L’epopea dello sci in valle Susa
(dal pionierismo all’era dello sci ripido)
di Enzo Cardonatti
(pubblicato su tracceffimere.altervista.org il 4 giugno 2014)
Le valli Sangone e Susa rappresentano nel bene e nel male la storia e lo sviluppo dello sci sulle Alpi italiane.
Non ho il tempo per tracciare il percorso storico che ha visto l’evoluzione dello sci da attrezzo di sopravvivenza e caccia ad attrezzo per l’esplorazione e la salita invernale delle montagne, ma non è certo un caso che Marcel Kurz abbia intitolato il suo libro Alpinismo invernale affermando e definendo fin dalla fine dell’Ottocento lo scialpinismo come evoluzione di quell’alpinismo invernale che aveva avuto nel decennio 1880/1890 il suo massimo sviluppo.
Adolfo Kind, ingegnere svizzero, acquista il primo paio di sci e lo fa arrivare a Torino, dove era residente, nel 1896.
Dopo le prime sperimentazioni al parco del Valentino e sulle colline torinesi, la pratica dello sci si sposta tra la valle Sangone, la valle di Susa e le valli di Lanzo.
La fase pionieristica dello sci in Italia compie, con la traversata da Borgone (bassa valle di Susa) a Giaveno in valle Sangone il 24 gennaio 1887, una delle prime fondamentali tappe, con la diretta partecipazione del Tenente Roiti che valutò da subito il possibile utilizzo dello sci per le truppe alpine. Altre importanti tappe furono le uscite al Cugno dell’Alpet, sopra Giaveno, nel gennaio 1889, dove si sperimentarono meglio la tecnica di discesa e gli attacchi per unire lo sci agli scarponi.
Ma il rapporto tra la valle di Susa e lo sci non si limita ai tempi pionieristici, la conformazione geografica della bassa e della alta valle sono una vera miniera per lo sviluppo di questa disciplina. La vicinanza e le comunicazioni stradali e ferroviarie con Torino facilitano gli spostamenti della ricca borghesia torinese affascinata dalle scivolate lievi, ma non prive di rovinosi capitomboli, che questi nuovi attrezzi permettono. Anche i militari ne comprendono l’utilità, orientata ai fini bellici e proprio in alta valle Susa si svolge nell’inverno 1901/1902 il primo corso di istruzione a Cesana e Clavière e paradossalmente proprio questi paesi beneficiarono in quell’occasione del primo utilizzo a scopo sociale degli sci. Infatti vennero, grazie all’uso degli sci, ripristinati i collegamenti tra i due paesi e garantito il rifornimento di viveri e lo smistamento della posta.
Ma dai primi del novecento la valle di Susa inizia ad avere un ruolo sempre più importante nello sviluppo dello sci in Italia, non solo da un punto di vista di vista esplorativo e militare, ma anche sportivo.
Sull’asse tra Torino (con il primo ski club nel 1901 fondato da Adolfo Kind) e alta valle di Susa, grazie al nucleo sociale benestante e culturalmente attivo della città, nascono le prime competizioni di salto a Bardonecchia nel febbraio 1909, per le quali viene appositamente costruito il primo grande trampolino. La vocazione sportiva e ludica di questo tipo di cultura contribuirà a far nascere le prime località turistiche invernali, la cui primogenitura va proprio a Oulx in alta valle Susa. Nasce il grande equivoco dello svago in plein air, dignitoso e utile per lo spirito ed il corpo, turisticamente appetibile e moralmente giustificabile. Purtroppo in questa prima fase, coincidente in parte con il ventennio fascista, il CAI ne promosse lo sviluppo.
Di questo tipo di sviluppo non tratterò essendo agli antipodi dei principi che ispirano e animano il nostro sodalizio, le ricadute di tipo etico ed ecologico sono purtroppo sotto i nostri occhi e i recenti giochi olimpici invernali di Torino 2006 con i deleteri effetti sull’ambiente montano e l’uso diffuso dell’eliski in alta valle di Susa ne sono le conseguenze recenti.
Lo sci alpinismo nelle sue principali componenti (etica della salita ed estetica della discesa) trova nelle valli Sangone e Susa il terreno ideale per esprimersi, le valli principali e laterali vengono esplorate e gli itinerari evidenti diventano da subito delle grandi classiche, sia nel periodo invernale grazie alle fasce boschive che si spingono fino a quote oltre i 2000 metri, sia nel periodo primaverile, con cime che superano i 3000 metri con pendii adatti allo sci.
Si può affermare che queste nostre valli, con circa 180 itinerari classici di ogni tipo, dislivello e difficoltà, rappresentano il maggior comprensorio scialpinistico delle Alpi Occidentali; se consideriamo inoltre l’alta valle Maurienne che, con l’apertura del valico del Moncenisio ai primi di maggio, si offre come naturale dependance della valle di Susa con i suoi oltre 50 itinerari e che la proliferazione degli impianti di risalita impedisce l’accesso a numerosi altri itinerari, appare chiaro che l’affermazione di cui sopra non è dettata da spirito campanilistico, ma basata su dati di fatto ben oggettivi.
Anche la qualità degli itinerari è di assoluto livello, basti pensare che a soli 30 km da Torino troviamo, in bassa valle in condivisione con la valle di Viù, la Torretta del Prete 2180 m, con un itinerario per OS di ben 1122 metri di dislivello, ma anche la punta Sbaron 2223 m di altitudine con pendii adatti allo sci ed esposti in pieno sud-est e come non citare le splendide discese della valle Sangone, almeno una ventina: dal Cugno dell’Alpet, dove abbiamo visto che lo sci ha mosso i primi passi, alla Punta Loson, al monte Rocciavrè con i suoi 2778 m e 1553 metri di dislivello. Tornando in val di Susa e inoltrandoci nella valle, dominati dalla figura slanciata e maestosa del Rocciamelone, si aprono le valli laterali ognuna delle quali racchiude boschi, pendii e creste che disegnano linee di discesa semplici e divertenti o impegnative e complesse.
Un elenco arido delle cime, dei versanti e dei dislivelli non renderebbe sicuramente merito oltre a impegnare un tempo molto lungo di questa relazione, mi limito a citare alcune delle più importanti valli come quelle del Thuras e la valle Argentera nel comune di Cesana Torinese, la valle Stretta in quel di Bardonecchia, la zona di confine del valico del Moncenisio, quella del valico del Monginevro.
Ma la valle di Susa, ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi un grande laboratorio di scoperta ed esplorazione. Quando tutto sembrava ormai evidente e gli itinerari ben definiti, ecco che nel 1977 Stefano De Benedetti allora ventenne arriva in val di Susa e inizia il suo percorso di sciatore dell’estremo. In quell’anno scende la parete nord della Ramière, in valle Argentera, un itinerario relativamente facile e oggi molto ripetuto. Altre ne seguiranno: il canale nord-est dello Chaberton su Fenils, nel 1982, e alcune delle più belle e suggestive linee di sci della valle Susa, la parete ovest del Niblè 3365 m nel 1983 e la parete est dello Chaberton con Paolo Gualandi di Cesana Torinese nel 1984, linee che rappresentano il laboratorio di quella che Stefano definirà come la parete che non c’è: la ricerca delle condizioni per scendere pareti all’apparenza non sciabili, ma che con le giuste condizioni e con l’occhio del visionario si prestano per pochi giorni all’anno ad essere percorse con gli sci. Le discese di De Benedetti non restarono un fatto isolato, ma soprattutto aprirono la strada a quella che sarà una vera e propria riscoperta dello sci in valle. Nello spirito sano di questa disciplina: etica ed estetica, esplorazione e condivisione, le pareti vengono viste con occhi nuovi, alcuni visionari dello sci come Federico Negri, Ugo Pognante e Marco Pitet tracciano linee da sempre sotto gli occhi di tutti, a volte poste a poca distanza dalle gabbie dei criceti degli impianti sciistici. La rivincita della creatività sulla mediocrità, della ricerca sullo sport.
Nessuna valle viene risparmiata dal nuovo mattino dello sci, non è importante la difficoltà ma l’estetica della linea, nel decennio 1980/1990, cento anni dopo la nascita dell’alpinismo invernale, vengono percorsi circa 40 nuovi itinerari. Lo sci alpinismo in valle Susa si fa ripido, ma ritorna soprattutto a essere esplorazione.
Ecco allora discese come la parete ovest del Roc del Boucher in valle Thuras, la parete est delle Rocce della Suer sopra Bardonecchia, il versante sud dello Chaberton a picco su Clavière, il canale della parete est della Punta Baldassarre nel vallone della Rho, la parete est della Punta Melchiorre sempre nel vallone della Rho, il versante sud-ovest della Punta Roncia dal valico del Moncenisio, tanto per evidenziarne alcune.
Anche la montagna simbolo di questa valle, il Rocciamelone, che si affaccia con la splendida parete sud-est direttamente sopra Susa e con la più ostica e oscura parete ovest sull’abitato di Novalesa, ha stimolato la fantasia degli sciatori alpinisti più evoluti. Prima la parete ovest nel 1992 e poi la sud-est nel 1993 vengono scese da Guido Vellano per poi diventare, la Sud-est, una grande classica dello sci alpinismo. La suggestione della partenza dalla vetta ai piedi della statua della Madonna del Rocciamelone, le prime curve ripide, strette ed esposte sulla valle e poi il largo pendio che porta con una sciata continua e sostenuta fino alla base delle parete 700 metri più in basso, rappresentano la linea ideale che unisce la più alta vetta della valle con la sua città simbolo Susa.
Queste valli rappresentano quindi non solo un grande bacino di itinerari, ma sono ancora oggi uno dei laboratori più prolifici per la nuova generazione di sci alpinisti. Il nostro compito è di trasmettere con l’azione, con le opere letterarie e le guide di itinerari, con la presenza nei convegni, nei dibattiti e in tutti i luoghi dove si produce comunicazione, lo spirito della ricerca e del rispetto dei valori etici e storici dello sci e dell’alpinismo. Quello che io definisco il nuovo mattino dello sci ha rilanciato una volontà di ricerca al di sopra di ogni concetto sportivo ed agonistico, nello spirito dei principi del nostro sodalizio. Molti giovani lo hanno raccolto e perseguito e proprio in questa stagione due giovanissimi ragazzi torinesi classe ‘92 hanno salito e poi sceso con gli sci un canale sul versante ovest dei Rochers Charniers al confine tra Francia e Italia in zona Monginevro e lo hanno chiamato il Canale dei Bocia.
Una discesa evidente, ma mai percorsa prima, in una zona martoriata dagli impianti sciistici, una discesa che ben rappresenta la vittoria della creatività e della ricerca sull’egoistico concetto di montagna mordi e fuggi, dove non si lascia nulla, ma solo si prende e si sfrutta.
Questa valle, martoriata dal “progresso” continua a dimostrare che il vero sci è quello degli spazi intonsi, della fatica, ma anche del piacere della salita, quello dell’estetica ebrezza della discesa, facile o vertiginosa che sia, continuando ad offrire, a chi ha occhi per vedere, l’opportunità di lasciare la propria traccia su questi splendidi pendii innevati.
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