Le Alpi per me sono un mistero

Le Alpi per me sono un mistero
di Paolo Gallese
(pubblicato su medium.com il 3 luglio 2018)

Le Alpi per me sono un mistero. Sì, io, uomo d’Appennino centrale, dove le cime sono meno alte, ma la Natura è selvaggia e forte, dove riecheggia la storia antica in ogni angolo, da sempre mi avvicino con stupore e con silenzio alle Alpi.

Da noi, a cavallo tra le Marche, il Lazio, l’Abruzzo, il Molise, le catene dei Sibillini, della Laga, del Gran Sasso, la Maiella, i Reatini, i Simbruini… ogni monte, ogni valle richiama il nome d’uomini e popoli. I Piceni, i Marsi, i Peligni, i Sanniti. Fatti d’arme, clamori di rivolte, teatri di scontri, di guerriglie e di battaglie, si mescolano ai silenzi di boschi popolati da spiriti, primavere sacre, nomi di dee e ninfe che si celebravano tra pietre innalzate su alti colli, o a balcone su terre coronate di cime. E poi Annibale e Mario e Silla e Pompeo e Cesare e tanti altri hanno lasciato i nomi del loro ricordo, passando per le antiche vie consolari o per i tratturi transumanti.

Oberland Bernese

Potrei scrivere volumi, raccontando degli antichi che animarono gli Appennini. Le Alpi, al confronto, tacciono per me.

Ma sbaglio.

Non le ho mai avvicinate con l’ambizione della vetta, della sfida. Ma sempre con un silenzio quasi timoroso. Sono per me uno scrigno antico di quando l’uomo non c’era ancora. I ghiacciai che le discendono, ormai in lenta ma costante ritirata verso le cime remote, sono testimoni viventi, fossili, eppure vitali, di un tempo in cui il mondo era vuoto di culture e di nazioni, di confini, se non quelli liberi e smisurati tracciati dagli animali d’ogni specie in movimento eterno, al mutare di climi e di stagioni diverse da quelle attuali.

I ghiacciai sono testimoni. C’erano già quando nulla c’era di noi. Sono squarci dei tempi dei ghiacci, hanno ascoltato i barriti dei mammouth, i richiami dei cervi giganti, i ruggiti delle tigri dai denti a sciabola.

Per me sono queste le Alpi: uno squarcio su un mondo che è stato. Poi, pochi clamorosi fatti dell’antichità, quindi al margine della Storia. Le ho sempre chiamate “le montagne senza Storia”.

Ma sbaglio.

In realtà io non conosco affatto le Alpi degli uomini. Le montagne della gente che le abita da tempi immemorabili. Non conosco quegli uomini perché il mio vagare nella Storia, maldestramente non si è mai fermato ad osservare ed ascoltare con attenzione le loro storie. Non per disinteresse, ma perché non riuscivo a penetrarle.

Nella copertina di un libro di Mauro Corona, “ La voce degli uomini freddi”, c’è una breve descrizione che è forse la chiave della mia dimenticanza, di questa mia disattenzione ed ignoranza. Un brano breve che però dipana il mio mistero delle Alpi.

La riporto:
“… Corona ci ha abituato alle narrazioni corali, alle epopee umili di gente che avanza compatta con le proprie storie senza storia solo perché nessuno ha voluto abbassare l’orecchio al livello del suolo per ascoltarne la voce flebile, eppure emozionante. Vite che, come scriveva Ungaretti dei morti: non fanno più rumore del crescere dell’erba, lieta dove non passa l’uomo…”.

Lì si nasconde il mio mistero, la mancanza apparente della Storia che ho sempre creduto di percepire. Ciò che io considero uno scrigno del tempo senza uomini, eccolo trasformarsi in un mondo sussurrato di migliaia di storie. Di uomini e di donne. Che non conosco. Che non ho imparato a conoscere troppo preso dalle dimensioni della Natura di quei luoghi.

Negli anni, quegli uomini e quelle donne mi hanno parlato spesso, mi hanno raccontato, mi hanno accolto.

Non ho ascoltato abbastanza. Non ho capito e ho perso un patrimonio che mi veniva donato, sentendomi già “ricco” del mio e delle mie terre.

Ho sbagliato.

Ma c’è sempre tempo per imparare e per conoscere. Di nuovo.

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Le Alpi per me sono un mistero ultima modifica: 2019-11-20T04:19:10+01:00 da GognaBlog

4 pensieri su “Le Alpi per me sono un mistero”

  1. Raccontandosi  , e ricordarsi del proprio passato  Tutto bello…!! Saluti

  2. Vi ringrazio.
    E sì, Paolo, gli Appennini d’inverno sono solitudine. E infinito, quando la nebbia e le nubi allontanano il mondo… dipanendone uno mutevole e sconosciuto, del tutto nuovo.

  3. Mi fai ricordare i Sibillini… un inverno… 
    Neve o ghiaccio o roccia o erba o vento o nebbia… e  salire di qua o di là dipendeva da come mi sentivo e sentivo in quel momento… poi sopra… poi ancora sotto…
    Per me erano dei fantasmi che quasi non riuscivo a percepire coi miei sensi.
    Continuavano a cambiare, in poco tempo ciò che avevo visto non c’era più, scalare era proprio avventurarsi nello sconosciuto, io capivo qualcosa solo quando riuscivo a toccarlo.
    E che freddo, che solitudine.
    Grazie Paolo

  4. Bellissima riflessione. 
    Bello soprattutto il modo di porsi.
    Complimenti.

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