La catena degli Aravis è l’ultimo tentacolo allungato dalle Prealpi Calcaree del Nord, perciò un belvedere magnifico sulle grandi Alpi francesi: il Monte Bianco prima di tutto, ma anche la Vanoise, gli Oisans e la Belledonne.
Elementi base per tramonti di sole meravigliosi, gli Aravis fanno da pittoresco sfondo al villaggio di La Clusaz; ma appaiono assai diversi per una loro curiosità.
La linea di cresta si allunga per ben più di venti chilometri, in direzione nord-est/sud-ovest, da Sallanches a Faverges. È una serie di cime dall’altezza media di 2500 metri che culmina con i 2752 m della Pointe Percée.
Giuseppe Miotti in discesa dal Col des Verts, massiccio degli Aravis, Savoia, Francia
Una leggenda narra che il gigante Gargantua, nei suoi numerosi viaggi al di qua e al di là delle Alpi, per facilitarsi il passaggio abbia creato lui il grande intaglio del Col des Aravis, una depressione che divide in due e in profondità l’intera catena.
Sulla Val d’Arly la Chaîne des Aravis precipita con falesie verticali e pendii ripidissimi; su La Clusaz, pur presentando grandi erosioni e avvallamenti, la pendenza diminuisce ma tutte le vallette che dividono le cime hanno la caratteristica di presentare un totale di una quindicina di conche sospese, localmente chiamate “combes”, combe che per la loro simmetria ed il loro allineamento con la regolare processione delle cime danno il carattere specifico alla Chaîne des Aravis, racchiuse come sono nel loro mondo di ghiaia sormontato da pareti verticali.
Ecco, da destra, la Tête Pelouse che affianca la Roche Perfia, che precede la Tête de Paccaly, che quasi si gemella con l’Ambrevetta. Ecco ancora la Grande-Forclaz, il Mont Fleuri, il Mont Charvet. Ancora più a sinistra, ecco la Pointe de Chombas, la Pointe des Vertes fino alla più alta ed elegante di tutte, la Pointe Percée.
Se ad osservare la catena ci si colloca di fronte, più o meno nella zona del Mont Lachat de Châtillon, le combe selvagge e solitarie individuano altrettanti pilastri rocciosi che, dalle vette aguzze e regolari, si affondano in serie fino a lambire gli ultimi e radi boschi. Pilastri che non sono in realtà verticali ma che, essendo osservati frontalmente e con le ombre giuste, assomigliano a colonne che puntano diritte verso il cielo.
L’ordinata successione di cime della Chaine des Aravis (da Q. 1840 m del M. Lachat de Chatillon). La più alta è la splendida Pointe Percée
Verso oriente le pareti precipitano verticali e calcaree, impressionanti, creando una grande muraglia scandita con regolarità da sette punte e sei colli. Sul lato opposto lo scenario è forse meno verticale ma assai più imponente e grandioso a causa dei grandi valloni e delle inverosimili e possenti creste che li separano. Li vedi da lontano come una regolare catena di grandi bastioni mentre il cartello turistico sulla strada ti indica il maggiore, la Pointe Percée. Più t’avvicini e più appaiono seghettati e solcati come se il gigantesco Gargantua nel tentativo di oltrepassarli, prima di riuscire ad aprirsi un varco sufficiente, oggi noto come Col des Aravis, avesse cercato il punto più debole menando fendenti a intervalli regolari per tutta la loro lunghezza. Ecco svelato il mistero della simmetria degli intagli.
I monaci della Chartreuse du Reposoir impiegarono per primi gli esperti fattori della zona di Friburgo: li chiamarono nel XII secolo per insegnare la fabbricazione del formaggio. Questi maestri furono per secoli depositari dell’arte e la bontà del locale reblochon si deve alla loro abilità, anche nella gestione quotidiana delle cooperative. Si dice che il reblochon fosse fatto con la seconda mungitura, fatta in segreto dopo che l’esattore del proprietario dei terreni aveva ritirato dal pastore l’ocière, l’obolo proporzionale alla quantità di latte prodotto. Infatti in savoiardo “rablacher” significa ingannare e “reblocher” rimungere.
Dopo aver visto una fotografia di questa splendida catena ambientata in situazione invernale, avevamo maturato l’idea di visitare gli Aravis con la neve e quindi di salirvi con gli sci.
È fuori di dubbio che il miglior panorama sugli Aravis sia a loro eccentrico. Quello che abbiamo individuato è geometricamente il punto più logico: ma il suo raggiungimento, con mezzi meccanici e strade, è così facile sia d’estate che d’inverno da consigliarci una visita più nel cuore di queste montagne, in una delle sue belle “combes” innevate, non solo per poter avere una documentazione più completa, ma per entrare più addentro allo spirito di una regione nuova.
Popi ed io siamo saliti dagli impianti della Tête des Annes nella comba del Refuge de Gramusset e da lì al Col des Verts, il cui pendio finale, molto ripido, è l’ostacolo finale per una visione indimenticabile sul Monte Bianco, come se l’esserci addentrati nel colonnato ci avesse portato a scorgere l’ultima colonna, quella più alta.
Salendo al Col des Verts, massiccio degli Aravis, Savoia, Francia
Il Tetto d’Europa, con i suoi 4807 m, non mostra soltanto l’immensità che appare a chi lo sale o a chi lo guarda da vicino. Percorrendo le valli e le montagne a lui prossime, e in special modo quelle della Savoia e dell’Alta Savoia, questo gigante è onnipresente e allarga la sua grandiosità sempre più lontano fino a portarci a pensare che non vi sia più angolo senza di lui.
Savoia ed Alta Savoia sono fatte di valli verdi di boschi e di pascoli, ai piedi di nevi e ghiacci perenni; assieme a mille altre montagne, a volte di bianco calcare e a volte di scuro gneiss, questi sono gli elementi di un paesaggio tra i più belli del mondo.
Ma il Monte Bianco è di certo l’elemento principe del paesaggio e ne costituisce la “magnitudo” estetica, senza però nulla togliere alla bellezza che luoghi e ambienti della Savoia posseggono comunque.
Non esiste montagna più priva di leggende del Monte Bianco, sia da parte francese che italiana: perché lassù era veramente il trono degli dei. Gnomi, fate, coboldi e giganti possono abitare solo più in basso, perché sono animazioni del nostro spirito. Ma se l’uomo non aveva mai messo piede sulle alte quote, nessuna animazione era necessaria.
Oggi semmai le disgrazie, le imprese e l’ardire delle costruzioni umane costituiscono il tessuto per le future leggende.
La sensazione che non vi fosse più angolo senza la presenza della montagna-re ha portato l’uomo primitivo a credere che il cielo si mantenesse in equilibrio sulla terra grazie a grandi colonne, le montagne appunto.
Il desiderio di capire e di spiegare i grandi fenomeni che gli si svolgevano attorno ha spinto l’uomo di un tempo a interpretare l’ambiente che lo circondava con la sua fantasia e i pochi dati oggettivi di cui disponeva.
Dal Col des Verts verso la pointe des Verts, il Mont Fleuri e la Tête Pelouse. Aravis, Savoia, Francia
L’egocentrismo (che poi l’uomo ha ancor più sviluppato), le grandi catastrofi, frane, forse terremoti gli hanno fatto pensare che il cielo potesse crollargli addosso. Solo l’essenza delle montagne era lì a puntellarlo, a garantire una sicurezza tanto aleatoria quanto dipendente dai capricci degli dei.
Così nacque l’idea che le montagne fossero le colonne del grande tempio del cielo, idea presente in ogni cultura e civiltà. Basti pensare all’Odissea, al Libro di Giobbe, ai Rigveda. I nomadi vedevano le montagne come il palo portante della loro tenda. Il libro arabo delle Mille Domande dice che le montagne sono i chiodi della terra. Per non parlare di Atlante, il gigante che in prossimità delle Colonne d’Ercole sosteneva a spalle la colonna che separa il Cielo dalla Terra e che in seguito fu trasformato lui stesso nella catena di montagne omonima. In Cina sono addirittura quattro, situate in quattro opposti punti cardinali, le montagne che reggono il mondo: basta una piccola oscillazione per avere lutti, tragedie o nuove creazioni.
Queste considerazioni arricchiscono il panorama, che non è mai soltanto una veduta sulle cime e sulle valli. Una visione non ha limiti, spazia nel tempo, nei ricordi, nei misteri: una visione indaga, considera, annuisce alle percezioni della nostra ignoranza. Le forme, sempre diverse, sempre nuove e cangianti, sono gli infiniti modi con i quali i contenuti della visione ci si propongono.
Ci saranno dei tedeschi, o degli italiani, che, sollecitati dalla bellezza delle colonne del cielo della Chaîne des Aravis e dalla presente e inadeguata descrizione, andranno così lontano dalle loro visioni più familiari per indagare, scoprire, recepire?
postato il 1° settembre 2014
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anche per il grande alpinista cattolico Armando Aste le montagne sono i “Pilastri del Cielo” come il titolo del suo primo libro.