La fine della storia

Quest’articolo è vecchio di 14 anni. Preghiamo chiunque fosse a conoscenza di altre salite realizzate in questa zona di comunicarcelo.

La fine della storia
(potenziale di prime ascensioni nel sud-est della Groenlandia)
di Mike Libecki
(pubblicato su The American Alpine Journal, 2009)

Ho chiesto a molti dei miei amici e compagni di scalata, e mi sono chiesto: perché? Quando vediamo grandi pareti rocciose inviolate, perché diventiamo ossessionati dall’idea di trovare vie su per le loro pareti ripide e seducenti? Non ho mai sentito, né posso fornire, una risposta adeguata, ma mi sono spesso chiesto cosa avrei fatto se tali muraglie non esistessero. Immaginate se lo Yosemite non fosse stato scolpito dagli strumenti glaciali della mano del destino, o se le pareti dell’isola di Baffin, del Pakistan, della Patagonia, dell’Antartide e dell’Africa, tutte le strutture verticali che amiamo in ogni continente, non fossero mai state create? Non seguo nessuna religione organizzata, ma sono grato a qualunque potere superiore abbia fatto sì che l’eternità trasformasse l’energia in materia, e anche per l’esistenza della realtà verticale.

John Burcham nel 2003 alla ricerca di vie possibili mentre è diretto a nord-ovest nel fiordo South Skjoldungesund. E’ incredibile, ma nessuna di queste montagne, alte dai 1200 ai 2000 metri, è stata mai scalata. Foto: Mike Libecki.

Mentre il numero di esseri umani stravaganti e inclini alla verticale continua a crescere, alcuni di noi perlustrano il pianeta alla ricerca delle ultime pareti inviolate rimaste. E fino ad oggi, sull’isola più grande della Terra, esistono ancora molti di questi capolavori vergini. La Groenlandia orientale ospita una miriade di bellissime montagne con belle cime e grandi pareti: e dopo tre spedizioni in una sezione particolarmente affascinante della costa sud-orientale della Groenlandia, vorrei condividere ciò che ho trovato.

Cime inviolate della Thors Land, a nord di Skjoldungen. Foto: Mike Libecki.

La mia storia d’amore con la Groenlandia è nata per caso, il modo in cui iniziano molte relazioni appassionate. Nel 1998, quando tornai a casa da un viaggio all’isola di Baffin, c’era un messaggio sulla mia segreteria telefonica di qualcuno che non avevo mai incontrato, di nome Dave Briggs. Aveva visto torri di granito che assomigliavano a grandi denti mentre era impegnato in una gita sugli sci attraverso la Groenlandia da est a ovest. Le intatte torri di granito lo avevano sedotto al primo sguardo, come spesso accade, e poiché non aveva mai fatto nulla in prima ascensione mi chiese se mi andava di unirmi a lui.

Mike Libecki sulla sua via del 2008, Nougatocity, salita con Josh Helling. L’estremità nord-occidentale dell’isola di Skjoldungen è visibile al di là del canale Mørkesund. Foto: Josh Helling.

Tre settimane dopo aver ricevuto il suo messaggio, dopo appena il tempo sufficiente per recuperare peso dalle 32 notti trascorse sulla Walker Citadel, sono salito a bordo di un aereo con tutta la mia attrezzatura da parete ma quasi nessuna informazione sulla mia destinazione. Dave ed io abbiamo scalato il Fox Molar nel Fox Jaw Cirque, a nord di Tasiilaq, e nel 2001 sono tornato, in solitaria, per scalare una torre più grande nello stesso circo, il Fox Incisor. Durante quei viaggi ho stretto amicizia con Hans Christian Florian, un medico danese che vive a Tasiilaq. Chiunque abbia fatto una spedizione sulla costa orientale della Groenlandia ha probabilmente incontrato Hans Christian e ha ricevuto la sua gentile ospitalità e supporto (o almeno ne ha sentito parlare). Prima di lasciare la Groenlandia nel 2001, ho chiesto a Hans Christian e ai suoi amici, cacciatori locali e pescatori in giro per la città, se avessero visto altre grandi pareti di granito nei fiordi vicini, sperando che fossero un po’ a conoscenza dei segreti verticali di questa terra.

Dronning Marie Dal, definita nel 1828 “il paradiso” per la sua bellezza e per l’abbondanza di pesce e di foche, oggi è il paradiso degli scalatori in cerca di avventura. L’arrotondata cima a destra è il Peak 1410 m; al centro, quella di destra delle due vette gemelle è il Mount Queen Lilliana (Burcham-Libecki-Sakamoto, 2033). Foto: Mike Libecki.

Uno degli amici di Hans Christian, l’austriaco Erwin Reinthaler, era in visita da lui in quel momento. Alcuni anni prima aveva navigato vicino ai fiordi intorno all’insediamento abbandonato di Skjoldungen, a circa 370 km a sud di Tasiilaq. Erwin ha semplicemente detto: “Ricordo di aver pensato che ciò che vedevo mi ricordava lo Yosemite”. E questo era tutto ciò di cui avevamo bisogno…

Hans Christian mi ha aiutato ad acquisire fotografie aeree militari della costa orientale della Groenlandia, comprese le aree di Skjoldungen e Thors Land. Ho anche ordinato tutte le mappe topografiche disponibili presso il Danish Polar Center. Ho comprato una grande lente d’ingrandimento e ho esaminato le immagini. Proprio come aveva descritto Erwin, i fiordi remoti rivelavano prove di ripide e grandi pareti rocciose. Nelle foto scattate da 9.000 metri potevo vedere cime appuntite come file di punte di freccia, le loro lunghe ombre che si estendevano sul mare. Ho mandato un’e-mail a Hans Christian per vedere se poteva aiutarmi a trovare un peschereccio che mi portasse a Skjoldungen nel 2002.

L’autore durante il suo primo viaggio a Skjoldungen, nel 2002, ai piedi del Viking’s Shield. Foto: Mike Libecki.

Questo è stato il mio primo di tre viaggi in questa zona e, proprio come l’anno prima in Groenlandia, ho deciso di andare da solo. Ho volato a Tasiilaq a luglio. I fiordi sulla costa orientale erano insolitamente pieni di ghiaccio marino, quindi la barca che avevo pianificato di noleggiare era bloccata nei terreni di caccia a nord. Ci sono voluti cinque giorni per trovare qualcun altro disposto a tentare il viaggio ingombro di ghiaccio fino a Skjoldungen, fino a quando cioè ho incontrato John Christensen, che possedeva una robusta barca da pesca lunga otto metri con 20 millimetri in più di fibra di vetro avvolta attorno ad essa per le condizioni artiche. Ha detto che avrebbe assunto uno dei pescatori e cacciatori più esperti della zona, dal vicino villaggio di Kuummiut, per navigare.

Pochi giorni dopo, al ritmo di come fossimo in passeggiata, abbiamo iniziato a ricavare un percorso attraverso forme geometriche di ghiaccio marino, maneggiando lunghi pali e usando la prua per spingere delicatamente da parte i banchi. Il paesaggio era stupendo. Alcuni iceberg avevano le dimensioni di vascelli pirata. Lentamente beccheggiavano su e giù nelle onde, interrompendo il lineare incontro del blu del mare con l’orizzonte ramato. Ad un certo punto, abbiamo seguito un giovane orso polare che nuotava attraverso il labirinto di ghiaccio, alla ricerca di foche. L’orso era a oltre 30 miglia dalla costa.

Questa foto e le seguenti, tutte di Mike Libecki, sono solo un esempio delle cime e delle formazioni rocciose site nella zona dell’isola Skjoldungen, e la maggioranza sono iviolate. Molti altri obiettivi si possono trovare nei fiordi attorno all’isola e nella Thors Land. Qui, guardando a sud-ovest oltre l’Hermods Vig. Tutte queste cime sono sui 1400 metri.

Dopo 48 ore di questo genere di giro nel mare artico, ci siamo diretti a ovest entrando n Sønder (“meridionale”) Skjoldungesund. Skjoldungen è un’isola lunga 48 km circondata da un passaggio marittimo rettangolare; i fiordi nord-orientale e sud-occidentale si collegano tramite il canale Mørkesund all’estremità nord-ovest dell’isola. I ghiacciai serpeggiano tra le cime di troni montuosi alti dai 1200 ai 1800 metri, e come enormi lingue bianche si allungano per toccare e assaggiare l’oceano. Quando siamo entrati nel fiordo, le massicce pareto sembravano i pilastri di un antico regno di divinità vichinghe. Skjoldungen, mi è stato detto da un groenlandese, si traduce in “Scudo per i bambini”.

La potente calotta di destra è lo Joettevuggen 2000 m. La montagna a sinistra, con il suo spigolo affilato, è il Peak 1324 m.

Durante le ricerche nell’area, non sono stato sorpreso di apprendere che molte persone nel corso della storia hanno amato questo paesaggio selvaggio e misterioso. Sono stati recuperati nell’area di Skjoldungen reperti del popolo paleo-eschimese nel periodo Saqqaq, già nel 2500 a.C. Qui sono state scoperte oltre 40 rovine e l’area è stata a lungo un luogo di incontro e scambio per le culture Inuit del nord e del sud della Groenlandia. Nel 1938, circa 150 persone del distretto di Ammassalik (l’area contenente Tasiilaq e altri cinque insediamenti) si trasferirono qui per l’abbondante possibilità di cacca e pesca. All’inizio degli anni ’60, tuttavia, le condizioni di caccia erano diventate così precarie che l’insediamento fu definitivamente abbandonato.

Dal Mørkesund, guardando verso ovest. Nougatocity (Helling-Libecki, 2008) prende una linea subito a sinistra della più evidente striscia nera della Discovery Wall 2000 m (in alto a destra). Le alte cime dello sfondo sono il Pandebrasken 1750 m (a sinistra) e il Drøneren 1980 m (centro-sinistra). Tra queste due montagne ha origine il fiordo sud-orientale dell’isola Skjoldungen che poi corre verso sud-est fino alla sua fine.

Nel 1828, il tenente della marina reale danese Wilhelm A. Graah dichiarò: “Questo è un paradiso”, mentre osservava Dronning Marie Dal (Queen Marie Valley) all’estremità occidentale di Mørkesund. Il fiordo senza ghiaccio alla foce della valle era pieno di salmoni e foche, e dalle alte montagne in lontananza si vedevano nascere i ghiacciai. Mancavano solo i danzatori di tamburi che, secondo le note del diario del luogotenente, si erano radunati in questa valle nelle estati all’inizio del 1800 per fare musica, commerciare e banchettare.

Il Viking’s Shield 1350 m circa. Giving Birth to Reason (Libecki, 2002) è sul lato destro.

Il 5 agosto 1882, Fridtjof Nansen fu catturato dalla grande bellezza della zona quando si accampò sulle rive di Skjoldungen l’anno prima di intraprendere la prima traversata della Groenlandia. Non solo scrisse molto sulle montagne e sulle valli lussureggianti, ma anche sulle orrende zanzare e sul loro tormento infinito. Harold Wolliam Bill Tilman ha navigato con la sua famosa Mischief a Skjoldungen nel 1965, e lui e Brian Holloway hanno tentato una vetta di 1500 metri riuscendo invece su altre salite, anche se esattamente quali vette rimangono un mistero.

Sono rimasto “travolto” dalla quantità di granito ripido che ho visto in ogni direzione. In quel viaggio, nel 2002, ho posizionato il campo base a Dronning Marie Dal, la valle paradisiaca di Graah. Ho esplorato diverse valli a piedi e poi ho scalato una bellissima via su quello che ho chiamato lo Scudo del Vichingo (The American Alpine Journal, 2003, pagg. 20–29).

La parete esposta a nord-ovest sul lato meridionale della Dronning Maries Dal.L’altezza della parete è sconosciuta, ma le cime vicine raggiungono dai 1700 ai 1980 m.

Nel 2003 sono tornato ed ho esplorato diversi fiordi vicini a Thors Land e i passaggi marittimi di Skjoldungen con mio fratello Andy Libecki, Shinichi Sakamoto e John Burcham. Dopo aver osservato molti fiordi, girando rullini dopo rullini, abbiamo deciso di tornare all’estremità occidentale di Mørkesund; volevo mostrare loro una torre tagliente cui non riuscivo a smettere di pensare. Abbiamo finito per salire una via classica su quello che ho chiamato Mt. Queen Lilliana, in onore di mia figlia (The American Alpine Journal, 2004, pp. 255–257).

Sono tornato in quest’area l’anno scorso con Josh Helling, il mio usuale e più affidabile compagno di cordata. Mentre ci dirigevamo ancora una volta verso sud da Tasiilaq, ho guardato il mare blu scuro, punteggiato di pois di pezzi di ghiaccio marino che sembravano diamanti scintillanti delle dimensioni di massi. Le mie narici assaporavano l’aria artica. Il mio lieve sorriso si è rapidamente trasformato in una risatina sfrenata, ero entusiasta di essere di nuovo tra le braccia della Groenlandia, per la quinta volta.

Guardando la Dronning Maries Dal (Queen Marie’s Valley). Quella di destra delle due cime gemelle è il Mount Queen Lilliana: è stata salita lungo la prominente cresta in primo piano (Way of the Banjo, Burcham-Libecki-Sakamoto, 2003). La grande montagna sul lato meridionale della valle sale fino a circa 1700 m sul livello del mare.

A Skjoldungen, Josh e io abbiamo ispezionato varie pareti con binocoli e cannocchiali da puntamento, cercando sistemi di fessure che portassero alle cime, come intenditori d’arte che studiano sculture magistrali. Le seraccate scivolavano piano per centinaia di metri dalle calotte polari all’oceano. Quando il capitano ci ha fatto sapere che si stava avvicinando alla metà del suo serbatoio di carburante, siamo stati costretti a prendere una decisione. Sfortunatamente, a un esame più attento, il percorso che immaginavamo mostrava sezioni di roccia discutibile. Poi, contemporaneamente, Josh ed io abbiamo individuato un sistema di fessure supersottili su un buon granito su una sezione di parete a forma di clessidra sopra Mørkesund.

Sguardo verso sud-est dal ramo nord-ovest del Balders Fjord. La cima più alta di quest’area è il Peak 1619 m.

Dopo aver sopportato un terribile piteraq (un vento freddo catabatico che si origina sulla calotta glaciale e si abbatte sulla costa orientale) che ha distrutto la nostra tenda del campo base, ci siamo fatti strada sotto la pioggia e abbiamo iniziato a salire. Abbiamo salito 11 tiri in cinque giorni, banchettando con alcuni delle lunghezze inviolate più succulenti che abbiamo mai assaggiato in qualsiasi parte del pianeta. Abbiamo battezzato il risalto Discovery Wall (dal nome della barca che ci aveva portato a Skjoldungen) e abbiamo chiamato la nostra via Nougatocity (610 m, VI 5.11 A3+), dal testo pubblicitario sulle nostre confezioni di caramelle Snickers: “Nougatocity (sostantivo), uno stato di realtà accresciuta ma fugace che ti fa capire quanto sei incredibilmente immotivato normalmente”. In cima abbiamo esplorato lastre di granito piatte e levigate dal ghiacciaio e stagni poco profondi così limpidi che l’acqua era invisibile. Guardando a ovest verso la massiccia calotta glaciale, abbiamo potuto vedere molte torri a punta di freccia, tutte inviolate. Mentre celebravo la mia quinta prima salita in Groenlandia, sapevo che avrei sempre amato questo posto, ma mi sentivo pronto a concentrare le mie energie anche su altre terre remote che possano contenere cime vergini.

Il Tindefjeldet 1260 m guardando verso sud oltre al Sønder Skjoldungesund.

Sono stato benedetto per molti mesi dall’aria rinfrescante della Groenlandia; con i miei occhi ho visto orsi polari, foche e volpi; ho gustato la dolce carne rosa del salmone e ho raccolto bacche fresche e sedano selvatico; sono saltato dal bianco ghiaccio marino ai ghiacciai azzurri come un bambino pieno della libertà della giovinezza; e sono stato onorato di fare amicizia con molte persone nella Groenlandia orientale. Spero che le mie parole e le mie fotografie incoraggeranno altri a visitare Skjoldungen, una terra fantastica uscita dai libri delle principesse e dei draghi di mia figlia, e innamorarsene proprio come ho fatto io.

Sguardo verso sud-ovest nel ramo meridionale del Balders Fjord. Il punto più alto di quest’area è il Peak 1660 m e queste pareti sono più o meno di 1200 m di dislivello.

La logistica
Volo commerciale a Kulusuk, Groenlandia, passando per l’Islanda, quindi elicottero (circa $ 100 a tratta, www.airgreenland.com) o una barca per Tasililaq, situato nel distretto di Ammassalik. Organizzare per una barca per la gita di due giorni a Skjoldungen. Nessun fornitore offre questo viaggio, ma è possibile prendere accordi con i proprietari di barche locali in anticipo o a Tasiilaq; il costo di andata e ritorno sarà probabilmente compreso tra $ 5.000 e $ 10.000.

Il sito del turismo di Ammassalik, http://www.eastgreenland.com/, fornisce molte informazioni utili su trasporti, alloggio e altre risorse per Tasiilaq e gli insediamenti circostanti. Si può comprare cibo in abbondanza a Tasiilaq, ma è meglio aspettarsi di pagare molto di più che a casa.

In tre viaggi a Skjoldungen, da luglio a inizio settembre, ho visto tempo perfetto, come pure più di 10 giorni continui di pioggia, forti nevicate e una forte bufera del vento groenlandese noto come piteraq, con raffiche fino a 160 km/h o più. Non è mai stato molto freddo; durante una tempesta di neve con venti da nord, la temperatura ha raggiunto in breve circa -15°C, ma il giorno successivo è risalita da 2°C a 8°C. Ho avuto più giorni di tempo sereno nella gamma di 20°C. La qualità della roccia varia da eccellente a orribile, problema standard per la maggior parte delle pareti inviolate che ho visto in tutto il mondo.

Altre montagne vicino all’isola di Skjoldungen.

Prendere spray per orsi e almeno un fucile (ultima risorsa) per il campo base nel raro caso di una visita di un orso polare. Gli insetti possono essere ossessivi e implacabili, i peggiori che abbia mai sperimentato. Ho identificato due tipi di zanzara e un moscerino pungente, tutti feroci. Portare le retine per coprire l’intera testa. All’inizio dell’estate c’è la luce del giorno 24 ore su 24, ma il numero delle ore buie aumenta molto rapidamente in agosto e settembre. Portare le lampade frontali.

Le mappe topografiche (1:250.000) possono essere ottenute dal National Survey and Cadastre of Denmark (Kort & Matrikelstyrelsen, www.kms.dk).

Una nota sull’autore
Atleta di Mountain Hardwear, Black Diamond e Clif Bar, Mike Libecki ha esplorato tutti e sette i continenti nella sua continua ricerca di vette inviolate e incontri meravigliosi con la gente della Terra. Quando non è in viaggio, è un papà casalingo a tempo pieno per sua figlia, Lilliana; vivono fuori Salt Lake City con cani, gatti e un maiale bello grasso.

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La fine della storia ultima modifica: 2022-06-22T05:20:00+02:00 da GognaBlog

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23 pensieri su “La fine della storia”

  1. Caro Fabio bertoncelli, è sicuro che il problema dell umanita sia che siamo troppi? Io ho come il sospetto che invece, se un problema c’è, è che quelli che ci sono (che certo, non sono pochi) vogliono troppo. D’altronde, il tuo stesso ragionamento secondo cui siamo troppi è la dimostrazione del fatto che anche tu vuoi tante cose, del fatto che i tuoi desideri sono così tanti oppure sono così esigenti che per il loro (e tuo) soddisfacimento è necessaria la scomparsa di una buona parte del genere umano. Non fraintendermi: non me la sto prendendo con te personalmente, io stesso e chissà quanti altri vivono così,  costantemente attanagliate da desideri di ogni sorta (consci e non), nel ripetitivo e spossante tentativo di soddisfare questi desideri nonostante la presenza di altre persone che, ma guarda un po’, ci pestano i piedi mentre cercano di soddisfare i loro, di desideri. Se il mondo fosse popolato da solo mezzo miliardo di persone le cose non sarebbero affatto diverse, caro, giacche i desideri non cessano mai di crescere, non sono mai realmente soddisfatti, e quindi invece di avere sei miliardi di persone attanagliate da desideri grandi un tot ne avremmo mezzo miliardo attanagliate da desideri grandi dieci volte tanto. Io credo che il problema sia il fatto che ben pochi si fermano a riflettere su cosa accade realmente nella vita di un uomo quando questo non pensa ad altro che a soddisfare i propri desideri, dimenticando così che noi non veniamo al mondo per essere felici, ma piuttosto (e questa è una figata!) che possiamo essere felici anche solo perché siamo al mondo. 

  2.  Potendo economicamente, prenderei un’areo ed andrei al fresco della  Groenlandia o , almeno, a sciare in Nuova Zelanda…invece se si pratica skiroll in pianura, dopo 5 minutisi sprizza sudore ed arrivano zanzare.Belle le foto di raid in  Groenlandia con sci e pulka. ..aiutano a sopportare meglio.

  3. La Guida dei Monti d’Italia è stata il piú mirabile esempio di divulgazione colta e rispettosa sia della storia che dei monti, e pure strumento di educazione alpinistica. Tutti ce la invidiavano. Ora però il CAI ha obiettivi ben differenti…
    Che si riprenda la pubblicazione!

  4. il rischio per chi divulga e narra, è di assomigliare a tanti altri e suscitare noia per un già letto e visto nelle foto.  Forse una raccolta di poesie…una serie di dipinti…si  sollevano dalla solita tiritera gergale delle relazioni di impresa.
    Mi conservo di Buzzati”Le montagne di vetro” ma chi cerca trova https://portalebambini.it/poesie-montagna/
     
     

  5. Matteo. Dilettanti con un altro reddito o signori che vivono di rendita possono più facilmente resistere alle pressioni esterne del mercato editoriale/media e trovare il famoso “equilibrio”, che è un po’ come l’Araba fenice. Più difficile resistere alle pressioni interne dell’io narrante. Ho avuto modo di osservare avendo conosciuto persone ricche, esentate dal bisogno, che le pressioni interne alla ricerca del significato attraverso la rappresentazione di se’sono ancora più forti. Nel mio piccolo, pur non essendo ricco, l’ho verificato anch’io quando sono uscito dal lavoro e ho iniziato ad essere mantenuto dall’Inps e dai risparmi di una vita abbastanza morigerata. 

  6. “Suscitare emozioni/visioni (per lo più positive) raccontando imprese di montagna più o meno rilevanti ottenendo gratificazione personale da un lato e magari pagando le bollette dall’altro non è una cosa così disdicevole.”
    No, non è disdicevole di per sè, come non è disdicevole costruire motori a combustione interna.
    Però se sei un costruttore di motori e il tuo scopo è di venderne sempre di più e operi con tutti i mezzi per costruirne e venderne sempre di più, beh, allora un po’ disdicevole lo diventa!
     
    Diventa difficile capire dove è il limite e questo è il problema.
    A ogni buon conto. non credo che sia l’esploratore il problema, come non credo che sia chi apre le vie a creare l’affollamento in montagna…in effetti si vedono montagne sempre più affollate, ma vie classiche (e cime) sempre meno, tranne quelle 2 o 3 che fanno tendenza, il che denota che il motivo viene da qualche altra parte, non dal desiderio di avventura o dall’amore per la montagna.

  7. caminetti… come ti capisco. per noi di un mondo precedente oggi i sogni analogici sono in incredibilmente a buon mercato. ciò che per me, studente sedicenne amante della fotografia, negli anni 80 era un sogno irraggiungibile, oggi è un gioco. spesso esco a fotografare con Canon f1 e Nikon f3 e anch’io ho comprato un karousel…

  8. Penne bianche simili a dune
    si muovono sotto il tramonto 
    e lungo il margine del mondo.
     
    Lontano  a occidente , c è una bianca  montagna. 
    È bella.
    Ha bianchi archi brillanti di luce,che si piegano verso la terra.
    INDIANI PAPAGO
     

  9. Caro Pellegrini, una considerazione molto severa la tua. Suscitare emozioni/visioni (per lo più positive) raccontando imprese di montagna più o meno rilevanti ottenendo gratificazione personale da un lato e magari pagando le bollette dall’altro non è una cosa così disdicevole. Umano, molto umano e onesto, se si evita magari di esagerare troppo con i toni e i colori.  Ma lo stile è una questione di gusti: a qualcuno il barocco piace. Io sarei più indulgente. Anche perché si tratta di “peccatucci” abbastanza diffusi pure tra il popolo dei montagnardi anche non famosi.Basta guardare  i social o le chat delle varie associazioni alpine.  C’è molto di peggio. Ad esempio, almeno a mio giudizio, fare il pieno di spettatori, votanti, cliccatori suscitando odio, risentimento, rancore, distruttivita’….C’è poi una piccola aggiunta. La serie che ho citato “Mad Man” oltre alla scena (non so quanto vera) dell’invenzione geniale del caricatore rotondo e del suo nome, fa un’analisi psicologica molto fine del protagonista, un grande “seduttore”.  I grandi “seduttori” sono contemporaneamente un po’ veri e un po’ falsi. Difficili da afferrare e capire fino in fondo. L’ambivalenza affascina più della linearità. La linearità produce ammirazione ma “attizza” di meno. Si ammira lo sceriffo o la sceriffa, lo si prende a modello irraggiungibile, ma dopo un po’ annoia. È bandito o la bandita che fa perdere la testa, non solo in amore e gli sceneggiatori lo sanno bene, non perché sono astuti ma perché, se sanno fare il loro mestiere, sono degli osservatori non dei giudici. Infatti le serie “politicamente corrette” sono noiosissime. Come nella vita. Torna bello. Domani Marittime. Ciao. 

  10. In luoghi come la Groenlandia ci pensano il costo decisamente alto dell’accesso e il fatto che quelli disposti a sobbarcarsi vere avventure sono molto pochi.
    O meglio, il termine avventura attrae ma l’avventura respinge assai. Era il tema di una mia vecchia proiezione di diapositive fatta proprio con i mitici Kodak Carousel.
    L’anno scorso ne ho visto uno usato (il sav 2020, il modello più bello) in un negozio, in condizioni pari al nuovo. Non ho resistito e l’ho comprato. Costava 100€ e me l’hanno lasciato a 90. Quando era in voga costava 1 milione e mezzo. E comunque lo uso assieme agli altri 3 che avevo con centralina Coyote. Una meraviglia.

  11. ———  WE  FEW,  WE  HAPPY  FEW  ———
    Tacere o divulgare? Pur considerando il mio enorme fastidio nel frequentare itinerari con troppe persone (per intenderci, max una cordata su vie alpinistiche e max venti persone durante un’escursione), mi rendo conto che, senza lo scambio di informazioni, l’evoluzione e il progresso procederebbero molto piú lentamente. E l’umanità forse vivrebbe ancora in capanne di legno.
     
    E quindi? Quindi il problema è il solito: siamo in troppi al mondo. A iniziare dalle questioni fondamentali dell’energia, dell’inquinamento, del degrado ambientale, dell’abbrutimento sociale, della mancanza di spazio, della miseria, della fame e adesso della siccità, per finire – molto piú modestamente – col sovraffollamento in montagna.
     
    Anziché otto miliardi (prossimamente dieci, poi quindici, forse venti, poi interverrà Madre Natura con un’apocalisse), riuscite a immaginare un pianeta con cinquecento milioni di esseri umani? Ai tempi dell’antica Roma, l’Italia era popolata soltanto da quattro milioni di persone.
    E noi? Quante cordate incontreremmo sulla via normale del Monte Bianco?
    We few, we happy few […].”

  12. Comprendo bene il ragionamento di Pasini, che tocca questioni a me care, sull’invisibilità, ma propendo ad essere d’accordo con Mario e, soprattutto, con un commento di Vegetti, altrove, passato inosservato, sempre a proposito di tale questione.
    La storia di adesso è necessariamente figlia della cultura di un tempo passato in cui il “bisogno” di rendere pubblica la narrazione “privata” insita nell’animo umano andava allineandosi pericolosamente con il “bisogno” di narrazione della politica egemone, a tutt’oggi quest’ultima col vento in poppa. E, curiosamente, tra gli allineamenti efficaci più riusciti fra narrazione “privata” e “pubblica” (ovviamente in campo alpinistico) ci sono stati quelli di persone spesso in netta antitesi alla narrazione pubblica stessa. Forse perché, come ricordava l’astuto Pasini, costoro con il loro bisogno privato si sono pagati la bolletta della luce.
    Occorrerebbe però avere anche l’umiltà, di tanto in tanto, di ammettere che i nostri bisogni “privati”, divenuti pubblici, non sempre asservono alla funzione di origine, anzi.
    E quindi no, Gogna: l’omertà non è riduttiva alla salvaguardia dei luoghi remoti, anzi, mai come ora sarebbe strumento utilissimo, l’omertà, poiché la cultura in cui tu sei dentro oggi come 40 anni fa ha come principale obbiettivo quello di estrarre da qualsiasi cosa l’essenza di sé, ovvero il capitale, che ti piaccia o no. E se hai avuto un dubbio sul tacere o parlare, allora come oggi, da quel che mi è dato di vedere, è stato un dubbio di dimensioni microscopiche.
    Che vengano oggi proposti come tema di discussione i problemi di sovraffollamento delle montagne da coloro che le montagne le hanno svelate, ecco, richiama vagamente la filosofia del marchese del Grillo, sempre secondo me, meglio specificare.
    Per concludere, il signor Libecki se avesse taciuto sarebbe stato molto meglio. Ma del resto, una affermazione come: “Mentre il numero di esseri umani stravaganti e inclini alla verticale continua a crescere, alcuni di noi perlustrano il pianeta alla ricerca delle ultime pareti inviolate rimaste” avvalorata da “atleta di Mountain Hardwear, Black Diamond e stacippa (…) ” non può che sottendere una persona in completa sintonia col bisogno “pubblico” (di pagarsi le bollette).

  13.  

    A proposito di questo, racconto questa mia esperienza e riflessione.
              Via della BEFFA

    quando si dice: “beffati… ma appagati”.
     
    Effettivamente fu una giornata particolare, dall’ esito “beffardo”. Con Giuseppe e Luciano (l’ Imbecaro) partimmo ben intenzionati a ripetere la via Ratti sulla appartata parete sud-est della Forbice. Ma …c’è sempre un ma, così per un ingenuo errore di interpretazione, non proseguimmo sulla rampa basale come invece avremmo dovuto fare, erroneamente convinti che la via non andasse su di li ma iniziasse prima. Così la giornata proseguì in tutt’altra direzione, realizzando addirittura una via nuova!
    Il risultato fu orginale e in un bello stile. Potrei azzardare contro corrente per gli standard apuani odierni: non solo non usammo spit, ma non lasciammo neanche uno dei chiodi da noi usati. Ingredienti: ambiente solitario e selvaggio con superlativa vista sul vallone degli Alberghi e sulla parete sud-ovest del monte Contrario; avvicinamento non scontato, prima giù dalla bocchetta del Torrione Figari per ripido e rovinoso canale, poi su per altro canale parallelo per nulla banale dove ad una strozzatura rinvenimmo un vecchio chiodo; linea nuova e non forzata (come piacciono a me) lasciandoci guidare dal concetto marca Bruno Detassis del segui il“facile nel difficile” e ti troverai bene; chiodatura minimale e senza forature. Insomma una miscela di ottimi ingredienti, che poteva solo dare una pietanza per appetiti particolari. Di certo non di quelle minestre che compri belle e pronte al supermercato, di certo non una linea alla ricerca del gesto, di certo una garanzia di sorpresa.
    Una via dal sapore antico, per un alpinismo romantico, lasciata volutamente disattrezzata per due ottime ragioni: un po’ perchè i chiodi che avevamo in dotazione erano pochi, visto che eravamo venuti qui per ripetere, fu gioco forza: piantare, togliere, addrizzare e ripiantare più e più volte; in uno stile disueto come facevano un tempo. L’altro motivo perchè strada facendo, ci solleticò l’idea che sarebbe stato bello e originale lasciare la roccia senza ferraglia. In verità un segno lo lasciammo, un fragile ometto di sassi a indicare il punto di attacco che avevamo scelto, ma di sicuro sarebbe sparito molto presto…ci avrebbe pensato mamma natura a scrollarselo da dosso.
    Il segno vero e proprio però lo tracciammo sulla carta, stilando una dettagliata relazione descrittiva dell’itinerario. Un po’ per dovere di cronaca alpinistica e un po’ perchè siamo tutti deboli uomini soggetti alla vanità dell’ applauso dei posteri. Ma siamo proprio certi che sia indispensabile questo “dovere di cronaca” ? Non è che cancella quel gusto della ricerca e della sorpresa che anche i ripetitori hanno il diritto di assaporare?

  14. Arioti. Condivido. Il business è solo una parte del fenomeno. Centrale il bisogno di una “narrazione” come si dice oggi. In passato si diceva che per noi umani “ciò che non è stato detto non esiste”. E “detto” va inteso in senso lato, rappresentato in qualche modo, prima di tutto a noi stessi. Un bisogno sempre esistito, ma che i social hanno intercettato alla grande e ulteriormente rafforzato. Come fecero prima le foto. Ti ricorderai l’epoca delle diapositive e il geniale nome del proiettore Carousel ( il Carosello della vita) ricostruito recentemente da una bellissima serie televisiva sulla nascita della moderna pubblicita’.

  15. C’è anche un aspetto economico, certo, ma c’è a prescindere un bisogno innato di condividere un’esperienza. Questa condivisione è ragione di vita stessa, una perdita che porta a un guadagno. E’ come riflettersi in uno specchio anche se ciò che si vede potrebbe non piacere.
    Senza condivisione il nostro valore (anche spirituale), alla lunga, può approssimarsi allo zero e la vita stessa può assumere scarso significato.
    Ovviamente non siamo tutti uguali.

  16. “Vivere nascostamente” Un precetto di saggezza epicurea bellissimo, almeno in certe fasi della vita. Però….un po’ selettivo ed elitario. Se non se parlasse tutto il castello crollerebbe, compreso il business diretto e indiretto con il quale molti si sono pagate e si pagano onestamente le bollette. 

  17. 3@Caro Alessandro,  con l’eta’ sono diventato cinico oltre che rompicoglioni e mi rendo conto di avere un metodo di valutazione delle cose  severo, da sempre oscillante tra il lato ludico – sportivo e quello romatico-filosofico dell’andare per monti.  Ho abbandonato un chiodo o due su belle vie nuove di cui non ho lasciato relazione ed ho giocato con gli spit su pareti di montagna, cosi’ oggi che vedo gli errori miei e degli altri  mi pare di vedere (per me soltanto)  un filo ideale ed utopico al quale  tenderei, con tutti i se, i ma ed i dubbi del caso (che condividiamo) 

  18. E’ uno dei paradossi della natura umana. Per tante ragioni è difficile sottrarsi alla condivisione.

  19. Caro Mario, capisco bene quanto hai scritto. Nella mia idea che, come la tua, vorrebbe non dire, non scrivere e tacere, c’è un dubbio. Sei sicuro che la wilderness e i luoghi remoti debbano sopravvivere solo grazie all’omertà? Non ti sembra un po’ riduttivo? Io voglio pensare che prima o poi l’uomo si deciderà a lasciare in pace molte zone del pianeta. Ma vorrei che questo fosse una scelta e non vorrei mai che il loro abbandono si verificasse solo perché non si sa che esistono…

  20. Si va in un posto poco frequentato o sperduto, lo si trova bello e si pubblica ed invita gente ad andare a vedere… Molto umano, ma in un tempo in cui si parla di sovraffollamento lascerei che il lato selvaggio abbia il sopravvento. Niente articoli e niente pubblicita’. niente mode….Conosco alcune vie di decenni fa  in posti molto piu’ abbordabili che sono state salite ed e’ giusto stato lasciato un paio di chiodi  a testimonianza per  chi passasse un giorno di la’…Per me si fa cosi’. 

  21. Oppure:preghiamo altri di tenere tutto per se stessi.No relazioni, No foto, no post.
    Mountain silence

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