Montagna: territorio di libera scelta

Il 12 aprile 2015 su montagna.tv (con il titolo Incidenti in montagna e soccorsi a pagamento: lettera aperta di un maestro di sci abruzzese) è stata pubblicata un’interessante lettera aperta del maestro di sci e accompagnatore di media montagna Paolo De Luca, abruzzese di Pietracamela.

Il testo della lettera è leggibile integralmente qui, ma a noi interessa farne un riassunto e discutere due particolari punti.

La lettera trova il suo perché in un episodio riferito dallo stesso De Luca. Con un amico medico è in una bella giornata di sole sulla cresta ovest del Gran Sasso d’Italia, sopra alla Sella del Brecciaio, quando scorge in un punto abbastanza esposto un uomo e una donna in difficoltà. I due chiedono alla coppia se hanno bisogno d’aiuto: la donna era stata presa da una crisi di panico e piangeva. La risposta data dall’uomo è stata: ”Grazie, non abbiamo bisogno di aiuto. Se la mia compagna non si riprende chiamerò l’elicottero per farci riportare al parcheggio. Tanto è gratis, e potremo vedere il Gran Sasso dall’alto”.

Questa risposta la dice lunga sia sulla preparazione tecnica di certa gente che sulla superficialità con cui viene considerato il lavoro del Soccorso alpino. E l’episodio ha spinto De Luca a mettere su carta le sue riflessioni in proposito.

Paolo De Luca
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La lettera, dopo l’ovvia considerazione che vi è un’eccessiva “sopravvalutazione delle proprie capacità e una scarsa valutazione del percorso che si vuole intraprendere e dei relativi rischi”, e dopo l’elenco dei più elementari consigli da non trascurare mai, entra nel vivo della questione dicendo:

Consigli a parte, da più fronti si invoca una legge in grado di arginare l’impennata di incidenti in montagna. Attualmente, infatti, non esiste una normativa con regole specifiche per la sicurezza dello sciatore-alpinista, dell’alpinista, dell’escursionista e più precisamente per gli sport di avventura. A mio avviso, innanzitutto si potrebbe modificare la Legge 363/2003 sulle norme di sicurezza e di prevenzione infortuni per lo sci di discesa e fondo estendendola anche allo sci alpinismo, all’escursionismo, all’alpinismo. Così come nell’attuale Legge si stabiliscono precise regole sulle piste da sci, anche nel caso di escursioni e arrampicate in montagna è necessario fissare regole più stringenti. Una soluzione potrebbe essere quella di stipulare una polizza assicurativa per le attività sportive: credo ci siano formule che coprono escursioni impegnative e probabilmente anche vie ferrate (sicuramente non arrampicate di alto livello). Nella maggior parte dei Paesi europei è prevista un’assicurazione per questo genere di attività: con circa 20-30 euro l’anno si è coperti in caso di infortunio”.

Poi passa ad altra questione, suggerendo che “bisognerebbe far pagare per intero al cittadino le operazioni di salvataggio in montagna”. Per De Luca così facendo si proverebbe a “responsabilizzare coloro che decidono di avventurarsi in montagna senza una preliminare valutazione del percorso e delle proprie capacità”. Lamentando che in Abruzzo il soccorso sia completamente gratuito, De Luca fa seguire l’analisi abbastanza circostanziata relativamente alle altre regioni. Per questo rimandiamo al nostro post https://gognablog.sherpa-gate.com/soccorso-a-pagamento/, e aggiungiamo che le considerazioni di De Luca sono condivisibili nella misura in cui è realmente affidabile il controllo su quanto “seria” sia stata la richiesta di soccorso, onde poter quantificare l’importo del “ticket”.

In ultimo, la considerazione finale: “Gli introiti (dei ticket) ovviamente non vanno nelle tasche del Soccorso Alpino ma in quelle del sistema sanitario nazionale. Il CNSAS percepisce finanziamenti pubblici per i soccorsi in montagna per circa 10 milioni di euro l’anno, tra Stato ed enti autarchici locali quali Regioni, Province, Comuni. A questo punto, un aspetto da risolvere è quello di stabilire se l’organizzazione CNSAS formata da volontari è opportuno riceva finanziamenti pubblici invece di utilizzare squadre di professionisti altamente specializzati già esistenti nel Corpo Forestale dello Stato (Soccorso Alpino Forestale), Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza (Soccorso Alpino Guardia di Finanza), Vigili del Fuoco (Speleo Alpino Fluviale), Esercito (Alpini) a cui eventualmente destinare quelle somme aumentando l’efficacia dei soccorsi. A tal proposito è da dire che la tempestività negli interventi è maggiore da parte dei professionisti, visto che i volontari devono lasciare il lavoro e non sono in continua attesa e disponibilità per le emergenze”.

Il contributo di De Luca è indubbiamente ben appoggiato su notizie documentate e su considerazioni di buon senso, a parte i primi punti, quelli sottolineati in neretto. Su questi punti occorre essere molto chiari.

Una futuribile “patente” di alpinismo…
De Luca-index

Non si possono paragonare l’attività alpinistica e quella d’avventura allo sci di pista. Le piste sono a pagamento dunque devono essere ben regolamentate. Sugli altri terreni montani deve vigere il criterio di libera scelta e di responsabilità, come è sempre stato finora. Non possiamo accettare che l’intera attività alpinistica venga regolamentata anche di poco. L’individuo che sceglie l’avventura lo fa a suo rischio e pericolo e perciò deve avere la libertà di un campo in cui muoversi a livello decisionale e progettuale, quindi di responsabilità. Se così non fosse la sua sarebbe un’attività sportiva regolamentata in cui poi come effetto immediato si rincorrerebbe un’irraggiungibile sicurezza e in cui la ricerca del colpevole supererebbe ogni limite di buon senso, con gran gaudio di avvocati e assicuratori.
Occorre essere fermi su questo punto almeno tanto quanto occorre essere tutti noi collaborativi a un’informazione più incisiva, proprio per evitare scelte sbagliate di alpinisti improvvisati.
Se dobbiamo parlare di modifiche alla Legge 363/2003, pensiamole nella direzione opposta, quella della completa libertà unita alla crescita morale e responsabile dell’individuo.

Quanto alla polizza assicurativa, ognuno è ovviamente libero di stipulare ciò che crede. Di sicuro vi possono essere consigli a farlo. Ma mai e poi mai la polizza deve diventare obbligatoria. La polizza imposta si trova sullo stesso sentiero liberticida che abbiamo qui sopra cercato di evitare e denunciare.

 

 

Montagna: territorio di libera scelta ultima modifica: 2015-04-15T07:00:44+02:00 da GognaBlog

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32 pensieri su “Montagna: territorio di libera scelta”

  1. Riporto il seguente passaggio che racchiude il cuore della problematica:

    “Gli introiti (dei ticket) ovviamente non vanno nelle tasche del Soccorso Alpino ma in quelle del sistema sanitario nazionale. Il CNSAS percepisce finanziamenti pubblici per i soccorsi in montagna per circa 10 milioni di euro l’anno, tra Stato ed enti autarchici locali quali Regioni, Province, Comuni. A questo punto, un aspetto da risolvere è quello di stabilire se l’organizzazione CNSAS formata da volontari è opportuno riceva finanziamenti pubblici invece di utilizzare squadre di professionisti altamente specializzati già esistenti nel Corpo Forestale dello Stato (Soccorso Alpino Forestale), Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza (Soccorso Alpino Guardia di Finanza), Vigili del Fuoco (Speleo Alpino Fluviale), Esercito (Alpini) a cui eventualmente destinare quelle somme aumentando l’efficacia dei soccorsi. A tal proposito è da dire che la tempestività negli interventi è maggiore da parte dei professionisti, visto che i volontari devono lasciare il lavoro e non sono in continua attesa e disponibilità per le emergenze”.

    Vi assicuro, da addetto del settore in uno dei Corpi altamente specializzati sopra citati, che le centrali 118 omettono, per ignoranza (non tollerabile) o per negligenza di inoltrare la chiamata di soccorso alpino anche alle sale operative 115,1515,117. Pertanto noi organi di polizia giudiziaria altamente specializzati in alpinismo restiamo nelle caserme stipendiati, mentre i signori “volontari” effettuano turni nelle basi di elisoccorso dietro pagamento di “rimborsi” di circa 200 euro al giorno, che gravano sulle disastrate ASL regionali. Il CNSAS è una macchina che tra corsi nazionali e rimborsi spese muove milioni di euro l’anno. Tale attività costituisce a tutti gli effetti un secondo lavoro, che va paradossalmente a sostituirsi a quello di professionisti dei Corpi di polizia e pubblico soccorso. C’è una volontà politica dietro tutto questo, altro che volontariato e solidarietà montanara. Apriamo gli occhi e facciamoci le domande giuste.

  2. “Sugli altri terreni montani deve vigere il criterio di libera scelta e di responsabilità, come è sempre stato finora”. Quest’affermazione mi pare incontrovertibile e illuminante (semmai ce ne fosse bisogno). Tutto il resto sono parole inutili o questioni di lana caprina.

  3. Buongiorno e buon sabato!
    Ho apprezzato molto gli ultimi commenti, però, dai ragazzi! Non bisogna essere così pessimisti!
    Anche oggi ci sono giovani che nutrono un sano entusiasmo, che leggono i grandi, che non pretendono tutto e subito.
    E non è facile! Mettetevi nei panni di un ventenne, cresciuto nella società degli ultimi 20 anni: AIUTO!
    Per un “moderno” alpinista che ragiona come quello incontrato da De Luca (per me, comunque, è una storia inventata), ce ne sono 100 ai quali un pensiero del genere non passerebbe nemmeno per la testa! Questi sono ragionamenti che fanno soprattutto i frequentatori occasionali o casuali della montagna. Non credo che un vero appassionato di montagna dovrebbe preoccuparsi dei costi del soccorso (anche se sono assolutamente contraria al contributo, in Veneto max 750 €, che un escursionista deve versare mentre uno che ha inciampato e si è rotto la testa per la strada no). I veri appassionati sono molti di più rispetto ai turisti occasionali. Ma in estate, gli interventi più numerosi sono per andare a prendere questi ultimi. Che volte che vi dica… Devo essere sincera? Peggio per loro! Siamo sicuri di voler “fare delle battaglie” per questa gente?
    Ripeto: io non mi preoccupo dei costi del soccorso. Semmai mi fa paura l’idea di essere soccorsa, perchè vuol dire che qualcosa è andato storto. Mi preoccupa molto di più beccarmi una denuncia per valanga colposa, solo per fare un esempio. Mi preoccupa anche il dopo soccorso: essere messa in croce sui giornali dai tuttologi di turno. Ci avete mai pensato?
    Buon weekend!

  4. Giando mi fa piacere che ti abbia riportato indietro ai bei tempi che furono. Ogni tanto ripensarci non guasta.

    Poi ci sono i libri. Mi sono letto tanti libri di montagna. I libri di Bonatti, Desmaison, Aste, Messner, Gogna, Rebuffat. Leggendo le loro avventure, ho sognato di viverle anchio. Ma ho anche imparato. Imparato dalle loro scelte, nel bene e nel male, che mi sono servite da esempio quando magari mi si è presentato il problema.

    Quanta gente oggi legge questi libri, che certamente non saranno il massimo della letteratura. Ma servono a formare il bagaglio personale.

  5. Alberto, leggo con estremo piacere le tue considerazioni le quali mi riportano a quando osservavo perfino come camminava sul sentiero chi aveva più esperienza di me, imparando così, senza tanti giri di parole, qual era il modo migliore per procedere facendo il minor sforzo possibile.
    Se però dovesse passare la linea del soccorso a pagamento gradirei sapere fin da subito, secondo criteri oggettivi, quali sono le situazioni in cui dovrei sostenere dei costi e non lasciare il tutto alla libera valutazione dell’esperto di turno perché in caso contrario preferirei essere obbligato a spendere 20-30 euro d’assicurazione e farla finita lì.
    Per quanto concerne la questione “patenti”.. L’alpinismo, o meglio certe attività montane (perché con lo sci per es. il discorso cambia), ha una particolarità che altre discipline non hanno. Tale particolarità risiede nel fatto che si può partire, senza soluzione di continuità, da un livello bassissimo fino ad arrivare ad un livello molto alto. Es., parto a piedi da Madonna di Campiglio, arrivo al Rifugio Brentei, percorro la Val Brenta e salgo slegato in cima al Campanil Basso. Diciamo che non lo fa nessuno? Ok, però potenzialmente è fattibile. Cosa voglio dire con ciò? Semplicemente che parto come turista, man mano che salgo divento escursionista e concludo il mio percorso come alpinista estremo (c’è chi il Campanil Basso se lo beve ma, insomma, salire, e magari pure scendere, slegati come faceva Preuss non è proprio alla portata di tutti).
    in altre discipline si parte fin da subito da un livello molto alto e, pertanto, i corsi diventano non solo obbligatori ma addirittura necessari (paracadutismo, parapendio, deltaplano, ecc.).
    Alla luce di ciò una riflessione approfondita andrebbe fatta. Sinceramente non ho la soluzione a portata di mano e, quindi, procedo a tentoni sfruttando questo blog non solo per portare a conoscenza le mie idee ma anche per una crescita personale.
    Ti ringrazio per l’intervento che mi ha riportato con la mente indietro di trent’anni.

  6. No, no un attimo! Io per educazione non intendevo andare a scuola a prendere patentini! È un discorso molto più ampio che passa soprattutto per l’esperienza e non si ottiene in poco tempo. Chiaro che anche le scuole possono fare la loro parte, ma è una piccola parte.

    Mentre l’alpinista e l’escursionista un certo percorso dovrebbero averlo fatto, il turista no. Per turista intendo quello che un anno va al mare e un altro in montagna o dove capita. Non l’appassionato che vive in città e si fionda in quota appena ha un giorno libero. C’è una bella differenza! Il turista consuma e non ritiene di doversi informare più di tanto prima di affrontare un’escursione. O di salire in funivia in infradito. Mandargli a casa il conto di un eventuale intervento (non si tratta di interventi initili, io non l’ho mai scritto) è l’unico modo per fargli capire che ha sbagliato. Forse…
    Buon venerdì!

  7. Giando, che andare ai monti non è come fare due passi in città, io l’ho sempre saputo, almeno immaginato. Anche quando ero ancora all’inizio, senza la minima esperienza e si sa che i giovani son portati a sminuire. Cosa avevo allora che non hanno le persone oggi? Ero superiore? Non credo. Forse possedevo solamente un maggiore senso di umiltà che mi faceva stare sul sentiero a guardare quelli che arrampicavano con la speranza che qualcuno prima o poi lo notasse e mi invitasse a provarci e mi trasmettesse così le sue conoscenze. Esperienze che mi guardavo bene da mettere in dubbio, che ho messo nel mio bagaglio facendole mie, facendo le cose per gradi e rispetto.
    Forse c’era una maggiore considerazione della montagna. Una montagna diciamo mitizzata, Forse un pò troppo, ma che senza dubbio ci invitava ad averne grande rispetto.
    Se allora c’era forse troppa mitizzazione. Quanto ho aspettato prima di impegnarmi in certe salite. Quante volte sono andato a chiedere a chi era più esperto di me se era giunto il momento di poter fare certe salite. Oggi questo mito della montagna è stato demolito e non si vuole più aspettare. Tutto e subito.
    Anche perchè tanto su internet c’è il meteo che ti dice che la perturbazione arriva nel pomeriggio. Basta essere veloci e poi tanto scendi in doppia. Al limite c’è il cellulare e puoi sempre chiamare l’elicottero. Poi magari la perturbazione anticipa, il cellulare non funziona e siccome è brutto l’elicottero non può venire a prenderti. Allora ecco che sono guai.
    Io credo che si sia perso il senso della misura. Facendo conto su delle false sicurezze. Tutti devono fare tutto e subito. Messner diceva” montagna di sinistra”.
    Ed ecco la mania della sicurezza. Senza comprendere che a creare delle false sicurezze, dipendenza tecnologica e normativa non facciamo altro che assopire il senso del pericolo e della misura che abbiamo dentro di noi che invece è fondamentale per misurasi con serenità, rispetto e senso di responsabilità con l’ambiente naturale che ci circonda.

  8. Caro Maki, ho condiviso fin da subito i tuoi interventi e difatti sono un sostenitore della GRATUITA’ DEL SERVIZIO DI SOCCORSO.
    I miei ragionamenti, forse un po’ arzigogolati, sono semplicemente dei tentativi, sicuramente maldestri e/o perfettibili, di far comprendere che quando si trattano certi argomenti bisogna entrare nel merito e non partire da casi, vorrei sperare isolati, come quello raccontato da De Luca e sul quale ha sviluppato una sfilza di riflessioni.
    Da più parti, anche nel nostro ambito, c’è chi sostiene che il servizio di soccorso, in determinate situazioni, dovrebbe essere fatto pagare, anche per dare un segnale a chi si avventura a fare cose più grandi di lui.
    Bene o male ne prendo atto, anzi ne prendiamo atto tutti ma a questo punto che facciamo? Bisognerà in qualche modo disciplinare la materia! Personalmente non sono d’accordo sulla valutazione caso per caso, non perché non mi fidi della professionalità e dell’esperienza dei soccorritori o di chiunque altro debba stilare un rapporto per stabilire in quali casi l’infortunato debba pagare e in quali altri no, ma semplicemente perché stiamo parlando di esseri umani che possono avere opinioni diverse in situazioni diverse.
    Se nemmeno noi possiamo avere le idee chiare in merito all’argomento in oggetto figuriamoci uno che debba stabilire se l’incidente è avvenuto per imprudenza, imperizia, cause naturali, ecc.. Ovvio che ci siano delle situazioni di conclamata evidenza ma nel dubbio cosa si fa?
    Un infortunato che viene soccorso per stanchezza dobbiamo per forza considerarlo un’incapace, uno sprovveduto, un turista fai da te capitato lì per caso? Mi può stare bene però prima di sputar sentenze bisognerà ragionare su dei dati oggettivi? Oppure lasciamo tutto alla valutazione dell’esperto di turno? Sarà meglio o peggio conoscere fin da subito la casistica dettagliata che mi obbliga a pagare il soccorso? Secondo me sì e vorrei che tale casistica fosse redatta in maniera obiettiva.
    Parametri oggettivi possono essere, per es., l’affrontare un percorso attrezzato senza attrezzatura idonea, il camminare su un sentiero in scarpe da tennis, il salire in quota, soprattutto ad una certa età, senza aver mai fatto un’elettrocardiogramma da sforzo che attesti il mio stato di salute, l’arrampicare slegato (non sempre, fortunatamente, la caduta risulta mortale), ecc.. Possiamo stilare un elenco di cose giuste o sbagliate, magari anche stupide ma aventi VALORE OGGETTIVO. E l’utilizzo d’idonea attrezzatura, sempre per fare un es., varia in base al tipo di percorso con la conseguenza che se non individuo con chiarezza quest’ultimo non sono nemmeno in grado di stabilire cosa realmente mi serva.
    Si potrà facilmente rispondere che ci vuole l’esperienza, il fiuto, l’educazione, l’umiltà e quant’altro. Assolutamente d’accordo, su questo non ci piove ma, ribadisco, in concreto poi che si fa? Obblighiamo tutti a fare dei corsi? Obblighiamo tutti ad affidarsi al CAI o a girare solo accompagnati dalle Guide Alpine? Va bene ma a questo punto la LIBERTA’ IN MONTAGNA non so dove vada a finire.
    Secondo me, se l’obiettivo dell’Osservatorio (l’unico, il principale, uno dei tanti.. Non mi interessa) è quello di lottare per la libertà in montagna e contro una società sicuritaria è necessario affrontare le questioni con metodo e con proposte concrete tese a far comprendere che non ci si vuole semplicemente barricare dentro un fortino ideologico. In caso contrario saremo sempre costretti a subire, sia dall’opinione pubblica sia dalle istituzioni, per mancanza di credibilità.

  9. Non ho capito a cosa servirebbe distinguere fra turisti, escursionisti e alpinisti. Se uno ha un problema va soccorso, che importa quello che stava facendo? E sarà sempre meglio e meno costoso recuperare una persona sana ma in difficoltà piuttosto che la stessa persona più tardi quando si è già fatta male cercando di rimediare da sola alla situazione.
    Soprattutto, qualcuno del CNSAS ha fatto delle statistiche sull’entità di questi presunti interventi “inutili”? Io da questo vecchio documento del CAI di Ivrea (pagina 2 del PDF)
    http://www.caiivrea.it/index.php?option=com_docman&task=doc_download&gid=43&&Itemid=65
    deduco che anche mettendo insieme sfinimento, ritardo, smarrimenti e simili la percentuale non è poi così elevata. E quanto alle categorie i fungaioli sono più del doppio degli scialpinisti e gli escursionisti quasi il quadruplo degli alpinisti.

  10. Caro Alberto, anch’io ho imparato come te e ne sono fiero ma noi abbiamo avuto la fortuna di essere giovani in un’epoca che probabilmente non tornerà più e che già i vecchi di allora vedevano con sospetto (penso, per es., al free climbing fine anni settanta primi ottanta).
    Se dovessi ragionare a sentimento sarei per una libertà come quella di cui abbiamo goduto noi ma ho la sensazione che più andiamo avanti e peggio sarà. Pertanto, ritengo che prima di dover affrontare l’irreparabile sarebbe quantomeno opportuno attrezzarsi al meglio.
    Invece quando vedo, per es., le stesse Guide alpine incapaci di prendere una posizione comune nei confronti dell’eliski (anche se si tratta di un argomento che con l’articolo in esame parrebbe non aver nulla a che vedere) mi vien da pensare che siamo destinati a subire.
    L’educazione è assolutamente necessaria ma se andare a scuola non fosse un obbligo ci andrebbero in pochi. Lungi da me auspicare un obbligo “scolastico” per ogni attività in montagna perché in caso contrario arriveremmo veramente alle patenti ma se viene spacciato per escursionistico un sentiero alpinistico (notare la contraddizione fra “escursionistico” ed “alpinistico”) in pratica si sta’ operando in maniera riduttiva, invogliando in tal modo anche una persona impreparata a fare cose forse non all’altezza.
    Per quanto concerne l’abbigliamento adeguato non sarebbe poi sbagliato non consentire l’accesso alla cabinovia da parte di chi, vedi l’esempio di Malcesine, entra in braghini e ciabatte partendo da 50 metri sul livello del mare e scendendo a 1.700. Il controllo sull’adeguatezza dell’abbigliamento viene fatto perfino all’entrata di certe chiese..
    Con le leggi, le classifiche, e quant’altro non si risolve il problema alla radice, su questo sono assolutamente d’accordo ma almeno ci si comincia a parare il fondo schiena e si comincia a far comprendere che andar per monti non è come fare due passi in città.

  11. “Non può esservi una completa libertà senza un’adeguata crescita morale e responsabile dell’individuo, crescita che può però avvenire solamente sulla base di una corretta informazione a tutti i livelli.”
    Concordo in pieno. Solo aggiungerei, oltre a una corretta informazione anche una corretta educazione.
    Per quel che riguarda l’assicurazione, non dovrebbe essere un obbligo ma un gesto di responsabilità. Nessuno deve essere costretto a stipulare la polizza, ma io la consiglio caldamente a chiunque frequenti con una certa costanza la montagna. Può servire anche a togliere dalle peste i propri cari in caso succeda qualcosa di irreparabile…
    Alcune costano meno di trenta euro, coprono anche eventuali spese di ricovero e riabilitazione. Se uno può comprarsi l’attrezzatura per andare in montagna, può anche spendere 30 euro all’anno per una polizza…
    Comunque la ritengo una scelta personale.
    Buon pomeriggio!

  12. ….”un’adeguata crescita morale e responsabile dell’individuo”…. non si fa con la normativa, leggi e sterili classifiche. Avviene con l’esperienza e con l’umiltà di imparare le cose per gradi. A me è stato insegnato così e dopo 30 anni di alpinismo posso solamente ringraziare chi mi ha insegnato questa strada.

  13. Cristina, sono d’accordo. Una chiara distinzione fra turismo ed escursionismo sarebbe assolutamente auspicabile.
    Al momento c’è una confusione enorme, dovuta anche ai miglioramenti tecnologici che hanno consentito di sdoganare dei percorsi che in passato venivano affrontati con maggiore attenzione. Oggi invece, sulle guide escursionistiche, si trova di tutto e di più e, quindi, diventa difficile per il neofita comprendere quando sta’ oltrepassando i limiti. A questo possiamo aggiungere cabinovie, funivie, ecc. che consentono di superare dislivelli di duemila metri (mi viene in mente quella che da Malcesine porta sul Monte Baldo a 1.700 metri di quota) col risultato che vedi persone salire in ciabatte e braghini da mare..
    E’ una situazione che vede varie responsabilità a vari livelli (anche se, tanto per fare un esempio, nella sezione CAI a cui sono iscritto l’attività escursionistica consiste al massimo nell’andare per rifugi o su basse e facili cime; in ferrata ti portano solo se hai fatto il corso di alpinismo) e secondo me sarebbe giusto che chi si comporta da cretino ne paghi le conseguenze (in termini economici naturalmente).
    Il fatto però di non poter usufruire di parametri oggettivi lo vivo come una mancanza che da un lato fa comodo ma dall’altro è fonte di potenziali problemi. Lasciare tutto in mano alla sola valutazione del singolo non dico mi preoccupi però mi fa riflettere perché oggi mi può andar bene in quanto mi confronto con una persona preparata, domani mi può andar male perché mi trovo a confrontarmi con questioni di budget.
    Tutte le volte che si vogliono sistemare le cose partendo dai soldi sappiamo come va a finire: tagli sul personale e sulle infrastrutture, tendenza a trovare sempre e comunque un responsabile, inserimento di figure scarsamente competenti, ecc.. Pertanto, credo che prima di discutere se sia giusto o meno far pagare l’intervento dell’elicottero basandosi sulla valutazione di persone che oggi godono della stima di tutti ma che un domani, pur continuando a godere della massima stima (perchè a chi mi porta in salvo posso semplicemente essere riconoscente), potrebbero essere costrette da chi gli sta’ sopra a comportarsi secondo esigenze di cassa francamente non mi piace molto.
    Fra l’altro tutto ciò stride con la possibilità da parte degli albergatori e dei loro familiari di portare in giro i clienti senza praticamente alcun limite operativo.
    In sintesi:
    1) mi potrebbe anche andar bene che in certi casi il servizio di soccorso debba essere pagato, a patto però che vi siano delle chiare regole disciplinanti la materia (e ciò non si può fare se prima non si definisce con chiarezza cosa s’intende per turismo, cosa per escursionismo e cosa per alpinismo);
    2) mi potrebbe anche andare bene il pagamento di una modesta assicurazione, la cui eventuale obbligatorietà dovrebbe però essere legata ad attività ben precise (se no va a finire che obblighiamo ad assicurarsi anche il gitante al laghetto tal dei tali solamente perchè si trova a 1.500 metri di quota);
    3) non mi va bene l’assenza di chiari elementi oggettivi, seppur criticabili, atti a valutare le varie tipologie di attività in montagna, con la conseguenza di dare in pasto al pubblico delle guide escursionistiche contenenti un minestrone di percorsi la cui valutazione viene spesso lasciata al libero arbitrio del redattore (cioè, mi può anche star bene la valutazione personale del redattore, in quanto bisogna rispettare la personale libertà di espressione, però a fianco di questa dovrebbe essere obbligatoriamente presente la valutazione ufficiale stilata dagli enti preposti);
    4) non mi va bene il fatto che non ci sia una chiara definizione degli ambiti operativi degli addetti ai lavori (GA, AMM, “albergatori”, ecc.) nel senso che la distinzione esiste ma non rispecchia dei criteri oggettivi ed inoppugnabili.
    Mi rendo conto che quanto esposto nei suddetti punti possa sembrare in contrasto col concetto di libertà ma quella che sostengo, come ho già scritto, è una libertà con la L maiuscola, la quale non può prescindere dal rispetto di regole condivise. Non può esservi una completa libertà senza un’adeguata crescita morale e responsabile dell’individuo, crescita che può però avvenire solamente sulla base di una corretta informazione a tutti i livelli.
    Il rischio di discutere solamente in termini filosofici, senza cioè mettere in pista nulla di veramente pratico, è quello di trovarsi di fronte, prima o poi, a qualcuno che, avulso dal mondo della montagna, decreta sul chi, sul cosa, sul come e sul quando, con grande insoddisfazione di tutti, dall’utente all’addetto ai lavori.

  14. Ciao Giando,
    a proposito di quanto hai scritto: “Per esempio definendo una volta per tutte, ed in maniera oggettiva, dove finisce l’escursionismo e dove inizia l’alpinismo e forse si dovrebbe anche definire con maggior chiarezza dove finisce il turismo e dove inizia l’escursionismo”.
    Secondo me è molto più importante definire (e non è poi tanto difficile) dove finisce il turismo e dove comincia tutto il resto.
    Insegnando a Pieve di Cadore, entro spesso in contatto con persone che, a vario titolo, lavorano all’interno del SUEM (alcuni sono genitori di miei alunni). La stragrande maggioranza di soccorsi a illesi viene effettuata da metà giugno a fine settembre… e si tratta quasi sempre di gente che sapeva a malapena quello che stava facendo e che con gli escursionisti e gli alpinisti ha molto poco a che fare.
    Come ha già scritto qualcuno, i soccorritori non sono fessi. Può capitare anche ai migliori alpinisti ed escursionisti di avere un grave imprevisto e di dover chiamare aiuto anche se illesi, magari prima che capiti il peggio. Ma quando sono accaduti questi fatti, qui (non so come stiano le cose altrove) nessuno ha mai pagato un centesimo, perchè ogni caso viene vagliato attentamente e, ribabisco, chi vaglia non è un fesso!
    Per quanto riguarda il turista che va in giro alla carlona e ha scambiato la montagna per il luna-park, che paghi pure.
    Ma, almeno in questa zona delle Dolomiti, non c’è nessun bisogno di prendersi a martellate i pollici.
    Buona giornata!

  15. Secondo me si sta’ parlando di NIENTE. Non mi riferisco ai commenti fin qui fatti, condivisibili pressochè in toto o comunque interessanti ai fini di un’approfondita riflessione. Si sta’ parlando di niente perchè, come evidenzia Maki nel primo commento, le cifre in ballo sono assolutamente ridicole.
    E’ però evidente che se periodicamente certe questioni saltano fuori significa che esiste un problema il quale, a mio modesto avviso, risiede principalmente nella testa delle persone (alcune sicuramente ci marciano). Temo, pertanto, che prima o poi passerà una linea non proprio morbida nei confronti degli amanti della montagna in quanto la società sta’ andando sempre più in una certa direzione (e non è certamente quella che molti di noi vorrebbero).
    I media, le istituzioni e gli stessi addetti ai lavori stanno lentamente ma inesorabilmente spingendo in una determinata direzione e, quindi, ben vengano iniziative tendenti a ribadire la libertà in montagna ma ritengo sia altresì necessario prepararsi al peggio. Come? Per esempio definendo una volta per tutte, ed in maniera oggettiva, dove finisce l’escursionismo e dove inizia l’alpinismo e forse si dovrebbe anche definire con maggior chiarezza dove finisce il turismo e dove inizia l’escursionismo.
    Le attuali classificazioni sono, infatti, abbastanza dettagliate ma sono prive di elementi di riferimento oggettivi. Quali potrebbero essere questi elementi? Per es., ma è solo un esempio, si potrebbe stabilire che un’escursione che conduce a quote superiori ai 3.000 metri sia sempre e comunque di carattere alpinistico, anche se si tratta di salire in cima al Monte Vioz nel gruppo dell’Ortles o al Piz Boè nel Gruppo di Sella. Allo stesso modo si potrebbe stabilire che al di sotto della suddetta quota si può parlare di alpinismo solo in presenza di particolari condizioni quali: sentieri esposti e/o attrezzati, ferrate, sentieri con passaggi di II° grado, ecc..
    Mi rendo perfettamente conto che molti storceranno il naso di fronte alla suddetta proposta, aggiungendo a ciò che non è facile catalogare le attività montane, però da qualche parte bisognerà pur partire. Può darsi che 3.000 metri di quota come limite di demarcazione fra escursionismo ed alpinismo siano pochi o siano tanti ma si tratterebbe comunque di un dato oggettivo perché ritengo non si possa definire un semplice escursionista chi sale sulla vetta del Kilimangiaro attraverso la Via Marangu.. Cioè anche la quota ha una sua importanza e fa la differenza. Già andare oltre i 1.000 metri per alcune persone può essere deleterio ed è risaputo che da una certa età in poi bisogna salire di quota con una certa gradualità.
    Se non si fa un’operazione del genere va a finire che si rischia di istituire una patente anche per coloro i quali si recano ai Rifugi Brentei e Tuckett nel Gruppo di Brenta, perché a chiunque può capitare di scivolare su un sasso o di essere colti da malore e, conseguentemente a ciò, di richiedere l’intervento dell’elicottero. Ma un un’escursionista che inciampa nei pressi del Rifugio Tuckett e si storce una caviglia dobbiamo considerarlo un incompetente impreparato o semplicemente uno sfigato?
    Mappare le salite ed i sentieri, attribuendo loro delle valutazioni oggettive, sarebbe un lavoro immane ma sappiamo che ci sono persone le quali ci sguazzano a fare cose del genere e, quindi, la forza lavoro non mancherebbe di sicuro.
    A questo punto, con dei dati incontrovertibili alla mano, si potrebbe dialogare più facilmente con la stampa, le istituzioni e l’uomo della strada. Si potrebbe entrare nel merito delle cose ed evitare le solite polemiche citando episodi il più delle volte marginali (non è che tutti ragionano come quel tipo a cui si riferisce De Luca) ed anche gli incidenti potrebbero essere valutati in maniera diversa.
    Come in tutte le cose qualcuno ci guadagnerebbe e qualcun altro ci rimetterebbe ma almeno si avrebbe la certezza di operare sulla base di elementi certi e non si lascerebbe tutto alla libera interpretazione magari del giudice.
    Ovviamente, è una proposta e come tale discutibile e vagliabile soprattutto da chi in montagna opera professionalomente o quanto meno con una certa assiduità (Guide Alpine, CAI, ecc.).
    Chiaramente rimango per la libertà, con la L maiuscola, in montagna e preferireri che certe cose venissero affrontate cum granu salis però, sapendo come gira il mondo, credo sarebbe meglio prepararsi al peggio.

  16. Ciao Brizio, scusa se ti ho dato l’impressione di voler scaricare il barile sugli operatori in centrale, scrivevo di fretta prima di andare a lavorare e probabilmente non mi sono spiegato bene. Sono d’accordo con quello che dici, tranne sul valore dissuasivo del ticket: se uno non si spaventa davanti alla prospettiva di farsi male meno che mai lo fa davanti all’idea di dover pagare i soccorsi. Anche fosse così, se veramente basta un’assicurazione da 20 euro/anno a coprirsi, alla fine il ragionamento passerebbe da “tanto paga lo Stato” a “tanto paga l’assicurazione”.

    Paolo De Luca, per ragioni che mi sfuggono, sta cercando da anni di far passare l’idea che il soccorso alpino va pagato, sempre e comunque, sulla base di un aneddoto improbabile e tutto da verificare in cui uno quando è stanco chiama l’elicottero e si fa un volo turistico in coppia a spese della collettività. A me questa cosa fa salire il sangue agli occhi, è infamante tanto per gli escursionisti presentati come una manica di incoscienti e scrocconi quanto per il soccorso presentato di fatto come un gruppo di fessi che fa servizio di helitaxi per per il primo Pinco Palla che chiama, così, senza porre domande. Ecco, la realtà è un filo diversa, lo sai meglio di me. Prima si raccolgono le informazioni poi si decide cosa fare. E’ chiaro che ci sono casi confusi e nel dubbio si parte lo stesso e non è colpa del 118. Ma se uno mente deliberatamente per far partire l’elicottero quello può e deve essere denunciato per procurato allarme, è già previsto e non serve altro. Chiaramente questa valutazione si fa a posteriori. Non è impossibile, in Francia è successo tre settimane fa: http://www.ouest-france.fr/montagne-des-alpinistes-poursuivis-pour-avoir-abuse-des-secours-3274453

  17. Succede e succederà sempre che qualcuno abusi della gratuità dei soccorsi l’egoismo è parte dell’uomo ed i nostri tempi prepotenti ne amplificano i contorni. La cosa grave non è il danno economico alla comunità anche se condannabile ma la sottrazione di una risorsa a chi contemporaneamente dovesse averne reale necessità.
    Imprudenza, impreparazione, sottovalutazione, sopravvalutazione sono parole ricorrenti per commentare un incidente in montagna, a posteriori c’è sempre qualcuno che giudica, ma ditemi sinceramente chi di noi non ha mai commesso uno di questi “peccati”? Magari ci è andata bene e basta. Ai sostenitori del soccorso a pagamento vorrei sottoporre questa semplice riflessione, certamente servirebbe a ridimensionare eccessi e leggerezze varie ma se un solo uomo (donna) anche una sola volta mettesse a repentaglio la propria vita perché poi non potrebbe pagare sarebbe imperdonabile.
    Di limitazioni e patenti varie ne abbiamo già piena la vita, vogliamo trasferirle anche nei nostri sogni?

  18. Trovo ragioni su entrambe le posizioni, in chi invoca il soccorso gratuito e chi lo vorrebbe a pagamento.
    Da questa diatriba l’allargarsi al senso dell’andare per monti è naturale ed inevitabile conseguenza, portando argomenti che noi, amanti della montagna, non possiamo non condividere. Ma a “tutti gli altri”, coloro cioè che le domeniche le passano all’outlet o davanti a Sky, queste riflessioni sono improponibili, perché incomprensibili. Ed il tutto si riduce al costo economico che la società deve pagare quando la nostra passione provoca problemi, a noi stessi o ad altri. Libertà, crescita interiore, bisogno di esprimersi rimangono acquarelli romantici che sbiadiscono dinanzi ai meccanismi di economia e bilancio.
    Allora, pragmaticamente, dico che sono disposto a pagare gli interventi di soccorso quando mai ne avrò bisogno, ma SOLO quando ne avrò bisogno: vogliamo una società responsabilizzata? Ben venga, ma non si parli più di versamenti per il servizio sanitario obbligatorio (visto che quando serve devo comunque mettere mano al portafoglio), di contributi pensionistici (per una pensione che non vedrò mai), di bolli auto (per autostrade che per essere completate vengono cedute a banche e privati) e via dicendo.
    Negli ultimi anni il nostro Paese sta deviando dallo stato sociale e assistenzialista che era ad uno moderno e responsabilizzante: bene, peccato che a fronte di servizi sempre più a pagamento si continuino a pagare tasse e contributi per servizi che, alla bisogna, dobbiamo nuovamente ripagare.
    Paghiamo per uno stato assistenzialista e poi ci dicono che “dobbiamo farci l’assicurazione”.
    Forse questo argomento, tanto misero di fronte a quelli scaturiti sulla nostra passione e che non posso che condividere, è l’unico recepibile da chi della montagna conosce solo polenta e cervo dello chalet a bordopista.

  19. Se si inserisce la patente alpinistica tocca di rifondare il club alpino…
    Credo che gli spunti di questo articolo siano dettati da chi in montagna ci va da mediocre e presuppone di essere gran conoscitore il quale mai avrà bisogno…
    Personalmetne da professionista e quindi da frequentatore assiduo su 4 stagioni e 365 giorni all’anno non mi sento di giudicare e criticare se non chi a monte è responbsabile di questi atteggiamenti leggeri.
    Mi è capitato di discutere di questa situazione proprio con persone di questo genere e che in montagna ci vivono ed operano, ma della stessa capiscono ben poco, se non che appare come un mezzo di guadagno e ci tengono a far la morale agli altri ergendosi a detentori di non si sa quale capacità ed esperienze acquisite.
    Andar per monti è una libera scelta e come tale va trattata, che ci siano persone che non capiscono nemmeno dove si trovano (l’esempio dell’articolo mi sembra evidente) considernado luna park un ambiente naturale ed impervio probabilmente anzi di sicuro dipende da ben altri fattori che l’assenza di regole.
    Come già scrissi tempo fa…: perchè non si obbligano le aziende che producono materiali e quant’altro per le attività outdoor a seguire un codice etico che non spinga chiunque a sentirsi capace perché ha comprato lo scarpone alla moda ma a scegliere in base alle proprie esperienze? Il guadagno ci sarebbe comunque.
    Ma non si tocca il business in questo paese ed è ormai pratica diffusa sentirsi superiori agli altri ed arroganti in ciò che si fa tanto da lamentarsi e chiedere giustizia per un costo irrisorio, perché tale è, quando in altri settori della vita pubblica il denaro se ne esce dalle casse come l’acqua dei torrenti…
    Mi chiedo, se rimango bloccato in parete per una frana non preventivamente valutabile, come già successo nell’universo alpinistico, che mi tocca pagare, se per fortuna (o sfortuna a questo punto) sono rimasto illeso?
    Sicuramente chi dovrebbe istituzionalmente far cultura sta facendo tutto altro e sarebbe da chiedersi dove vadano i fondi stanziati a questo pro ogni anno…

  20. Questa non è una società ipergarantista é solo ipocrita e opportunista che con la scusa del garantismo vuole solo spillare soldi e limitare la libertà delle persone.

    In una società che si definisce civile, il soccorso si fa per SOLIDARIETA’ e non per affari.

    Sono completamente d’accordo con Skatta e da vecchio ex soccorritore mi rivedo nelle sue belle parole.

  21. Sono d’ accordo con MAKI e tanti altri di voi.
    Credo che stiamo perdendo il senso di quello che stiamo facendo e andiamo a fare. Perchi fa o ha fatto il Soccorritore e per chi frequenta la Montagna e’ normale che ci si trovi di tutto, anche i racconti di “mio cugino”. “Purtroppo la Montagna non e’ un luogo lontano da mondo.”
    Ma quante volte il nostro aiuto, la nostra presenza e stata indispensabile, vitale, tanto da farci chiamare “Angeli Rossi”
    E adesso parliamo di prezzi di tariffe di assicurazione…….. Di proffesionisti.Ma cosa stiamo diventando??
    Credo che molti di quelli che parlano a sproposito e con aria molto saccente abbiano fatto pochi soccorsi, soccorsi di quelli che hanno coinvolto emotivamente e resteranno per tanto nei ricordi. E spesso non sono nemmeno Alpinisti.
    Sono partito da Milano per fare un intervento al Monte Digrazia, ho fatto il recupero, C4 e sono ritornato al lavoro. Non ho mai chiesto i soldi del gasolio. Perche’ sono convinto e’ giusto cosi. Non voglio essere migliore o il piu’ bravo, nessuno deve essere come me.
    “La solidarietà nasce dall’essere umano e si dirige essenzialmente all’essere umano. La vera solidarietà, quella che è chiamata a guidare i cambiamenti che favoriscono lo sviluppo degli individui e delle nazioni, è fondata pricipalmente sull’uguaglianza universale che unisce tutti gli uomini. Questa uguaglianza è una derivazione diretta ed innegabile della dignità dell’essere umano, che appartiene alla realtà intrinseca della persona, senza distinzione di razza, età, sesso, dottrina religiosa, nazionalità o partito.
    La solidarietà trascende tutte le frontiere: politiche, religiose, territoriali, culturali, ecc. per depositarsi nell’uomo, in qualsiasi essere umano e far sentire nel nostro animo la coscienza “di una famiglia” al resto dell’umanità.
    Il soccorso alpino si fonda su queste premesse ed è testimone di come, ancora una volta, la montagna più che dividere unisce. …”
    Questi cose mi sono dentro, perche’ me le hanno insegnate degli Angeli da chi c’era prima di me. Come ANGIOLINO BINELLI che rientrando da un intervento in Brenta a un ragazzo disperato tra le sue braccia gli chiedeva aiuto invocando la propia Mamma e i suoi colleghi fino alla fine delle propie forze a cercare di dargli soccorso. Angiolino decide che è giusto premiare chi per salvare una vita mette a repentaglio la propria. Non decise di far pagare un tichet.
    Buona Montagna a tutti

  22. Con la patente nautica non si viene autorizzati ad andare in mare. Si viene autorizzati ad andarci guidando una barca, quindi un mezzo. Quindi è un pò come la patente per condurre una moto o l’auto o un camion camion sulle strade.
    Tra chi va in vacanza al mare non è che fanno il bagno solo chi ha la patete nautica mentre gli altri che non l’hanno stanno a guardare sulla spiaggia.
    Quindi l’esempio della patente nautica direi che non calza.
    E poi spiegatemi una cosa. A cosa ti qualificherebbe questo patentino? A quali tipo di salite?
    Se faccio una semplice escursione dovrò avere il patentino “A” ??
    Se invece foglio fare una facile arrampicata dovrò avere quello “B ” ??
    Ma se voglio andare a fare il Pilone Centrale che patentino mi ci vuole? E qui inoltre bisognerà distinguere quale via: tra la classica o la Jori Bardill perchè la prima è più facile e l’altra molto più difficile. Quindi il patentino che mi autorizza dovrà avere categorie diverse.
    E poi c’è la scalata solo su roccia o solo su ghiaccio o ancora su misto. Ed ancora in bassa quota o in alta quota.

    E se poi voglio alzare il mio livello e impegnarmi in ascensioni o scalate più impegnative, cosa dovrò a fare prima? Fare l’esame come a scuola guida per prendere la “C” se prima avevo solo la “B” .

    Quanto a dover pagare l’intervento di soccorso a me semplicemente mi viene il vomito.

  23. Caro Massimo,
    concordo completamente con quel che dici, se succedono cose di questo genere le regole sono sbagliate, nel mio scritto dico che in alcune regioni è in vigore la regola simile al triage, ma in un caso come quello descritto se i due ragazzi avessero tentato di scendere e avessero chiamato il soccorso in evidente stato di paura e stress un medico forse avrebbe loro prescritto una prognosi per accertamenti e questo li avrebbe portati ad un ticket magari oneroso (qualche centinaio di euro) ma non al 100% (e se fossero soci CAI sarebbero stati rimborsati) evitando di doversi rompere un dito.
    Posso darti un’altra informazione: in Lombardia è in discussione una legge che prevede il pagamento di un ticket per le operazioni di soccorso in montagna, ma si è bloccata perchè tra le altre cose non si è deciso chi dovrà (e come) valutare se in caso di non infortunio i recuperati siano stati negligenti, impreparati o altro.
    Il ticket deve essere inteso come un messaggio, un punto di attenzione non certo il recupero dei soldi per l’intervento.
    Questo per dire che porre delle regole è necessario, ma non facile.

    Brizio

  24. Buongiorno Brizio,
    anche io mi permetto di scrivere direttamente a te e, per dare un’altra prospettiva alla tua analisi, peraltro in molte parti assolutamente condivisibile, ti porto questo esempio di cui sono stato testimone oculare.

    Alta montagna. Via alpinistica dura, di quelle “di una volta”. Non manca molto alla cima e raggiungiamo una cordata di due ragazzi letteralmente sfiniti. Provati dal freddo e dalla stanchezza, stanno meditando sul da farsi. Non ce la fanno a finire la via e hanno il terrore di morire assiderati in caso di bivacco. Ci chiedono info sul Soccorso. Siamo in una regione dove l’elicottero, se non sei infortunato, si paga. E si paga caro. Proviamo a tranquillizzarli, gli lasciamo il nostro té caldo. Il cellulare prende bene. Noi andiamo, è quasi l’imbrunire, vogliamo uscire dalla via.

    Uno dei due, alla fine, ha messo la mano nel guanto, l’ha appoggiata alla roccia. E si è fatto rompere il pollice (martellata con la piccozza) per poter poi chiamare l’elicottero “senza l’incubo di pagare chissà quanto”…

    Ecco.
    A me questa cosa che un poveraccio debba andare in montagna, avendo già sulle spalle – oltre a tutta la tensione mentale e al riverente timore che l’alpe merita – anche la spada di damocle del portafoglio che improvvisamente ti si svuota, se per sfiga (o anche per impreparazione, per carità…) qualcosa andasse male… Proprio non va giù.
    Una società che ti spinge anche solo a pensare di fare una cosa del genere, è secondo me una società che ha delle regole sbagliate.

    E’ lo stile di una società a cui appartengo.
    Ma senza il mio consenso.

  25. Caro Maki,
    rispondo direttamente a te perchè penso tu abbia bisogno di qualche informazione in più, ma penso che alcuni chiarimenti siano utili a tutti.

    Premetto che sono un volontario del Soccorso Alpino della Stazione di Varese; fino a qualche anno fa tutte le domeniche uno di noi era presente dalle 8.00 alle 20.00 nella Centrale Operativa dell’allora 118 con la funzione di aiuto tecnico ogni qualvolta era necessario (mettere in sicurezza il luogo dell’evento, garantire la sicurezza dei sanitari quando si doveva intervenire in situazioni complicate, essere già sul posto quando il Soccorso veniva chiamato accelerando così la fase di analisi della situazione e organizzazione iniziale dell’intervento).
    Durante i turni ero in Centrale e assistevo alle chiamate ricevute degli operatori ed ho capito “da dentro” che informazioni arrivavano e che tipo di richieste venivano (e vengono) fatte. Spesso la gente chiama il 118 per sapere orari dell’ospedale, la farmacia di turno; queste richieste sono facili da gestire per persone che vivono la stessa realtà, ma se a rispondere c’è una persona che in montagna non ci va e di essa non sa nulla tutte le richieste diventano un dubbio.
    Ti posso assicurare che discernere tra una chiamata definibile come “procurato allarme” e una che potrebbe causare un incidente serio è molto difficile, se non impossibile.
    A volte è capitato di andare a prendere persone non infortunate, ma semplicemente stanche o che si erano perse e concordo con chi dice che non è accettabile far muovere una macchina così complessa e costosa perchè una persona non ha considerato adeguatamente le caratteristiche della gita scelta creando costi e rischi per i soccorritori.

    Davanti ad una richiesta di una persona che “non ce la fa più” un medico non può esimersi dal preoccuparsi perchè se eccede spende dei soldi della comunità inutilmente, ma se non interviene o aspetta troppo, l’ipotetico procurato allarme può diventare un infortunio serio (o peggio) che avrebbe potuto essere evitato e di conseguenza lui (sempre il medico) è direttamente responsabile.
    Questo a volte porta a interventi inutili, ma che era difficile se non impossibile discriminare al momento della chiamata, quindi personalmente sono favorevole con chi vuole un Soccorso in montagna disciplinato, come già avviene in diverse regioni italiane, tramite l’esito del triage una volta rientrati con la persona soccorsa, se rifiuta il controllo medico paga un ticket “salato”, se viene dichiarato illeso paga un ticket simbolico o poco più, se invece c’è una prognosi di qualsiasi tipo il soccorso è gratuito, questo dovrebbe discernere tra chi avrebbe potuto fare più attenzione da chi si è fatto male, pur semplicemente per una storta che gli rende difficile e aggravante il rientro.

    Questo dovrebbe portare ad una maggior responsabilizzazione delle persone, per cui se mi faccio male non c’è alcuna discriminazione anche se ho scelto di praticare un’attività oggettivamente pericolosa in una società che sta diventando ipergarantista, se invece mi perdo (quindi non sono preparato tecnicamente) oppure sono stanco (quindi non sono preparato fisicamente) vuol dire che avrei dovuto fare altro per cui è giusto che contribuisca almeno alle spese (dato che non posso contribuire ai rischi dei soccorritori).

    Quindi concordo con la liberta assoluta delle attività che si possono effettuare fuori dalle aeree gestite, ma sono anche fermamente d’accordo che vada perseguito un innalzamento della cultura morale, etica e tecnica e delle relative responsabilità, se questo sia fattibile tramite una “patente alpinisitica” non ne sono certo (se fosse vero non ci sarebbero incidenti stradali o dei parapendisti o dei subaquei), magari introducendo nelle scuole la conoscenza del territorio dove si vive (almeno) e delle relative difficoltà, ma questo penso sia quasi utopia.

    Saluti
    Brizio

  26. Vi porto la mia esperienza che mi tocca personalmente: una persona a me molto cara a causa di negligenza o inadeguata preparazione della sua compagna di cordata è caduta da 10 m in palestra e adesso oltre a notevoli probblemi fisici che le hanno cambiato il suo stile di vita si trova pure ad affrontare probblemi economici. Non ha potuto essere risarcita nemmeno a livello economico,a questo punto a me viene a pensare che con una assicurazione obbligatoria o una regolamentazione di questa attivita’ tramite un patentino magari si sarebbero evitati molti incidenti dovuti magari solo a una autoconvinzione di essere capaci di fare le cose.

  27. Ho stima per Alessandro Gogna e il suo Osservatorio della Libertà in montagna. Così come ho sempre ammirato l’eroe romantico di Don Chisciotte (http://it.wikipedia.org/wiki/Don_Chisciotte_della_Mancia)… che dalle sue immani battaglie, tuttavia, usciva sempre sonoramente sconfitto. Semplicemente: a volte ci sono battaglie che non si possono vincere.
    Quella della NON regolamentazione dell’attività sportiva in montagna è una di queste battaglie.
    Nobile, sensata, romantica. E tuttavia destinata inesorabilmente alla sconfitta.
    La linea tratteggiata da paolo De Luca a me non piace, beninteso, e tuttavia so – dentro di me – che è vincente sotto tutti gli aspetti

    Come già sottolineava Andrea Sansoni, il mondo del volo – che per fascino, aspirazioni dell’uomo e “grido di libertà” non ha certo niente da invidiare alla montagna – già si è piegato regole, scuole e patenti.
    Il mondo del mare – anch’esso perfettamente equiparabile, per tutte le attività sportive connesse, a quello della montagna – gode anch’esso di regole severe e prevede patenti e patentini di vario livello e natura. Sentito parlare, ad esempio, di “patente nautica?”

    Se la montagna ancora è sfuggita a una normazione più severa e puntuale, probabilmente è solo per via delle molteplici difficoltà che si incontrano nel definire la montagna stessa (un lago e un mare è evidente dove “cominciano”, così come la differenza tra stare coi piedi per terra o per aria è palese… più complicato capire, invece, dove finisce la strada di campagna e comincia il sentiero di montagna…) e nel definire (visto che non si può regolamentare un qualcosa se prima non capisci cos’è) le molteplici, e pressoché infinite attività di sottobosco connesse al concetto di montagna: dalla falesia d’arrampicata sul mare (!) alla passeggiata nelle Cinque Terre, dallo street-boulder (!) allo sci di fondo sul laghetto ghiacciato, passando per la gita al rifugio a mangiare la polenta e per la parete nord della tal cima…

    E’ solo questione di tempo. Le limitazioni alle attività alpinistiche e sportive già ce le abbiamo: poco alla volta si sono insinuate nella nostra vita, avvalendosi delle tante italiche ombre di regolamenti, ordinanze, codici e codicilli che fanno la fortuna dei presidenti regionali o dei sindaci di turno. Come giustamente fa notare Maki, anche la scelta di alcune regioni di far pagare il Soccorso Alpino (senza stare qui a discutere se sia cosa giusta oppure no) è, a ben guardare (oltre che incostituzionale), intrinsecamente un divieto. Il divieto – per chi è meno abbiente – di accettare, per libera scelta, i medesimi rischi rispetto a chi, incurante del portafoglio, non si farebbe comunque alcuno scrupolo a chiamare il Soccorso per farsi tirare fuori dai guai… E devo purtroppo sottolineare che su tale argomento, ahimé, l’Osservatorio per la Libertà nell’Alpinismo si espresso “favorevole in linea generale”.

    Le crepe già ci sono, dunque. Alcune avvallate perfino dall’ente che della Libertà nell’Alpinismo ha fatto la propria bandiera.
    Le cre già cis ono. Evidenti, numerose e irriparabili. Perché in gran parte legate a questioni economiche.
    In questa nostra società, piaccia o meno, tra libertà e denaro, il secondo vince a mani basse.

    Parafrasando Demostene, onore dunque a chi combatte per la libertà, perché è l’atto dell’agire che determina l’animo nobile – o meno – dell’uomo. Ma l’esito di tale combattimento non dipende dalla nobiltà d’azione e può essere segnato a priori.
    Come nell’esempio, perfettamente tratteggiato da Paolo de Luca.

    Continuerò ad andare in montagna, libero, finché me lo lasceranno fare.
    Così come ho guidato il motorino senza casco, ebbro dell’aria e del profumo di primavera nei capelli, finché me lo hanno lasciato fare.
    πάντα ῥεῖ

  28. “rischi inutili” questa classificazione è una vera minchiata.cHi lo decide che un rischio a cui mi espongo è inutile? Sarà inutile per alcuni ma per me che decido di fare alpinismo è tutt’altro che inutile.

    Inoltre le attività che si praticano in montagna alimentano anche una economia che la possiamo lagare al turismo, che da lavoro a èparecchie persone. Quindi, anche per questo motivo, per me certo non determinante, questa inutilità non esiste proprio.

  29. ….l’uniche regole che in montagna servono sono l’ informazione e la formazione….ed un po’ di umilta’…..

  30. Ecco sono daccordo sull’assurdita` dei ragionamenti sul soccorso a pagamento, un soccorso sanitario, o per per evitare gravi conseguenze causate da condizioni meteo avverse o anche eventualmente per impreparazione e sottovalutazione delle difficolta`, non deve essere a pagamento, eventuali richieste completamente ingiustificate si, come gia` si fa in alcune regioni, ma non e` su questo che volevo intervenire.
    Io vado in montagna saltuariamente e da dilettante da piu` di trenta anni e come tutti ho imparato quel poco che so un po` alla volta, un po` di esperienze mie, guardando il cielo, la neve e i sassi, un po` andando con guide e/o compagni piu` esperti. Tutti abbiamo fatto cosi`. Da qualche anno mi sono avvicinato al mondo del volo, pensando che fosse un nuovo modo di vivere la montagna. Ho dovuto frequentare un corso, dopo nove mesi ho fatto un esame, e ora ho un attestato (brevetto) che, con una assicurazione obbligatoria rc, e una tassa biennale da pagare all’AeCI (questa si e` un balzello odioso) mi permette di volare in parapendio legalmente. Anche nel mondo del volo una volta si faceva come si fa in montagna, fai da te e esperienze con gli amici e niente patenti, poi tutto e` stato regolamentato. Sara` sicuramente un modo per far campare le scuole di volo e tutto quello che gli ruota intorno, e` vero, ma comunque e` cosi` anche nel resto del mondo. E non e` chi vola e` meno innamorato e geloso della sua liberta` di chi va in montagna !
    Ora, io non sono un fautore della patente di alpinismo, e non penso assolutamente che si debba introdurre una regolamentazione simile a quella che esiste nel mondo del volo libero, che e` parecchio pesante, pero` penso che non possiamo continuare a ripetere la storia della liberta` assoluta e infinita in montagna, penso che questa pretesa puo` ritorcersi contro il mondo della montagna, volenti o nolenti viviamo in una societa’, stupida e instupidita dai mezzi di informazione quanto vuoi, ma dobbiamo tenerne conto. Per il solo fatto che ci esponiamo a dei rischi considerati “inutili”, con possibili conseguenze a carico della societa`, siamo considerati asociali. Percio` non vedo perche`, per esempio, ci si dovrebbe ribellare contro una forma di assicurazione, si una assicurazione obbligatoria per il soccorso in montagna, visto che l’opinione pubblica e` sensibile all’argomento del costo dei soccorsi. In fondo e` l’assicurazione gia` fornita dall’associazione al CAI che quasi tutti gia` abbiamo. Poi ogniuno puo` scegliere “liberamente” se essere in regola oppure no.

  31. “Se dobbiamo parlare di modifiche alla Legge 363/2003, pensiamole nella direzione opposta, quella della completa libertà unita alla crescita morale e responsabile dell’individuo”. Pienamente d’accordo!

  32. Non so nemmeno perché uno dovrebbe perdere tempo a leggere il ragionamento di De Luca. Ammesso e non concesso che il ragionamento fili, la premessa di base è completamente falsa il che fa cascare il castello intero. La barzelletta dell’escursionista che “chiama l’elicottero” fa parte dei racconti di “mio cuggino” (cfr. Elio). Un normale cittadino chiama il 118, il cui operatore si fa spiegare la situazione e poi decide cosa fare autonomamente. Se l’elicottero parte a sproposito, o la centrale del 118 ha sbagliato, oppure ci sono state dichiarazioni false da parte del presunto infortunato. Nel secondo caso esiste già l’articolo 658 del codice penale che prevede il reato di procurato allarme, ben più efficace di qualsiasi ticket. Ripeto, è *reato*. Basta applicare il codice esistente.

    Sarebbe veramente ora che la si smettesse di fornire delle scuse per tagliare i servizi ai cittadini, perché di questo solo si tratta (a meno che De Luca non faccia l’assicuratore). Faccio notare che rendere il soccorso alpino a pagamento pone dei problemi costituzionali di disparità di trattamento dei cittadini. Non si capisce per quale ragione se mi faccio male scendendo in bici dal Colle dell’Agnello l’elicottero deve partire gratuitamente mentre se inciampo su un sentiero qualche centinaio di metri più in là no. Sono sempre io, pago sempre le stesse tasse, l’impegno per l’elicottero è identico.

    Da notare inoltre che il soccorso non è mai gratuito, è pagato da noi tramite le tasse. Se bastano 20 euro di assicurazione da parte di quel 10 per cento che va in montagna per risolvere il problema significa che sull’intera popolazione il costo pro capite del soccorso è 2 euro l’anno. C’è veramente da discuterne?

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