La prima invernale alla via Cassin della Torre Trieste

Nel giorno del suo 74° compleanno, ecco un vecchio scritto di Aldo Anghileri.

La prima invernale alla via Cassin della Torre Trieste
di Aldo Anghileri
(pubblicato sull’Annuario del CAI della Sezione di Lecco, 1964)

Eravamo in gennaio del 1964. Da pochi giorni ero venuto a conoscenza che la via Cassin-Ratti sullo spigolo sud-est della Torre Trieste, la Torre delle Torri, era stato superato ben poche volte nella buona stagione ma mai in quella invernale. Questa notizia mi aveva tolto la pace: da tempo pensavo di fare qualcosa che potesse soddisfare la mia passione alpinistica, e dentro di me sentivo che questa era un’occasione da non perdere.

Ero allenato, ma le difficoltà tecniche da superare e il freddo che prevedevo intenso mi rendevano titubante. In Grignetta, fra un’arrampicate e l’altra, lanciai l’idea ai miei tre amici, PinoNegri, Andrea Cattaneo e Gildo Arcelli: decidmmo di partire a fine settimana. Curammo l’equipaggiamento nei minimi particolari, e ci attrezzammo per i bivacchi.

Il primo febbraio, alle ore 2.30, eravamo in partenza: durante la strada di avvicinamento molti timori e pensieri si affollavano nella mia mente. Mi preoccupavo pensando se quello che andavamo a compiere non fosse un’impresa troppo ardua per le nostre capacità, anche perché io, non ancora diciottenne, mi sentivo poco esperto per affrontare come capocordata la mia prima arrampicata invernale fuori zona.

Pino Negri

Arriviamo al rifugio Vazzoler e, appoggiati alla balaustra, guardiamo incantati la Trieste. Essa si erge davanti a noi maestosa e qualche rara nube evanescente la rende ancora più irreale. Giunti all’attacco della parete verso le ore 12 dello stesso giorno, dividiamo bene il materiale e prendiamo contatto cori la roccia, con l’intenzione di arrivare ad effettuare il primo bivacco su di una cengia, dove la via Cassin si divide dalla via Carlesso. Formiamo due cordate, composte una da me e Cattaneo e l’altra da Negri e Arcelli. Parto io, ma dopo quattro tiri di corda il buio ci coglie improvvisamente e per maggior sicurezza decidiamo di legarci in cordata unica: procediamo con attenzione ma abbastanza speditamente.

Riprendiamo a salire, affrontando il tratto (35 metri) più duro e delicato della salita per la friabilità e l’esposizione della roccia. Questo è il tiro di corda più impegnativo della salita. Lo supero dopo essere rimasto un attimo con il fiato sospeso, faccio un respiro lungo: – Ce l’ho fatta! – dico.

Sul traversino che si trova subito la fessura breve che termina in ottima fermata, Arcelli a causa della scarsa visibilità vola a pendolo per circa 10 metri. Negri è sempre attento e pronto per ogni evenienza e recupera il compagno tempestivamente. A causa di questo lasciamo in parete due staffe e sei moschettoni. Alla fine detta salita il materiale impiegato sarà il seguente: 30 moschettoni, 6 staffe, 30 chiodi e 4 cunei di legno.

Gildo Arcelli e Aldo Anghileri

Quindi ci prepariamo per il bivacco. Ci piazziamo in una cengia inclinata, abbastanza comoda. Sono le 19 e, prima di sistemarci, riceviamo da Listolade le segnalazioni che il popolare Silvio ci fa pervenire a mezzo lampada e contraccambiamo. Nel venire passando da Listolade avevamo parlato a Silvio di ciò che andavamo a fare e lui si era offerto di aiutarci in tal senso. Questo fattto ha il potere di farci sentire ancora legati al mondo e non abbandonati da soli contro la montangna e gli elementi. Quindi, indossate le giacche a piuma ed infilatici nei sacchi da bivacco, attendiamo che la notte ci porti nel mondo dei sogni e che l’alba possa poi ricondurci nella realtà. Ma prima di addormentarci sfottiamo Arcelli per il… bel pendolo di cui prima s’era reso protagonista. E lui, vedendosi schernito, dapprima ci fulmina con sguardo cattivo e poi ci fa la diagnosi del suo incidente. Dice: “attraversavo lento, con cautela, accarezzando gli appigli, prima di fidarmene. Sembravano sicuri, ma non lo erano affatto. Sotto i piedi, ad un tratto, il vuoto. Il resto lo sapete”.

Domenica 2 febbraio, ore 8: si riprende a salire. Formiamo due cordate: in testa Negri e Arcelli, seguiamo io e Cattaneo. Il freddo intenso ci paralizza ed ogni tanto ci dobbiamo fermare per scaldarci. Dopo questo tratto in arrampicata libera, arriviamo su una cengia e passo in testa io con Cattaneo; segue la cordata di Negri e Arcelli. Si prosegue per altri due tiri di corda, poi ci alterniamo nuovamente. Finalmente il sole, giunto a farci compagnia, ci riscalda debolmente, ma il vento sorto ci frusterà fino a sera. Dopo aver percorso una sessantina di metri in obliquo, giungiamo ad un diedro.

Aldo Anghileri e Andrea Cattaneo

In questo superamento, a 300 metri dalla vetta, vola Negri a causa della fuoriuscita di un cuneo, effettuando un volo di 20 metri. Prontamente tiriamo le corde ed io mi procuro alle mani scottature di una certa entità. Odo il respiro breve, mozzo dallo sforzo di Negri, ma quando mi arriva vicino la sua risata aperta ancora una volta ha il potere di darci sicurezza senza drammatizzare sull’accaduto. Arriviamo ad un terrazzo. Proseguiamo sino ad una nicchia posta a 50 metri sopra la seconda grande cengia e qui bivacchiamo per la seconda volta. Sono le 16.30. È un bivacco disagiato di poco agevole adattamento.

Alle 19, a causa della nebbia, attendiamo invano le segnalazioni da Listolade. Parliamo delle difficoltà da superare, dei 300 metri di parete percorsi oggi; pensiamo ai nostri cari. Ma noi siamo soli quassù, sopra di noi strapiombi.

Il fatto di non aver avuto tramite le segnalazioni contatto alcuno con il mondo, mi fa sentire scoraggiato e stanco, e quasi… vorrei non essermi mai cacciato in questa impresa.

Ma che cosa ci ha fatto venire qui ad affrontare solo pericoli e fatiche? È il solito grande mistero che ogni alpinista porta in sé.- Al mattino del terzo giorno alle ore 8 si riprende la salita. Prima cordata: io e Cattaneo; seguono Negri e Arcelli. Ma le mie mani, a causa dell’incidente di ieri, sono scoppiate con il freddo, e allora decidiamo di formare una cordata unica guidata da Pino Negri: formazione questa che non cambieremo più. Superiamo una fessura strapiombante, giungiamo in cengia, troviamo poi rocce abbastanza facili, fino ad arrivare su di una comoda piazzola. Sono le ore 16 e piazziamo il terzo bivacco a 100 metri dalla vetta.

Alle ore 19 ci ritroviamo al nostro appuntamento con Silvio: e questa volta le segnalazioni arrivano, il morale è alto, la vetta è sempre più vicina. Al freddo ormai non si bada più, anche se è da quando siamo in parete che ci morde: solo le mie roani mi fanno soffrire.

In bivacco sulla Torre Trieste

Il giorno 4, alle ore 8, superiamo due tiri di corda difficili e, poi sentiamo che la parete s’ammoscia, la cima è vicina. Superiamo le ultime difficoltà costituite da un camino verticale e vetrato e siamo in vetta. Sopra di noi non v’è più che cielo: la vétta della Trieste per la via Cassin è superata.

Sono le ore 12 del 4 febbraio 1964. Sotto di noi gli strapiombi vertiginosi, intorno una pace solenne e il mio cuore che batte più forte! È la vittoria! Anche se le mani dolorano, non soffro. Un attimo di gioiosa sosta affratellati in un comune abbraccio, poi il pensiero della discesa con 13 corde doppie da effettuare, ci fa decidere di prendere la via del ritorno.

Dopo 72 ore in parete, di cui 24 in arrampicata, in lotta con il freddo e con la montagna, dopo tante ore di isolamento, ci stiamo avvicinando ad altre anime vive.

Ma anche questo percorso ci riserva una sorpresa fortunatamente senza conseguenze notevoli. Un sasso caduto dall’alto ci trancia di netto una corda.

A sera scorgiamo lassù imponente e rischiarata dalla luna la Torre Trieste, e sembra alta e inaccessibile. Ora le pene sono finite: in me e nei miei amici rimane la gioia di ciò che abbiamo fatto.

Aldo Anghileri

Ma nel ricordo c’è qualcosa di particolare, che mi fa sentire contento: un bivacco in parete in invernale. Che cosa è il bivacco in inverno? È un ricordo bello, che resta nell’animo incancellabile. È una notte interminabile, sonnolenza dolorosa, sofferenza, attesa spasmodica. Tutto intorno è silenzio, è notte nera. Ma questi pensieri si accavallano, mentre davanti a noi si profila Agordo. E lì c’è l’alpinista e senatore Armando Da Roit, nostro carissimo amico, che ci ospita con la sua ben nota cordialità e gentilezza.

L’impresa nel regno del Civetta non resterà solo un ricordo: sarà il simbolo che illuminerà la mia attività alpinistica, mi sorreggerà nei momenti di scoraggiamento, mi terrà sempre legato alia mia cara montagna.

Vetta della Torre Trieste, 4 febbraio 1964. Da sinistra, Gildo Arcelli, Aldo Anghileri, Andrea Cattaneo e Pino Negri, dopo la prima invernale dello spigolo Cassin-Ratti (1-4 febbraio 1964). Foto: Andrea Cattaneo.

Note esplicative a completamento
La Torre Trieste si trova sul versante sud-orientale della Civetta, importante gruppo dolomitico fra l’Agordino e la Valle di Zoldo, nel Bellunese. Ricordiamo della via Cassin le prime di merito e le ripetizioni in ordine cronologico:
Prima salita: Riccardo Cassin e Vittorio Ratti, realizzata dal 15 al 17 agosto 1935.
Seconda: Gino Soldà e Ugo Pompanin, 2 e 3 settembre 1948; terza: Erich Waschak e Karl Ambichl, 26 e 27 agosto 1949; quarta: Beniamino Franceschìni e Lino Lacedelli, 6 e 7 agosto 1952. Prima femminile: Geneviève Sonia Livanos e Georges Livanos, dal 10 al 12 agosto 1956.
Prima invernale: Aldo Anghileri, Andrea Cattaneo, Pino Negri ed Ermenegildo Arcelli, dall’1 al 4 febbraio 1964.
Prima solitaria: Lorenzo Massarotto, 18 agosto 1978. Prima in libera e a vista: Manolo, 1977, 6c.
Insieme alla via Carlesso, di 7a, salita sempre a vista, con questa libera Manolo introdusse, senza saperlo, il free climbing in Italia.

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La prima invernale alla via Cassin della Torre Trieste ultima modifica: 2020-08-19T05:09:03+02:00 da GognaBlog

2 pensieri su “La prima invernale alla via Cassin della Torre Trieste”

  1. che bello, uno spirito e un esempio che ancora oggi deve essere la via maestra

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