La registrazione qui sotto è la relazione del filosofo Giulio Giorello (recentemente scomparso) al Convegno La libertà delle proprie scelte, libertà in montagna, organizzato dall’Osservatorio per le libertà in Montagna e tenutosi a Bressanone il 24 ottobre 2012, in occasione dell’International Mountain Summit. Segue una breve sinossi di Matteo Serafin.
Libero alpinismo in liberale Stato
di Giulio Giorello
La libertà delle proprie scelte, libertà in montagna
di Matteo Serafin
Può la pratica dell’alpinismo, che comporta l’assunzione volontaria e consapevole di rischi, essere soggetta a norme restrittive e vincoli giuridici? Questo il tema al centro del dibattito “La libertà delle proprie scelte, la libertà in montagna” organizzato dal Club alpino italiano mercoledi 24 ottobre all’International Mountain Summit di Bressanon per riflettere sulla moderna pratica dell’alpinismo “che cerca di mantenere la propria libertà tra le pretese di una inesistente assoluta sicurezza e un’adulta responsabilità di scelte”. In quest’occasione il presidente generale del CAI Umberto Martini ha presentato l”‘Osservatorio per la libertà d’accesso alla montagna” recentemente istituito.
I RELATORI. Personaggi illustri appartenenti al mondo dell’alpinismo e della cultura si sono incontrati al Forum di Bresanone per discutere di libertà di rischio. Il filosofo ed editorialista del Corriere della Sera Giulio Giorello, il professor Annibale Salsa (past presidente del CAI e antropologo culturale), i medici e alpinisti Hermann Brugger e Oswald Oelz, gli avvocati Carlo Bonardi e Federico Pedrini, il rappresentante delle scuole di alpinismo del CAI Maurizio Dalla Libera e Paolo Manfrini direttore di Trentino Marketing. Ad Alessandro Gogna, noto alpinista e scrittore, era affidato il compito di coordinare e introdurre questa appassionante tematica che prende le mosse dalle Assises de l’alpinisme organizzate nel 2011 a Grénoble, in Francia, e dal successivo convegno organizzato al Palamonti dal Club Alpino Accademico Italiano con la Commissione centrale scuole di alpinismo, scialpinismo e arrampicata libera e l’Associazione delle guide alpine italiane.
DERIVA SICURITARIA. “In questi tempi”, ha spiegato Alessandro Gogna, “la preoccupazione che andare in montagna provochi incidenti e vittime è in forte aumento rispetto al passato, quando forse prevaleva più un senso di fatalismo di fronte alla tragedia, una sorta d’accettazione che l’andare per montagne richiedesse talvolta un tragico tributo”. Il passaggio da una società prescientifica a quella odierna dove il rischio e l’incertezza sono percepiti come qualcosa di scandaloso che va gestito attraverso specifiche leggi e ordinanze è stata illustrata dal professor Salsa: “Il pericolo è qualcosa che viene dall’esterno, mentre il rischio è in relazione a un atto decisionale. La visione sicuritaria della società nasce con le prime società di assicurazioni e con i progressi dei modelli matematici previsionali. Oggi però assistiamo a un vero e proprio eccesso, un delirio della sicurezza. Quando c’è un incidente in montagna che magari coinvolge un professionista si urla allo scandalo. Ma l’alpinismo può essere ridotto a qualcosa del tutto prevedibile? Di pari passo, strumenti tecnologici come i navigatori satellitari stanno diventando un surrogato della conoscenza e dell’esperienza umana. Così accade che le persone sono sempre meno responsabilizzate, e questo non le aiuta di certo ad essere più sicure”.
LEGGI LIBERTICIDE. Sono state menzionate leggi come quella della Regione Lombardia (n 10 del 6/12/2004 “Promozione e tutela delle discipline sportive della montagna”) che sanziona chi svolgendo attività sportive in montagna metta a rischio la propria incolumità e quella degli altri. O quella che obbliga chiunque vada in montagna d’inverno ad avere in dotazione dispositivo di ricerca in valanga, a prescindere dalle condizioni di pericolo del manto nevoso. Ne sanno qualcosa un gruppo di soci CAI che si sono visti l’inverno passato elevare una multa da 800 euro perché camminavano su un sentiero innevato senza Artva, pala e sonda. Multa che è stata sospesa dietro interessamento del presidente del Consiglio regionale vista l’assurdità del caso. Ma la legge non è stata cambiata, come ha riferito il professor Annibale Salsa.
PROIBIZIONE O REPRESSIONE? Su questo tema spinoso si sono espressi a Bressanone due insigni giuristi, un filosofo e un questore. Secondo il questore di Bolzano Dario Rotondi le regole sono necessarie e bisogna evitare un atteggiamento troppo “sessantottino”. “Attenzione a chiedere troppa libertà, se non ci sono regole poi spetta ai magistrati reprimere in caso di danni – ha detto il questore – L’omicidio colposo è un reato grave. In caso di trasgressione di appositi divieti la legge riconosce per esempio il delitto di valanga”. Di tutt’altro parere l’avvocato Carlo Bonardi che in un interessante excursus storico ha ricordato come prima degli anni Settanta la pratica di attività su terreno alpinistico fosse lasciata fuori dalle leggi, e non certo per ignoranza dei legislatori: “Si giudicava non in ottica preventiva ma solo a danno avvenuto. Spettava quindi al magistrato, con l’aiuto di periti e valutando bene il caso specifico, giudicare se il comportamento di un alpinista fosse stato colposo oppure no in caso di danno”. Solo a partire dagli anni Settanta, con l’aumento della frequentazione e quindi degli incidenti, leggi e regolamenti hanno iniziato a limitare la libertà di chi va in montagna nell’ottica della sicurezza preventiva. “Questo può avere un senso solo per luoghi frequentati dalle masse, non certo su terreno alpinistico dove ognuno deve essere in grado di assumersi le proprie responsabilità e i propri rischi. Ma attenzione: come ha detto Messner ‘l’alpinismo finisce dove inizia il turismo’” ha chiosato Bonardi.
LIBERO ALPINISMO IN LIBERALE STATO. Nel suo elogio della diversità delle attività umane il filosofo Giulio Giorello ha definito l’alpinismo una delle attività più nobili fiorite in una società liberale, quella inglese di fine Ottocento. Parafrasando John Stewart Mill, “la libertà di autorealizzazione e la libertà da interferenza da parte dello stato, cioè di perseguire il proprio bene come a ciascuno piace, sono i fondamenti di uno stato liberale -ha detto Giorello – mentre la prevenzione totalizzante che oggi porta lo ‘stato etico’ a interferire su quel che mangiamo o quel che facciamo è frutto di un atteggiamento positivista ed hegeliano che considero inaccettabile. Credo però che, come dice Messner, sopra una certa quota ognuno dovrebbe assumersi i propri rischi e forse non dovrebbe nemmeno essere garantita la sicurezza dallo stato in questi casi”.
ALPINISMO DIRITTO INVIOLABILE. Vero è che la Costituzione riconosce ai cittadini italiani la libertà di rischiare: “L’articolo 2 potrebbe dare veste giuridica all’alpinismo quale diritto inviolabile del cittadino – ha spiegato l’avvocato Federico Pedrini – Mentre l’articolo 16 del Codice Civile garantisce la libertà di circolare liberamente sul teritorio nazionale, pur con riserva per motivi di sanità e sicurezza: ogni intervento limitativo di questa libertà da parte delle regioni dovrebbe essere comunque valutato sul piano costituzionale e proporzionato allo scopo”.
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🙂
@Antonel e @Merkel Mi limito a dire che pala, piccone, decespugliatore, pennello e vernice li vendono in ogni ferramenta d’Italia e non. Buon lavoro!!!
La manutenzione dei sentieri spetta a tutto quello che li percorrono.
Quando compereremo che ogni piccolo pezzetto di questa Terra è anche casa nostra, avremo fatto un grande passo avanti nella nostre evoluzione.
Mettere in sicurezza la montagna è inutile perchè impossibile da realizzare. Chiunque può andare dove non dovrebbe. Una sicurezza che si adegui istantaneamente alle capacità del frequentatore è irrealizzabile, non ha nessun senso e manca di rispetto. Altra roba è la manutenzione dei soli sentieri, dalle mie parti sono pieni zeppi di detriti, anche quelli che conducono ai rifugi, da cui a volte si passa per salire o scendere le montagne circostanti.
Ritengo che mettere in sicurezza – e già su questo termine dovremmo passare diverse ore a chiacchiera per convenire su un’unica idea – tutti i cammini montani sia pura follia poiché, come qualcuno ha fatto notare, si tratta di un’infinità rete che va dalle semplici tracce create dal passaggio delle greggi fino alle strade asfaltate.
Così come sarebbe folle mettere in sicurezza tutti gli ambienti che viviamo gettando la responsabilità su qualcun altro al di fuori di noi stessi che, invece, siamo e dobbiamo essere gli attori principali della nostra vita.
Anche alla luce delle ultime vicende illuminate da un virus, mi sento quanto mai sorpresa dalla paura del pericolo avvertita dagli esseri umani moderni e dalla loro ferma convinzione che le regole e i paletti imposti con sempre meno resistenza da parte del popolo siano giusti e utili.
Seppur appaia estremo invitare qualcuno che non si sente sicuro in un’area montana a rimanere a casa o a scegliere altre mete, in realtà è l’unica soluzione per arginare i rischi.
Anche i più allenati ed esperti tendono a eleggere attività e percorsi a loro adatti, fermo restando che a nessuno è possibile fare tutto.
Buonasera a tutti,
grazie per questo articolo, più che mai interessante in questo tempo pazzo.
Con calma leggerò con attenzione tutti i commenti, ma mi trovo perfettamente d’accordo con gli ultimi due firmati da massimo.
Energia buona dalla Montagna.
era cai, non casa…
peraltro trovo che quanto dice Giorello sia già sintesi perfetta: “la libertà di autorealizzazione e la libertà da interferenza da parte dello stato, cioè di perseguire il proprio bene come a ciascuno piace, sono i fondamenti di uno stato liberale -ha detto Giorello – mentre la prevenzione totalizzante che oggi porta lo ‘stato etico’ a interferire su quel che mangiamo o quel che facciamo è frutto di un atteggiamento positivista ed hegeliano che considero inaccettabile. Credo però che, come dice Messner, sopra una certa quota ognuno dovrebbe assumersi i propri rischi e forse non dovrebbe nemmeno essere garantita la sicurezza dallo stato in questi casi”
già il fatto che esista un sito vienormali.it a me provoca un certo turbamento gastrico (ed uso un eufemismo).
Tuttavia trovo che la fila di commenti abbia preso una direzione poco pertinente.
Laddove vi sia un servizio o un bene pubblico offerto alla fruizione degli utenti (come una strada, una ferrovia, unmarciapede), ne va garantita – nei limiti della decenza – la percorribilità (la giurisprudenza in tema di cosa pubblica in custodia esclude la responsabilità dell’ente laddove la colpa dell’agente sia da sola idonea ad assorbire la repsoabilità dell’evento, ossia se cadete in un tombino aperto non potete fra causa al comune perché è opportuno che guardiate dove mettete i piedi).
poi esistono una serie di realtà in cui la responsabilità è esclusivamente dell’utente che vi si avventura che deve valutare la situazione e la propria idoneità a farvi fronte.
A mio avviso tutto il territorio montano si pone in questa categoria (tranne le ferrate o i sentieri attrezzato in che in qualche moto presuppongono un contratto fra gestore ed utente, ossia un affidamento sull’offerta di una determinata prestazione/garanzia, penso ad esempio ai sentieri degli orti botanici o ai belvedere gestiti da enti locali).
Detto ciò ognuno è libero di andare dove crede e come crede, senza pretendere che qualcuno gli prepari il terreno o gli tracci il percorso con una linea continua di vernice (che seguendo le teorie di antonel potrebbe essere che vi sia qualcuno a cui i segni ogni tre metri non bastino).
se se ne fa una questione giuridica, vi sarebbero doversi aspetti ancora da sviscerare, specie a fronte di una fruizione di massa di talune aree e percorsi.
se se ne fa una questione filosofica, il discorso può terminare qui e per quanto mi riguarda potrebbe terminare ancor prima, eliminando casa, segnaletiche vernici, bolli, circi di vetta, tabelle, ferrata (tutte) ed altre porcherie simili. Non vedo perché si debba pretendere un adeguamento di un ambiente naturale ai parametri del frequentatore.
perché, da quella via, si può anche pretendere di riempire il mare lasciando un livello di un metro e mezzo, che chi non sa nuotare altrimenti annega…
ciò non toglie che, ove poi l’incidente accada in ambiente naturale, il soccorso debba comunque intervenire (a differenza di cio che sostiene chi afferma che se lo vuoi selvaggio ti arrangi), quale che sia la natura del percorso e dell’infortunio. si valuterà poi a posteriori (come alcune regioni già fanno) se l’elicottero si sia mosso per una emergenza sanitaria o per una leggerezza, addebitando il costo nel secondo caso.
perché comunque l’assistenza medica è un parametro fondamentale di questo paese che non può fare differenze ex ante.
La sicurezza in montagna non puo’ essere garantita ne’ imposta. Lo Stato pero’ legifera perche’ vuole scrollarsi di dosso eventuali responsabilita’ in caso di incidenti ( magari a fronte di cause delle famiglie dell’alpinista deceduto che vogliono per forza trovare un colpevole) e poi perche’ vogliono, a loro avviso, diminuire i costi di soccorso e cura. Stessa logica per cui anni fa e’ stato imposto il casco in moto. L’alpinismo nasce libero da queste norme. Poi pero’ dovremmo avere tutti la coerenza di non chiamare l’elicottero la volta che ci facciamo male e di non occupare un posto al pronto soccorso.
Merkel, potresti stare a casa anche tu, magari a fare compagnia a Antonel, magari in Austria.
Il paragone col ponte Morandi potevi evitartelo.
La libertà bisogna guadagnarsela. Occorre avere il senso del proprio limite, e non comportarsi in modo disattento e poi lamentarsi che il sentiero non era ben segnalato, le pietre erano sconnesse . Si replica la mentalità cittadina anche in mezzo ai monti. Quella mentalità che ha come utopia il rischio zero. E tale rischio zero lo deve sempre garantire qualcun altro mediante divieti, prescrizioni, normative e controlli. Sembra una società di adulti rimasti, quando fa comodo, dei bambini. Ovviamente un tale comportamento genera aspettative di sicurezza irraggiungibili che generano o rischiano di generare un fiorire di divieti e limitazioni. Sicuramente qualcuno ha allevato i cittadini ad aspettarsi sempre che sia qualche altra persona ad essere colpevole.
Antonel ha ragione. Alcuni percorsi di montagna, che vengono strombazzati come alla portata di tutti per richiamare turisti, devono essere mantenuti in perfetta efficienza (vedi Austria). Poi naturalmente esistono vie, percorsi dive uno si avventura a sui rischio e pericolo. Chi dice “perchè non te ne stai a casa” esprime la classica arroganza di chi si sente “padrone” del territorio perchè ci vive o possiede capacità che i più non hanno. Sarebbe come dire “perchè non sei rimasto a casa” a chi è precipitato dal ponte Morandi.
Se per pura e azzardata ( molto azzardata) ipotesi Antonel avesse qualche ragione una domanda viene spontanea: chi paga? Falesie, sentieri mica si mettono a posto gratis! Se davvero qualcuno disgraziatamente dovesse aderire alle teorie da lui esposte si assisterebbe ad un completo degrado di tutto il vasto patrimonio montano; perchè di patrimonio si parla! Un patrimonio che ogni anno attira migliaia di appassionati e da lavoro a tantissime persone. Quindi piuttosto di esporre teorie insensate, sarebbe magari opportuno agire, ad esempio, facendo volontariato per sistemare gli ancora numerosi sentieri danneggiati dalla Vaia e non ancora sistemati per carenza di mezzi e uomini.
Forse vi stupiro’, ma io “comprendo” quello che dice Antonel. Attenzione dico che lo comprendo, NON dico che lo condivido. Anzi, io mi pongo all’opposto ideologico di Antonel. In sintesi: via tutto in montagna: via tacche segnaletiche, via spit, via strade, impianti, rifugi troppo numerosi e non logici (ma solo commerciali), ecc ecc ecc… In pratica io estendersi a tutta la montagna quelle zone franche ipotizzate da Gallese. Solo così l’alpinismo (inteso come andar in montagna) evita di diventare uno sport ripetitivo e ipersicuro e torna ad essere un’avventura non prevedibile, quindi un’attività veramente “libera”. Certo, occorre che ciascuno accetti di muoversi sulle difficoltà che corrispondono alle sue capacità: una montagna disantropizzata (come auspico io) impedisce, per esempio, al modesto quartogradista (quale sono attualmente io, specie dopo i miei problemi di salute) di ingaggiarsi, con “falsa” sicurezza, sul VI. Questo è il prezzo da pagare: un prezzo idoneo per chi la pensa come me, forse un prezzo inaccettabile per chi ha la mentalità sportiva e punta tutto sulla performance (il grado, il dislivello, i tempi…ecc ecc ecc). Questi ultimi probabilmente si dedicherebbero ad altre attività, scemando le fila dei frequentatori della montagna. Per me non è un danno, anzi, occorre però insegnare quello che ho precisato: si torni ad una montagna adeguata al livello di ciascuno (il quartogradista faccia il IV, l’escursionista abbia sempre un margine di sicurezza, non parliamo poi degli scialpinisti, sbaragliando il campo dall’idea che sciare sul ripido è figo, mentre la pendenza media e fantozziana…). Una montagna severa, come piacerebbe a me, riporta ciascuno al suo livello: chi vuole ci si avventura, la libertà sta nel saper fare la montagna adatta alle proprie capacità (invece con una montagna iperassistita la gente si muove 2-3 gradi sopra le proprie capacita’). Buona serata a tutti!
Le montagne senza zecche, e le città senza zanzare, i sentieri nei boschi illuminati perché se capita di far tardi a causa di un temporale o di qualsiasi altra causa, camminare al buio non è bello, infine per favore, in montagna un telefono fisso ogni 500 metri, perché troppo spesso il cellulare non prende.
Quando leggo i commenti di Antonel devo pizzicarmi per vedere se sono davvero sveglio o mi ero addormentato e stavo sognando.
Mi ricorda un tale che se provi a scrivere il suo nome il commento non si pubblica. Questo è un mistero da Mago di Oz.
Io penso che la montagna sia di tutti e sono uno strenuo difensore dei diritti di tutti (e non solo in montagna)
Quindi pretendo che tutti abbiano il diritto di andare in montagna e di perdersi, di provare, di sbagliare, di imparare, di superarsi e di sfinirsi.
E anche di farsi male.
Quando posso aiuto tutti e se necessario li soccorro e insegno loro.
Ma se tutto deve diventare a misura di quello che ci va una volta all’anno e si vuole che possa andare dovunque e non farsi male o perdersi…bé, semplicemente allora non c’è più montagna.
E questo, tra le altre cose, lede i miei diritti!
Gaber aveva elencato 43 motivi per cui qualcuno era comunista. Questo gli era sfuggito. Andrebbe aggiunto. Motivo 44. “Qualcuno era comunista perché detestava gli incidenti in montagna e voleva sicurezza per tutti e sempre”. Ci può stare. Come in tutti i sogni di un mondo nuovo ci sono varianti diverse. Una può essere la sicurezza totale anche a scapito della libertà. Quello che abbiamo visto realizzato in nome della sicurezza nel secolo scorso dovrebbe aver tuttavia insegnato qualcosa anche ai più entusiasti seguaci di questa variante, che non è quella di molti di noi, sia rossi che neri e persino bianconeri.
cerco di comprendere le vostre posizioni ma senza ahimè riuscirvi.Ho tentato di spiegare che sono un “comunista” della montagna e non un classista.Detesto gli incidenti in montagna come quelli stradali,la maggior parte degli uni e degli altri sono prevedibili ed evitabili ,quindi la dead line o route map è montagna per tutti ed in sicurezza per tutti e sempre.Saluti.Ora devo studiare per il prossimo esame universitario.
@Antonel, ho cercato di difenderti dalle zecche ma invano. Come spesso succede in montagna ti è scappata la mano, anzi il piede. Hai perso grip e mi sei scivolato di brutto sulla prevedibilità: suole consumate o sbagliate? Ti ricordo l’antico motto “Vuoi far ridere gli dei: raccontagli i tuoi piani”. Ciao. Sarà consumismo ma la suola (stare coi piedi per terra: spiegazione per chi non ama le metafore) conta, nonostante quello che dicono quelli che vogliono fare i fighi e dicono che uno smart sta sempre un piedi.
Quindi montagna, natura, possono essere rese dimensioni prevedibili. Anzi, è auspicabile che lo siano, così che il più ampio numero di appassionati possa fruirne.
Sono decisamente terrorizzato dalle conseguenze ambientali e giuridiche di una simile affermazione.
Anzi, è triste.
a commento 16 Benassi: ritorno alla domanda del pezzo Libero alpinismo in libero stato.Gogna pone la domanda: “ma l’alpinismo può essere ridotto a qualcosa di prevedibile?”.A parte che dal tenore dei commenti mi pare si inglobi in un’unica fattispecie alpinismo/escursionismo/ferrate/vie normali/vie alpinistiche e magari anche scialpinismo e fuoripista,a mio modesto parere la risposta è si.
Comm. 17 e precedenti di Antonel: continui a non comprendere la pericolosità delle tue argomentazioni. Se tutti volessimo tarare la sicurezza dei sentieri in base alle nostre esigenze, a qualcuno non sarebbe sufficiente neanche un autostrada. Quanto all’esempio che hai portato, sul sentiero che porta in Chiampis ci vado a correre più volte all’anno, ma di quale esposizione vai parlando?! E su quello che porta in cima al Frascola ben vengano l’erba alta e le scarse tracce, se ti fanno sentire a disagio puoi sempre ripiegare per l’anello delle Tre Cime di Lavaredo, ma forse riuscirai a trovare qualche sasso fuori posto anche là.
a commento 14 ginesi: l’anno scorso ho fatto la ferrata del monte cavallo-cima manera.In discesa non vedevo più i segnavia perchè sbiaditi.Il giorno dopo ho inviato una mail al CAI sezione di Trieste.Dopo una settimana,passando di là,c’era un ragazzo col barattolo di vernice rossa al minio che ripassava tutti i segnavia . Due settimane fa sono stato in cima al Frascola su sentiero CAI 377, esposto sul torrente Viellia ed in un punto senza più protezione: ho segnalato la cosa allo IAT di Tramonti così come ho segnalato che la vegetazione su buona parte del sentiero CAI 392 aveva coperto ogni traccia e le zecche mi avevano divorato vivo ed infine che sulla cima la croce era stata divelta da un fulmine. Potrei citare altri esempi.Ho sbagliato? Fai tu.Io penso di aver aiutato eventuali altri escursionisti/alpinisti (al massimo di primo grado sui sentieri citati).Se vado da solo non rischio mai oltre i miei limiti personali ed al rientro preparo una relazione della salita che poi pubblico sul sito vienormali.it. Questo è il mio modo di fare escursioni in montagna e di cercare di aiutare altri a farle con maggiore sicurezza di quanto non le abbia fatte IO.Saluti.
Antonel , non c’è il diritto universale di andare in montagna, di fare tutto e, soprattutto, di renderlo fattibile a tutti.
E’ la persona che si deve adattare all’ambiente non il contrario.Qui sta il gioco, qui sta il rispetto della regola: fai quello che sei capace di fare. Se c’è una frana, l’aggiri. Altrimenti torni indietro. Dispiace rinunciare, ma è un segno di adattamento e maturità. Spesso anche di riportare a casa la pelle.
Molti vorrebbero una Ferrari, ma non è un diritto averla. Se hai i soldi la compri, altrimenti di accontenti di altro. Poi c’è anche da saperla guidare.
Si va in un determinato ambiente per immergersi e respirarne le sue caratteristiche naturali, a volte uniche. Questo va preservato e non unificato come se tutto fosse uguale, come se fosse la minestrina bella e pronta del supermercato, che anche se fatta con ingredienti diversi, sanno tutti dello stesso sapore, perchè finti.
Non è un fatto di dilettanti o professionisti, di massa o di elite, Lo spazio c’è per tutti. Il problema è quando chi non ha certi attributi vuole fare anche quello per cui mamma natura non l’ha fatto, fisicamente e moralmente. Oppure subdolamente ci sono ragioni diverse, magari economiche.
Antonel, ma perché non te ne stai a casa?
Antonel “Dovete pensare per loro con spirito di altruismo ed evitare per quanto possibile che possano inconsapevolmente farsi del male.”
Premesso che non ho compreso se sei un provocatore o se veicoli queste teorie credendoci, il problema non è la distinzione fra elite e masse ma semplicemente di adeguatezza.
per questo chiedevo dove si ferma il tuo pensiero di tutela: chi si pone nei confronti di qualunque attività deve necessariamente munirsi di criteri di adeguatezza.
Se sono inconsapevoli di poter far del male significa che non si sono muniti dei necessari strumenti.
Se compri una smth&wesson, troverai un foglietto illustrativo che segnala di non mettersi la canna in bocca e tirare contemporanemante il grilletto : il metodo americano per evitare che qualcuno si faccia “incosapevo,entre del male” e poi la potente lobby dei consumatori faccia class action che in quel paese sono assai diffuse.
Vuoi anche tu un foglietto alla base della falesia che dica che se cadi dalla sosta muori?
risposta ai commenti 8,9,10: delle due l’una: o si intende l’andare in montagna alla stessa stregua di andare al mare cioè significa aperta a tutti,dico tutti cioè a tutta le gente comune e non,se preferite alla massa.Oppure si intende l’andare per monti riservato alle elites,cioè quelli che sanno arrampicare dal IV in su oppure quelli che intendono la montagna come spazio preservato e tenuto il più possibile allo stato brado,con tutti i rischi ed i pericoli del caso.Se pensate che la massa abbia gli stessi diritti degli elitari allora dovete ritenere corretta la messa in sicurezza di vie normali,sentieri,ferrate e vie alpinistiche onde preservare i neofiti,gli escursionisti della domenica,gli alpinisti improvvisati,i turisti che vanno per monti una volta all’anno,magari a ferragosto,eccetera,eccetera.Dovete pensare per loro con spirito di altruismo ed evitare per quanto possibile che possano inconsapevolmente farsi del male.
Antonel, per curiosità, dove si ferma nella tua visione l’obbligo di manutenzione dei sentieri tobacco (e se non son indicati in quella cartina ma in una di altra marca come la mettiamo?), sino a dove il cai o chi per esso è tenuto a prevenire l’incidente all’ascursionista?, deve curarsi anche delle radici e dei sassi su cui il malcapitato potrebbe inciampare?, dei gradini troppo alti…?
perchè non cìè una fine ad una visione simile. se poi vogliamo farne una questione giuridica, attenzione che la giurisaprudenza di legittimità non è così rigorosa neache nei confronti della PA per la custodia della viabilità stradale e, a mio av viso, i due ambiti sono radicalmente diversi.
lascerei perdere però l’aspetto giuridico e mi fermerei a quello socio filosofico (mi pare che l’articolo riguardi quel versante): aldilà del sapere che in un certo punto si segnala l’esistenza di un percorso perché dobbiamo anche garantire che sia percorribile? perché allora anche la walker sulle jorasses stà sulle guide, vogliamo mica arrivare alla terza sosta e scoprire che non ci sono più i chiodi?
e in falesia, allora, perchè chi scala sia tranquillo sarebbe bene mettere dei pannelli lcd alla base con indicate le date in cui sono stati messi i fix e la sosta, in modo da poter valutare se sono ancora sicuri, magari anche la distanza fra gli stessi, in modo da non rischiare di fare un passo oltre la propria soglia di rischio…
è una china che non si ferma, se la prendi da quel versante. dov’è il tuo limite?
ti dico già che, per me, se alla sosta non c’è l’anello, ci mettera una maglia rapida o un moschettone dei suoi, si arrangerà con gli strumenti che dovrebbe aver acquisto imparando a scalare e comunque saran fatti suoi il riportare a casa la pellaccia (sempre dal punto di vista filosofico…)
attenzione che la questione si presta anche per il mare, immersioni e barca a vela, non vogliamo mettere segnali e ausili sicuri?
@Roberto Antoniel, purtroppo parli con una persona che non guarda la montagna nei suoi tratti, ma per insiemi e strutture. Per cui un sentiero non mantenuto lo vedo come un segnale di una montagna viva, di un ambiente che si muove, si riappropria del suo spazio.
Non mi baso mai troppo sugli artefatti umani, non ci faccio affidamento. Ma comprendo sia un mio modo, un mio vivere la Natura e non pretendo che altri abbiano la mia stessa visione delle cose.
Ritengo che concentrarsi nell’utilizzo di ciò che l’uomo pone, faccia perdere di vista non solo la straordinarietà della mutevolezza dei luoghi, ma più concretamente, anche i pericoli.
Antonel, non sta in piedi.
“Non parlo dei sentieri aperti nel 1800 dalle genti dell’epoca “
che però ormai sono stati numerati e segnati sulle carte Tobacco: e quindi?
E’ una stupidaggine pretendere la certezza che la carta rappresenti la realtà, perché per definizione non lo fa.
E cercare che sia così rovina il gioco!
Comunque, è falsa anche la frase “quella volta nessuno si sognava di andare in montagna per diletto” perché c’erano eccome quello che andavano in montagna per diletto, solo che non pretendevano che la montagna fosse come volevano loro, ma anzi ci andavano perché la sfida era sapersi adattare.
Non so se si coglie la piccola ma significativa differenza…
Bravo Alberto!
Non solo: li trasformi in una alestra per avvocati e magistrati.
Basta!
“la messa in sicurezza”
queste 4 parole ricorrono di continuo in questa società fasulla. In sicurezza ci vanno messi i parchi pubblici cittadini, dove giocano i bambini e si riposano gli anziani.
Gli ambienti dove si va a incontrare la natura bisogna cercare di lasciarli più naturali possibile. Altrimenti tutto viene trasformato in una disneyland done tutto quello che si vede è finzione.
risposta a commento 5 paolo gallese: se il sentiero numerato e tabellato,inserito nella carta Tabacco,è stato tracciato dal CAI o da ente parallelo al CAI -tipo comunità montana- a mio parere deve essere manutenuto,o l’escursionista deve portarsi appresso la pala e magari anche il piccone per ritracciare i tratti franati oppure tornarsene indietro ? Non parlo dei sentieri aperti nel 1800 dalle genti dell’epoca per divallare da un paese all’altro con la gerla sulla testa: quella volta nessuno si sognava di andare in montagna per diletto,come adesso.Stessa cosa per le vie ferrate con cavi sfilacciati o rotti: è l’escursionista che deve portarsi appresso martello e spit? E nelle palestre in falesia si deve arrivare fino in cima per scoprire che l’anello di ancoraggio è rotto o manca del tutto?
I sentieri CAI sono troppo segnalati. Un segnavia ogni venti o cinquanta metri è assurdo e toglie una parte di piacere.
Nell’Appennino Tosco-Emiliano a volte studio, ricerco e percorro antichi sentieri non segnalati. Non sempre riesco a individuarli al primo tentativo. A volte scompaiono a poco a poco, ormai infrascati. Non incontro nessuno. Solo boschi e crinali e animali in libertà. È molto bello, a due passi da casa.
Roberto Antonel, mi inquieti. Lo dico comunque con rispetto nei tuoi confronti, perché i tuoi argomenti non sono presentati banalmente.
Tuttavia quelli come te mi spaventano un po’.
Parli solo dei sentieri del CAI, o di altri? Mi spiego, un sentiero antico, magari creato dagli animali, va manutentato? E’ responsabile qualcuno se nel percorrerlo mi faccio male?
Dove dobbiamo fermarci?
l’alpinismo non è un’attività sicura e NON lo deve essere.La sicurezza sta nella persona che lo pratica che si assume la responsabilità della proprie scelte.
Anche la segnaletica dei sentieri è una pratica eccessiva che andrebbe rivista. Mi sta bene all’inizio, mi sta bene ad un incrocio con altro sentiero, ma tutte quelle patacche e strisce di vernice lungo il sentiero sono un bruttura oltre che un’offesa all’ intelligenza di chi lo percorre.
L’alpinismo e l’escursionismo in montagna sono attività potenzialmente alla portata di tutti coloro che vogliono praticarle.Sono anzi favorite ed incentivate ai fini di uno stato di benessere fisio-psichico consigliato anche in ambito della medicina dello sport.Le aziende di soggiorno-turismo montane pubblicizzano , a fini di richiamo,le escursioni sui sentieri di ogni ordine e grado di impegno.Per quanto mi riguarda,al di là delle regolamentazioni,mi pare che vada comunque garantita la percorribilità dei sentieri CAI oppure affidati alla gestione dei comprensori dolomitici o dei parchi montani.Se un sentiero frana o se un tratto di ferrata non è più ancorato, a mio parere sussiste una responsabilità oggettiva dei gestori del sentiero o della ferrata.Allo stato attuale ho trovato in più occasioni sentieri CAI scarsamente affidabili,il cui transito è lasciato alla discrezione ed a rischio dell’escursionista.Così come ho trovato tratti di ferrate divelte o ancorate ad un solo gancio e mobili sull’altro.Alcune palestre in falesia (parlo del Friuli) sono malandate poichè non più frequentate da anni e quindi in disuso.Prima ancora di regolamentare credo sia necessaria la messa in sicurezza là dove carente.
Avendo seguito con attenzione quel convegno, mi trovo quasi speranzoso, in accordo con le tesi sostenute. Ebbi inoltre modo di lavorare con Giorello, da giovane ricercatore, del quale conservo il ricordo di persona lieve, di rara gentilezza.
Resto della mia idea “forte” e provocatoria: oltre confini stabiliti, lì regna la Grande Natura, ci vai a tuo rischio e pericolo. È un’altra dimensione.
Il crescente popolo frequentatore della montagna, come per una legge dei grandi numeri, tende a generare regolamentazione varia.
Il medesimo territorio popolato da piccoli numeri non vede nepppure la presenza, l’esigenza della segnaletica.
Se poi i grandi numeri sono democratici, cresce anche la regolamentazione sicuritaria.
Infine un popolo che nasce ora – e da qualche tempo – in un ambito culturale che ha beatamente trasformato la natura in campo di gioco, ovvero che non ha mai concepito la montagna come natura, è del tutto appiattito alle esigenze delle semplici attività sportive e a quelle del diritto al tempo libero.
Di sfondo, la celebrazione, in particolare di tradizione europea, dell’intellettualismo.
In esso si tende a riconoscersi, per esso si tende a concepire le attività artigianali – creative per ontologia – tra cui frequentare la natura, di minore valore.