Metadiario – 157 – Meteora (AG 1990-004)
Evidentemente avevo a cuore che Bibi potesse condividere con me l’amore per le Alpi Apuane, in particolare per quella Penna di Sumbra 1764 m che ci aveva visti salire per la via Ceragioli la prima volta che la portai in montagna. Infatti ci ritornammo, e questa volta per affrontare l’imponente parete sud. Questa è una parete di marmo di 550 m di altezza che tanto è maestosa vista da lontano quanto è abbastanza difficile poterla vedere da vicino. Quando ci sei sotto non ne vedi pressoché nulla a causa di zoccolo e avancorpo. Angelo Nerli così la descrive: “un gigantesco colpo di vanga è la selvaggia parete sud, incombente su un ambiente severo, un anfiteatro di scoscendimenti brulli, di solchi scavati nel marmo, confluenti nel Fosso dell’Anguillaia: questo in basso si approfonda, inciso da una serie di marmitte dei giganti e va a sbucare dove serpeggia l’alveo della Turrite Secca”. E prosegue: “la roccia non è molto favorevole all’arrampicata, o troppo liscia o rotta: però l’ambiente è tutto particolare, tipicamente apuano nella sua grandiosità e desolazione”.
Larga più di 2 km, la sezione più significativa è quella sottostante la vetta, cioè la porzione occidentale. A limitare a destra la porzione orientale è un lungo contrafforte sud, salito da Valdo Corsi e Guido De Carlo il 25 giugno 1950, con passi di III e un tiro chiave di IV (l’unico di roccia buona): una via che ebbe sempre scarso successo. Sempre nel settore orientale nel 1952 fu aperto il primo itinerario nella parete vera e propria, da Angelo Nerli, Ilda Bertolini e Gian Battista Scatena: lo stesso Nerli non la tratta benissimo nella sua guida, non ne cita neppure le difficoltà. La prima via ad essere aperta sul settore occidentale è quella di Nerli con la guida di Forno Elso Biagi: la chiamarono via dei Pisani e richiese loro un bivacco (4-5 novembre 1960). Poi arrivarono Silvano Bonelli e Fedele Còdega, che il 23 settembre 1962 rettificarono la via dei Pisani ma giunsero in vetta seguendone l’ultima impegnativa parte. Nerli definisce questa via dei Carrarini “più bella” della sua.
Passammo la notte nel mio furgone in uno spiazzo della Turrite Secca, in località Campaccio 600 m c. e in mezzo alla devastazione delle cave. Alle prime luci del 2 settembre 1990 scendemmo sul greto, lo risalimmo un poco, oltrepassammo lo sbocco del Fosso delle Comarelle e quindi reperimmo facilmente lo stretto solco del Fosso dell’Anguillaia. Una bellissima serie di marmitte dei giganti di difficile superamento ci impediva di salire sul fondo, perciò fummo costretti a risalire il lungo crinale a sinistra. Questo ci dispiacque un poco, perché il fondo dell’Anguillaia è davvero un luogo incredibile. Continuammo per lastroni e canaletti fino ad arrivare al punto di confluenza di tutti i solchi della testata, a quota 1050 m c. Qui dovevamo scegliere se salire la via dei Pisani o la via dei Carrarini.
Scegliemmo la prima, perché probabilmente un po’ meno impegnativa. Non fu difficile individuare dove passava, perché ormai tra noi e la parete vera e propria c’era più soltanto il ripido costone che ci portò all’attacco, circa a 1200 m, all’estremità destra di una gran fascia basale a stratificazioni oblique e strapiombanti. Mirammo a un gruppetto di faggi lungo un tratto verticale piuttosto rotto di IV grado. Da lì obliquammo lungamente e facilmente (I e II) a sinistra per una serie di cenge ascendenti sorrette dalla fascia basale anzidetta. Arrivammo così al centro della parete, sotto una caratteristica chiazza bianca. Seguendo la precisa descrizione di Nerli, la lasciammo a destra per traversare a sinistra sotto una caratteristica colata di roccia nera. Seguimmo poi una serie di paretine di roccia scura (IV e V), poi un’altra cengia ascendente (III), fino a raggiungere finalmente il pilastro centrale. Qui iniziarono le vere difficoltà. Prima di tutto salimmo una fessura strapiombante di 7-8 m (data di A1) e seguita da un salto di V grado. In seguito arrampicammo su un bel placcone di V, diviso da tre piccole costole, fino a raggiungere la base di un camino obliquo. Fin qui tutto bene, l’ambiente era davvero severo anche senza essere così esposto.
Raggiunto un pulpito di roccia con un breve passo di V, superammo un salto con pochi appigli di 8-10 m (VI, A1) che terminava con un terrazzino inclinato e liscio. Da lì ci portammo nel camino a destra (V) per seguirlo qualche metro (V) fino a che si restringeva a fessura. Per una cengia strettissima traversammo a sinistra, ci calammo sulla placca sottostante e poi ancora in spaccata a sinistra verso delle zolle erbose. Lì, a dispetto del terreno un po’ più facile, sentivamo quell’ambiente un po’ minaccioso. Però, un’altra placca di V e qualche altro salto meno impegnativo ed eravamo sui prati della sommità. Non era tardi, ma non avevamo tanto tempo prima del buio. Per le tracce ci calammo subito per il versante sud-ovest in modo da raggiungere il Passo di Fiocca 1560 m: lì almeno potevamo seguire sentieri segnalati. L’oscurità ci prese mentre seguivamo il sentiero per il villaggio di Arni 916 m e ci accompagnò ancora lungamente fino al furgone. Fu impressionante passare per Arni a quell’ora: sembrava deserta, ma qualche luce era accesa. Noi ad ogni modo avevamo con noi due belle pile frontali. Per Bibi la salita era stata una bella impresa, con traversate fatiscenti e rocce infide. Io ero contento di aver “toccato” solo tre chiodi.
A Milano ci toccò riprendere a lavorare: io dovevo vendere libri e organizzare le manifestazioni di Mountain Wilderness. Quell’autunno ci fu l’Operazione Antartide, in collaborazione con Greenpeace. Era una campagna di raccolta firme per un Parco Internazionale dell’Antartide. Sapevamo che le nazioni aderenti al Patto antartico si stavano accordando sul non sfruttamento minerario del continente.
Il 24 ottobre ci fu una manifestazione di protesta popolare per il progetto di megadiga della Piana del Gaver (BS). Partecipanti: 500 persone. Il progetto in seguito fu praticamente abbandonato, dando spazio all’esame di altri progetti. Possiamo definirlo un successo.
L’11 novembre ci fu la seconda manifestazione popolare per la difesa del Bosco del Cansiglio. Partecipanti: oltre 2400 persone.
Anch’essa in novembre, e in collaborazione con WWF e CAI, fu organizzata una manifestazione per il parco del Terminillo. Partecipanti: oltre 1500 persone.
A tutte e tre questi eventi non partecipai di persona. Il mio compito era organizzarli e comunicarli: e in questo cominciavo ad avere una certa esperienza.
A dicembre, in data imprecisata, Bibi ed io eravamo a Cortina, e non ricordo più per quale motivo né se c’era un motivo. Di ciò è rimasto questo documento, una faticosa ma divertente marcia nella neve fresca fino all’attacco dello spigolo della Punta Fiames. Anche per provare la nuova telecamera. Di questa escursione non c’è traccia nelle tabelle sotto riportate. Il motivo può essere solo la dimenticanza…
Dopo aver festeggiato il Natale, la sera del 26 dicembre ricevemmo a Milano Franco e Marvi Ribetti. Stipammo la mia Passat SW e verso le 23 partimmo in quattro verso Trieste. Come ormai avevo quasi l’abitudine in questa traversata di terra slava, non ci fermammo mai e arrivammo a Thessaloniki (Salonicco) in Grecia a fine pomeriggio del 27 dicembre. Non ci rallentò più di tanto neppure una vera e propria bufera di neve che ci perseguitò di notte da subito dopo il confine di Trieste fino a Lubiana. Non sostammo neppure per un pranzo veloce in qualche locanda di strada: Franco mi diede il cambio alla guida una volta. Girammo un po’ a piedi per Salonicco, anche per sgranchirci, poi cenammo e andammo a dormire in una locanda. Ci stavamo divertendo, perché la compagnia di noi quattro era davvero serena e scanzonata. Con leggerezza, Marvi mi si rivelò in tutto il suo spessore.
Con calma il giorno dopo ci avviammo verso Meteora: sono circa 260 km e non avevamo fretta. Ad un certo punto fummo superati, tramite una manovra di sorpasso un po’ azzardata, da una BMW rosso fiammante. Qualche km dopo la oltrepassammo noi: l’auto era finita fuori strada in un campo e il giovane guidatore si aggirava disperato attorno al suo mezzo per il momento inservibile. Non essendoci certamente feriti, e vedendo che già qualche locale si stava fermando, proseguimmo. Eravamo incerti se alloggiare a Kalambaka o a Kastraki. Ma poi decidemmo per quest’ultima. La sera faceva molto freddo e nella locanda dove alloggiavamo a mezza pensione avevano il vizio di propinarci un mucchio di antipasti gelidi. In genere buoni, ma alcuni avevano un aspetto dubbio. In ogni caso avevamo fame (niente in confronto a quella che avremmo avuto le sere dopo), dunque ingurgitammo ogni portata. La sistemazione francamente non era un gran che, però non sembrava che a quel tempo ci fosse di meglio. Così ci accontentammo, affrontando il gelo notturno con generose bicchierate di ouzo (e a cena di retsina…).
Il 29 dicembre salimmo alla base del caratteristico Ago di Meteora (Adrachti): con Franco lo salimmo per la via normale, praticamente una sola lunghezza in arrampicata artificiale. Dopo un giro di ispezione in auto, nel quale demmo un occhio a tutto il complesso di torrioni, non so perché andammo lì a scalare: il cielo era assai nuvoloso, ma anche fosse stato sereno non avremmo preso sole. Forse mi attirava la forma di quell’ago di roccia. Ma faceva un freddo cagnaccio, le donne se ne erano guardate bene dal seguirci e avevano preferito fare un giro a piedi. C’è molto da vedere a Meteora, è un mondo di rocce e monasteri assurdi, a volte sembra quasi irreale. L’insieme di torrioni e pareti, nella nebbiolina del mattino o nei colori del tramonto, è spettacolare, direi piuttosto unico. Sull’Ago inaugurai la mia cinepresa, appena donatami per Natale.
Meteora è nel cuore della Grecia, in Tessaglia. Il nome “meteora” significa “in mezzo all’aria”. Nella notte dei tempi i primi a scalare queste rocce furono i pastori: ma non per sport, bensì per portare sulle cime che lo permettevano le pecore a pascolare! Ci sono tracce di abitazioni che risalgono al IX secolo d.C.: furono i monaci eremiti a costruirle. Venivano qui in cerca di solitudine per poter comunicare con il divino e ancora oggi, per questo, l’atmosfera è speciale.
Nel 1958 la pubblicità di una marca di sigarette attirò l’attenzione di un fisico tedesco, il grande alpinista Dietrich Hasse, di Dresda. Le torri di Meteora campeggiavano nello sfondo di quell’immagine pubblicitaria e Hasse, reduce dalle grandi conquiste della Parete Rossa della Roda di Vael e della Diretta alla Nord della Cima Grande di Lavaredo, non seppe resistere alla curiosità di andare a vedere di persona, stentando a credere che nessuno vi avesse mai messo mano per arrampicare.
Chiunque sarebbe stato incredulo, ma lui in maniera particolare, visto che la sua formazione arrampicatoria si era svolta per anni su torri assai similari, quelle dell’Elbsandsteingebirge in Sassonia. A dispetto di questo, Hasse trovò il tempo per questo viaggio solo nel 1975, assieme al fotografo Heinz Lothar Stutte e diversi altri amici arrampicatori tedeschi. Questo gruppo iniziò subito a salire tutte le cime più importanti della zona, con l’eccezione delle cinque torri sulle quali si trovavano i monasteri.
Le prime vie seguivano ovviamente fessure e camini. Su ogni cima lasciarono, come di consuetudine dalle loro parti, un piccolo libro di vetta. Quando noi vedemmo il primo c’erano ancora le note dei primi scalatori! In seguito Hasse e il suo team hanno deciso, assieme alle autorità ecclesiastiche, di non salire vie sulle torri con monastero: e la regola è applicata ancora oggi.
Il 30 dicembre Franco ed io scegliemmo un obiettivo che più al sole non si poteva: la parete sud dell’Ambaria, per la via Diretta. Sono 175 m di dislivello, con difficolta fino al VI+. La salimmo senza problemi, sicuramente la mia vecchia preparazione sulla puddinga (conglomerato) dell’Appennino Genovese mi aiutò. Ma anche Franco, dopo le prime esitazione iniziali, non tardò a prendere confidenza. Scendemmo alla base e ci legammo alle rispettive compagne per salire il classicissimo spigolo sud-ovest, quattro lunghezze di III, IV e V.
Il 31 dicembre, anche seguendo il consiglio di Dieter, andammo all’Ypsilotera, dove ripetemmo lo schema tattico del giorno precedente: subito Franco ed io salimmo Himmelsleiter (scala per il cielo) sulla parete sud, tre lunghezze fino al VI+ con i soliti fittoni orrendamente distanziati ma tutto sommato una via abbastanza sicura, nonché bellissima. Scesi dalla cima, portiamo Bibi e Marvi sul classico spigolo ovest, una via di V di grande soddisfazione per tutti. E su quella via incontrammo casualmente Dietrich Hasse e il suo compagno! Lo riconobbi io, anche se non l’avevo mai visto di persona.
La sera, alla locanda, grande festa per l’ultimo dell’anno, con canti e balli tradizionali.
Il giorno dopo tutto sommato eravamo in buone condizioni e il tempo era sempre bellissimo, con freddo secco e caldo con il sole sulla roccia scura. Franco ed io andammo a scalare sulla Geierturm la via Aufschwung. La facemmo on sight, ma non siamo proprio soddisfatti: non proprio un resting, ma qualcosa che poteva somigliare.
Ma il malumore ci passò rapidamente quando salimmo Kopsi Pantokratoros, cioè lo spigolo est del Doubiani, con le nostre meravigliose donne… Quella sera andammo a casa di Hasse per un aperitivo: fu bellissimo sentire alcune sue storie.
Il 2 gennaio partimmo per andare a prendere il traghetto per Brindisi, ma poi finì che ci fermammo il giorno dopo all’isola di Corfù e facemmo una bella escursione a piedi.
Chi avesse tempo da perdere e fosse interessato, a questo link può vedere un filmato (53’22”) delle nostre salite e della nostra scemenza. Da perdonare la qualità, dovuta alla mia incapacità, al riversamento in digitale, nonché la più completa assenza di montaggio. E, se non ne avete avuto abbastanza, eccone un altro (12’01”), sempre del medesimo argomento, l’arrampicata a Meteora.
Nei weekend di settembre e dell’autunno non mi feci mancare le consuete escursioni arrampicatorie nei soliti posti, ma anche in qualche altra location, compresi Buoux e le Dentelles de Montmirail. La via che mi diede più soddisfazione fu la via della Fessura a Cornalba, 6c on sight, il 22 dicembre 1990.
C’est très amusant de grimper sur du poudingue.
Je ne connais pas les Météores (merci pour la vidéo), mais je me suis régalée sur les Mallos de Riglos en Espagne ; que du bonheur !
E grazie per i preziosi video!
Davvero sorprendente, il paesaggio delle torri!
Dipende, si lo porti sulla sud del Sumbra, ci sta che sia la prima e l’ultima volta.
Ma se lo porti al Procinto o alle Torri di Monzone, sicuramente sarà l’inizio di un amore 😉
Marcello, pensavo che il tuo commento attirasse gli strali del sanguigno Benassi, invece no 😉
L’ambiente della parete sud del Sumbra è spettacolare, tipicamente apuano, aspro , selvaggio, severo, brullo. Secondo me decisamente superiore come grandiosità al versante nord del Pizzo d’Uccello. Spettacolari i fossi del Fatonero e dell’ Anguillaia che incidono profondamente le lastronate basali della parete sud caratterizzati dal fenomeno dell’erosione dalle marmitte dei giganti. Già solo per vedere le marmitte meriterebbe una gita. Ho salito la via dei “Pisani”, che poi non so perchè via dei Pisani, dal momento che Nerli è pisano ma Biagi era di Forno quindi massese, diversi anni fa e la ricordo una via impegnativa, alpinistica non certo per esigenti della gestualità, visto il palero e la roccia non certo perfetta, dove bisogna stare all’occhio, vista anche la chiodatura non ascellare e datata. Un via che mi diede grande soddisfazione perchè erano anni che avevo l’aspirazione di salire la parete sud. Una parete che tutte le volte che transitavo lungo la strada che dal Cipollaio scende verso Castelnuovo Garfagnana, mi fermavo a scutarla. Non è mai sta una via alla moda e le ripetizioni sono poche per amanti del genere. Per chi ama le vie d’ambiente e non si fa troppi scupoli sulla qualità della roccia, è sicuramente una via di grande soddisfazione da ripetere. Elso Biagi che mi regalò la relazione originale, mi raccontò che la parete era nel mirino di Walter Bonatti al quale era stata suggerita da alcuni viareggini, forse Cosimo Zappelli. Fu così che per paura che gli fosse soffiata, nonostante il tempo molto incerto, Nerli e Biagi partirono ugualmente per aprire la via. I primi due terzi sono abbastanza semplici, lungo una evidente rampa che da destra a sinistra si porta nella parte alta della salienza centrale. Qui le difficoltà sono basse e discontinue, ma la progressione richiede comunque attenzione. La parte chiave è il terzo superiore dove sono concentrate le difficoltà della via. La presenza del palero, la tenace erba apuana, infastidisce ma allo stesso tempo aiuta perchè il ciuffo, quando è bello verde, preso alla base è un ottimo appiglio. L’ avvicinamento conviene farlo dal paese di Arni lungo il sentiero del bosco del Fatonero che sale al passo Fiocca. Superato il bosco del Fatonero, una volta arrivati allo spiazzo del contapecore (cippo) si lascia il sentiero e si traversa a dx verso la parete abbassandosi un pò per evitare delle ripide placconate, aggirando la base della salienza centrale dove sale la diretta dei Carrarini (F. Fodega e S. Bonelli) . Ci sono anche altre possibilità ma questa mi sembra la migliore. La discesa da prima per sentieri attrezzato al Passo Fiocca, poi di nuovo per il sentieri del Fatonero al paese di Arni.
Che belle foto! E poi tutti senza casco, che senso di libertà. Eppure le teste mica erano più dure di oggi. Cosa sarà cambiato? Sicurezza interiore? Incoscienza? Mah…
Comunque cercare di fare appassionare qualcuno alla scalata portandolo nelle Apuane è come cercare di fare appassionare qualcuno alla pesca sub acquea portandolo in discoteca. Non so se mi spiego. Probabilmente no.