Metadiario – 221 – La fine della Val Giumela
Il 7 febbraio 1999 da Pescegallo (Alpi Orobie) salii con gli sci all’Anticima della Punta Centrale del Monte Ponterànica. Ero assieme ad Alberto Sorbini, Paolo Gerli e Roberta Moro: le condizioni della neve erano bruttarelle, dovemmo accontentarci. Però mi fece assai piacere fare qualcosa con amici che non frequentavo da tempo.
Tornai in zona la settimana dopo (14 febbraio), questa volta con il bel tempo e con Bibi, Elena e Petra. Passai la giornata a sciare con loro e mi concessi solo una puntata alla Spalla Sud-ovest del Monte Salmurano, con partenza dal Passo Salmurano.
La settimana bianca è un’istituzione degli ultimi decenni, bellissima perché a giusta distanza dalle ferie estive e dalle follie natalizie ti fa riscoprire il senso dello stare in famiglia con i bambini, in un bel posto, tra le montagne. E, se devo esprimere una preferenza, Saas Fee è proprio adatta a una settimana bianca. Il fatto che la circolazione agli automezzi sia vietata, al di là del piccolo disagio dell’arrivo e della partenza con i bagagli, si rivela presto vincente. Il villaggio rimane comunque turistico e moderno, senza quell’aria di antico che siamo ancora abituati a sognare, ma è bello camminare nella stradina principale e sbirciare nei negozi luminosi o per le viuzze più interne. Al mattino presto ogni tanto capita di udire qualche muggito dalle stalle sotto alle abitazioni, mentre l’oscurità lascia pian piano la conca che s’arrossa in alto sulle creste e sulle pareti di ghiaccio a canne d’organo del Dom e del Täschhorn. Nell’aria si sente il profumo della legna nei camini appena riaccesi.
La giornata scorre scandita da discese su pista, una dietro l’altra senza mai fermarsi né mai ripetersi, con dislivelli importanti. Per i bambini, un’emozione continua, dal trenino sotterraneo alla grotta di ghiaccio con la riproduzione della caduta degli alpinisti in un crepaccio, dalla breve ma aerea passeggiata alla cima della Quota 3460 m, nel vento che ti spazza via, fino alle prime divertenti escursioni fuori pista.
Non è la prima volta che vengo da queste parti. Sull’Allalinhorn avevo portato alcuni clienti bresciani, una delle rare occasioni in cui esercitai il mestiere di guida alpina in senso classico.
Unica variante alle giornate di sci, la salita con Marco Milani al Lagginjoch 3499 m. Il 10 marzo 1999 da Saas Grund salimmo con gli impianti a Chrixbode 2397 m, poi con altro impianto a Hohsaas 3098 m. Scendemmo per una cinquantina di metri sulla pista settentrionale delle due e, giunti al fondo del largo vallone, l’abbandonammo e salimmo al meglio per i pendii in direzione del Lagginjoch, un valico roccioso situato tra il Lagginhorn 4010 m a nord e il Weissmies 4023 m a sud. Da lì si apriva un bellissimo panorama anche sulle valli del versante ossolano, nonché sul ghiacciato Monte Leone in lontananza. Andai anche da solo (11 marzo) sulla vetta del Mittelallalin 3596 m.
Con Franco Ribetti il 30 aprile ci recammo in Valle del Sarca. Entrambi stazionavamo a Trento per via del Festival e ci prendemmo quella giornata per arrampicare: non avevamo con noi grande documentazione, ma alla fine scegliemmo un itinerario bellissimo, la via Nikotina alla Parete Gandhi (sopra a Pietramurata). La via era stata aperta nel 1994 da Massimo Maceri ed Ermanno Filippi, con l’aiuto di Giacomo Damian.
Il 4 giugno con Giovanni Alfieri andai in Canton Ticino per salire il Piz Biela 2863 m. Da Bosco Gurin 1503 m salimmo per un sentierino a nord-ovest attraverso alcuni alpeggi fino ad un baitello 2020 m c. isolato nei pascoli. Per altre balze erbose più ripide, sempre in direzione nord-ovest, ci dirigemmo all’evidente Hendar Furggu 2419 m (o Bocchetta Foglia), l’intaglio tra il Pizzo Stella 2688 m a sud e il Piz Biela a nord. Poco prima del passo salimmo alla base del versante sud-est e salimmo per un canalino di rocce rotte (delicato, pericoloso) fino a raggiungere la cresta sud assai vicino alla vetta. La seguimmo con passi di II fino in cima (vetta sud e vetta nord, più alta).
Il 19 giugno, ancora in occasione di una puntata a Levanto, mi lasciai convincere da Stefano Funck, ottimo speleologo, a seguire lui, Giorgio Bonaccorsi e un altro loro amico in una traversata in grotta a dir loro non impegnativa. Si trattava del collegamento, nella rete delle grotte del Monte Corchia, di Buca di Eolo con la Buca dei Pompieri. Completamente equipaggiato da loro, passai cinque o sei ore fantastiche, in effetti poco impegnative (almeno per chi come me qualche manovra la conosceva già): ricordo solo qualche minuto di puro terrore all’inizio. Si trattava di strisciare in un cunicolo orizzontale per qualche decina di metri e bisognava farlo da soli. Era davvero stretto e alto quanto basta al passaggio strisciante di un uomo sdraiato. Non mi pare di essere particolarmente claustrofobo, ma lì verso metà del tragitto mi sentii veramente male.
Val Giumela, l’assalto finale
(passo dopo passo, impianto dopo impianto… come si cancella ambiente e cultura)
di Luigi Casanova
(pubblicato su Questotrentino il 13 giugno 1998)
Trenta lunghi anni di assalti non sono risultati vani. Finalmente gli amministratori comunali di Pozza di Fassa e gli albergatori possono lanciare alto il loro grido di vittoria e lasciarlo correre lungo i dolci declivi prativi della valle Jumela.
E’ dal 1968 che l’imprenditoria alberghiera e dello sci invernale tenta di penetrare con impianti e piste in questa valle. Trent’anni fa un piano di sviluppo turistico, con lungimiranza incredibile chiamato “Fassa 2000”, prevedeva il potenziamento di tutte le aree sciistiche del comprensorio ladino, o attraverso ristrutturazioni di impianti tecnicamente superati, o con ampliamenti delle aree sciistiche, nuove piste, nuovi collegamenti.
All’inizio degli anni Settanta queste proposte venivano recepite dalle amministrazioni comunali di Fassa e inserite in un piano “organico” approvato con grande enfasi in sede comprensoriale e portato all’attenzione dell’amministrazione provinciale.
Passo dopo passo, tutte le aree sono state potenziate: a Canazei, a Campitello verso Col Rodella, a Vigo di Fassa, a Moena sia al Lusia che al Passo San Pellegrino.
In nessun caso si è andati per il sottile: i terreni sono stati spianati, i boschi divelti, si sono costruite strutture di ristoro in alta quota con edifici ad alto impatto paesaggistico, tutti lavori che hanno visto le questioni ambientali passare come marginali. Un solo obiettivo, una sola imperante ideologia guidava le scelte e la qualità delle realizzazioni, una religione assolutista che non ammetteva contrarietà, approfondimenti: lo sviluppo.
Le proposte di allora, come quelle successive dei primi anni ’80, prevedevano la costruzione di oltre una decina di impianti, di collegare Buffaure con l’area del Ciampac attraverso Sella Brunec, di costruire un’area sciistica nuova verso Val di Crepa con arroccamento da Fontanazzo. Addirittura si pensava di collegare Val San Nicolo, attraverso i Monzoni, con Passo Selle e l’area sciistica di Passo San Pellegrino. Ogni vallecola, ogni versante veniva letto con una sola ottica: piste da sci. Le montagne, allora come oggi, servivano solo a sviluppare turismo, all’industria della neve: ogni altra considerazione o risultava banale, o veniva definita “integralismo protezionista”.
Liti e contrapposizioni fra le diverse società di impianti di Passi, timidezza degli albergatori nell’investire fondi propri, l’esagerazione dei progetti presentati, hanno fatto sì che fino agli anni ’90 la zona sciistica di Pozza sia rimasta ferma. Addirittura la bidonvia che saliva dal paese al Buffaure è stata ferma per anni finché si è cominciato ad operare con maggiore sottigliezza. Vengono abbandonate le proposte complessive e si passa alla politica del passo dopo passo come del resto avevano insegnato le società vicine e come insegna la Comunità di Fiemme nel costruire strade forestali.
Le motivazioni che sostengono la proposta di nuovi impianti sono le stesse di trent’anni prima. Pozza non vuole essere solo dormitorio di Fassa, come la definiscono i suoi amministratori, un dormitorio capace di oltre 12.000 posti letto. Pozza deve fornire strutture, attrattive, portarsi a livello degli altri comuni.
Quindi impianti, anche per “togliere traffico dalla intasata statale”. Così facendo, Pozza rimarrà sempre dormitorio e diventerà anche un grande e diffuso parcheggio: in pochi anni i nuovi impianti richiederanno altri alberghi, altri servizi, altre strade. Il solito circo vizioso che nessuno ha intenzione di interrompere e che sta portando alla banalizzazione dell’offerta turistica della nostra Provincia.
Dal 1995 al 1996 si rifà così l’impianto e la pista del Buffaure, si inserisce l’innevamento artificiale, poi si propone il collegamento in seggiovia da Buffaure a Col Valvacin, autorizzato nel 1997 dalla Giunta Provinciale nonostante il parere contrario della commissione tutela paesaggio e l’assenza del procedimento di valutazione d’impatto ambientale, arrivando alla sfrontatezza di scrivere in delibera che con tale concessione si ritiene concluso il procedimento di sviluppo e potenziamento dell’area sciistica, affermando anche che su questa ipotesi c’era il consenso della società impiantistica, consenso che prontamente viene smentito sulla stampa sia dalla società Buffaure che dal sindaco di Pozza Remo Florian.
Siamo così arrivati al passo conclusivo, la presentazione del progetto degli impianti e piste che da Col Valvacin scenderanno in Val Giumela sulla Sella di Ciamòl per risalire a Sella Brunec. Impianti che vengono confermati nella ipotesi di variante al Piano Urbanistico Provinciale depositata in pubblica visione in questi giorni e che prevede almeno la cancellazione della prevista area sciabile in Val di Crepa.
Per costruire queste piste si dovrà incidere in modo molto pesante il territorio alto della Val Jumela, si dovranno costruire pesanti strutture di protezione dal pericolo valanghe, si costruiranno vasconi per la raccolta dell’acqua necessaria all’innevamento artificiale. Una volta costruite piste ed impianti, si cominceranno a chiedere ampliamenti, varianti, tutte opere che saranno celermente acconsentite dai vari servizi della Provincia, in quanto, valutati nelle loro ridotte proporzioni, sembreranno minimali; così, anno dopo anno, passo dopo passo, il progetto originario di Fassa 2000 diverrà realtà.
E’ il passo che priva la valle di Fassa della sua anima più autentica. E’ il passo che cancella ogni traccia di storia, cultura, della vita del passato. Val Giumela è l’ultimo scrigno paesaggistico che ci può raccontare la storia dei cacciatori, dei primi insediamenti abitativi nel fondovalle, che ci parla della conquista dell’uomo dello spazio d’alta quota attraverso la deforestazione, la cultura dei grandi spazi pascolivi, delle fienagioni estive, delle pesanti transumanze, della costruzione dei baiti, delle “tiejes”, cascine che servivano da magazzino del fieno.
Val Giumela è un “biotopo” complessivo, tanto importante perché privo di specificità paesaggistiche imponenti come le guglie dolomitiche, ma perché ogni suo aspetto ha bisogno di letture attente. E’ una valle che non permette semplificazioni, pur risultando invece il paesaggio caratterizzato da delicatezza, da lunghe pennellate di colori contrastanti che comunque riconducono tutti alla serenità, ad un alto senso di equilibrio, di sobrietà.
Ecco quindi Val Giumela raccontare a tutto il mondo la storia della evoluzione geologica del nostro pianeta: un laboratorio geologico che riassume con straordinaria complessità e sintesi formazioni vulcaniche, rocce basaltiche intrecciate ad arenarie e rocce calcaree, un laboratorio di studio che ha formato tutti i geologi europei.
Val Giumela racconta la storia di fiori e piante rarissime, racconta la storia di fragili torbiere d’alta quota che le piste di sci distruggeranno, racconta le escursioni di grandi botanici, fra i quali il fassano Facchini, che l’hanno percorsa centimetro su centimetro studiandone ogni minimo fuscello, ogni possibile endemismo.
Val Giumela racconta anche ed ancora la storia del primo turismo di Fassa, il turismo della tranquillità, della contemplazione della montagna, del fascino della Marmolada, racconta i primi passi dell’escursionismo e dell’alpinismo dei semplici, l’alpinismo che sa dialogare con la montagna, che porta rispetto, l’alpinismo della contemplazione. Val Giumela è l’ultimo gioiello di Fassa. Non a caso, nel 1989, “S.O.S Dolomites” si era portata a Roma presso il ministero dell’Ambiente per chiedere che la valle divenisse “Riserva naturale dello Stato”. Gli accordi allora presi con il ministro dell’ambiente Giorgio Ruffolo erano ormai a buon punto. Le solite ripetute crisi di governo ci hanno privato in tempi brevi di un grande ministro e hanno affossato progetto.
Una volta cancellato questo gioiello, la valle racconterà ancora: racconterà dell’egoismo degli uomini di Fassa, della loro insensibilità, dell’ipocrisia nascosta nell’azione politica di ladini, tesi a difendere una tradizione linguistica che – d’accordo – sarebbe sciagurato perdere, ma che in nome del massimo profitto non hanno saputo difendere il patrimonio che ha permesso loro la vita, il consolidarsi della lingua, delle tradizioni, il patrimonio paesaggistico, il valore autentico che queste straordinarie ed uniche montagne dovevano loro ispirare. I ladini, proprio perché protagonisti economici dei progetti che stanno cancellando la valle, sono anche i maggiori responsabili della sconfitta della loro più genuina cultura.
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Nel 1999 la battaglia per la Val Giumela era giunta quindi alla stretta finale, tanto che perfino RAI Tre decise di occuparsene. Il 22 giugno mi ritrovai a Pozza di Fassa con il regista Corso Salani, l’amico operatore Martino Poda (quello della Groenlandia sei anni prima) e con un tecnico fonico. Insieme salimmo al Col Ross per documentare la bellezza della valle e per un’intervista dove era mio compito spiegare la gravità dei danni che avrebbero portato gli impianti. Il 24 facemmo un salto la mattina alla Marmolada di Rocca per un’altra intervista e nel pomeriggio ancora in Val Giumela, Sella Brunech e Col Vivacin.
Questi tre giorni di lavoro furono la base per il bel servizio apparso poi nella rubrica di RAI Tre “Paesaggi rubati”.
Ma naturalmente la Val Giumela aveva il destino segnato. Il pubblico sognava nuovi impianti, pochi riuscivano a vedere cosa stavamo per perdere.
Ecco qui due commenti, ancora oggi leggibili su qualche forum:
1) Finalmente, dopo anni di battaglie, il tanto contestato ed atteso collegamento tra le due aree sciistiche Buffaure e Ciampac, è realtà.
I lavori procedono celermente ed il prossimo inverno sarà possibile arrivare con gli sci ai piedi da Pozza di Fassa fino ad Alba di Canazei e successivamente fino a Canazei, quindi al giro del Sella.
Il collegamento è stato per anni contestato da pseudo ambientalisti che si preoccupano per la salvaguardia della Val Giumela.
Dico pseudo perché il tutto è diventato una manovra politica e chi per anni sbraitava contro il collegamento non ha capito proprio nulla.
Innanzitutto il collegamento avrà un impatto ambientale minimo su una valle di per sé brulla e insignificante. Gli ambientalisti forse non sanno che un impianto di risalita non inquina, è silenzioso, ma soprattutto è un mezzo di trasporto che toglierà dal fondovalle di Fassa un enorme quantità di automobili inquinanti. Infatti è questo uno degli scopi: abituare lo sciatore a passare la prima ora della giornata sugli sci per raggiungere la meta più ambita che è Canazei, invece che restare imbottigliati nel traffico per la stessa ora o più.
Esistono tante altre situazioni di impatto ambientale molto più allarmanti che pochi metri di una seggiovia.
La mia è ovviamente soltanto una considerazione personale che è comunque condivisa in valle, e non solo in valle, da moltissime persone.
2) Questa è un’ottima cosa. Speriamo che riescano a sensibilizzare gli sciatori ad usare questi impianti per raggiungere il polo di Canazei.
E poi, se non sbaglio, la Buffaure non è proprio messa bene economicamente e questo collegamento la potrebbe risanare.
In quanto alla bellezza o meno della Val Giumela… non ci sono mai stato. Penso che due seggiovie, di cui una abbastanza corta, non possano stravolgere l’equilibrio naturale della valle.
Il mio parere sul collegamento? Finalmente si sono decisi a farlo!
Si vociferava di resistenza dura, di incatenamenti alle piante da abbattere… ma purtroppo non se ne fece nulla.
Una settimana dopo la traversata in grotta (26 giugno), ancora con gli stessi compagni, andammo su terreno a me senz’altro più familiare, la via Risognando California alla Pania della Croce. Questa è una rivisitazione della via Sognando California aperta nel 1985. Da Levigliani raggiungemmo la Foce di Mosceta 1189 m e da lì seguimmo il sentiero per la Foce di Valli per poi abbandonarlo per seguire un crinale erboso fino all’attacco, segnato da due fix nella sosta di partenza, molto scomoda e franosa.
La via proponeva 11 lunghezze di corda, con chiodatura un po’ disomogenea, tanto che conveniva avere qualche friend a disposizione. Ricordo in particolare il secondo tiro, una placca di 6b+, il quarto che presentava una bella fessura di tipo “granitico” (6b), l’ottavo (un diedro strapiombante di 6b) e il decimo, altra placca impegnativa. Non raggiugemmo la vetta, bensì seguimmo i prati verso la via normale che ci riportò alla Foce di Mosceta.
“Non so perché ha cambiato le emoticon con i punti interrogativi.”
È la maledizione di Balsamo. Nel GognaBlog colpisce chi non ha offerto entusiasticamente il braccio alla Pfizer.
Il motto balsamiano è il seguente: “Vaccínati, vaccínati sempre, e sarai simile a un dio”.
Non so perché ha cambiato le emoticon con i punti interrogativi ..
Bertoncelli:
Per i nipoti è troppo presto, ma bastano i figli????
Oggi per la prima volta da parecchio tempo mi sono concesso un nell’anello da Capanna Tassoni al lago Scaffaiolo e ritorno, e mi sono proprio goduto la giornata.
Quasi quasi mi fa dimenticare le lotte vaccinali con Balsamo ????
commento 1: copio e incollo
Mi pare di aver capito che nel 1999, dalla gita in bici sul Monte Bardellone all’intervista su RAI 3, si sia battuta un po’ la fiacca. Dico bene?
😀 😀 😀
P.S. Alessandro, se non scherzo con te, con chi scherzo?
Krovellik, veterano di trentasette commenti al giorno, ora pare un ectoplasma. Spero per lui che se ne sia partito per la traversata della Corsica a ritrovare lo spirito libero e anticonformista di un tempo che fu.
Cominetti mi sembra distratto: forse è in partenza per il Cerro Torre in invernale.
Il milanese Vegetti a quest’ora sarà spaparanzato sotto l’ombrellone a Milano Marittima, con gazzosa d’ordinanza al fianco.
Balsamo combatte col ferro e col fuoco al grido di Todos vacinados.
Grazia, gentile e innocente fanciulla sicula, è da omaggiare anzichenò.
Massari e Battimelli, coi loro decimi gradi, mi mettono soggezione.
Il Merlo è muto: da un anno fa lo sciopero del commento.
Parmeggiani è troppo impegnato coi suoi tre figli (a quando i primi nipoti?).
Matteo non lo tocco perché ho paura che si arrabbi.
Il toscanaccio (Benassi), tra una scalata e l’altra sulle Apuane con almeno 30 gradi centigradi (all’ombra), è uno dei pochi che si salvano tra i forumisti storici.
Con gli altri mi scuso per non averli menzionati.
Insomma, ci sei rimasto quasi solo tu.
Val di Fassa? No, grazie.
L’amarezza che proverei nel vedere com’è ridotta, ricordando la bellezza di una volta, mi spinge a evitarla per il resto della mia vita.
Meglio l’Appennino, le Alpi Marittime, Alpi Orobie, Alpi Carniche, Alpi Giulie e tanti altri posti: sono piú genuini, sono meno devastati, non ci sono orde.
Al limite, se proprio volessi farmi del male, anziché la Val di Fassa e la Val Gardena sceglierei Riccione (ma in settembre).