Ho avuto tempo di leggermi le 43 pagine del documento (comprensivo di tabelle e modulistica) che stabilisce il Sistema della misurazione e valutazione delle performance del CAI.
Non deve essere stata cosa breve, né per l’ottima redattrice Cristina Reposi, OIV (Organo Indipendente di Valutazione) del CAI, che ci ha lavorato da settembre a dicembre 2015, né per il CDC (Comitato Direttivo Centrale) del CAI, che lo ha approvato con delibera il 18 dicembre 2015.
Dopo la lettura si avverte la sensazione che ci sia il pericolo di eccessiva burocratizzazione del Sodalizio. Beninteso hanno dovuto occuparsene per legge, ma l’arido panorama in cui ci si muove fa sospettare che lì sia in ballo davvero l’efficienza di un’associazione. Come può giovare, e soprattutto a chi, tutta questa sorveglianza? Dove ci porterà quest’aziendalizzazione trapiantata nel più puro filone burocratico italico?
Il sistema di misurazione e valutazione è un’americanata ormai diffusasi a macchia d’olio un po’ in tutte le aziende italiane: e si tende vieppiù a coinvolgere aggregati associativi di ogni genere. Accade pure che siano tali stessi aggregati a volervisi inquadrare (senza percepirne le conseguenze).
Mi auguro che l’attuale presidente Vincenzo Torti non si lasci invischiare più di tanto da questi meccanismi, secondo i quali “E’ indispensabile garantire la misurabilità degli obiettivi al fine di garantirne la controllabilità, e ciò tramite l’individuazione di indicatori che diano informazioni sul grado di realizzazione dell’obiettivo stesso. La definizione degli obiettivi e l’individuazione degli indicatori non possono essere considerati come azioni separate tra loro. Se ad un obiettivo non è associabile un indicatore adeguato, è necessario procedere alla riformulazione dell’obiettivo stesso.
I valori rilevati dagli indicatori si trasformano in informazioni utili sulla Performance solo se essa viene messa a confronto con il valore della performance attesa[1]. Il confronto tra risultati conseguiti e valore target permette di stabilire il grado di raggiungimento dell’obiettivo NOTA [1]: La Performance attesa può alternativamente essere rappresentata da un valore minimo oltre il quale non scendere; un valore costante da mantenere nel tempo; un valore target che implica un miglioramento rispetto alla performance consolidata”.
Chi fosse interessato ad avere ulteriori dettagli può consultare la Relazione annuale 2016 sul funzionamento complessivo del sistema 2015 di
valutazione, trasparenza e integrità dei controlli interni del CLUB ALPINO ITALIANO – CAI, sempre a firma di Cristina Reposi.
Chi invece non fosse interessato, e certamente stiamo parlando dei più, può leggersi la reazione a caldo di un altro attento lettore.
Il commento
di Stefano Michelazzi
Indubbiamente la lingua italiana è per propria specificità, estremamente esplicativa (una frase di venti parole in lingua italiana può essere tradotta con cinque in inglese, dodici in tedesco, undici in francese e così via…) e quindi nulla viene tralasciato. Può essere questo un grande vantaggio, sia in termini di musicalità sia in termini di comprensione, ma come credo tutti ormai ben sappiamo, il coltello dalla parte del manico si utilizza senza conseguenze, dalla parte della lama invece…
Mescolando poi, italiano e inglese (quanto sono belli questi termini tipo stakeholder…!) e mescolando pure ciò che sono gli obiettivi di un’istituzione nata (come giustamente viene fatto notare nelle prime righe) per la divulgazione e la valorizzazione dell’ambiente montano con scopi passionali e non di lucro con ciò che riguarda invece le conseguenze di un accrescimento evolutivo piuttosto naturale, e la necessaria regolamentazione contrattuale dei dipendenti (obbligatorio avere dei dipendenti a tempo pieno per un ente così massiccio) se ne ottiene un pot-pourrì nel quale riuscire a galleggiare, se non si conoscono le diverse concettualità, diventa una “lotta per la vita”…
Aldilà degli aspetti sindacali sui quali avrei diverse cose da ridire (sono stato per moltissimi anni dirigente sindacale “da trincea” sempre in prima linea) ma che sono stati ratificati da sigle ufficiali e quindi sarebbe o sarà, interesse dei dipendenti stessi, avallare o contestare i termini contrattuali, si evince da questo documento che il CAI, se non si fosse ancora capito, ha deviato da quella strada originaria di associazione passionale e ha intrapreso un corso da società di capitali (che nega ovviamente nella prefazione ma ratifica nelle 42 pagine seguenti) trattando i suoi obiettivi (ma qualcuno potrebbe obiettare che “target” faccia più figo… !) come “prodotto”, “servizio” (e già qui non ci siamo… o l’uno o l’altro… a meno che la politica economica non la cambi il club alpino che dovrebbe essere ancora inserito in quella antica e ahimè abbandonata, almeno in parte, categoria di ente morale…) e i suoi risultati come “soddisfazioni” del solito “stakeholder” (in economia con il termine “stakeholder” o italicamente “portatore di interesse”, si indica genericamente un soggetto o un gruppo di soggetti, influente nei confronti di un’iniziativa economica, che sia un’Azienda o un progetto).
Se un qualunque iscritto al CAI si legge ‘sto pippone… altro che tempo di andare in montagna (alla faccia della semplificazione in ambito pubblico per la quale siamo stati così intelligenti da creare pure un ministero…)! Si intuisce pertanto come mai gli ultimi presidenti dell’Alpine Club inglese siano stati forti alpinisti, accreditati a livello internazionale, mentre da noi la presidenza sia stata in mano a persone ben differenti.
Il grosso del problema però, a mio avviso, sta nel fatto che senza accorgercene, o quasi, stiamo accreditando (fare la tessera dà al CAI modo di esistere) una realtà parallela incontrollabile (una scorsa ai vari articoli di legge in apertura del testo e si capisce bene…) che allo stato attuale non sappiamo dove approderà ma sicuramente non sulla riva alla quale la maggior parte dei soci anela.
1
L’inglese per il business (e certe canzoni), il tedesco per addestrare cani e persone e l’italiano per amare, se parliamo di lingue.
L’aziendalizzazione del cai è il segno che tutto va nella stessa direzione, ovvero quella della standardizzazione e dell’eliminazione della fantasia. Io non so se sono ancora socio del cai oppure no. In questo momento non lo ricordo, ma non è che la cosa mi preoccupi. Lo scoprirò.
Se due innamorati voglio l’approvazione della società e la garanzia di fiducia da parte dell’altro si sposano. La convenzione del matrimonio mette al temporaneo riparo da incertezze reciproche nella coppia e rappresenta il più grande gesto di sfiducia nei confronti della persona amata. Forse che non si ama?
Il controllarsi a vicenda, la mancanza reciproca di fiducia e queste cose qui stanno alla base (secondo me) dell’omologazione di tali pratiche che, guardacaso, ci arrivano dagli usa: un vero posto del cazzo! Punto.
Ma a noi piace complicarci la vita, quindi ce la facciamo complicare volentieri anche da un ministero nato per semplificare il burocraticamente complicato, che è una contraddizione in termini e in pratica.
Si arriverà a una Rivoluzione (parola che si merita la maiuscola) come già è successo.
pot-pourri non significa “confusione”, semmai mescolanza o miscuglio… hai ragione… , ma il mescolare… quindi fare un “miscuglio” non crea una confusione? Ho usato questa traduzione perchè l’ho ritenuta più corrispondente al contesto del discorso.
…pot-pourri non significa “confusione”, semmai mescolanza o miscuglio.
Mi impegno per combattere l’esterofilia prediligendo la nostra lingua. Il termine Pot-pourrì, anche se oggi è una voce sempre meno usata, indica “confusione”. Non me ne voglia Stefano e non voglio sembrare presuntuoso o professore…, ma l’accento finale in francese non si scrive, (pourri), anche se ni pronuncia con l’accento.
Sono nel CAI da più di quarant’anni, sono entrato per partecipare ad un corso di alpinismo perchè mi ha sempre appassionato la montagna e l’alpinismo, ho conosciuto l’organizzazione, prima come segretario di sezione, poi come componente della Commissione Tutela Ambiente Montano(così si chiamava allora), infine sono entrato nell’Accademico. Trovo che in ogni ambito ci sia il” buono” e il “cattivo”, ho conosciuto e conosco molti veri alpinisti che, come me , attraverso il CAI hanno potuto vivere l’alpinismo di ricerca in montagna e ne sono stati straordinari testimoni, conosco molti nel CAI e nell’Accademico che si impegnano per trasmettere le proprie conoscenze nelle Scuole di Alpinismo, con conferenze e corsi; anche a me non piacciono tante situazioni che il CAI e il CAAI ha mal gestito e seguita a non risolvere, ma continuo a pensare che in Italia il CAI/CAAI costituisca ancora un riferimento per chi ama la Natura e la Montagna.
Mi spiego un po’.
Mi piaceva andare in montagna e nel ’71 mi iscrissi al cai.
Nel 79 mi han fatto accademico, nell’80 segretario della commissione extraeuropea (quando c’era), soccorritore, consigliere, ina e direttore di una scuola.
Ora mi piace sempre andare in montagna, ma vedo che nel cai non interessa, le scuole insegnano solo tecniche, l’accademico, sono un vicepresidente, è stato riempito di raccomandati, di pataccari e fanfaroni, sono stato censurato per averne smascherato qualcuno, che poco hanno scalato di impegnativo se non da secondi o ripetendo roba antica che ripeto a 60 anni portando mio figlio, poi si parla di tutto tranne che di alpinismo che a me piace. Mi tolgo, non è il club per me, tornerò a pensare solo ad andare in montagna con quelli che amano farlo.
..divagazioni sul tema..
..tu ci andrai a votare? Si credo di si!! per chi voterai? ma non so! per il meno peggio! vado perché mi sembra una “opportunità” un “dovere” verso coloro che in passato hanno dato anche la loro vita per questo!
..la rinnovi la tessera del CAI? Si credo di si!! lo faccio per tutti quegli amici con cui ho condiviso lo spirito della montagna e con i quali ci siamo anche battuti per passarlo alle nuove generazioni..
..senti scusa mi dici che cosa è il Governo?
..senti scusa che cosa è il CAI??
L’ho letta, la “relazione annuale per il 2016” eccetera. Almeno, ci ho provato. Confesso candidamente di non averci capito una cippa. Nel senso che non ho letteralmente capito di che cosa si stia parlando.
Come Alberto Benassi e Salvatore, rinnoverò lo stesso la tessera; dopo cinquanta anni nell’organico della scuola di alpinismo, a quella e agli amici che ci operano sono affezionato. Spero solo che a nessuno venga in mente di chiederci di definire parametri oggettivamente rilevabili con cui misurare il grado di raggiungimento degli obiettivi prefissi nel nostro “servizio all’utente”.
In fondo le alternative sono già in atto soprattutto nel mondo dell’arrampicata o del free Climbing, basta girare un attimo in rete e trovi tanti gruppi che frequentano la montagna indipendentemente ed al di fuori del CAI. Conosco ragazzi che fanno parte del Soccorso, arrampicano ma non frequentano assolutamente la Sezione. La maggior parte dei Climbers che incontro nelle falesie non sanno neanche il significato di CAI…(forse….Consorzio Agrario Interpoderale?)
Lavorando in una multinazionale americana conosco bene benefici, rischi e biechi trucchi legati ai sistemi di misurazione della prestazione e la triste vacuità dei contenuti delle analisi consulenziali, o assessment per chi tristemente ha perso la conoscenza della nostra lingua e non riesce nemmeno a tradurre la parola “target”. Anzi penso che proprio in questo abuso di terminologia inglese con la sua presunzione di elevata tecnicità del metodo si sveli il trucco di coprire l’ovvietà dall’analisi superficiale con l’approccio da “best practice”. Che nulla dice rispetto al risaputo, antico difetto della consulenza da strapazzo. Perché il CAI cada ormai in questi vizi penso non sia mistero ormai per molti: la scarsa qualità di molti organi centrali e periferici è ormai una cifra diffusa e imperante che quasi sempre nemmeno riesce a nascondersi dietro a tali tronfie banalità ma si presenta in tutta la sua triste nuda realtà. Quando all’entusiasmo organizzativo si sostituisce il carrierismo e protagonismo individuale di persone spesso di basso profilo il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi. Niente sarebbe meglio per il futuro del CAI di una sana competizione con un club alternativo e dinamico che costringa al risveglio l’associazione dal suo torpore autoreferenziale. Invece vedo che stancamente, sia livello centrale che in molti casi anche sezionale, il nostro CAI si trascina stancamente verso un lento declino.
Da facebook, 24 dicembre 2016 alle ore 8.27
Concordo con te Alberto, la mia tessera quest’anno ha 40 bollini e quando vado in Sezione e parlo dello Spirito del CAI, molti giovani (40/45 enni) mi guardano come se fossi un alieno. In questa deriva vorrei capire come salvare la montagna?
Io invece la tessera la rinnovo ancora per me, mia moglie e i miei figli; forse, come Alberto Benassi, più che altro per affetto verso la storia personale mia – il mio primo bollino, ormai introvabile, credo risalga ad oltre 60anni fa, sezione di Pieve Tesino della Sat – e di tanti altri. Devo però ammettere che fa impressione l’evidente “aziendalizzazione” del Cai. C’è tutto un settore economico che campa di questo: compliance; internal audit; sistema dei controlli: fissazione degli obiettivi di qualche entità, pubblica o privata, economica o sociale; misurazione del grado di raggiungimento di tali obiettivi e della soddisfazione degli “stakeholder” (Michelazzi docet). Questa sbronza di aziendalese soddisfa magari chi vuole scuotersi di dosso certe polverose pratiche del passato e “riscattare” la propria natura di ente d’interesse pubblico. L’effetto, tuttavia, pare piuttosto quello del perpetuarsi di alcune prassi deteriori del pubblico, più burocratese che aziendalese: forse, semplicemente, buro-aziendalese. Giustamente il buon Michelazzi (che non avrei mai voluto aver davanti come controparte sindacale…) lamenta che nel Regno Unito i presidenti sono spesso forti alpinisti, mentre da noi dopo Chabod non se ne sono visti troppi. Ora però speriamo che Torti, la “scopa nuova”, ridia alfine l’anima al nostro vecchio Cai. Sarò un illuso, invece ci spero, anche perché piangerci addosso ci piace un po’ troppo, e questo non è segno di una società vitale… Buon Natale a tutti
Per favore, qualcuno mi può tradurre in lingua italiana?
Dal 2017, dopo circa 30 anni, non saro’ piu’ socio del Cai.
Me ne esco letteralmente disgustato.
Con l’anno nuovo ne uscirò, non trovo più corrispondenza fra il mio vivere e i miei ideali in alcun ambito del sodalizio.
sono socio CAI dal 1979 e mi domando perchè continuo a starci. Forse solo perchè perchè dal 1984 sono istruttore in una scuola di alpinismo a cui siamo molto affezionati e che tanto ha dato a molti, compresi tutti noi. In termini di rapporti umani, di amicizia.
Dall’intuizione all’istituzione, credo sia evidente che lo spirito non aleggi più qui (CAI) da molto tempo.