Le cose sono solo relazioni

Le cose sono solo relazioni
di Carlo Rovelli
(pubblicato su ariannaeditrice.it l’11 dicembre 2017, fonte Corriere della Sera)

Capita poche volte di incontrare un libro capace di influenzare nettamente il nostro modo di pensare. Ancora più raramente di incontrarne uno di cui non sapevamo nulla. Mi è capitato. Non è un testo sconosciuto: al contrario è famosissimo, commentato da secoli da generazioni di studiosi, addirittura venerato. Io non lo conoscevo, e penso che molti dei miei connazionali italiani, come me, non lo conoscano. L’autore si chiama Nagarjuna.

È un breve e asciutto testo filosofico scritto 18 secoli fa in India e divenuto classico di riferimento della filosofia buddhista. Il titolo è una di quelle interminabili parole indiane, Mulamadhyamakakarika, reso in vari modi, per esempio I versi fondamentali del cammino di mezzo. L’ho letto nella traduzione inglese di un filosofo, Jay Garfield, accompagnata da un ottimo commento che aiuta a penetrarne il linguaggio. Garfield conosce a fondo la tradizione orientale, ma viene dalla filosofia analitica anglosassone, e presenta le idee di Nagarjuna con la chiarezza e la concretezza che caratterizzano questa scuola, mettendole in relazione con il pensiero occidentale.
Non sono capitato su questo libro per caso. Persone disparate mi chiedevano: «Hai letto Nagarjuna?», soprattutto a seguito di discussioni sulla meccanica quantistica, o altri argomenti di fondamenti della fisica. Io non ho mai guardato con simpatia ai tentativi di legare scienza moderna e pensiero orientale antico: mi sono sempre sembrati tirati per i capelli, riduttivi da entrambi i lati. Ma all’ennesimo: «Hai letto Nagarjuna?», ho deciso di farlo, ed è stata una scoperta stupefacente.
Il pensiero di Nagarjuna è centrato sull’idea che nulla abbia esistenza in sé. Tutto esiste solo in dipendenza da qualcosa d’altro, in relazione a qualcosa d’altro. Il termine usato da Nagarjuna per descrivere questa mancanza di essenza propria è «vacuità» (sunyata): le cose sono «vuote» nel senso che non hanno realtà autonoma, esistono grazie a, in funzione di, rispetto a, dalla prospettiva di, qualcosa d’altro.
Se guardo un cielo nuvoloso — per fare un esempio ingenuo — posso vedervi un castello e un drago. Esistono veramente là nel cielo un drago e un castello? No, ovviamente: nascono dall’incontro fra l’apparenza delle nubi e sensazioni e pensieri nella mia testa, di per sé sono entità vuote, non ci sono. Fin qui è facile. Ma Nagarjuna suggerisce che anche le nubi, il cielo, le sensazioni, i pensieri, e la mia testa stessa, siano egualmente null’altro che cose che nascono dall’incontro fra altre cose: entità vuote.
E io che vedo una stella? Esisto? No, neppure io. Chi vede la stella allora? Nessuno, dice Nagarjuna. Vedere la stella è una componente di quell’insieme che convenzionalmente chiamo il mio essere io. «Quello che esprime il linguaggio non esiste. Il cerchio dei pensieri non esiste» (XVIII, 7). Non c’è nessuna essenza ultima o misteriosa da comprendere, che sia l’essenza vera del nostro essere. «Io» non è altro che l’insieme vasto e interconnesso dei fenomeni che lo costituiscono, ciascuno dipendente da qualcosa d’altro. Secoli di concentrazione occidentale sul soggetto svaniscono nell’aria come brina la mattina.
Nagarjuna distingue due livelli, come fanno tanta filosofia e scienza: la realtà convenzionale, apparente, con i suoi aspetti illusori o prospettici, e la realtà ultima. Ma porta questa distinzione in una direzione sorprendente: la realtà ultima, l’essenza, è assenza, vacuità. Non c’è. Ogni metafisica cerca una sostanza prima, un’essenza da cui tutto il resto possa dipendere: il punto di partenza può essere la materia, Dio, lo spirito, le forme platoniche, il soggetto, i momenti elementari di coscienza, energia, esperienza, linguaggio, circoli ermeneutici o quant’altro. Nagarjuna suggerisce che semplicemente la sostanza ultima… non c’è.
Ci sono intuizioni più o meno simili nella filosofia occidentale che vanno da Eraclito alla contemporanea metafisica delle relazioni, toccando Nietzsche, Whitehead, Heidegger, Nancy, Putnam… Ma quella di Nagarjuna è una prospettiva radicalmente relazionale. L’esistenza convenzionale quotidiana non è negata, è affermata in tutta la sua complessità, con i suoi livelli e sfaccettature. Può essere studiata, esplorata, analizzata, ma non ha senso cercarne il sostrato ultimo.
L’illusorietà del mondo, il Samsara, è tema generale del buddhismo; riconoscerla è raggiungere il Nirvana, la liberazione e la beatitudine. Ma per Nagarjuna Samsara e Nirvana sono la stessa cosa: entrambi vuoti. Non esistenti.
Allora l’unica realtà è la vacuità? È questa la realtà ultima? No, scrive Nagarjuna, ogni prospettiva esiste solo in dipendenza da altro, non è mai realtà ultima, compresa la prospettiva di Nagarjuna: anche la vacuità è vuota di essenza: è convenzionale. Nessuna metafisica sopravvive. La vacuità è vuota.
Non prendete alla lettera questo mio impacciato tentativo di sintetizzare Nagarjuna. Ci mancherebbe. Ma da parte mia ho trovato questa prospettiva straordinaria e sorprendentemente efficace, e continuo a ripensarci.
In primo luogo perché aiuta a dare forma ai tentativi di pensare coerentemente la meccanica quantistica, dove gli oggetti sembrano misteriosamente esistere solo influenzando altri oggetti. Nagarjuna non sapeva nulla di quanti, ovviamente, ma nulla vieta che la sua filosofia possa offrire pinze utili per fare ordine in scoperte moderne. La meccanica quantistica non quadra con un realismo ingenuo, materialista o altro; ancora meno con ogni forma di idealismo. Come comprenderla? Nagarjuna offre uno strumento: si può pensare l’interdipendenza senza essenze autonome. Anzi l’interdipendenza — questo è il suo argomentare chiave — richiede di dimenticare essenze autonome. La fisica moderna pullula di nozioni relazionali, non solo nei quanti: la velocità di un oggetto non esiste in sé, esiste solo rispetto a un altro oggetto; un campo in sé non è elettrico o magnetico, lo è solo rispetto ad altro, e così via. La lunga ricerca della «sostanza ultima» della fisica è naufragata nella complessità relazionale della teoria quantistica dei campi e della relatività generale… Forse un antico pensatore indiano ci offre qualche strumento concettuale in più per districarci… È sempre dagli altri che si impara, dal diverso; e nonostante millenni di dialogo ininterrotto, Oriente e Occidente hanno ancora cose da dirsi. Come nei migliori matrimoni.
Ma il fascino di questo pensiero va al di là dei problemi della fisica moderna. La prospettiva di Nagarjuna ha qualcosa di vertiginoso. Sembra risuonare con il meglio di tanta filosofia occidentale, classica e recente. Con lo scetticismo radicale di Hume, con la dissoluzione delle domande mal poste di Wittgenstein. Nagarjuna non cade nelle trappole in cui si impiglia tanta filosofia postulando punti di partenza che finiscono sempre per rivelarsi a lungo andare insoddisfacenti. Parla della realtà e della sua complessità, schermandoci dalla trappola concettuale di volerne trovare il fondamento. È un linguaggio vicino all’anti-fondazionalismo contemporaneo. La sua non è stravaganza metafisica: è semplicemente sobrietà. E nutre un atteggiamento etico profondamente rasserenante: è comprendere che non esistiamo che ci può liberare dall’attaccamento e dalla sofferenza; è proprio per la sua impermanenza, per l’assenza di ogni assoluto, che la vita ha senso.
Questo è il Nagarjuna filtrato da Garfield. Esistono interpretazioni diverse del testo, commentato da secoli. Oggi se ne discutono di kantiane, pragmatiste, neoplatoniche, misticheggianti, zen… La molteplicità di possibili letture non è una debolezza del libro. Al contrario, è la testimonianza della vitalità e della capacità di parlare che può avere uno straordinario testo antico. Quello che davvero ci interessa non è cosa effettivamente pensasse il priore di un monastero nel Sud dell’India di quasi due millenni or sono — quelli sono affari suoi; ciò che ci interessa è la forza di idee che emana oggi dalle righe che lui ha scritto, e quanto queste, intersecandosi con la nostra cultura e il nostro sapere, possano aprirci spazi di pensieri nuovi. Perché questa è la cultura: un dialogo interminabile che ci arricchisce continuando a nutrirsi di esperienze, sapere e soprattutto scambi.

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Le cose sono solo relazioni ultima modifica: 2022-11-08T04:37:00+01:00 da GognaBlog

24 pensieri su “Le cose sono solo relazioni”

  1. Pellegrini, grazie per il vivo e pregno commento.
    Ammetto avermi stupito un tale livore, è la prima volta che nomino (pressoché di striscio) la fisica quantistica ma da come rispondi sembra che io sia un oscurantista di lungo periodo. Credo che tu covassi da tempo una profonda acredine verso una certa porzione di umanità, ignorante ed inetta a tuo giudizio, e che le mie due righe abbiano scoperchiato il pentolone ribollente legittimandoti nell’intervento epidittico. Ma va bene, siamo qui appunto per fare uscire argomenti e confrontarci.
    No, non ho letto nessuno dei nomi che enciclopedicamente citi, abbi pazienza ma nella vita ognuno ha il proprio indirizzo ed i propri doveri,i miei portano alquanto lontano dalla fisica teorica per quanto mi affascini e cerchi di spolverarmi con qualche nozione. Da qui il richiamo alla quantistica, che citata nell’articolo mi sembrava ben richiamare il motore stesso della scienza, che è il dubbio. Dote che sembra sempre essere sempre meno presente nel mondo scientifico, quantomeno in quello che si palesa alla platea dei non addetti ai lavori. Come giustamente dici, “la fisica quantistica ha aggiunto un importante tassello metodologico alla fisica, lasciando dietro di sé più problemi irrisolti che spiegati”. Mettila come vuoi, ma un metodo che invece di trovare risposte accumula domande qualche problema ce l’ha. È certo di grande valore, le domande spesso valgono più delle risposte, ma se l’intenzione è comprendere dei fenomeni sono le risposte che servono. Ad oggi mi pare che la faccenda quantistica venga risolta in termini probabilistici (la stocastica che dicevi?). Quindi, senza prenderci per il naso, nessuna risposta.
    Il metodo usato non dà le risposte cercate, quindi non è adatto. Quindi la scienza per come la utilizziamo ha trovato il proprio limite nella spiegazione dei fenomeni (che è lo scopo della scienza, o sbaglio?). Da qui lo “sconquasso”. Citami studi ed autori, ma la sostanza è che la quantistica ha inceppato l’approccio scientifico che in altri ambiti ha sempre funzionato. È un male? No, assolutamente. Può essere la riscoperta della necessità di una metodologia olistica, che faccia scendere dalla cattedra quella consistente porzione di uomini di scienza arroccati su certezze costruite su di una disciplina il cui respiro vitale è il dubbio. Può essere la fine di un autoreferenzialismo esasperato che esclude senza riserve. Sarebbe il modo per ridare umiltà alla scienza, dote quanto mai importante per adempiere alla sua vocazione di strumento per l’umanità, e non leva per profitti di finanziatori privati da cui dipende sempre più, ma questa è un’altra storia. Anzi, è proprio questa la storia, nascosta per chi non la vuole vedere, da cui è partita questa discussione. Bohm e Schrödinger sono state solo comparse. Non me ne abbiano.
     

  2. Leggo al commento 8:

    La matematica non è la lingua dell’universo, il suo è un alfabeto incompleto. Lo dice la spiritualità…

    Ma questo lo sa persino un ignorantone come il sottoscritto, senza scomodare la fisica quantistica, né la spiritualità.
    Anzi, io ero convinto che lo dicesse la matematica stessa…

  3. Giudizio morale. Ho capito.
    Io mi fermo qui, coi boiler nazisti non ho nulla da spartire, caro il mio bergführer.

  4. Orpola. Argomentazione efferata! La fisica, non la scienza. A te non la si fa!
    Boiler.

  5. Merlo, a parte il tuo fastidioso e spocchioso modo di relazionarti, che in genere tiri fuori quando non sai che dire, la fisica è limite. E’ scritto sui muri. Lo sanno tutti i fisici. E’ una cosa talmente ovvia, che forse solo tu non lo sai.
    Per vedere oltre il confine, io mi arrangio da me. Anche perchè tu non hai nulla da insegnare, nè comunicarmi.
    Vedi, il boiler fa lo stesso rumore, come la gallina che ripete il suo verso (cit). In fisica, rumore bianco.

  6. Senza vedere il limite della scienza non si può cogliere che c’è oltre il confine.
    Oscar scientista.

  7. Luci, ma perchè ci si ostina ad avere visioni così dicotomiche della scienza? Solo per seguire i propri bias cognitivi?
    Se non avesse fretta, e soprattutto con un po’ di onestà intellettuale, scoprirebbe una ricchezza di “pensiero filosofico” tra i fisici di sempre da procurare, questo sì, vertigine.
    Perchè pensare sempre di applicare il proprio metodo cognitivo anche laddove è scorretto?
    I fisici si occupano di fisica, che è una scienza basata su metodo cognitivo, non una risposta a tutto. Solo i babbei pensano che la fisica sia il mondo reale. Un metodo con cui poter dialogare e trasmettere esperienza condivisa, su un linguaggio rigoroso ma amplissimo.
    Perchè questo accanimento a voler dividere, in fazioni, anche la fisica, di qui i classici, di là i quantistici? Io non mi arrenderò mai a leggere questa idiozia culturale.
    Ho più volte scritto di dare uno sguardo ampio alle ipotesi della fisica quantistica, a chi scrive cosa. Scoprirebbe, Luci, delle cose incredibili. La fisica quantistica non è la scuola di Copenaghen, la fisica quantistica è una quantità sbalorditiva di ipotesi fatte con formalismi algebrici differenti, per cercare di capire e spiegare, non per risolvere.
    Ma quante volte lo dovrò ripetere che tra i migliori fisici dei quanti ci stava anche Bohm? Ma perchè non ci si documenta? Forse perchè i libri di Bohm sono scritti in formalismi a lei ignoti?
    Ma lei sa, senza tirare in ballo quel ruffiano di Rovelli (che ha scoperto che stare in tv è più soddisfacente per il proprio ego, e veleggia dritto, Rovelli, verso lo stato quantico di Zichichi…) di quali letture si nutriva Bohm, e molti altri fisici di quel periodo?
    Lei sa che il limite della velocità della luce einstaniano è una cosa che fa star male tantissimi fisici, che non capiscono e non riescono a spiegare alcuni fenomeni, tra l’altro già ipotizzati nella volgarissima fisica classica, quella meccanicista? Ha idea, Luci, di cosa possa significare nel gergo che lei ama, ovvero quello  “filosofico-spirituale”, il concetto di superluminalità?
    Lei, Luci, conosce il fisico Edward Lorenz? Sa di cosa si è occupato il nostro Parisi, premio nobel 2021? Sa chi è Benzi? Sa in quale branca della fisica cercano di dare il loro contributo? Le do un aiuto: si occupano Benzi, ed anche Parisi, di risonanza stocastica. Dove la mettiamo, Luci, la risonanza stocastica? Meccanicismo bieco, quanti, supercazzole?
    Sa lei, Luci, cosa è il caos classico? Lo sa quanta filosofia spiccia e di qualità si è fatta sul “battito d’ali?” Sa cosa è il battito d’ali? E’ questo:
    x’=Sy-Sxy’=-xz+Rx-yz’=xy-Bz
    E’ un sistema di equazioni differenziali non lineari. Pensi che, rispetto al formalismo quantistico, questa è una bazzecola.
    Sono stufo, Luci, di sentire cose come “la fisica quantistica ha sconquassato la scienza”. Me lo permetta: è unan cagata pazzesca. La fisica quantistica è scienza, non ha sconquassato niente. Ha aggiunto, con un formalismo algebrico complessissimo, un importante tassello metodologico alla fisica, lasciando dietro di sè più problemi irrisolti che spiegati. Se proprio vuole, il vero sconquassamento culturale lo ha dato Galileo, codificando il metodo su cui si basa la meccanica dei quanti, un metodo conoscitivo questo sì sbalorditivo, il metodo scientifico.I fisici il metodo scientifico lo applicano in fisica, per confrontarsi. Quando fanno altro, usano i metodi conoscitivi che preferiscono, esprimendo liberamente il loro pensiero, filosofico.
    E’ così impellente (forse per chetare il proprio ego) voler mischiare pere con abeti, posto il fatto che pere ed abeti hanno assolutamente pari dignità di esistenza, senza bisogno di classifiche urticanti e ridicole?
    Si legga Bohm, Luci. Se lo legga con calma. Le opere di fisica, e le opere di pensiero. Poi ne riparliamo. Magari tanto che c’è, una occhiata ai solitoni, la dia. E poi torni alla intrasmissibilità esperienziale. A me va benissimo. Ci mancherebbe. 
    A Merlo non lo dico, perchè è come parlare con un boiler: emette sempre lo stesso suono.

  8. Beh, non è che posso mettermi qui a fare un trattato sulle funzioni d’onda, gli spazi di Hilbert o la delta di Dirac…
    Ho cercato di esprimermi in un modo che anche tu potessi capire.
    Se ne è uscito un compitino, chiedo venia.

  9. Ma la meccanica quantistica E’ matematica (o, meglio, le sue varie formulazioni equivalenti si basano sulla matematica).
    Ci si può trovare anche della spiritualità – se così piace – ma, come tutte le teorie scientifiche, essa non può sottrarsi nè alle verifiche sperimentali (i dati) nè alla possibilità di confutarla (in altre parole: è tutt’altro che definitiva).
    Ha, inoltre, un contesto di applicazione definito. Utilizzarla al di fuori di esso e su qualunque cosa porta spesso a risultati esilaranti.

  10. Bello Corrado.
    Forse la matematica, quando sarà in grado di esprimere, oltre all’ordinario, meccanicistico, causa/effetto, anche la concezione del mondo sintetizzabile nel concetto di sincronicità, e in quella della verità non-aristotelica, anche i ditisti dovranno piegare il capo, visto che quanto già detto da millenni non gli basta.

  11. “ma non ne comprendo il senso in questo contesto”E’ normale Balsamo, e come te molti altri.La fisica quantistica ha sconquassato la scienza, soprattutto per come sino ad allora la si era intesa: numerabile, contabile, replicabile, riducibile.La matematica non è la lingua dell’universo, il suo è un alfabeto incompleto. Lo dice la spiritualità che oggi tanto si aborrisce, ma fortunatamente, nella vertigine quantistica, lo dice anche la scienza che tanto si venera.

  12. Dunque niente esplicitazione.
    Vabbè, me ne farò una ragione.
     
    Ma non eri “pressoché inoffendibile” ? 🙂

  13. Non ci penso proprio: “Scioccante eccesso di mortalità in Europa quest’estate in una sola settimana ?Interessante.Ovviamente il cambiamento climatico non c’entra nulla, dato che non esiste.Dev’esserci quindi una causa diversa dalle intense ondate di calore immaginarie registrate quest’estate.Dunque, cosa ?Aspettiamo con ansia che il prossimo articolo de “Il Paragone” ci porti la luce.”
    Offensivo.

  14. Merlo, ti ringrazio per la citazione ma non ne comprendo il senso in questo contesto.
    Se tu volessi esplicitare (possibilmente astenendoti, per una volta, da insulto e dileggio 🙂 ) faresti cosa gradita.

  15. Rovelli: è stato un’illuminazione per un letterato umanista come me, ignorante totale di fisica. Ne consiglio la lettura a tutti i non iniziati, il pezzo su Nagarjuna è parte dii uno dei suoi libri rivolti a quelli come me

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