L’estate in montagna senza rifugi

L’estate in montagna senza rifugi
di Giampaolo Visetti
(pubblicato su repubblica.it il 18 aprile 2020)

In montagna sarà un’estate mai vista: temo la prima, dopo la fine della seconda guerra mondiale, con i rifugi d’alta quota chiusi“. Antonio Montani, vicepresidente del Club Alpino Italiano e responsabile dei rifugi, lancia l’allarme. “Escursionisti e alpinisti – dice – dovranno adattarsi programmando gite di un giorno, oppure organizzandosi con tende, sacchi a pelo e cibo negli zaini. Sarà più impegnativo, sotto il profilo fisico e tecnico: l’emergenza però ci aiuterà a riflettere su un modello di tempo libero che in molti casi si era spinto oltre il limite“.
Certificare la negatività al coronavirus e garantire la sicurezza sanitaria di chi andrà in montagna, a certe quote, è impossibile. Per questo rifugi, bivacchi e punti tappa, dal 20 giugno 2020, la notte non potranno aprire come prima. Senza queste strutture di presidio e soccorso, camminare e arrampicare sarà però più pericoloso. “È il momento – dice Luca Calzolari, membro del Soccorso alpino e direttore del mensile Montagne360di aprire una riflessione più larga e più profonda sul modo di frequentare l’alta quota. L’occasione per un recupero di essenzialità e semplicità non va sprecata“. 

Rifugio Città di Fiume al Pelmo

Il CAI gestisce 373 rifugi in tutto il Paese. Le strutture salgono a 715 con bivacchi e punti tappa di escursioni a bassa quota. I posti letto totali sono 18.568, oltre 35 mila se si aggiungono quelli in rifugi privati: il coronavirus minaccia la sopravvivenza di oltre 5 mila famiglie di gestori, soccorritori e guide alpine, storici custodi delle terre alte. “Alle condizioni attuali – dice Mario Fiorentini, cadorino, gestore del rifugio Città di Fiume al Pelmo e presidente dell’associazione che in Veneto riunisce sessanta strutture – illudersi di una normale estate in montagna non ha senso. Ammesso che frequentarla sia possibile, il contagio imporrà regole nuove. I rifugi non sono alberghi, ma luoghi di condivisione. Si dorme in camerate comuni, i bagni sono collettivi, le cucine sono piccole, i pasti vengono consumati su tavolate uniche: l’opposto del distanziamento sociale. Si potrebbe aprire almeno come punti ristoro. Nelle giornate di bel tempo i pasti potrebbero essere consumati all’esterno. Faremo ogni sforzo, pur di assicurare un riferimento a chi sale nelle Dolomiti“.

Tra i gestori, su Alpi e Appennino, fragili speranze e una solida preoccupazione. Molti non potranno pagare gli affitti: se lo faranno, non sapranno come mantenere la famiglia. I rifugi però si trovano in luoghi estremi. Hanno bisogno di presenza e manutenzione costanti. “Abbiamo attivato un fondo per i gestori in difficoltà – dice Montani – ma non basta. Se si perde la stagione, serve l’intervento del governo per finanziare i rifugi che garantiranno comunque presenza, ospitalità e soccorso in casi d’emergenza. Migliaia di escursionisti ogni anno si salvano grazie all’aiuto dei gestori, solo grazie a loro i sentieri restano aperti“. La risposta è già commovente. Telefonano alla sede centrale del CAI e dicono: “Noi, in ogni caso, ci saremo”. 

Rifugio Mandrone (Città di Trento) all’Adamello

I rifugi hanno una lunga storia, le famiglie sono lì per passione. Sono loro a dare l’allarme in caso di incidente, spesso a recuperare e a offrire un ricovero. “Impensabile in Europa – dice il re degli Ottomila Reinhold Messneruna montagna aperta al turismo di massa, ma priva di strutture e di persone per le emergenze come in Himalaya. Le situazioni poi non sono tutte uguali. Ci sono rifugi a bassa quota, raggiungibili su strada e simili a hotel. Ci sono quelli in alto, basi per le ascese alle vette. Per i primi si possono immaginare prenotazioni obbligatorie e servizio esterno. Per i secondi no, anche perché gli alpinisti sono soprattutto stranieri. Un gestore non può chiedere i documenti ai clienti. Non sa da quale nazione, o da quale regione, provengono. In origine i rifugi erano base di partenza, ora sono punto d’arrivo e ogni luogo ha condizioni sanitarie differenti: non si può controllare chi scende dalla stessa automobile all’attacco del sentiero“.
Con un servizio di livello sempre più alto, anche nella cucina, aprire solo in parte non è però economicamente sostenibile. Per questo anche in montagna si profila “un’estate di guerra”. “Rinunciare a certe esagerazioni – dice Carlo Gallazzini, storico gestore del rifugio Mandrone sull’Adamello, fra Trentino e Lombardia – ci farà bene. Partire con tutto l’occorrente sulle spalle, specie per chi attraversa i ghiacciai, sarà però una sfida fisica. Serviranno più responsabilità e valutazioni attente, anche per non mettere in pericolo i soccorritori in caso di imprevisti. Per economia e società invece sarà un tracollo: come nella prima guerra mondiale, qui si torna a resistere su un fronte che minaccia di cedere“. 

Capanna Margherita sulla Punta Gnifetti del Monte Rosa

Il turismo per la montagna vale l’80% del reddito. L’Italia è montuosa per il 46%. Con rifugi e impianti chiusi, le località alpine rischiano il crack. Vietata, fino ad oggi, anche la manutenzione dei sentieri. Le piccole botteghe, gli alberghi famigliari e i contadini che vendono i propri prodotti, sono a un passo dal fallimento. “Partendo dai rifugi – dice Giuliano Masoni, gestore della Capanna Margherita, a 4554 metri di quota sul Monte Rosa, il rifugio più alto d’Europa – va aperto subito un confronto politico sul futuro della montagna italiana. Mai come oggi la gente ha bisogno di uscire, di muoversi e di respirare aria pulita. Dobbiamo porre le condizioni per renderlo possibile e sicuro. Se lavoriamo seriamente, si può: specie in alta quota, riducendo i posti letto, con prenotazioni e sanificazione. Qui si viene per un letto, non per mangiare. I medici hanno rivoluzionato gli ospedali: noi, per vivere e garantire la sicurezza, siamo pronti a rivoluzionare i rifugi. Mandare via la gente in difficoltà non è un’opzione“.
CoViD-19 così non risparmia boschi e rocce. “Le Alpi e l’alpinismo – dice Messner – tornano alle origini di due secoli fa. La natura con la solitudine respira, ma non abbandonare le terre alte oggi è un dovere per evitare uno spopolamento definitivo. Altrimenti le prossime estati in montagna sorgeranno sul deserto“.

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L’estate in montagna senza rifugi ultima modifica: 2020-04-21T04:15:00+02:00 da Totem&Tabù

4 pensieri su “L’estate in montagna senza rifugi”

  1. Questa estate in montagna. 
    È un problema molto sfaccettato e sotto molteplici punti di vista. Credo che mai come quest’anno gestori, guide, soccorso alpino, associazioni di ogni genere, per non parlare di chi in alta montagna vive e lavora, si troveranno a gestire così tanti problemi. Da quello di un diffuso è profondo intaccamento delle attività economiche, a quello di una Natura che avrà ripreso il sopravvento senza la mediazione dell’uomo. Aspetto, quest’ultimo, che se da un lato accende in noi pensieri romantici, può rivelarsi davvero problematico per chi vive lì. A ciò si aggiungeranno immancabili scapestrati senza esperienza (o anche muniti di quella) alla ricerca di spazio e isolamento, senza sapere cosa comporti. Ad esempio, per me che da quarant’anni bivacco in Natura, anche ad alta quota, leggere sui social o sulla stampa che ci si prepara a usare la tenda, vengono i brividi… Per prima cosa esistono norme e regolamenti variegati addirittura per Comuni, cosa che comporterà situazioni simili a quelle viste in questi giorni in città, con multe, controlli, ecc. Per non parlare di rischi (anche molto alti se non si ha esperienza per capire dove metterla sta tenda) e degrado ambientale, se manca sensibilità e disciplina. 
    Spero lascino perdere le patinate immagini della tv, non sopravvalutino il loro allenamento da palestra o da runner, non inseguono pensieri romantici. La Natura che trovernon sarà l’amica ritrovata e dolce, ma un ambiente che avrà ripreso un po’ di sopravvento, con sentieri, boschi, radure non manutentate. Sarà insidiosa, indifferente e brutale, benché meravigliosa. Spero pochi si improvvisino. 
    Insomma sarà un’estate difficile.

  2. Manuela, ti faccio un esempio semplice: un “portatore sano” perché ok al tampone, che ha la leggera “cagarella da coronavirus”, può benissimo raggiungere un rifugio e respirando, perché deve respirare, seminare il virus e poi dopo i vari giorni di incubazione ci saranno alcuni con le varie complicanze e altri moriranno.

  3. Siamo d’accordo, Manuela.
    Ma il buon senso non è mai stato nostro compagno in questa avventura, fin dall’inizio direi.

  4. E’ una tristezza! Il mio parere è che ci vorrebbe un po’ di buonsenso! Come può una persona con sintomi riuscire a raggiungere rifugi in quota? Se una persona è sana e asintomatica e si reca in montagna con un gruppo di amici, il problema di un possibile contagio sorgerebbe già dalla condivisione del mezzo di trasporto e non dal condividere il rifugio. Ok essere prudenti, ma non esageriamo

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