La tenda rossa 2

La tenda rossa 2 (2-2)
La conquista del Polo Nord e l’impresa del dirigibile Norge
(continua da ieri, 23 giugno 2014)
«L’attrazione delle regioni polari, per chi vi è stato una volta, è irresistibile. Quel senso di assoluta libertà dello spirito, quell’allontanamento da ogni cura di cose materiali che non siano quelle indispensabili all’esistenza. Quel perdere valore di idee, principi, sentimenti che sembrano essenziali e importanti nel mondo civile. […] Quella solitudine immensa dove ognuno si sente re di se stesso: tutto questo, una volta provato, non si dimentica più ed esercita un fascino al quale non è possibile resistere (Umberto Nobile)».

Piece teatrale di e con Luigi Albert (regia Eva Cambiale e Raffaella Tagliabue, produzione Narramondo Teatro, www.narramondo.it)

Il colonnello Umberto Nobile dirige lo Stabilimento militare di Costruzioni aeronautiche di Roma, dove progredisce la tecnica di costruzione dei dirigibili. Nobile segue con attenzione le vicende. Pensa che nessun aeroplano avrebbe mai potuto vincere la sfida con i ghiacci. Non è, la sua, solo la riflessione di un esperto ingegnere. In quelle officine matura anche la passione e l’ambizione di un grande uomo d’azione. L’N1 rappresenta il risultato della genialità progettistica di Nobile. Nonostante le dimensioni non certo irrilevanti l’N1 non è enorme: gli Zeppelin sono addirittura sei volte più grandi. Amundsen, dopo l’insuccesso del volo con i Dornier Wal, incontra Nobile a Oslo per sottoporgli la proposta di organizzare una nuova spedizione con un dirigibile. L’obiettivo di Amundsen non è solo la conquista del polo ma l’esplorazione della calotta artica alla ricerca di un’eventuale presenza di terre emerse. Nobile, consapevole dei limiti tecnici dell’N1, sa che solo consistenti modifiche alla struttura potevano garantire l’affidabilità dell’N1. I principali problemi da risolvere sono legati alla riduzione del peso dell’aeronave. Allo stesso tempo, si esige la robustezza della struttura, soprattutto a prua, per consentire un sicuro ormeggio ai piloni di attracco. L’Aeroclub di Norvegia finanzia la spedizione e a ciò si aggiunge il fondamentale contributo di Ellsworth, compagno di avventura di Amundsen nella spedizione con gli idrovolanti Dornier Wal. Nobile rinforza le pareti di tela impermeabile in prossimità delle eliche, per evitare che frammenti di ghiaccio, scagliati violentemente contro l’involucro, producano lacerazioni.

Umberto NobileTendaRossa2-index

Oltre mille tonnellate di materiali, fra cui centinaia di bombole contenenti 60.000 mc di idrogeno compresso, partono per la Baia del Re. Alle ore 9.30 del 10 aprile il Norge, l’N1 così ribattezzato in onore della Norvegia, parte da Roma per il lungo viaggio alla Baia del Re. La bella aero­nave lascia le Svalbard alle 8.50 dell’11 maggio con a bordo sedici persone: sei italiani, otto norvegesi, uno statunitense, uno svedese. Vola alla velocità di 80 kmh, e all’1.30 del 12 maggio il Norge è al Polo Nord. Oltre il polo si apre un’immensa zona inesplorata: anche se i compe­tenti escludono l’esistenza di grandi terre, si tratta pur sempre d’un mondo su cui l’uomo non ha mai posato lo sguardo. Grande è perciò l’attesa. Fino a 85°30’ N si continua a vedere la medesima distesa di ghiacci galleggianti, a volte sconvolti, aggrovigliati dalle pressioni, a volte separati da canali d’acqua libera. Poi cala la nebbia: fitta e ostinata, accompagna il dirigibile per quasi due giorni. Durante qualche squarcio appare in basso sempre lo stesso mare ghiacciato. Ma le incrostazioni di ghiaccio destano una certa preoccupazione. Finalmente, a 74°16’ N, la nebbia si dirada. Ed è ancora una volta il solito spet­tacolo: ghiacci e ghiacci, ma qui assai più accidentati. Alle 6.45 del 13 maggio si avvista terra a prua, a destra. È la costa dell’Alaska, con il piccolo villaggio di Teller nei pressi della Punta Barrow. Nobile racconta l’atterraggio: «Vidi un gruppo di tre o quattro persone accorrere verso di noi, sui ghiacci, ma più avanti verso destra ve n’era un altro più numeroso, di sette od otto. Un colpo di motore e mi diressi verso di loro… Gli uomini agguantarono la fune. ‘Tira gas!’ e l’aeronave appesantita discese con la velocità forse di un metro al secondo, forse meno. ‘Attenti all’urto!’, ma l’urto fu lieve: l’aeronave rimbalzò in aria di alcuni metri. ‘Ancora gas!’, gridai. Qualche istante dopo eravamo di nuovo sul ghiaccio, definitivamente questa volta». Sono le 7.30 del 14 maggio 1926.

È dimostrato così che attorno al Polo Nord si estende un immenso mare ghiacciato, il Mar Glaciale Artico, e il dirigibile conferma di essere ora l’unica macchina in grado di sostenere la sfida delle grandi traversate, anche se il rapido volo di Byrd aveva messo in luce le qualità dell’aeroplano. È vero che il dirigibile è più grosso, lento, costoso, delicato; ma più confortevole, dispone di assai mag­giore autonomia e può costituire un vero e proprio laboratorio scientifico volante. Tocca ora ad altri audaci aviatori dimostrare che è possibile, con un aeroplano munito di sci, atterrare sui campi di ghiaccio galleggiante del mare Artico e ripartirne. L’uomo più adatto a dare questa dimo­strazione è certamente l’australiano George Hubert Wilkins, che diventerà poi sir. Wilkins era stato uno dei collaboratori più preziosi ed intelli­genti di Ste­fansson ed aveva imparato a vivere da eschi­mese sfruttando le risorse locali. Fu proprio in quegli anni, mentre faticosamente i cani tra­scinavano le slitte sui ghiacci artici, che Wilkins maturò l’idea di sorvolare quelle grandi distese in aereo. Tanto più che spesso si presentavano ampie spianate adattissime ad un at­terraggio e ad un decollo.

Assieme a Carl Ben Eielson, già suo compagno nell’ultima spedizione Shackleton all’Antartide, Wilkins nel 1927 è pronto a un’impresa assai rischiosa. Il 29 marzo, a bordo d’un apparecchio Stinson, Wilkins ed Eielson lasciano Punta Barrow, diretti a nord-ovest. Giunti a circa 900 km dalla base, non avendo scoperto nuove ter­re e poiché il motore funziona irregolarmente, decidono di atter­rare. La manovra di Eielson è perfetta. A -35°C riparano il motore. Dopo vari tentativi, riprendono il volo. Ma il tempo si è guastato e il motore perde colpi. È ne­cessario un nuovo atterraggio. Anche questa volta la manovra riesce, pur con cattiva visibilità. Dopo un’ora il motore pare finalmente a posto; ma intanto Eielson s’è congelato la punta di quattro dita. Dopo due tentativi l’aereo si alza. Per varie ore, nonostante il vento violento e le nubi, il volo di ritorno continua. A un certo punto il motore si ferma e non c’è mezzo di farlo ripartire. Un atterraggio di fortuna nella tormenta è inevitabile. Dai finestrini non si vede nulla. L’ala si­nistra e i pattini toccano terra insieme, poi l’aereo si ferma dolcemente.

Una rapida ispezione nella bufera rivela che il carrello d’atterraggio è irrimediabilmente danneggiato. Il mattino dopo, 30 marzo, facendo il punto, constatano di tro­varsi a circa 160 km da Punta Barrow su una distesa di ghiac­cio particolarmente accidentata e sconvolta dalla tempesta del giorno prima. Il 3 aprile, caduto il vento, si mettono in marcia verso la terraferma. Con alcuni pezzi dell’aereo hanno fabbricato delle slittine che trascinano sul ghiaccio. Alla sera Wilkins co­struisce una capanna di neve. Evidentemente l’esploratore ha messo a buon frutto gli insegnamenti di Stefansson e sa che, applicando il metodo giusto, non corre pericoli. In alcuni canali nuotano le foche: dunque, in caso di necessità, il vitto è assicu­rato. Purtroppo Eielson ha le mani gravemente congelate: in se­guito perderà un dito.

George Hubert WilkinsTendaRossa2-220px-Hubert_Wilkins_1931

Nonostante le condizioni eccezionalmente avverse, la marcia prosegue regolarmente, e il 15 aprile rimettono piede sulla costa dell’Alaska. Wilkins ha saputo dimostrare che si può atterrare sul pack artico e ripartire; e si può anche, abbandonato l’apparecchio, raggiun­gere le coste del continente.

Con quell’esperienza alle spalle, Wilkins ed Eielson programmano la traversata del bacino artico, dall’Alaska alle Svalbard, seguendo a nord l’arcipelago artico canadese, ma senza portarsi al polo; volando su una zona inesplorata, dove è ancora possibile scoprire qualche nuova terra. Il 15 aprile 1928, i due aviatori decollano da Punta Bar­row, su un Fokker monomotore. Dopo 13 ore ecco la Terra di Grant, esplorata da Peary, poi la Groenlandia. Avvicinandosi alle Svalbard, si trovano presi in una tempesta. Dopo 20 ore di volo, tra le nubi appaiono due cime. Nel turbinare della tormenta Eielson riesce ancora una volta a compiere un miracoloso atterraggio di for­tuna su una piccola distesa nevosa: atterrando contro vento si fermano in poco più d’una decina di metri. Per cinque giorni una tempesta li blocca sull’isolotto nei pressi delle Svalbard sul quale sono scesi: l’isola del Morto.

Finalmente, il 22, il tempo migliora. Hanno ancora carbu­rante per circa due ore. Ma l’apparecchio, sulla neve, non riesce a muoversi. Mentre Eielson è ai comandi, Wilkins gli corre dietro spingendolo: ma non fa in tempo a salire sull’aereo. Una volta in aria Eielson vede il compagno a terra e discende. Si prova di nuovo. Scrive Wilkins: «Al secondo tentativo ero deciso ad attac­carmi ad ogni costo, e, quando l’apparecchio fu in moto, mi ar­rampicai sulla coda e cercai disperatamente di raggiungere la ca­bina. Ma, siccome m’ero tolto i guanti per arrampicarmi meglio, le mani mi s’intirizzirono. Afferrai allora coi denti la corda che avevo attaccato per aiutarmi. Eielson, sentendo il peso sulla co­da, mi credette nuovamente a posto e parti; ma, proprio mentre si staccava dal suolo scivolai lungo la levigata fusoliera; la coda dell’apparecchio mi colpì e mi gettò nella neve. Quando mi rialzai avevo i denti che si muovevano».

Al terzo tentativo finalmente Wilkins riesce a issarsi a bordo. Se non ci fosse riuscito, Eielson gli avrebbe gettato provviste e un fucile, perché non poteva consumare altra benzina in un nuovo decollo, e lo avrebbe lasciato lì, in attesa di portargli aiuto. Un’ora dopo sono a Green Har­bour.

Altra copertina raffigurante il dirigibile Italia ripresa mentre cadeva sul pack. In primo piano la simpatica cagnetta, diventata famosissima, TitinaTendaRossa1-1928 nobile 2


La Tenda Rossa
Umberto Nobile prepara una nuova impresa con dirigibile, questa volta con un nutrito programma di esplorazione geografica e di ricerca scientifica. Mentre la preparazione della parte scientifica procede meticolosa, quella del dirigibile, nel clima dilettantesco e retorico dell’Italia fascista, quando capo dell’aviazione è Italo Balbo, è tutt’altro che facile. Questi infatti non autorizza la costruzione dell’N5, di dimensioni tre volte maggiori del Norge e quindi Nobile riesce a partire da Milano con un’aeronave sorella del Norge, battezzata questa volta Italia, il 15 aprile 1928. Dopo due voli di ricognizione e di ricerca scientifica, con un equipaggio composto da 12 uomini, più 3 scienziati e 1 giornalista, l’Italia si leva in volo alle 4.28 del 23 maggio. Il programma è ambizioso: raggiungere il polo lungo la zona inesplorata tra le Svalbard e la Groen­landia; effettuare un atterraggio sui ghiacci del polo e sbar­carvi gli scienziati per esaurienti osservazioni scientifiche.

L’aeronave incontra una violenta perturbazione ma, alla mezzanotte fra il 23 e il 24 maggio 1928, raggiunge il Polo Nord. È però impossibile l’atterraggio: il forte vento non consente la minima stabilità. Comunque i tre scienziati, lo svedese Finn Malmgren, il cecoslovacco Frantisek Behounek e l’italiano Aldo Pontremoli, compiono alcune osservazioni.

Alle 2.20 Nobile ordina il ritorno. La forza del vento da sud-ovest rallenta la marcia e porta sovente fuori rotta. Alle 10.30 Cecioni dà l’allarme: l’Italia perde quota rapidamente. I tentativi di risalita si rivelano vani. Tre minuti dopo lo schianto sul pack.

Be­hounek, spettatore impotente del dramma, così descrive la scena: «Afferrai con la mano sinistra la balaustra della cabina di co­mando e guardai ancora una volta fuori. Il quadro era terroriz­zante. Sembrava che il pack volasse verso di noi e, a misura che ci avvicinavamo, la sua superficie, che prima sembrava unita e liscia, si trasformava in centinaia di blocchi di ghiaccio, gettati alla rinfusa in un caos selvaggio e divisi di tanto in tanto da cor­si d’acqua. Ritrassi il capo e chiusi gli occhi pensando: tutto è finito! E subito avvenne un primo urto, seguito immediatamente da un secondo. La navicella precipitò sul ghiaccio con clamore infernale, si conficcò profondamente nella neve e andò in pezzi. Sentii qualcosa di greve che mi pesava addosso da tutte le par­ti e una massa voluminosa che mi spingeva avanti. Era la neve che, attraverso il fondo spaccato della navicella, penetrava nel­l’interno. Feci dei movimenti disperati per liberarmi dai mucchi di neve che minacciavano di soffocarmi.
Finalmente intorno a me comincia a farsi più chiaro. Scuoto gli ultimi resti di neve e guardo attorno. La prima cosa che odo è la voce calma di Mariano: “All right, all right, ci siamo tutti!” Il mio primo sguardo è per l’Italia, che s’innalza lentamente so­pra di noi. Manca la navicella di comando, come se qualcuno l’a­vesse tagliata di netto, manca pure la navicella posteriore dei motori, in cui si era trovato Pomella. Dalla navicella del motore di sinistra Arduino ci guarda. Ma già l’aeronave sparisce nella nebbia sopra di noi, in di­rezione est. Ci rapisce sei compagni: il capomotorista Arduino, i motoristi Ciocca e Caratti, l’attrezzatore dell’involucro Alessan­drini, il professor Pontremoli e il giornalista Lago.
Il mio secon­do sguardo è intorno a me, per i miei compagni. Si trovano tra i resti della navicella frantumata. A pochi metri era disteso Nobile, con la testa insanguinata; su di lui era chino Mariano, che gli parlava con la solita sorriden­te gentilezza. Accanto al generale stava Cecioni, che non si poteva muovere e si lamentava dicendo d’avere la gamba destra rotta. Il generale, come constatammo in seguito, aveva una gamba e un avambraccio spezzati, oltre ad una ferita alla testa. Malmgren, accanto a me, aveva la spalla sinistra spostata… Contemporaneamente vidi a poca distanza Zappi liberarsi faticosamente dalla neve. Seppi poi da Mariano che Zappi aveva probabilmente una costola rotta. Gli al­tri (Biagi, Trojani, Viglieri e io) eravamo sani e salvi, tranne qualche lesione di poca importanza».

Il radiotelegrafista Giuseppe Biagi tenta di riparare la trasmittenteTendaRossa2-26696731_giuseppe-biagi-la-tenda-rossa-0

Soltanto 100 km separano la spedizione dalle isole Svalbard, ma la situazione appare disperata. Il meccanico Pomella giace lì, cadavere. Fra i nove sopravvissuti, quattro so­no feriti: Nobile e Cecioni con fratture agli arti. Passato il primo momento di sconforto s’inventaria quanto è caduto sul ghiaccio. La tenda, tinta di anilina per renderla più vi­sibile, diventerà la famosa Tenda Rossa: quadrata, misura m 2,75 di lato e al centro è alta m 2,50. Attorno, sparsi, provviste, indumenti, materiali vari. C’è persino, quasi intatto, l’apparecchio radio.

Attorno ad esso Biagi lavora con ostinazione per un collegamento. La ricevente funziona, poi ripara la trasmittente. Quasi subito giunge un messaggio dalla nave appoggio Città di Milano: “Cosa ti succede? (il radiotelegrafista Pedretti tenta di contattare Biagi). Perché non rispondi più? Se hai un avaria alla trasmittente a onde lunghe, serviti della cassetta di fortuna a onde corte. Ti ascoltiamo continuamente. K”. La lettera K invita in gergo a rispondere, ma ogni tentativo di Biagi fallisce. Immobilizzati e inuditi, i naufraghi dell’Italia sentono che il mondo è commosso per la loro scomparsa, che da ogni parte giungono soccorsi alle Svalbard: due aerei norvegesi pilotati da Riiser-Larsen e Holm, gli aviatori svedesi Einar Lundborg, Schiberd e Tornberg, gli italiani Maddalena, Pier Luigi Penzo e Ravazzoni con due Savoia-Marchetti, l’idrovolante francese La­tham 20, i rompighiaccio sovietici Krassin e Malyghin, gli sciatori italiani Gianni Albertini e Sergio Matteoda e gli alpini del capitano Gennaro Sora, tutti corrono alla ricerca e al salvataggio dell’Italia.

Ma, ignorando il punto preciso in cui si trova il dirigibile al momento della catastrofe, dove si dirigeranno gli sforzi? Ma­riano calcola il punto: 81°14’ N e 25°25’ E, cioè a nord-est dell’isola più settentrionale delle Svalbard, la Terra di Nord-Est. Sentono invece dalla radio che le prime ricer­che si svolgono sulle coste di nord-ovest. L’attesa logora i nervi già scossi dalla catastrofe.

La Tenda Rossa viene portata vicino al Fokker 31 di Lundborg ribaltato sui ghiacciTendaRossa2-1928 06 Polo Nord Il Fokker di Lundborg Cappottato vicino alla Tenda Rossa 01

Mariano e Zappi sono impazienti di spingersi con una mar­cia sui ghiacci alla Terra di Nord-Est, incontrare le spedizioni di soccorso, e così condurle ai compagni. I due ufficiali hanno troppa fiducia e non conoscono le insidie d’una marcia sui ghiacci artici in quella stagione. L’unico ad avere esperienza polare è lo svedese Malmgren, il quale, nonostante il braccio ferito, accetta di accompagnare i due. E così il 30 maggio i tre si avventurano per la marcia disperata tra i ghiacci. Anche se comprensibile dal punto di vista psicologico e dettata dal desiderio di salvare i compagni, questa decisione è un grave er­rore. Tanto più che Malmgren due giorni prima ha ucciso un orso e quindi i viveri, per quanto scarsi, sono aumentati.

Il destino è beffardo, perché solo quattro giorni dopo un dilettante russo intercetta l’SOS di Biagi. Il 6 giugno anche i naufraghi della Tenda Rossa ne sono informati e, grazie all’attività indefessa di Biagi, l’8 giugno viene realizzato il collegamento radio tra la Tenda Rossa e la Città di Mi­lano.

La Svezia invia il battello Tanja con due idrovolanti Hansa-Brandenburg e il Fokker 31 pilotato da Lundborg. Sulla baleniera Quest sono gli uomini della spedizione di Tornberg. In Italia il governo autorizza la partenza dell’idrovolante S55 SIAI pilotato da Umberto Maddalena, con una spedizione d’appoggio finanziata a Milano. La Svezia invia un altro aereo, il trimotore Uppland e la Finlandia il monomotore Turku.

Mentre Riiser-Larsen il 17 e il 18 giugno vola invano sulla banchisa avvi­cinandosi al campo di Nobile senza avvistarlo, parte da Tromsö, in Norvegia, l’idrovolante francese Latham 20 pilotato da René Guilbaud, con a bordo Leif Ragnar Dietrichson e Roald Amundsen. Il grande esploratore ha ormai 57 anni. Dopo il volo del Norge era nato qualche screzio tra lui e Nobile; ma non appena ha notizia della catastrofe non esita e, ponendo immediatamente la propria esperien­za al servizio dei soccorsi, s’imbarca sull’apparec­chio francese.

«È indispensabile che si faccia presto. Solo chi, come me, è stato confinato per tre settimane sui ghiacci può comprendere cosa questo significhi, e come il soccorso in questi casi non sia mai troppo rapido». Così l’ormai anziano esploratore poco prima di partire. Il Latham 20 scomparirà dopo circa due ore di volo e non se ne saprà mai più nulla. Solo il 31 agosto la nave Brodd comunica di aver ritrovato sulle coste settentrionali della Norvegia un galleggiante forse appartenuto all’idrovolante. Quella dell’eroe dei due Poli fu la fine leggendaria di un antico vichingo.

Nel frattempo la ricerca del gruppo Mariano, in marcia da 18 giorni, è affidata al capitano Sora e a due esperti del pack, Ludwig Warming e Sjef van Dongen. La spedizione lascia Capo Nord il 18 giugno con slitte trainate da cani e si dirige a est verso l’Isola di Foyn. A metà del percorso Warming, colpito da oftalmia, si ferma in un rifugio. Sora e van Dongen raggiungono l’isola di Foyn allo stremo delle forze. Non proseguiranno verso la Tenda Rossa e dovranno attendere a loro volta di essere soccorsi.

Il 20 giugno l’idrovolante di Maddalena sorvola il campo dei naufraghi e getta riforni­menti, scarpe, fucili, accumulatori per la ra­dio. Mentre i lanci di materiale si susseguono, i nau­fraghi preparano un campo d’atterraggio e la sera del 23 giugno due aerei svedesi raggiungono la Tenda Rossa. Il Fokker 31 pilotato da Lundborg atterra sulla pista di neve e ghiaccio. Nobile chiede che subito venga tratto in salvo Cecioni, come lui ferito seriamente a una gamba, ma Lundborg rifiuta: “No, ho l’ordine di portare Lei per primo, perché Lei deve dare istruzioni per la ricerca degli altri compagni”. Sollecitato anche dagli uomini del suo equipaggio, Nobile accetta di salire a bordo del Fokker, assieme alla sua cagnetta Titina. Questo fatto venne poi ampiamente sfruttato nella campagna contro Nobile da chi sosteneva, in base ad una retorica tradizione, che avrebbe invece dovuto essere salvato per ultimo.

Lundborg torna ancora a recuperare gli altri, ma in fase di atterraggio il Fokker si ribalta e il pilota rimane a sua volta intrappolato con i naufraghi.

Gli uomini del Krassin nei pressi della Tenda RossaTendaRossa2_storica-12.07.1928

Ormai le isole accanto alla costa settentrionale della Terra di Nord-Est sono, a causa della deriva, a pochi km. Ma una marcia sui ghiacci, nello stato di avanzato sciogli­mento in cui si trovano, sarebbe fatale a tutti.

Un’altra spedizione ha intanto lasciato la Braganza alla ricerca del gruppo Mariano. La compongono gli sciatori Matteoda ed Albertini, assieme a Tandberg (un conducente di slitte trainate da cani) e la guida Nois. Dal 23 giugno al 6 luglio i quattro perlustrano fin quasi a Capo Leigh Smith, nella parte nord-orientale della Terra di Nord-Est. Nessuna traccia dei tre uomini né dell’involucro dell’Italia lungo gli oltre 500 km esplorati.

Il 6 luglio lo svedese Moth, pilotato da Schyberg, atterra alla Tenda Rossa per portare in salvo Lundborg. Il pilota del Moth non tenterà più nuovi e rischiosi atterraggi per salvare i naufraghi rimasti in attesa sui ghiacci ormai in scioglimento. Cinque uomini restano alla Tenda Rossa.

L’idrovolante S55 di Umberto Maddalena sorvola per la prima volta la Tenda Rossa (20 giugno 1928, 80° latitudine N)TendaRossa2-nobile_tenda_big

Ormai l’unica speranza è il rompighiaccio sovietico Krassin. Questo, comandato da Karl Eggi e con a bordo il professor Rudolf Samoilovich responsabile dei soccorsi, è partito da Leningrado e deve raggiungere da ovest le Svalbard per perlustrare poi la parte settentrionale dell’arcipelago verso l’Isola di Foyn. Il 3 luglio, mentre il Krassin tenta di aggirare le Sette Isole, a nord delle Svalbard, una pala dell’elica di sinistra si spezza urtando i ghiacci, spessi due metri. Ulteriori avarie convincono Eggi a tornare per le riparazioni e per il rifornimento di carbone. Ma Nobile telegrafa a Samoilovich: “Tutte le nostre speranze sono riposte sul Krassin. Perciò vi preghiamo di fare quanto è possibile per raggiungere al più presto la tenda”. Il comandante della spedizione sovietica, con il consenso del suo governo, decide di calare sul ghiaccio il trimotore Junkers. Il pilota Ciuknowski decolla il 10 luglio alle ore 16 e dopo alcune ore scorge il gruppo dei tre che avevano lasciato la Tenda Rossa e di cui non s’era saputo più nul­la. A causa della nebbia è impossibile per Ciuknowski tornare al Krassin: Sarà costretto ad atterrare distante e il suo aereo subirà danni che ne impediranno il decollo. Ecco il suo rapporto dopo l’incidente: «Il carrello nell’atterrare si è frantumato. Noi, tutti sani. Viveri per due settimane. Ritengo necessario che il Krassin si affretti a soccorrere Malmgren prima di occuparsi di noi». Samoilovich decide di ripartire, sostenuto da un equipaggio noncurante delle avarie e della scarsità di carbone nelle caldaie. All’alba del 12 luglio ecco l’urlo del timoniere Breinkopf che avvista qualcuno. Mariano è in condizioni disperate, con i piedi con­gelati e gravemente esaurito (in seguito gli verrà amputato un piede); Zappi è in migliori condizioni, e può narrare la fine di Malmgren. Dopo 15 giorni di marcia lo svedese, colpito da vari congelamenti e incapace di continuare, aveva chiesto ai compagni di essere lasciato sui ghiacci. La marcia era stata ancora più ter­ribile di quanto si potesse immaginare, e i progressi, già minimi, venivano annullati dai movimenti della deriva. Zappi e Mariano, allo stremo, non si erano opposti alla richiesta del compagno, ormai deciso a morire al più presto per lasciare loro maggiori pos­sibilità di salvezza. L’odissea dei due era durata 43 giorni.

Il Krassin fotografato dalla baleniera Braganza al termine della spedizione di soccorsoTendaRossa2-Krassin-30- nobile-korzin (small)

Ora, a bordo del Krassin, regna grande eccitazione: la Tenda Rossa è vicina. Sono le 16,15 del 12 luglio quando i naufraghi odono un fi­schio di sirena. L’avanzata della potente nave tra i ghiacci è pe­rò faticosa, l’attesa è intollerabile. Al­le 20,45 la nave s’accosta al banco di ghiaccio che per 48 giorni ha ospitato i superstiti: e l’incubo ha termine.

Nobile chiede a Samoilovich un ultimo tentativo di ricerca dell’Italia. Questi, consapevole del rapido esaurirsi del combustibile, sollecita l’intervento degli idrovolanti, accettando di fermarsi per garantire l’appoggio agli aviatori. La generosa disponibilità dei sovietici è inutile. Da Roma, Balbo ordina il rientro. Solo Nobile tenterebbe ancora l’impossibile per ritrovare i dispersi. Il 16 luglio, nel ritorno, il Krassin recupera l’equipaggio dello Junkers di Ciuknowski accampato presso Capo Wrede e già raggiunto nelle ore precedenti dalla pattuglia della baleniera Braganza composta da Albertini, Matteoda, Gualdi e Nois. Sora e van Dongen, individuati dal Krassin durante la marcia verso la Tenda Rossa, sono raggiunti e portati in salvo dagli idrovolanti della spedizione svedese. Ancora due spedizioni alla ricerca dell’Italia sono tentate in agosto e settembre, protagonisti la Braganza e il Krassin, ma senza risultati. Della sorte dell’Italia e dei sei uomini che rimasero a bordo non si seppe più nulla. Probabilmente andò alla deriva fino a raggiungere il Mare di Barents per poi inabissarsi.

Rimane lo sgradito strascico di polemiche al seguito di questi eventi. La spedizione aveva ottenuto risultati tutt’altro che disprezzabili e la cata­strofe aveva visto elevati episodi di sacrificio tra i soccorritori di ogni nazione. Ma un fatto è chiaro: all’Italia dei fascisti dava fastidio che un’impresa nazionale terminasse con un disa­stro; perciò il mondo ufficiale cercò di separare netta­mente le proprie responsabilità da quelle del comando della spe­dizione. E si arrivò persino all’assurda commissione d’in­chiesta con elogi e condanne.

Nobile dopo il salvataggio nella Baia di Murchison (Isola di Ryss), base svedese del soccorsoTendaRossa2-Nobile-_45960918_explorer

Il Norge  e l’Italia in cifre
Volume massimo del gas: circa 19.000 mc

Lunghezza dell’aeronave: 106 m
Diametro medio della sezione maestra: 18,40 m
Larghezza massima d’ingombro: 19,50 m
Altezza massima d’ingombro: 24,30 m
Potenza motrice: 3 motori Maybach da 250 HP
Velocità a 1200 giri al minuto: 93 km/h
Consumo orario: 135 kg di benzine e olio
Velocità massima: circa 115 km/h

TendaRossa2-norge-hangerL’equipaggio del Norge
Umberto Nobile, comandante dell’aeronave

Roald Amundsen, esploratore
Lincoln Ellsworth, esploratore
Hjalmar Riiser-Larsen, ufficiale navigatore
Hemil Horgen, ufficiale navigatore
Natale Cecioni, capo meccanico
Renato Alessandrini, timoniere
Ettore Arduino, motorista
Attilio Caratti, motorista
Vincenzo Pomella, motorista
Birger Gottwaldt, radiotelegrafista
Harald Storm-Johnsen, radiotelegrafista
Oskar Wisting, timoniere
Oskar Omdal, timoniere
Finn Malmgren, meteorologo
Robert Ramm, giornalista

TendaRossa2-Dirigibile-Italia

L’equipaggio dell’Italia
Umberto Nobile, comandante della spedizione.

Adalberto Mariano, 1° ufficiale, capitano di corvetta.
Filippo Zappi, ufficiale navigatore, capitano di corretta, 31 anni, di Mercato Saraceno (FO).
Alfredo Viglieri, ufficiale navigatore, 28 anni, di Sarzana (SP).
Felice Trojani, ingegnere, (31 anni, romano), responsabile della logistica.
Natale Cecioni, capo motorista meccanico, 41 anni, di Fiesole (FI).
Ettore Arduino, Sottotenente, capo motorista meccanico, 33 anni, di Verona.
Attilio Caratti, motorista, maresciallo, di Rovato (BS).
Renato Alessandrini, meccanico attrezzista, 33 anni, di Roma.
Calisto Ciocca, motorista, 30 anni, di Torino.
Vincenzo Pomella, motorista, 31 anni, di Fiumerapido (FR).
Ettore Pedretti, radiotelegrafista, 31 anni.
Giuseppe Biagi, radiotelegrafista, 31 anni, di Medicina (MO).
Aldo Pontremoli, fisico, fondatore del Dipartimento di Fisica dell’Università di Milano, 31 anni, milanese.
Finn Malmgren, geofisico e meteorologo, docente all‘Università di Uppsala. Partecipò con Umberto Nobile alla spedizione polare con il Norge.
Frantisek Bebonnek, fisico nucleare, 31 anni, di Praga, specializzato alla Sorbona di Parigi. Fu uno dei migliori allievi di Marie Curie.
Ugo Lago, giornalista del Popolo d’Italia, 30 anni, di Noto (SR).
Cesco Tomaselli, giornalista del Corriere della Sera, capitano degli Alpini, 33 anni, di Venezia.

La Tenda Rossa, riportata in Italia, è oggi conservata presso il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica di Milano, mentre la radio Ondina 33 è conservata presso il Museo della Marina militare italiana di La Spezia.

Un grazie particolare a www.radiomarconi.com

postato il 24 giugno 2014

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La tenda rossa 2 ultima modifica: 2014-06-23T07:49:00+02:00 da GognaBlog

2 pensieri su “La tenda rossa 2”

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    antonio d'errico ramirez says:

    Leggo per la prima volta il dramma della tenda rossa e le vicissitudini dell’equipaggio. In passato vidi delle foto ed un articoletto sull’iniziativa dell’ing. Gianni Albertini che prese parte alle ricerche.

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    dante cenesi says:

    Complimenti per la bella sintesi di un dramma che in passato fu oggetto di tante nebbie politiche e che si tramanderà alla storia umana incompleto e pieno di interrogativi. Chi è nato negli anni 50′ ha fatto in tempo a sentire i racconti degli anziani, mio padre mi raccontò da bambino, che il marconista Biagi aveva riparato la radio Ondina facendo una resistenza con la grafite di una matita, mio nonno contadino aveva una radio galena collegata come antenna alla catena del cane, ascoltava così le notizie trasmesse sull’andamento delle ricerche e si ricordava del “nome straniero” Malmgren. Il bellissimo film russo La tenda rossa di Kalatozov contiene fedelmente tanti particolari presenti nel testo ma non, per esempio, il primo avvistamento della tenda rossa da parte del capitano Maddalena e di tutti gli altri tentativi eseguiti da varie nazioni. Il cinema nella sua grandissima importanza comunicativa sarà nel futuro il riferimento storico per tanti giovani che, venendo con esso a conoscenza per la prima volta di tali argomenti, come li vedranno li assimileranno come unica verità assoluta. Ecco perchè i testi come questo sono importanti. E la storia così continuerà…come può.
    Saluti

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