamo entrambi in piedi all’ingresso del bagno. Lei non se ne fece alcun cruccio, sorrise, mi spinse al muro, mi baciò e mi disse: “Non devi preoccuparti, Ale. Ci penso io a catturarli i tuoi “vermetti”…!”.

Bibi verso la Cavallazza

Decidemmo così che avrebbe interrotto l’assunzione della pillola. Come andò? Qualche giorno dopo lei era nel periodo più propizio e ci piacque l’idea di andare al rifugio Porta per fare il giorno dopo qualcosa. Era brutto tempo, eravamo i soli ospiti, ci fu l’ottima cena del custode Nicola Antonioli e un fantastico dopocena. Fuori la pioggia batteva forte. In seguito le mestruazioni non arrivarono e, dai facili calcoli che potemmo fare, apparve chiaro che la fecondazione era avvenuta proprio tra le mura di quell’antico e glorioso rifugio. Buona la prima… e meno male che erano lenti!!

Dopo la seconda metà di marzo, ormai acclarata l’ufficialità della gravidanza, ci prendemmo una settimana di vacanza e andammo in Val Canali, dall’amico Gianpaolo Depaoli, guida alpina e maestro di sci ma anche anima della Ritonda, un fantastico ristorante-albergo al Cant del Gal.

Altopiano delle Pale di San Martino e rifugio Rosetta. Foto: Alessandro Agh Ghezzer.

Nelle varie sere passate lì, l’amico era solito passare al nostro tavolo alla fine della cena. Io lo avevo conosciuto in occasione della partenza della spedizione delle Aquile di San Martino per il Dhaulagiri del 1976. Avevo ceduto a loro il permesso nepalese di scalata primaverile a me intestato. Ci raccontò che la Ritonda era stata costruita su progetto di Rolando Toffol, geniale senza neppure essere né geometra né architetto, e inaugurata il 1° luglio 1965 e che il nome deriva dalla sporgenza semicircolare che nei masi circonda el larin, il focolare, quello spazio intimo e caloroso delle baite del Bellunese e dintorni. 

Fossero stati gli gnocchi di ricotta alle noci, ma anche la tosela con polenta e porcini alla griglia, il minestrone d’orzo alla primierotta, i salmerini alpini alle erbe ed aromi di montagna; come pure le pape, condite con ricotta affumicata e burro di malga, o gli strangolapreti alla primierotta, o il filetto di maiale in salsa di mele e lo smorum, noi gli facevamo comunque i complimenti ogni sera e lui regolarmente si schermiva dicendo che era merito suo solo in parte:

Pian! I tre cantoni dela Ritonda la li cen su la Daria, sol uno el cene su mi”. La Daria era la moglie, i due si punzecchiavano abbastanza, ma concludevano sempre con la frase “Ghe n’avon pasade talmente tante…”.
In verità Gianpaolo era cuoco diplomato già dal 1959. Dallo chef Gino Ricci impara di far sempre tesoro dei collaboratori, senza dei quali nessuno sarà mai davvero bravo. E Gianpaolo ha sempre applicato questo insegnamento, con le sorelle, con la moglie e con gli altri collaboratori.

In una momentanea schiarita, dal Passo di Pradidali Alto uno sguardo sul Vallon Pradidali. Da sinistra, Sass Maor, Cima della Madonna, Cima di Ball, Cima Immink e Pala di San Martino.

Dopo aver gestito negli anni 1963 e 1964 il rifugio Galassi all’Antelao, il fratello Camillo lo convinse a costruire la Ritonda. Nel 1965 ottenne il brevetto di guida alpina. Nel 1969 venne poi l’occasione dell’acquisto dell’albergo Letizia di San Martino. Gianpaolo in tasca non aveva una lira: “Rivee lustro a fin staion”. Allora la mamma diresse le questioni economiche tra i fratelli dicendo: “Cavon le brusche” (facciamo a sorte). Prese dei pezzetti di legno, ci scrisse i nomi dei fratelli e si decise che il primo nome “cavà” si sarebbe tenuto la Ritonda e avrebbe compensato economicamente gli altri. Fu estratto Gianpaolo.
Sposò Daria nell’aprile 1970 e nacquero tre figli, Marzia, Karin e Davide. Tutti e tre, anche Davide che poi diventerà guida alpina, aiuteranno nella gestione della Ritonda. Ma Gianpaolo rivelava sempre di più la sua indole di organizzatore di eventi: e quando il fratello Camillo, cui era molto affezionato, apritore di parecchie vie nelle Pale di San Martino e anche lui membro della spedizione al Dhaulagiri delle Aquile di San Martino, morì il 9 febbraio 1986 mentre lavorava ad un disgaggio roccioso, Gianpaolo pensò subito al modo migliore per ricordarlo. S’inventò il Memorial Camillo Depaoli, un raduno scialpinistico che si corre ancora oggi ogni anno, con la traversata dell’altipiano della Rosetta da San Martino alla Val Canali sci ai piedi, dopo la risalita con gli impianti Col Verde-Rosetta.

Salendo al Piccolo Colbricon

Anche il premio “Velo d’Oro” fu una sua idea: un riconoscimento che era assegnato ogni due anni ad alpinisti e figure che, attraverso il loro esempio, imprese e opere, erano reputati di aver onorato Primiero. Tra loro, ci sono stati Renzo Debertolis, Lallo Gadenz, Riccardo Schweizer, Celina Seghi, Piera Graffer, Lino Zecchini, Gino Callin e Sergio Martini. 

Con Camillo avevano cominciato a scalare da piccoli: “el Quinto Scalet, el Micel Gadenz, el Aldo Bettega, el Lallo Gadenz” gli insegnarono “a far i gropi e piantar i ciodi”. Scalavano descolzi come i ladri, e se uno dei due s’impauriva in discesa l’altro lo incitava “Ti se ‘ndat su, ti vegni anca do”. Quando Gianpaolo aveva 16 anni e Camillo 17, co na corda de imprest del Micel Zagonel, salirono lo Spigolo del Velo alla Cima della Madonna.

Hortus

Ci raccontò anche che il 5 settembre 1974, con Camillo e con el Ghigno (Renzo Timillero), salì la difficile parete nord del Sasso d’Ortiga per un itinerario che poi fu chiamato la Via delle Guide. Lui non voleva essere della partita, si sentiva fuori allenamento: “Ghe ho dit che averie dovest prima rampegar en cic par alenarme, ma ale zinque vien el Camillo a me tor e son ndati su. A far el strapiombo, avee le man che non me cenea pì, ghe n’era na clessidra, ho mes do cordini intorno, me ho sentà do e ghe ho dit a quei altri doi: “No ho pì voia, tiréme su’”. Camillo fu lapidario: “No sta far el mona”.

Il 21 marzo 1991 facemmo la breve gita di salire dal Passo Rolle alla vetta della Cavallazza per la cresta ovest; il 22 salimmo alla vetta del Giuribrutto da sud.

Foto moderna sul Pilier de Gauche (richiodato) a Saint-Wilhem-le_Désert

Il giorno dopo, approfittando di un passaggio in macchina, andammo a San Martino e da lì salimmo con la funivia del Col Verde; poi scendemmo al rifugio Rosetta e da lì procedemmo in piano e soltanto nell’ultimo tratto in ripida salita fino al Passo Pradidali Alto 2711 m: d’inverno l’Altopiano delle Pale è un luogo magico, uno spazio bianco che sembra non abbia confini. Eravamo assai vicini alla Pala di San Martino e alla Fradusta, che avevamo sempre ammirato durante il tragitto, ma che ora stavano immergendosi in un sempre più fitto sipario di neve riportata dal vento, mentre il cielo s’era ingrigito. Raggiungemmo il passo solo perché ero riuscito a individuarlo prima di quel repentino peggioramento della visibilità. Confesso che non conoscevo bene la zona, in realtà non ero mai stato al rifugio Pradidali, neppure d’estate. In concomitanza con una provvisoria schiarita, presi una decisione errata, quella di scendere nel Vallon Pradidali, azzardando un po’ sulla questione del peggioramento del tempo. Col senno di poi sarebbe stato molto meglio tornare al Rosetta. Mi dicevo: “Al massimo ci fermiamo a dormire nel locale invernale del rifugio Pradidali”. Scendemmo quindi nel vallone in un’atmosfera ovattata, la neve era discreta anche perché ormai stava nevicando. Superato un ultimo canalino abbastanza ripido ci trovammo sotto le pareti orientali della Pala di San Martino e della Cima Immink. A quella quota la visibilità era un po’ migliore e anche c’era meno vento.

Gorges de la Jonte, le Vase de Sèvre

Con lunga diagonale raggiungemmo il rifugio Pradidali, quasi spettrale nella sua solitudine. Qui dovevamo prendere la decisione finale, quella di scendere ancora o fermarci: ma non perdemmo neppure tempo a visitare il locale invernale, dato che in effetti non avevamo nulla per fare una cena decente. Non avendo la minima idea di dove si dovesse passare con percorso innevato, cominciammo a scendere seguendo delle segnalazioni, accorgendoci ben presto che il terreno non era affatto sciistico. La pessima visibilità rendeva tutto più complicato, ci togliemmo gli sci e approfittammo di qualche cavo metallico che fortunatamente, essendo questo versante esposto a sud, emergeva. Non avevamo né piccozze né ramponi, ero quindi un po’ preoccupato (e come non bastasse pensavo alla sua gravidanza…): ma se la cavò egregiamente senza neppure una protesta. Quando arrivammo finalmente al fondo del salto della Portela 1627 m e riconoscemmo quindi un terreno di nuovo sciistico (anche se senza neve…) Bibi fece una ripresa video mentre ci avviavamo nel bosco verso il Cant del Gal e la Ritonda con gli sci sugli zaini. Bionica, ebbe pure il coraggio di chiedermi se ero stanco…

Gorges de la Jonte, ai piedi della torre sommitale del Vase de Sèvre

Il giorno dopo andammo al Piccolo Colbricon, ma giunta alla Malga Colbricon Bibi preferì fermarsi: evidentemente risentiva del giorno prima. Io continuai fino alla vetta e poi riscesi da lei velocemente.

Insomma, fu un soggiorno meraviglioso, e ho ancora un aneddoto da raccontare: riguarda il modo con cui Gianpaolo pronunciava la parola inglese memorial. Questa correttamente si pronuncia mimòoriël, quindi con l’accento sulla doppia “o”, lui invece ometteva la “i” e accentava la “é” all’italiana. Non so perché la cosa ci facesse ridere così tanto. Ancora oggi ritiriamo fuori questa storia lei ed io: diciamo mémorial, e giù a ridere come idioti.

Quando fu l’ora dei saluti gli facemmo ancora i complimenti: lo ringraziammo e facemmo in modo che ancora una volta ci ripetesse: “Quela volta de le brusche, la e ‘ndata ben...”.

Esperimenti di riprese video: la traversata Rosetta-Pradidali per il Passo Pradidali Alto.

Foto moderna di arrampicata su Dolce Luna (Paretone di Arnad). Foto: da Flickr.

Ci prendemmo anche il lungo ponte tra il 24 aprile e il 4 maggio. La numerosa compagnia, oltre a Bibi, comprendeva Ugo Manera e Marisol Montaldo, Franco e Marvi Ribetti, Marco Milani e la fidanzata Luisa Raimondi. Destinazione Francia, ma oltre la Provenza, dove almeno noi non eravamo mai stati. Dopo una puntatina a Les Civadières, nei pressi di Aureille, approdammo a Thaurac (grande mia soddisfazione nel fare Sans Nom, 6c+, a vista): talmente bella falesia da starci due giorni. Il 29 raggiungemmo l’Hortus dove ci scatenammo su vie di tre lunghezze ciascuna (Arabesque, La Cybele e L’enclume), una più bella dell’altra. Il 30 eravamo a Saint-Guilhem-le-Désert: con Marco e Franco salii il Pilier de Gauche, 180 m, 5c ma senza spit (una via aperta da D. Marçais e Y. Gilles). Il 1° maggio ancora falesia a Saint-Bauzille-de-Montmel (scarse soddisfazioni dai 6c e 6c+ provati). Meglio il 2 maggio alle Gorges de la Jonte: con Marco salii a vista la Sans Nom, 130 m, 6b e la prima lunghezza di 6c della Quatre Dalles (settore Cathédrale). Rimasti soli Bibi ed io, il 3 maggio visitammo la falesia di Orgon, settori Notre-Dame e des Grottes: qui grande soddisfazione per la Internul, 6c+, a vista! Sulla via del ritorno e dopo tanto calcare, il 4 maggio assaggiammo la riolite rossiccia della zona dell’Estérel: ci fermammo infatti a Roussiveau, dove salimmo nove monotiri. Alla fine furono dieci giorni intensi, sia per l’attività frenetica di arrampicata sia per quella ancor più agitata delle cene nelle varie ferme… Ne ricordo una in particolare, dove il menu era esclusivamente a base di oca. Ci furono portati almeno dieci piatti diversi… Roba da vergognarsi, oggi come oggi.

Continuano gli esperimenti di riprese video: qui il giro in Francia di aprile-maggio 1991, con un piacevole incontro con Lucien Bérardini.

In arrampicata su Joe Falchetto, Bric Pianarella (Finale Ligure)

Il 12 maggio 1991 andammo in quattro alla Rocca di Sufreid, ben visibile da Pont-St-Martin, lassù in alto. L’accesso fu abbastanza lungo, ma non complicato. All’attacco della parete sud-ovest ci dividemmo in due cordate. Io ero con Marco Milani, mentre il suo grande amico Matteo Pellegrini con Silvia Colombo attaccò sulla sinistra un percorso apparentemente più facile. Ma dopo un paio di tiri, su uno strapiombetto a Matteo rimase in mano un pezzo che non riuscì a trattenere e che cadde anche addosso alla povera Silvia che lo assicurava… A quel punto riposero ogni velleità e confluirono nella nostra linea, venendoci dietro.

Oggi non saprei dire come l’itinerario che ne risultò si rapporti con la via Meridiana (aperta comunque dopo) e soprattutto con la via attrezzata a spit, la via Daniela. La guida di Gino Buscaini del Monte Rosa riporta anche due itinerari esposti a sud-est: Via dei tre salti (Pietro Crivellaro, Andrea Giorda, Velleda Mauro e Alessandro Zuccon, 25 novembre 1984, 300 m, fino al V+) e Via da manigliare (più a destra, Pietro Crivellaro, Andrea Giorda e Dietmar Polaczek, 1984).

Mi limito a riportare quanto evinco dal foglietto con lo schizzo che producemmo a fine giornata. Anzitutto la via si svolge sulla verticale di un grande ripetitore. L’attacco è in un bellissimo ed evidente diedro fessurato di 55 m (che da solo basterebbe a distinguere la via). Lo salimmo con due lunghezze (VII- e VII+). La terza lunghezza è molto più lunga (50 m): sale a un tettino (IV e V+) che si evita a destra (VII-), poi ancora V e V- fino a una nicchia. Nella quarta lunghezza, dopo un tratto più facile, si va un po’ a sinistra (V+) per raggiungere una bellissima fessurina obliqua a destra che si sale interamente (V+) fino al terrazzino della S4. Quindi diedrino di VII, poi ancora V+ e VI+ per raggiungere uno spuntone. Non ci fermammo e raggiungemmo la sommità (circa 1150 m) con altro V+ (in totale la quinta lunghezza è di 50 m). Matteo mi ricorda che nel diedrino di VII (leggermente strapiombante) avevo “magicamente” infisso un chiodo in alto sulla destra, in posizione “ardita” (con un bel po’ di sbuffi e sacramenti, in realtà) che poi lui ha fatto fatica anche solo a moschettonare.

Discesa sulla via con quattro corde doppie. Il destino delle vie trad è spesso quello di essere dimenticate. In questo caso, un vero peccato.
Il 19 maggio 1991 fu la volta, con Paolo e Giovanni Rosti, di Dolce Luna, una bella via ad Arnad; come pure segnalo un altro itinerario davvero notevole al Bric Pianarella (Finale Ligure), la via Joe Falchetto, che feci ancora con i fratelli Rosti e con Luca Crepaldi il 9 giugno.

La decisione di diventare padre ultima modifica: 2023-11-25T05:40:00+01:00 da GognaBlog

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4 pensieri su “La decisione di diventare padre”

  1. ‐‐‐‐‐‐‐‐‐  TEMPI  POLITICAMENTE  CORRETTI  ‐‐‐‐‐‐‐‐‐
    Solo ora mi sono accorto di un grave errore sessista nel titolo dell’articolo.
    ERRATA:  La decisione di diventare padre.
    CORRIGE:  La decisione di diventare genitore 1 (o 2?).
     
    Per questa volta perdono l’autore, nato in un’epoca in cui esistevano solo due sessi, e non diciassette come ai nostri tempi. Ma che non succeda piú! Altrimenti correrà il rischio di essere internato in un campo di rieducazione transfemminista, con conseguente chiusura del GognaBlog.
     
    Cosí è, se vi pare. E soprattutto se non vi pare.

  2. Un bel racconto disordinato, come la vita. 
    L’ ho appena letto mentre addormentavo la mia piccola sulla pancia. Lisa è ammalata, si era appena addormentata quando mi è sfuggito il telefono di mano (con l’ altra mano dovevo tenerle il dito) e le è caduto in testa. 
    Dopo qualche pianto giustamente indignato ora dorme. Grande Alessandro! Mi sembra che ci hai saputo fare quanto a godertela, non è da tutti. 
    Franz

  3. Ho sempre ammirato in Alessandro la capacità di raccontare, deviando su storie parallele solo apparentemente slegate dall’argomento principale, senza annoiare chi legge.
    In effetti, in una storia vissuta, intervengono fatti, sensazioni, pensieri e persone,  che determinano in chi li ha vissuti, un “effetto finale” che, oltre a rappresentare il vero succo della storia, ci fa appassionare o meno, alla sua lettura. Divagare, con pure sintesi, restando sul pezzo è prerogativa di chi ha la capacità di farlo e qualcosa da dire davvero.

  4. Quanto ci siamo divertiti nella spensierata ricerca di falesie a noi sconosciute nel sud-ovest della Francia! Ricordo che mi incazzavo solo di prima mattina perché io avrei iniziato a scalare alle 8 mentre tutti gli altri a quell’ora erano più attratti dai croissants alla francese e mi mandavano allegramente a stendere.

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