Montagne di fuoco

Dopo un incipit che possiamo definire “normale”, questo testo vira verso lo scherzo letterario: un tardo Fosco Maraini propone al lettore parole in fuga da ogni significato, suoni cerebrali allusivi ai mondi fantastici di chi ormai vive ben al di là del dono del “Verbo”. Puro legame musicale con la materia, in questo caso perfino con quella incandescente dei vulcani.

Montagne di fuoco
di Fosco Maraini
(pubblicato su Scandere 1990/1992)

Lettura: spessore-weight**, impegno-effort***, disimpegno-entertainment***

Cos’è un vulcano?
Sotto l’aspetto geomorfologico: un rilievo della crosta terrestre, generalmente conico, alto fino a 7040 metri (Aconcagua, America Meridionale). Al posto della vetta o presso la vetta o sui fianchi del monte si apre un orifizio, in genere imbutiforme, detto cratere. Il vulcano non è una montagna ordinaria esplosa, ma il prodotto delle proprie emissioni.

Sotto l’aspetto geodinamico: un luogo dove fuoriesce del magma incandescente, oltre ad altri materiali talvolta accessori, tal’altra elementi principali od anche esclusivi dell’eruzione, dagli strati – probabilmente non molto profondi – della crosta terrestre, per disquilibri di pressione dovuti a cause in gran parte ancora ignote.

Sotto l’aspetto minerario: un luogo dove possono trovarsi sostanze utilizzabili industrialmente, quali la leucite o lo zirconio.
Sotto l’aspetto religioso: un flagello d’Iddio.
Sotto l’aspetto artistico: un soggetto molto facile, da cartellone. O uno estremamente difficile.
Sotto l’aspetto turistico: un ottimo investimento.
Sotto l’aspetto botanico: un luogo interessante per studiare l’avanzarsi e l’insediamento della vegetazione in terreni vergini.

Sotto l’aspetto alpinistico: in genere una passeggiata o scarpinata che sia. Offre talvolta pendii adatti per gli sciatori.

Sotto l’aspetto metafisico: un grave ostacolo alle soluzioni ottimiste nel problema del male. Sotto l’aspetto retorico: serve, aggettivizzato, a caratterizzare la fervidità di trovate, l’esuberanza pratica, il dinamismo onnivadente.
Sotto l’aspetto orgiastico: un simbolo di furore vitale, di splendori visivi, auditivi, olfattivi e tattili.

Sotto l’aspetto teistico: argomento pro e contro l’esistenza di Dio. Guardate la sua potenza! Un vulcano celebra il Creatore! Oppure: guardate come distrugge ciecamente; non esiste che il Caso. I secoli scelgono la soluzione che più si confà al loro carattere; oggi si pensa ch’è forse meglio il Caso che un Dio senza pietà né amore per le sue creature, o, peggio, con gusti sanguinari e neroniani.

Basta giovanotto, non divagate. Sapreste citarci i nomi d’alcuni vulcani?
Sissignore: l’Orizaba, il Popocatepetl, il Maipu, fra quelli sopra i 5000 metri. Fra gli altri il Mauna Loa, il Colima, l’Etna, il Cracatoa, il Santorino.
Quanti sono all’incirca i vulcani attivi?
Se non erro circa 450.
Sapreste dirci qualcosa sulla loro distribuzione geografica?
Alcuni si trovano nell’interno dei continenti; la massima parte vicino ai mari e agli oceani. Dei 450 vulcani citati ben 350 costituiscono il cosiddetto «cerchio di fuoco del Pacifico».
Conoscete alcuni vulcani direttamente?
Sissignore: l’Etna, il Vesuvio, il Tarumae, il Tokachi, l’Asama, lo Yakedake, fra quelli attivi. L’Amiata, il Fuji, l’Asahi-dake e vari altri fra quelli passivi.
Cosa?
Scusate, volevo dire spenti…
Le vostre distrazioni sono gravi, giovanotto. Diteci quale effetto vi fece l’Etna la prima volta che lo vedeste.
Mimetico; lo cercavo là; ed era su. Lo confusi con le nuvole.
Lo saliste in estate o in inverno? E con chi?
In inverno. In compagnia di un paio di brutti e vecchi sci presi a prestito…
Signore! Non offendete chi vi condusse su quell’eccelsa cima con sicura lentezza e ve ne fece discendere con vantaggiosa precipitevolezza.
Scusate. È giusto.

Che specie di cielo e di neve trovaste sull’Etna?
Il sereno era totale, matematico, definitivo. La neve era militantemente candida, liticamente solida, culinariamente condita con acidi.

La vostra ultima osservazione ci induce a credere che voi siate dedito alla perniciosa abitudine di mangiare della neve. Confessatelo!
Sissignore. È vero. Lo riconosco. In genere la neve non sa di nulla, ma condita di CO (monossido di carbonio) è passabile.

Notaste alcun particolare statico della neve sull’Etna?
Sissignore. Ogni tanto, avanzando, crollavo con dei vasti lastroni in certi avvallamenti profondi mezzo metro e più. Il calore del monte scioglieva la neve dal disotto; finivo perciò col camminare su delle cupole sospese, le quali sotto il mio peso cedevano. La prima volta provai un forte spavento; temetti di precipitare in una qualche fornace del monte…

Evidentemente, signore, voi soffrite di troppa immaginazione!
Sarò più sobrio.

Asama, Honshū, Giappone

E, dite, ha l’Etna una vetta?
A modo suo. Come il polo in una carta a proiezione di Mercatore; ridotto ad una linea. La vetta dei vulcani è anulare; un atollo di terra negli oceani del cielo.

Quali sono le caratteristiche della… laguna interna di questo che voi chiamate atollo… tanto per tenerci nella vostra metafora.
Voraginescamente beante, dantescamente fetida, perigliosamente franosa, pittoricamente variata, oscenamente sonora, mitologicamente attrattiva, geologicamente curiosa, intellettualmente problematica, criminalmente tentante, artisticamente repellente.

Provaste piacere a ficcarvi lo sguardo?
Sì e no. Da una parte mi sentii attratto dall’orrido e dallo straordinario; dall’altra decisi che non mi piaceva vedere l’interno e le macchine del mondo. Non vi succede mai che una cucina vi disgusti del pranzo?

Beh… beh… veramente giovanotto, se ho molto appetito una cucina mi fa venire l’acquolina in bocca. Ma insomma, non divaghiamo. Diteci come fu che ammiraste il Fuji la prima volta.
Dal treno: una casa – il Fuji, una ciminiera – il Fuji, degli ideogrammi – il Fuji, alcuni bambini – il Fuji, le risaie – il Fuji, una stazione – il Fuji, dei panni ad asciugare – il Fuji, una gru – il Fuji, dei pali del telegrafo- il Fuji…

E i fili del telegrafo non impedivano la vista?
La grande montagna saliva e scendeva per lo spartito come un motivo musicale solenne e un poco irriverente allo stesso tempo.

Che impressione vi fece il Fuji? Badate, vi chiedo una cosa banale e non, insieme. Tutte le bellezze molto fotografate e descritte rivelano alla loro prima visione reale un qualche inatteso carattere.
Giusto. Ecco, mi parve secco, asciutto, fossileo. L’aspettavate carnoso di neve, rorido di riflessi, vivente di nebbie sottili?
Forse.

E avete visto altre volte il Fuji?
Moltissime volte. All’alba, roseo nella piena di luce e neve. A mezzodì regale e insigne nel sole. Al tramonto sopravvissuto in un giorno tutto suo mentre il resto del mondo era già franato nel buio della notte. E poi con nebbia intorno al torso, una divinità in danza fra dei veli: o nero e mortale contro l’infinito perlaceo del cielo di luna.

Finalmente saliste sulla vetta?
Sissignore. Un maggio. Con tre amici tedeschi. Dormimmo in una capanna dove accendemmo un fuoco con della brace; a mezzanotte ci svegliammo seriamente intossicati di CO…

Tarumae, Hokkaidō, Giappone

Non c’interessa. Diteci piuttosto che sorta di vulcano è quel Tarumae che avete nominato da principio?
Un bravo ragazzo. Non troppo alto: 1200 metri appena. A differenza dell’Etna e del Fuji ha una vera e propria vetta.

Perché, il cratere si trova forse da un lato?
Sissignore. Il cratere è costituito da una ristretta voragine petrigna al cui fondo si apre un buco, largo una ventina di metri ma condensatamente infernale. Doré?
Perfetto. E n’esce vapore, ma soprattutto suono. Un boato continuo, terrificante come l’urlo d’un malato inguaribile.

E dove si trova questo Tarumae?
In Hokkaidō, sapete quell’isola a Nord del Giappone; il Tarumae s’erge quasi in riva al Pacifico.

Avete qualche ricordo?
Sissignore. Una sera d’inverno. Freddo chiaro. In sci lungo il mare. Il Tarumae rosa, il cielo viola, l’oceano verde, la pianura glauca. Avanti, avanti. La spiaggia senza fine. Cantavo. Pregavo. Quando uno degli sci batté contro qualcosa di sonoro nella neve, mi chinai: era una conchiglia.

Bene. E quel Tokachi?
Ah quello! Sempre in Hokkaidō; ma al centro dell’isola. Un bel monte sui duemila. Come il Tarumae ha un cratere a mezzacosta, ma più lontano dalla vetta. Caratteristiche? Grugniti, boati, minacce. Cerca di scacciar via; ma inutilmente: è troppo bello! Tutto il vapore che sprigiona dalla voragine si rapprende in corazza di ghiaccio sulle pareti rocciose intorno. Poi il calore fa precipitare le suddette corazze appena divengono troppo pesanti. Ogni cosa è in un perenne movimento. Movimento favolesco, minaccevole, tremendigno, centaurigeno, costellazionale, macrolitico, carrarmatico, esplosivastro, valanghetico e polinivale.

Asahi-dake, Hokkaidō, Giappone

Basta. Parlateci di quell’Asama di cui avete fatto il nome.
Un degno individuo della specie. Duemilaquattrocento e mai tranquillo. Pieno d’idee, espansivo, espressionista, mitopietico, vasocostrittore, anabattista, sivaitico, idroclorico, balistico, michelangiolesco e wagneriano.

Continuate.
Vi salii diverse volte. Una di queste non la dimenticherò tanto facilmente. Già fin dalla sera prima, di sulla porta del rifugio ad Oni-ashi-dashi, assistemmo a due esplosioni. Lampi, bagliori, avvenimenti fisico-chimici formidabili. Torrioni di fumo più densi ed atri della notte. Obliterazione delle stelle.

Il giorno dopo a che ora partiste? E con che tempo, e con chi?
Alle sei di mattina. Bel sereno. Insieme a diversi amici francesi. Issando fra l’altro una entusiasta di mezz’età il cui coraggio era superiore alla forza muscolare e cardiaca.

Vi furono esplosioni durante la salita?
Sì, due o tre; una ogni ora, circa.

Com’è il paesaggio del monte in alto?
Nudo. Sasso-ghiaioso. Mosso. Con valloni e spalle secondarie. Abbastanza ripido. Sole. Vento. In distanza le Alpi giapponesi e il Fuji. In basso, laghi, foreste e colate di lava.

E le esplosioni, come si annunciano?
L’esplosione si annuncia acusticamente con uno o più scoppi, con boati e brontolii; otticamente con una colonna di fumo e con scariche elettriche; tattilmente con pietre e pietroni lanciati fino a sei o settecento metri dal cratere…

Riteniamo che dite tattilmente riferendovi all’immaginazione, vero?
Non sempre. Ogni tanto i pietroni divengono realtà tattile davvero. L’Asama non scherza. Spesso ci sono dei morti. Morti per avvenuta tattilità. Il monte aveva ucciso uno studente giapponese pochi giorni prima. Un pilloro sulla capoccia…

Popocatepetl, Messico

Signore! Qui non siamo in una comitiva di ragazzi. Parlate con più serietà. Descriveteci invece con maggiori particolari la colonna di fumo.
Sissignore. Ecco, sgorga come una materializzazione improvvisa e maestosa oltre ogni dire. Il fumo vulcanico non è quella sospensione vaga e pateticamente incosciente di ceneri, termine di paragone della vuotezza rumorosa e confusionaria. È solido. È scultura. E pietra aerea in divenire. È pietrapianta. Pietramuscolo. Pietracerebro. Pietratumore. Sboccia come un gran fungo; s’espande in miriadi d’evaginazioni roteanti e morulanti. L’ontogenesi riepiloga la filogenesi, ma la fumogenesi riepiloga l’ontogenesi. Stupenda lezione d’embriologia! Blastula, morula e via dicendo. Poi inonda il cielo come una colonna di marmo, di pietraserena, di porfido, d’onice, di sardonica. Si contorce in mosse di schiava che tenta conquistare un satrapo. Si slarga a chioma, a feltro, a baldacchino, a palazzo, a reggia. Ha sue nubi per corona e velo. S’imperla di meriggio, s’incarna di tramonto: cede infine lenta maestosa al vento. Sfolla il cielo in un nembo: un alleluia d’entroterra negli spazi.

Bene. Parlateci ancora della colonna di fumo.
Sissignore. Ci lavorano scultori fantasiosi e subitanei nell’eseguire ciò che la mente comanda loro.

Amate voi forse paganamente la natura? Le forze generatrici e feconde della vegetazione? Cerere, Bacco, Vishnu, Inari, Kinashut-Kamui? Bene, vi scolpiranno sull’istante bigonce d’uva con lucertole e farfalle; schiene tese pel gravare di banane e serpenti; piramidi di mele, chiome di pomodori, vasche di marmo bianco colme d’aranci viola, legumi portentosi, frane di noci, grandini di piselli, fiumi di latte, stalattiti di burro…

Siete invece mentalmente depresso, o sepolto in un autunno improvviso dell’animo? Vi creeranno suicidi lenti, spinti dalla decisione dell’indecisione sugli orli d’abissi, dove godono terrori finali e si contorcono in un ultimo contendersi di fati opposti, per precipitare poi giù, giù, giù, verso rocce aguzze, verso topazi, crisoprasi, ametiste.

Amate l’orrore e i piaceri dell’acre? Vi solleveranno da letti cadenti a pezzi lebbrosi a facies leonina; vi sveleranno cancri atroci e tigreggianti; piaghe slabbrate che si aprono, si aprono, fino a dividere poveri esseri urlanti in due. Vi sveglieranno mummie spinte a gesti e a danze da ignoti processi chimici, condotte a profferir discorsi, a rincorrersi nella speranza luttuosa d’amplessi orrendi.

V’interessate invece più semplicemente d’industrie? Eccovi tutt’una fabbrica di blafògeni buzzanti. Ecco le sborde colossali che issano i fotronci, li gettano nelle stragnotte, dove lingue di fuoco li sfrogillano, li trillazzano, li sconciuscano, li sdilumbano – iniettandovi getti continui d’iposgretoluro di putifassa – suscipando e rinfringendo con ripetute ipergalluzzifosi, tutta la massa pastosa o frignoccoluta fin quando questa sia perfettamente omogenea e biscibabante. Ecco poi i paragniluppi frescatori che prendono il pastone già rimbuzzillato, e lo sbritillano in sottilissime grogliette, lo laminano, battono, confrottono, butrillano, scitrellano, sbigognano finché esso diviene completamente rimbiobboluto e fritillante. Ed ecco infine la spettacolosa sciuntifera ganimedizzante, che dà l’ultimo tocco, il lustro trongimetrico alle superfici, e presenta i blafògeni pronti per il mercato mondiale.

Siete forse portato abitualmente agli studi metafisici, alle astrazioni dal particolare, alle attività più alte e nobili dello spirito? Vi rinnoveranno l’Idea platonica di fumo, vi faranno brillare l’entelecheia del medesimo; vi conforteranno con Eraclito che Panta Rei, tutto scorre o si muove, e con Parmenide che ogni moto è fumo ed illusione.

Etna

O siete piuttosto un cultore del Bello, delle Arti che rendono l’uomo simile agli Dei? Vi mostreranno torsi ellenici, ratti rubensiani delle Sabine, schiavi michelangioleschi che sollevano monoliti o strappano catene, amplessi di Rodin, popoli di Medardo Rosso, Templi di Tanjore, bassorilievi di Borobodur, mitologie di Chichen-ldza, tacciate gotiche con sante, regine, vergini,  martiri, artigiani, cavalieri, personificazioni e mostri…

Avete un temperamento aggressivo, ambizioso, sanguigno? Vi troverete dinanzi a torsi e banderilleros, espadas e aficionados; a combattimenti di gladiatori, di gladiatrici; a naumachie; a carriarmati penetranti palazzi; a bombe e depositi di benzina in fiamme; a tornei con bacinetti, olifanti, gualdrappe e cimieri; a corse automobilistiche con disastri meravigliosi; a pugilamenti fra Carnera e Cerbero, fra Ercole e Momotaro, fra Sigfrido e Indra… Bandiere, orifiamme, stendardi sventoleranno alti nel sole e per l’aria suoneranno trombe, campane, gridi, invocazioni, richiami, scoppi ed urli…

O siete invece afflitto da un temperamento catastrofico? Vi mostreranno allora un treno a tutta velocità che precipita per il crollo d’un ponte in muratura nella forra d’un fiume coperto di ghiaccioni galleggianti, giù per il quale discende alla deriva il piroscafo in fiamme. E lì vi presenteranno scoppi di locomotive, ghiacci, fuoco, piroscafo arenatosi contro carrozzoni confitti in melma e per metà fuori dei flutti, sirene, fischi, pianti, morti, pioggia, saette, tuono, grandine, trombe d’aria. Lo scotimento causerà una frana. Case e palazzi svalangheranno nei gorghi. Erutterà un vulcano. Ci sarà un terremoto. Un maremoto. Esploderà un deposito di bombe atomiche. Vi sarà l’incontro con un pianeta vagante. La fine del mondo.

O siete per caso un pacifico cultore di scienze biologiche? Vi evocheranno dal nulla corolle tropicali e serpenti boa, orchidee e leopardi; vi faranno vedere balene divoranti giraffe le quali erano sul punto di brucare cavallette verdi le quali stavano lottando con libellule rosse; cani che s’azzuffano con meduse; mischie di polipi e tigri, d’aquile e rinoceronti, di topi e lombrichi, di granchi e dinosauri, di iguanodonti e camaleonti, di torpedini e formiche, di cinghiali e palombi, di vacche e farfalle. Vi riserveranno pel cielo ospedali d’ermafroditi o malati affetti da pitiriasi versicolor o neurofibromatosi. Vi condurranno nel mare fra oloturie, anemoni, polipi, naufraghi, sottomarini. Ingrandiranno strafilococchi, pneumococchi, vibrioni, spirilli, stami, antere, sporangi, ponti di Varolio, neuroni, leucociti, villi intestinali, bronchi, meningi, placente…

Siete invece un diplomatico, uno scrittore di libri di storia, un ministro? Vi chiameranno a raccolta dal passato trionfi dei Cesari; visite di Faraoni al tempio di Ra; Alessandro Magno che riunisce in matrimonio Europa ed Asia; Le incoronazioni di Carlo Magno, di Napoleone; Tamerlano che entra a Samarcanda fra piramidi di teste mozze; Omar che fa bruciare la biblioteca d’Alessandria; Shi Huang Ti che costruisce la grande muraglia; Alarico che entra in Roma; i ricevimenti alle corti di Sardanapalo, di Nerone, di Luigi XIV o nei palazzi dei Medici, di Hideyoshi, di Akbar, degli Inca…

Basta Signore. Riteniamo ci abbiate soddisfatti sulla questione fumo. Procediamo adesso. Dopo avere assistito a questi e altri vari spettacoli del genere durante una o più esplosioni, cosa faceste?
Parte della comitiva restò a merendare accanto ad un masso. lo con un membro della compagnia…

Giurereste che non fu una membra?
È vero, era una membra. Insomma con la membra in questione salii il più velocemente possibile fino al cratere, calcolando di farcela, andata e ritorno, in circa un’oretta, giusto il tempo fra un’esplosione e la successiva.

Era ripida la salita?
Ostilmente acclive.
Marciaste velocemente?
A sputacuore.

Manifestazioni organiche?
Secrezione sudorifica abbondante, aumento nella frequenza e forza dei battiti cardiaci, elevazione della pressione e della temperatura, accumulo d’acido lattico nei muscoli, affanno, tensione nervosa con ipersalivazione.

E psichiche?
Timore progressivamente più forte che dovessimo venir sorpresi da un’esplosione. In contrasto: desiderio di vedere il cratere, piacere di sfidare il pericolo.

Che tecnica adottaste per avvicinarvi al cratere?
Quella di tutte le battaglie moderne. Appostarsi dietro un pietrone, prender fiato, slanciarsi a capo basso per cinquanta metri di pendio fino al più  vicino  susseguente   riparo  per acquattatisi dietro ed attendere qualche momento. E così di seguito fino in cima.

Intanto il vulcano era calmo?
Meditabondo.
Cioè?
Fischiava, brontolava, tuonava come una locomotiva sotto pressione. Finalmente giungeste a ridosso di un pietrone a tiro di fiato dal cratere, e – dopo un buon riposo – vi slanciaste fin sull’orlo, vero?
Esatto.
E…?
Nulla.
Come nulla?

Fosco Maraini con la moglie Mieko, 3 agosto 2003, nella loro casa di Pasquìgliora (Alpi Apuane)

Voglio dire nessuna esplosione. Il cratere si beava nel sole. Si rivelò una voragine ellittica, larga forse un chilometro e profonda due o trecento metri, con pareti rocciose a picco e incrostate di sostanze minerali biancastre, gialline, verdognole, iridescenti. Dal più profondo dell’imbuto laringiforme e nerastro sortiva appena un filo verginale di vapore. Cominciò però quasi subito a sortirne un boato che si fece del tutto sproporzionato a una manifestazione visibile tanto esigua. Il boato si fece tremendo. Tremendo, vi dico, e scusate l’enfasi. Riempiva il cielo della sua invisibile presenza. Ci sentimmo immobilizzati dal terrore e così piccoli e insignificanti da desiderare di svanire addirittura. D’altra parte, proprio questa piccolezza e l’esser così insignificanti di fronte ad una forza così formidabile della natura, causavano della gioia in noi. Gioia brevissima, puntiforme. Perché il boato si fece ancora più intenso e, mentre fuggivamo, alle nostre spalle sorse roteando, crescendo, torreggiando orribile, il fumo nero con striature bianche di vapore d’un’esplosione.

Vi gettaste allora come pazzi giù per il pendio fino al masso più vicino?
Sissignore.
Il quale sasso era piccolo e riparava a malapena la testa, vero?
Come se voi ci foste stato!

E il vulcano intanto?
Si scuoteva nell’orgasmo fumogeno. Ed il fumo sembrava di roccia; a contorni netti, tutto bitorzoluto e porroso come una zucca. Ondeggiava pesantemente nel vento. Per fortuna questo tendeva a scacciare la nube di fumo e di gas anziché ad avvicinarla. Ci fu però un attimo d’incertezza: la nube-roccia si avvicinò fino a venti, trenta metri. Pensiero: soffocheremo. Quindi: fuggire. Fuggiamo. In quel mentre ebbe luogo la vera esplosione. Bang. Bu. Bum! Paff! I cinquanta o sessanta metri fino al masso successivo parvero richiedere mezz’ora. Pensieri: adesso cadranno sassi, li sentirò fischiare, schianteranno sulle rocce, uno in pieno sulla nuca, più nulla, nero, fine assoluta, non ancora, troppo giovane, tanti peccati, sarò buono, buono, ah vigliacco ora ci pensi! Eccoli, eccoli, li sento fischiare. Finalmente il masso. Farsi piccini piccini. Alcune pietre cadono qua e là. Nessuna qui addosso. Sollievo. Scampata anche questa. Sarò buono buono. Ma già più sicuro. Ancora un pochino godere la vita. Il fumo stava salendo nel cielo a contorni già meno netti (più simile al vero fumo): coprì il sole. Corremmo fino ad un masso più grosso. Finalmente proprio al vero riparo! Che il monte vomiti fin che vuole adesso…

Divoraste allora alcuni bocconi?
Sissignore. Una fetta di pane con del formaggio. E una mela.

Fateci un poco partecipi delle sensazioni del momento.
Sissignore. Sollievo festoso. Gloriòla intima. Intelletto soddisfatto. Muscoli rilasciati. Delizia sensuale del sole tornato a splendere. Godimento animale nella sicurezza del luogo. Distensione di nervi. Piacere nella compagnia. A proposito…
Sì?
Niente.
Ah…

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Montagne di fuoco ultima modifica: 2017-12-09T05:40:39+01:00 da GognaBlog

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