Intervista a Stefano Morcelli

Chi vive e frequenta le aree montane deve essere cosciente dei cambiamenti che la crisi climatica e le cattive abitudini stanno causando ai territori. Ne abbiamo parlato con Stefano Morcelli, coordinatore del GdL Giovani e del Tavolo 2 per il 101esimo Congresso del Club Alpino Italiano (Roma, 25-26 novembre 2023).

Intervista a Stefano Morcelli
(in montagna tra limiti da riconoscere e responsabilità da assumere)
a cura della Redazione CAI
(pubblicato su loscarpone.cai.it il 2 novembre 2023

Iniziare a collocarci in un ordine mentale differente dalla consuetudine, non limitandosi al racconto di ciò che è stato fatto sino ad oggi, non ritenendo immutabili abitudini e comportamenti che si basano su concetti anche moralmente elevati, ma non in sintonia con i tempi odierni e con le sensibilità delle nuove generazioni. 

Stefano Morcelli a Punta Vioz (Gruppo Ortles Cevedale) © CAI

Questi concetti, applicati alla frequentazione dei territori montani, saranno tra i temi al centro del 101esimo Congresso nazionale del Club alpino italiano “La montagna nell’era del cambiamento climatico”, in programma a Roma sabato 25 e domenica 26 novembre. Se, a causa dell’aumento delle temperature, sta cambiando la montagna, deve cambiare anche il comportamento di chi la montagna la frequenta.
Di tutto questo abbiamo parlato con Stefano Morcelli, valtellinese di 31 anni, che coordina, insieme a Brigitta Faverio, il Gruppo Giovani del Club alpino italiano. Nell’ambito del Congresso, Morcelli è coordinatore CAI, insieme a Gian Carlo Nardi, del Tavolo 2, intitolato “Il CAI, la frequentazione responsabile della Montagna, i nuovi comportamenti consapevoli”, nel quale si discuterà proprio di questi argomenti.

Stefano Morcelli sul Sasso Remenno (Valmasino) © CAI

Quali sono i comportamenti e le consuetudini che, in montagna, non sono più in sintonia con la necessità di attenzione all’ambiente dei tempi attuali?
«I nostri comportamenti hanno un impatto sui territori montani, di questo dobbiamo essere assolutamente consapevoli. Il limite che ci dobbiamo porre deve dunque essere legato sicuramente alle nostre attività in montagna, ma anche a come ci comportiamo nella nostra vita quotidiana, quando non frequentiamo i territori montani. Per quanto riguarda l’andare in montagna, sicuramente è necessario prendere quanto più possibile i mezzi pubblici per raggiungere il punto di partenza dell’escursione. Quando questo non è possibile, dobbiamo cercare di condividere le auto private. Questo vale sia quando parliamo di iniziative delle Sezioni CAI che di singoli frequentatori. Nell’organizzazione delle escursioni è poi consigliabile limitare il numero di partecipanti nel caso in cui si vada in un territorio fragile, per ridurre l’impatto antropico. Portare decine, se non centinaia, di persone in luoghi rinomati ogni fine settimana, contribuisce a creare una calca di persone non sostenibile per questi luoghi. Una declinazione la possiamo dare anche ad altre attività diverse dall’escursionismo: le salite scialpinistiche in certi casi possono entrare in territori dove vivono determinate specie di animali, magari durante il letargo, che sarebbero disturbate da un alto numero di persone. In queste zone sarebbe dunque opportuno andare in certi periodi dell’anno in un numero ristretto di persone, oppure evitarli completamente come segnalato dalle autorità locali».

Sulla frequentazione dei rifugi, invece, cosa si può dire? 
«Qui dobbiamo parlare della crisi relativa alla disponibilità di risorse, a partire dall’acqua e dall’energia. L’utilizzo dell’acqua che facciamo in montagna può essere molto dispendioso in alcuni momenti e in alcuni contesti, in particolare nei rifugi, molti dei quali ne soffrono la carenza, in particolare quelli situati alle quote più alte e quelli ubicati in posizioni dove la morfologia concede poco approvvigionamento. I nostri comportamenti e le nostre consuetudini devono tenere conto di come l’acqua nei rifugi non sia sempre scontata, certa e garantita come quella che esce dal rubinetto di casa. Dobbiamo accettare questo fatto e limitarne l’utilizzo, dunque, penso in particolare ai servizi igienici, per i quali può esserci come soluzione la tecnologia a secco. Anche i rifugisti, e non solo i frequentatori, dovrebbero fare attenzione nella messa a disposizione delle risorse acqua ed elettricità, ad esempio per ricaricare le e-bike dove la corrente è prodotta con generatori a combustibili. C’è poi un ultimo punto, sicuramente divisivo, ma che personalmente mi sta molto a cuore».

Il Rifugio Migliorero © Daniela Scerri.

Quale?
«Il consumo della carne. Sappiamo che gli allevamenti intensivi hanno un impatto grave nella produzione di emissioni inquinanti, quindi un ragionamento sulla nostra dieta alimentare è importante a livello del singolo, ma, a mio parere, è importante anche nell’ottica del rifugio di proprietà del CAI. In una struttura dove cinque mesi all’anno viene servita carne a pranzo e a cena migliaia di volte crea, moltiplicato per i nostri 370 rifugi, un grosso impatto ambientale. È chiaro che un rifugio dove si cucina la selvaggina cacciata legalmente non va ad alimentare la produzione intensiva e le conseguenti emissioni, ma quelli che servono insaccati come antipasto, poi magari cotolette e spezzatini vari, al contrario, un impatto lo creano, e un ragionamento andrebbe fatto per lanciare un messaggio di maggiore attenzione sociale».

Quali sono i principali limiti alla nostra libertà di frequentare i territori montani in questo momento storico?
«Come accennato sopra, i principali limiti sono legati sia alla tipologia dei territori che frequentiamo, con la tutela della flora, della fauna, anche nei termini di coesistenza con le altre specie e dell’ecosistema in generale, ma sono anche legati alla determinata attività che pratichiamo. Il parapendio, ma anche l’arrampicata su roccia o su ghiaccio, sono attività che possono svolgersi in luoghi con restrizioni per la tutela di determinati animali o piante. Quindi dobbiamo accettare il limite di non frequentare determinati luoghi in certi periodi, perché, ad esempio, c’è la nidificazione degli uccelli. Stesso discorso vale per lo scialpinismo, di cui ho già parlato, ma anche la frequentazione dei sentieri con le biciclette, quest’ultima una pratica molto sostenuta anche dalle amministrazioni pubbliche negli ultimi anni per le opportunità legate al cicloturismo. In questo caso il limite è legato al sapersi dare delle regole, che riguardano sia i frequentatori che le amministrazioni: ad esempio evitando un utilizzo promiscuo dei sentieri più frequentati, impervi e stretti, dedicando la fruibilità alle due ruote solo dove il passaggio non è di ostacolo a chi passa in altro modo; inoltre in fase di progettazione si dovrebbe impedire l’allargamento di certi sentieri escursionistici, anche storici, per favorire il passaggio delle biciclette».

Stefano Morcelli sul Monte Gjeravica © CAI

Sulla percezione della propria preparazione che cosa sta cambiando? 
«L’accettazione del limite dato dalla propria preparazione personale e dal proprio stato psicologico deve essere legato alla consapevolezza che la crisi climatica sta modificando la montagna, aumentandone, spesso, i pericoli e il rischio di incidenti. Abbiamo ancora tutti negli occhi quanto accaduto nel 2022 sulla Marmolada, ma penso anche allo scioglimento del permafrost e a cosa ha comportato nel 2017 sul versante nord del Pizzo Cengalo, aspetto di cui bisogna tenere conto nella nostra predisposizione mentale ad affrontare le alte quote in certi periodi dell’anno, come sempre più frequentemente sta accadendo, ad esempio al Couloir Goûter per la via normale francese al Monte Bianco o lungo alcuni itinerari dolomitici, dove le frane stanno aumentando. Rispetto al passato, per frequentare le alte quote è ora necessario, in termini generali, svegliarsi ancora prima, sia in primavera che d’estate per via dell’aumento anticipato della temperatura nell’arco della giornata rispetto al passato».

Quali sono i valori prioritari della montagna da tenere a mente mentre la si frequenta? 
«Io penso che il valore prioritario possa essere la consapevolezza delle proprie abilità e delle proprie conoscenze, che la frequentazione della montagna insegna perché ti porta a viverla per passi. Poi il valore del limite, ovvero saper riconoscere tutte le criticità di cui ho parlato sopra. La maggior parte di chi frequenta i territori montani riesce a trovarci quel qualcosa in più che viene da dentro, grazie alla natura nella quale ci si immerge e alle difficoltà che vengono piano piano superate. Un altro valore secondo me importante è quello della cura; un aforisma che ho letto da ragazzo in qualche libro recitava: “quel che si ama non si possiede, lo si custodisce”. Avere cura di quello che amiamo e quindi custodiamo è il passo fondamentale per tutelare il territorio in cui viviamo e che frequentiamo. Dobbiamo poi essere consapevoli del fatto che i territori montani sono frequentabili in quanto vissuti e abitati. Una montagna allo stato selvaggio sarebbe infatti molto difficile da frequentare. I frequentatori devono quindi cercare di supportare chi vive in montagna, attraverso comportamenti vari: contribuire al sostegno economico dei residenti, ad esempio, facendo acquisti nei paesi e, magari, pernottandoci. Non una frequentazione mordi e fuggi, quindi, ma una frequentazione che lascia qualcosa al territorio e che magari si spalma nell’arco dell’intera settimana e dell’intero anno. Una frequentazione, dunque, che sia sostenibile sia dal punto di vista ambientale che da quello economico».

Escursionisti verso Castelmezzano (PZ) © CAI

Quali invece le minacce da contenere, nell’ottica di una montagna che sta cambiando?
«Non dobbiamo essere persone, tra virgolette, esuberanti, che bypassano gli step e credono che nella montagna possa esistere una filosofia no-limits, ma, al contrario, persone che si approcciano un po’ per volta, con gradualità e umiltà, alle difficoltà e alle sfide che ci poniamo in questo contesto grazie ad una natura che ci mette tutto questo a disposizione. Dobbiamo contrastare l’idea dell’apparenza e della conquista della montagna per apprezzare maggiormente il valore introspettivo del raggiungimento di un obiettivo che ci si è posti attraverso forme più attente di rispetto per l’ambiente, al passo con le necessità attuali».

Quale deve essere il ruolo del CAI in questo processo di responsabilizzazione?
«Senza bisogno di supponenza, penso che il CAI deve riuscire a darsi una caratteristica di autorevolezza, sia nei confronti dei soci, ma anche nei confronti delle amministrazioni locali, in modo che queste ultime, quando decidono di fare qualcosa che può avere un impatto sul territorio amministrato, di natura ambientale, turistica, economica o sociale, coinvolgano il nostro Sodalizio, le Sezioni e i soci, per avere un’opinione qualificata. Il CAI deve poi saper diventare un comunicatore efficace: sia sulle conseguenze che può avere il nostro andare in montagna, purtroppo infatti molti frequentatori non si pongono questi problemi; sia sui pericoli della frequentazione della montagna, con l’obiettivo di ridurre gli incidenti. Pericoli che, come detto, la crisi climatica sta accrescendo. Il CAI deve poi essere trainante rispetto a certi aspetti di cui ho parlato sopra. Un esempio: se, grazie alle Sezioni CAI che raggiungono il punto di partenza delle escursioni con la mobilità pubblica, la domanda aumenta, le amministrazioni locali saranno maggiormente incentivate a migliorare il servizio di trasporto pubblico».
 

Per approfondire leggi l’articolo “Libertà, limite, responsabilità” sul sito del 101esimo Congresso del CAI.

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Intervista a Stefano Morcelli ultima modifica: 2023-11-24T05:16:00+01:00 da GognaBlog

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14 pensieri su “Intervista a Stefano Morcelli”

  1. 12. Più o meno concordo, tranne che su questa “Quanto inquina questa forma di sport che è spacciata come ecologica?”.
    In che senso? Non confondiamo l’essenza delle cose con il loro utilizzo. Correre è una della attività sportive più ecologiche, seconda al nuoto in mare (che, per chi ci abita vicino, è sostanzialmente a impatto quasi zero).
    A tal proposito, pensa che c’è un’acqua di sorgente che da qui viene esportata in Cina, Stati Uniti, Indonesia ecc. Ecco che anche l’acqua, suo malgrado, diventa “fonte” di folli produzioni di Co2, ma non dipende da lei, che, se non imbottigliata, se ne andrebbe tranquilla verso il mare a impatto zero (l’Adriatico in questo caso).

  2. “E il popolino? Quello deve stare e a casa o nei dintorni? […] E gli spostamenti dei tanti presidenti o consiglieri , politici e rappresentanti di non si sa che a destra e a manca per il mondo, magari per discutere di green, di inquinamento…. Quelli non sporcano ne consumano?”
     
    Quod licet Iovi non licet bovi.
    Detto in romanesco: “Io so’ io e voi nun siete un ca**o”.
     
    Benvenuto nella democrazia in salsa verde del ventunesimo secolo.
     

  3. Tutto vero ciò che dite! 
    Ma allora solo i big dell’ alpinismo potranno usare macchina aerei elicotteri per le loro imprese? E il popolino? Quello deve stare e a casa o nei dintorni?
    Due settimane fa più di 2500000 persone sono volate a New York per la maratona atleti e curiosi al seguito, quanti voli aerei son serviti?
    Quanto inquina questa forma di sport che e spacciata come ecologica?
    E gli spostamenti dei tanti presidenti o consiglieri , politici e rappresentanti di non si sa che a destra e a manca per il mondo, magari per discutere di green, di inquinamento…. Quelli non sporcano ne consumano?
    E tutta un ipocrisia, una farsa che va avanti da sempre e che nessuno, se non a parole, ha il coraggio di invertire con l esempio personale, devono farlo gli altri !
    Rassegnatevi signori, non sarà possibile invertire il sistema fino a che l economia lo permetterà o finché imploderà su se stesso , ma non sarà certo l uomo a rinunciare a qualche comodità.

  4. Non mi stupirei se si dovesse dimettere perché i macellai hanno fatto una sollevazione presso il governo.

  5. A me pare che Marcello abbia fatto un’ottima sintesi: tanto fumo e niente arrosto. In effetti, tutti i “responsabili” intervistati blaterano sempre le stesse identiche cose. Ma la teoria senza pratica rimane teoria… Almeno ‘sto Morcelli ha buttato lì una ventata di nuovo: la carne Ahahahahahah

  6. il CAI, storica e grande organizzazione, redige ogni anno il proprio bilancio:
    n iscritti, n sezioni, n istruttori , n corsi con un catalogo molto vasto. 
    il CAI dovrebbe educare al silenzio, a non lasciare orma, a non ammirare  gli estremi. Sembra paradossale ma non lo è.
    un grande impegno per ridurre l’impatto ambientale è contrastare, vietare l’uso degli elicotteri per turismo (eliski-tute alari-collegamenti privati tra comprensori di sci…) e contrastare nuovi impianti, nuove strade.
    il resto, cioè trovare una comitiva numerosa che cammina in montagna, o le e-mtb che scorazzano, la doccia in rifugio o lo spezzatino, è poca cosa. meglio proporre nei rifugi la possibilità di una branda  a basso prezzo senza obbligo di mezza pensione.

  7. La posizione del Cai è, appunto, ideologica. 
    Quando è che ne esprimerà una pratica?
     
    Ogni intervistato mi pare dica sempre le stesse cose scontate, ma nella pratica cosa fa?
     
    La solfa del cittadino che se la tira da intellettuale e dice al montanaro come deve vivere non funziona.
    Il montanaro se ne fs un baffo e non sarà di certo per 4 bacucchi che rigirano sempre la stessa frittata che cambierà modo di vivere.
     
    Ricordiamoci l’intervista a Salsa di qualche giorno fa sull’interazione inesistente tra sezioni cittadine e valligiani. Ci siamo già dimenticati?

  8. @ Vegetti al 5. “Panem et circenses” a piene mani, ce n’è per tutti e per tutti i gusti, fin oltre lo svenimento, purché nel frattempo io possa “governare”. Finirà male? Finirebbe male anche con un altro. Tanto vale approfittarne, rimarrò nella storia, nel bene e nel male. Perché io sono io e voi non siete un . . . . . !

  9. 5) Vegetti.
    il CAI è un’associazione che cerca sempre di portare la barca pari. Non farà mai una cosa del genere. Non si esporrà mai con azioni o prese di posizione radicali.

  10. Alla fine, il CAI non è responsabile di niente. Non vieta nulla ai soci, in compenso lascia che le Sezioni aprano nuove ferrate, che i suoi rifugisti offrano docce calde e wifi, ecc. ecc. Come sostengo da tanto, il CAI cominci a pensare a se stesso e non alla riduzione del consumo di carne… La forza di imporre alle Sezioni limiti e regole strette le ha: il tuo rifugio ha le docce calde e organizza gli apericena? Perfetto: la Sezione non riceve più un euro dal fondo rifugi… Ma ci vogliono le palle e una convinzione vera, non l’ennesimo bidecalogo che a nessuno interessa…

  11. “L’obiettivo del CAI NON è VIETARE ai soci questo o quello”
     
    D’accordissimo, e d’altronde il CAI non ha nemmeno titolo per vietare qualcosa a qualcuno!
     
    Comunque potrebbe -come ben scrive Cominetti- esortare i suoi soci a non praticare lo sci di pista (e magari evitare di organizzare giornate sezionali sulla neve) o anche esortare i suoi soci a usare la muscolare e a non uscire dalle sterrate (invece di pubblicare articoli su raid per sentieri) e scoraggiare i suoi gestori a organizzare sound system…
     
    Ma non mi pare lo faccia molto.

  12. Da sempre ho una mentalità “caiana” fin nel midollo e quindi mi riconosco in pieno nelle posizioni espresse. Ai giorni nostri, la posizione complessiva sul piano ideologico del CAI è quella qui ben rappresentato.
     
    L’obiettivo del CAI NON è VIETARE ai soci questo o quello, ma far evolvere i soci affinché giungano a prendere proprie scelte consapevoli. In tale contesto si inserisce anche la tematica dello sci di pista. Non penso che si arriverà mai a prese di posizioni ufficiali in cui lo si VIETA ai soci (e anche ai non soci), ma si cercherà di educare gli individui affinché ciascuno arrivi, se del caso, a non praticarlo per scelta personale e consapevole.
     
    Così per esempio è accaduto a me… Per mia scelta consapevole non pratico più lo sci di discesa (di cui ero innamoratissimo, anche se più nella versione “discese fuoripista”). Per ora mi va bene così, ma sono prontissimo a riprendere tale attività se matureranno nuove condizioni più consone al rispetto dell’ambiente, ovvero se il mondo dello sci di pista si riconvertirà verso poche (di numero) e piccole stazioni “leggere”, solo con skilift (pochi) e senza seggiovie, con piste non tirate a lucido, ma lasciate gobbute e aperte solo e se c’è neve naturale…
     
    Tutto ciò comporta la scrematura dei frequentatori dello sci di pista: avremmo infatti poche stazionicine, solo per i veri appassionati dello sci e non per migliaia di aspiranti Briatore del tempo libero (apericena, cubiste, vasca jacuzzi filo neve ecc ecc ecc).
     
    Il CAI deve far ragionare i proprio soci e portarli a capire, uno per uno, che questo approccio (come le ferrate a go-go, le carovane di MTB elettriche, le torme di fruutori usa e getta…) è deleterio per l’ambiente della montagna e , anche, che dobbiamo capire, ogni volta, qual è il nostro limite giornaliero, in funzione dello stato di forma, della motivazione, delle condizioni della montagna… Questa opera qui, sul piano educativo, è la vera finalità strutturale del CAI, specie del suo braccio operativo nella didattica, ovvero il maga insieme delle Scuola CAI (delle diverse discipline): pensare che nel terzo millennio la finalità didattica sia insegnare il nodino e come ci si lega (tutte cose che oggi si imparano attraverso tutorial accessibili su Yoi Tube) o, peggio, “portare” gli allievi a far vie o far gite in sci, è una visone ideologica vecchia di decenni.

  13. Cicloturismo? Se il cai fosse un’associazione responsabile dovrebbe confessare l’errore di aver incoraggiato negli anni l’escursionismo in bicicletta, sia pure un buona fede. Ormai i buoi sono fuggiti dalla stalla e si vedono cose raccapriccianti sui sentieri e le montagne di tutta l’Italia. Non rimane altra soluzione che vietare qualsiasi forma di ciclismo al di fuori delle strade.

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