Montagna luxury? Mi piace. Non mi piace. Ecco perché
di Alessandra Longo
(già pubblicato su www.verticales.it il 27 ottobre 2017)
Lettura: spessore-weight**, impegno-effort*, disimpegno-entertainment***
“Da te mi sarei aspettato un articolo!”. Parola dell’attento Beppe Leyduan di Camosci Bianchi. Qualche tempo fa mi aveva segnalato quest’immagine della campagna promozionale di Moncler postata su Twitter da Luca Calzolari. Ed io? Niente! Come mai? In prima battuta ho avanzato le classiche scuse: “il lavoro, sono molto impegnata, ho un corso che finisce tardi, tu non sai quanto tempo mi prende, e così via”. Davvero? O qualcosa mi blocca?
Now Open. Promo Moncler. Fonte: tweet Luca Calzolari
L’argomento non di certo: l’immagine mediatica della montagna, l’utilizzo dell’atmosfera vintage dei poster anni Sessanta, la rappresentazione addomesticata e confortevole dell’ambiente alpino e – dulcis in fundo – il tema dell’eliski, proposto quale simbolo luxury del vivere l’alta quota. Insomma, pane per i miei denti. Invece fatico a masticare e ci rumino sopra. Poi lo ammetto. A me il brand Moncler piace!
Mi piace perché nasce in un paese di montagna, Monestier de Clermont, e – dopo solo due anni di attività – sale fino agli ottomila metri del K2 equipaggiando la prima spedizione italiana nel 1954. Mi piace il logo che inneggia alla Francia con quel nazionalismo un po’ chic che solo i cugini d’oltralpe sanno sfoggiare con charme. Mi piace la brand strategy e soprattutto l’estrema ricercatezza degli store che mi ammaliano perdutamente con un’eleganza iconica.
Le boutiques Moncler nel mondo: dal Kazakistan al Giappone. Foto: salute&cittadini.
Io negli anni ’80 ero tutt’altro che fashion. Ero una bambina con la tuta di Topolino che agognava il famoso “giubbotto” dei paninari. Costava più di quattrocentomila lire. Uno stipendio o anche più. Oggi sarebbe il corrispettivo dello smartphone da novecento euro. Sono gli oggetti del desiderio: belli perché piacciono, poiché piacciono costano. Vuoi gratificare la tua brama? Paga.
Moncler Poldo Dog Couture 2017. Foto: sito Moncler
Adesso che sono grande (e moderatamente tirchia) ho scollegato il piacere dal prezzo e mi godo bellamente prodotti di fascia media senza l’assillo del valore simbolico. Forse mi scrollerò di dosso anche la fascinazione per Moncler: perché non è affatto scontato che il bello equivalga al buono. Me lo aveva suggerito l’inchiesta di Sabrina Giannini “Siamo tutti oche” trasmessa da Report nel 2014 che denunciava i maltrattamenti animali collegati all’azienda. Me lo dice eloquentemente anche la capsule collection Poldo Dog Couture che propone una linea di piumini per cani andando ad incoraggiare la tendenza alla snaturalizzazione dell’animale, il “pet” domestico che s’abbina, quasi al pari degli altri accessori di moda, al nostro stile.
Mi può piacere un marchio che, attraverso un advertising così persuasivo, induce a una frequentazione della montagna come se fosse un’appendice dello spazio urbano? Dove non si può sudare sotto al piumino e quindi si raggiunge la cima con l’elicottero al pari del taxi che ti scarrozza in centro? E il minimalismo dello zaino è sorpassato da capienti valigie con outfit diversi per ogni giorno?
In conclusione. Mi piace Moncler per la sua strategia marketing fortemente strategica ed altamente immaginifica. Non mi piace quando asseconda le tendenze scadendo anche un po’ nel banale. Perché relegare il target nei soliti cliché? La baita-suite di lusso, lo snow safari sul gatto delle nevi, la spa a cinque stelle e l’eliski: mi ricorda troppo “sole, whisky e sei in pole position” del film Vacanze di Natale del 1983. Non mi piace poi quando il compiacimento della domanda si trasforma in un imperativo di vendita che può promuovere azioni non corrette o addirittura dannose per l’ambiente montano.
Pellicce e borse firmate: status symbol duri a morire
La pubblicità è una forza, tanto vale utilizzarla al meglio. L’appello è stato di recente lanciato dalle pagine di Repubblica da Claudio Bassetti, Presidente della SAT (associazione Alpinistica trentina) che segnala le conseguenze di una scorretta immagine mediatica della montagna con turisti che pretendono standard d’élite nei rifugi o si trovano in serio pericolo nell’affrontare rocce e ghiacciai con calzature inadatte (ma decisamente trendy!).
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Ho verificato la storia del padre con la moglie e il figlio insieme ad un asino.
La soluzione presa non va mai bene, c’è sempre tanta gente che dissente.
Ma è molto bello cercare di esprimere le proprie soluzioni e cambiarle per migliorare se stessi, comunque sempre sapendo che la ruota gira e torna, torna. Si è sempre se stessi.
Grazie Richard, Matteo, Paolo, Domenico per i commenti. Nei prossimi post cercherò di condurre più esplicitamente il ragionamento e, soprattutto, non creare ambiguità (che non portano da nessuna parte). Mi piace scrivere, ma talvolta mi perdo un pò: sono grata per le vostre indicazioni sulla giusta rotta da seguire. Ciao, Alessandra
Ciao Alessandra,
ti rispondo solo ora perché… sto facendo lavori di ristrutturazione e ho poco tempo per il “divertissement”. Come sottolinea anche Matteo, ho capito solo ora (dopo aver fatto approfondimenti) il vago senso di queste tue righe. Non volevo offendere, cioè… in realtà si, perché quello che ho colto leggendo non mi è piaciuto! E ora che credo di aver capito il tuo messaggio, (ma ho dovuto andare ben oltre le tue righe) mi spiace aver reagito così, ma lo dico in totale sincerità: rivedi lo scritto, ottieni l’effetto opposto a quello che ti prefiggi!
Credo che di messaggi pubblicitari privi di stereotipi e banalizzazioni ve ne siano pochi anche perchè la reclamizzazione di un prodotto non può essere troppo articolata. Il messaggio deve essere chiaro e diretto.
Moncler ha fatto una scelta di mercato così come altre aziende ne hanno fatto un’altra. La montagna non viene banalizzata solo da Moncler, vi sono altre imprese che commercializzano articoli più tecnici le quali non possono considerarsi immuni e c’è anche chi, pur non essendo un’impresa, fornisce un’immagine dell’ambiente montano non particolarmente edificante.
Quello che voglio dire è che non vedo una grande differenza fra chi evidenzia situazioni al limite del ridicolo e chi invece rappresenta la montagna come un territorio di esaltazione della sfida estrema. Il messaggio del secondo potrà forse essere considerato più nobile perchè non enfatizza l’opulenza ma può essere altrettanto influente su coloro i quali, senza adeguata preparazione, s’imbarcano in avventure che rischiano di non poter poi essere raccontate.
Personalmente non me la prenderei tanto sulla potenza dei mezzi di comunicazione quanto sull’incapacità che spesso abbiamo nel creare i giusti anticorpi necessari a filtrare le informazioni, anche perchè se no finiamo sempre per dare la colpa a qualcun altro (la qual cosa, per quanto in parte vera, non aiuta granché ad uscire dal pantano).
Sempre odiato moncler,io, perché ha sempre rappresentato l’approccio sbagliato alla montagna, quello fashion dei fighetti.
Un po’ più anziano di Alessandra, io i paninari li sfanculavo (…come minimo), ma trovo migliore la sua risposta che l’articolo. Forse non ho letto bene o non ho capito, ma fino all’ultima foto l’ironia o il giudizio non traspaiono, se non di sfuggita.
Siccome anche richard ha capito al contrario, cara Alessandra temo che non ti sia fatta capire troppo bene (per quel che contano un paio di pirla!): ho dato un’occhiata al tuo blog e li è andata meglio
Scusate la mia intromissione, ma la Moncler è italiana da parecchi anni, è di Remo Ruffini, che l’ha rilanciata a livello mondiale. Ora lui è imprenditore dell’anno 2017 (premiato da EY, che non so cosa sia e scelto da una giuria di persone che non conosco). Dopo una decadenza negli anni 80 Moncler era scomparsa negli anni 90 ed è riapparsa grazie a Ruffini, formatosi in USA, nei primi 2000. Il piumino però è sempre delle OCHE francesi, quelle del “foie gras”….. e si vede bene!
E’ una ditta italiana e non francese. La biografia di Ruffini qui su internet è interessante.
Lui ha capito quasi per primo che i fighetti e le fighette italiane hanno bisogno di “specchietti per le allodole” nei quali rimirarsi……. ora fanno specchietti in tanti, ……. ma le linee del vero lusso ha dovuto abbandonarle tutte.
Si potrebbe dire un “americano a Parigi” con tifosi italiani 🙂 , però è molto bravo a fare i suoi affari, poi chi vivrà vedrà….. sempre se vuole vedere e se ne è capace…. è una questione di specchietti.
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Gentile Richard,
mi spiace di aver trasmesso l’immagine della radical-chic che non credo mi appartenga. Il riferimento agli anni ’80 è autobiografico: i blog riportano pareri, opinioni, prospettive personali e ritengo che quello presente nell’articolo non sia uno sconfinamento nel puramente soggettivo (che interessa solo me), ma un aggancio ad esperienze che altri hanno vissuto. La dicotomia – non risolta – tra “mi piace” e “non mi piace” intende essere tutt’altro che superficiale. Era mia intenzione riflettere sui condizionamenti nell’era dei “like”, sul nostro atteggiamento ambivalente di fronte al consumo e soprattutto sulle conseguenze in termini di azioni, di comportamenti. Secondo me la preservazione dell’ambiente alpino passa anche dall’analisi dell’immagine mediatica della montagna. Io vado a camminare, correre e scalare. Ma qui, sul web, trovo che sia molto più interessante parlare (magari anche in modo provocatorio) di come la montagna viene inquadrata, rappresentata, trasmessa, promossa e proposta (nella moda, nei depliant delle località turistiche, nei fumetti, ecc.) al fine di evitare stereotipi e banalizzazioni. Sul mio blog Verticales.it trovi tanti esempi di riflessioni in questo senso: se vuoi confrontarti, trovi anche la mia email. Grazie. Ciao. Alessandra
senza offesa, ma che… che è? Una letterina di un’idiosincratica radical chic di cortina che si è bevuta troppi aperitivi con Jerry Calà ieri sera?
“Io negli anni ’80 ero tutt’altro che fashion. Ero una bambina … che agognava il famoso “giubbotto” dei paninari.”
Cominciamo bene!
“In conclusione. Mi piace Moncler per … Non mi piace quando… Non mi piace poi quando il compiacimento della domanda si trasforma in un imperativo di vendita che può promuovere azioni non corrette o addirittura dannose per l’ambiente montano.”
E proseguiamo meglio!…
Ti piace o non ti piace?
Ma soprattutto, a noi ….
(chiedo sempre scusa per le mie entrate a gamba tesa, se l’arbitro deciderà di espellermi, saprò capire!)