Musinè mon amour

Musinè mon amour
di Giuliano Bosco

22 giugno 2023, Loano, ombrellone in terza fila (le prime due costano un botto e poi c’è troppa aria…). Fa troppo caldo per andare a correre e questa mattina alle 7 i propositi corsaioli della sera prima si sono spenti come… la sveglia, zittita senza tanti riguardi. Osservo l’altrui inerzia e mi chiedo come si possa rimanere così a lungo a fissare il mare senza fare nulla. Certo che anche guardare le statiche pose di chi mi circonda non costituisce un gran che come attività fisica… cazzarola, devo allenarmi! Le gite estive incombono e lo scialpinismo primaverile, su cui ho sempre contato per avere una forma decente per l’estate, è stato un disastro causa impegni vari con sto “Superbonus 110” con il quale mi sono auto-incaprettato (per fortuna è quasi finito). In questi giorni hanno riaperto il Buco di Viso. Segnali di libero accesso alla montagna estiva, ma senza un po’ di fiato e gambe le mie piccole avventure nelle “terre alte” saranno solo giornate di “blood, sweat & tears”. Domani rientriamo a Torino. Mia moglie va alla cena di fine anno scolastico con i colleghi insegnanti. Io “balzo” e quindi… quindi… potrei andare sul Musinè! Quante volte ci sono salito? Non saprei dirlo. Tante. Tantissime volte, in tanti, tanti anni. È la “sgambata” classica di allenamento per i montagnini torinesi. Pochi chilometri fuori città e poi una “tirata” di quasi 3 km per 770 m di “dislivello positivo” (come si usa dire adesso). Tanti anni e un bel po’ di ricordi. E allora via! Mischiamo presente e passato e partiamo per l’ennesima salitozza.

Parcheggio nella strada che porta al campo sportivo di Caselette. Meglio lasciare l’auto nel viale di ingresso. Volendo si può proseguire e svoltare a destra negli ultimi posti segnati lungo il muro di cinta di una fabbrichetta, ma capita a volte che il maggiore isolamento produca… tentazioni furtaiole con oggetto la vettura e il suo contenuto. Quindi meglio una corsetta in più che… dover svuotare l’abitacolo dai pezzetti di vetro del finestrino frantumato da mani ostili e fregaiole. Ma che ci fanno tutte ste macchine alle 8 di sera? Tutti salitori pomeridiani del Musinè? Appena sceso dall’auto vengo investito da un fiume di allegre note musicali, e capisco. C’è una qualche festa paesana nel piazzale prima del viale e si suona alla grande. Sarà una salita e discesa con colonna sonora…

Il muso dell’auto parcheggiata punta al muro di cinta di un’antica magione nobiliare che a metà dell’800 ospitò le donne di Casa Savoia in fuga dal colera. Lungo il muro a metà altezza corre un cavo in ferro al quale mi immagino vengano attaccate (o venissero attaccate…) bestie varie in occasione di qualche fiera locale.

Mi cambio un po’ più veloce del solito. Di solito ci metto almeno un quarto d’ora, con calma, senza fretta… ma stasera è un po’ tardino e allora cerco di sbrigarmi. Me la tolgo in 6-7 minuti compresi i soliti riti. Il cordino elastico per gli occhiali lo trovo sempre in macchina nel vano sotto la radio e le scarpe me le metto posando i piedoni (49 e 1/3 della Salomon) sul tappetino di gomma che tengo nel baule (piccole comodità frutto dell’esperienza che sta, purtroppo, declinando verso… l’anzianità). Prendo i bastoncini a 3 segmenti, anche loro sempre in attesa nel baule, e via per la breve corsetta di riscaldamento fino alla base del sentiero. Sono le 20.10. L’orario produce ricordi. 

La partenza del sentiero

Ho iniziato ad andarci al Musinè negli anni ‘80 del “secolo breve”. Uscivo la sera dall’ufficio vicino a piazza Adriano a Torino e mi fiondavo in corso Francia che, come una freccia scoccata da piazza Statuto, punta dritto verso la Val di Susa in direzione del Paese dai 246 formaggi (come diceva De Gaulle) da cui il corso prende il nome. Allenamento serale con discesa che, a volte, richiedeva l’accensione della “frontale”; dipendeva dalle stagioni e dall’ora a cui riuscivo a “dileguarmi” dall’ufficio, lemme lemme, come un gattone sornione.

Eccomi alla partenza. Riempio il camelbak con l’acqua della fontanella in ghisa che sorveglia l’inizio del sentiero, sistemo la sacca idrica nello zainetto da runner appoggiandomi ad un tavolo di pietra vicino alla fontana (tutte le comodità…). Faccio pipì e sono pronto.

L’app sul cellulare, appena attivata, declama con voce sicura “20… 10… 5, 4, 3, 2, 1… allenamento iniziato”. Mentre salgo faccio mente locale su cosa ho sicuramente dimenticato causa la fretta (che è sempre “cattiva consigliera”). Numero 1. Il fazzoletto di stoffa. Lo so, usano tutti quelli di carta (e molti li troviamo nei sentieri…), ma “mi sun vej” e i fazzoletti di carta non li voglio vedere. Ricordo, quando vendevo gas tecnici (azoto, ossigeno, etc.) che andai a trovare un cliente che produceva fazzoletti di stoffa e che ce l’aveva a morte con i politici, i quali avevano lasciato che il termine “fazzoletto” fosse utilizzato anche per quelli di carta. Mi diceva “cavolo! Non sono “fazzoletti”! Perché li autorizzano ad usare lo stesso nome di quelli che produco io con del nobile cotone?”. Chissà, forse in omaggio a quel cliente io sono rimasto affezionato ai miei quadrati di stoffa e non esco mai (MAI) di casa senza. Quindi appena realizzo di non averlo vengo colto da un piccolo, tenero attacco di insicurezza. Poi mi ricordo che nello zainetto ho un asciugamano di dimensioni simili al prezioso fazzoletto e… mi tranquillizzo. Alla mala parata mi soffierò il naso nel “morbido”. Numero 2. Mi sono dimenticato di togliermi l’orologio che adesso è lì che sballonzola al polso (che fastidio). Poi però penso che, in funzione dell’orario un po’ tardo, forse non è una cattiva cosa poter sempre controllare l’ora quando si vuole, semplicemente alzando il braccio, vero “valore aggiunto” rispetto allo smartphone che giace nello zainetto. Terza dimenticanza l’Autan. E per questa l’unico rimedio… è grattare con forza le varie “iniezioni” che la fauna insettifera locale mi somministrerà… con generosità…

Torniamo agli anni ‘80. Niente cellulari (s’mja m’pusibil…). Settembre. Crepuscolo serale. Oggi sono uscito dall’ufficio un po’ più tardi del solito e le ombre della sera già si allungano sul terreno. Sono da solo alla partenza come quasi sempre accade. Mi sto per incamminare nel ripido sentiero ma lo sguardo mi cade su un oggetto scuro presente a terra. È una testa di donna con i capelli neri, lunghi e scompigliati. Faccio un salto di lato e il cuore mi balza in gola. Poi guardo meglio vincendo un sentimento misto tra paura e raccapriccio. È la testa di un manichino di quelli che indossano abiti femminili nei negozi di abbigliamento. Con alcuni spilli infilzati. Ricordo di aver letto di riti più o meno satanici consumati sul Musinè. La chiamano anche “la montagna magica”. Maledico i “satanici” per lo spavento che mi hanno fatto prendere e mi incammino sul sentiero in preda ad un lieve turbamento… (speriamo non piantino spilloni anche nelle chiappe dei runner…).

Inizio la corsetta. Il sentiero è subito ripido e acciottolato con pietre di varie dimensioni. Quasi ad ogni svolta, e anche in qualche tratto rettilineo, c’è un’edicola votiva in quanto nel periodo in cui “le madamine” di Casa Savoia soggiornavano a Caselette venne realizzata la via crucis che ora sto percorrendo (immagino anche con generoso contributo regale) e che sale fino al santuario di Sant’Abaco dove arriverò tra una decina di minuti. Sono partito corricchiando e lo sforzo prodotto dalla pendenza si fa subito sentire gaiardo. In pochi metri si guadagna subito un discreto dislivello e si comincia a vedere il panorama del fondo valle e del sottostante paese di Caselette. Hanno tagliato un po’ di alberi secchi e bruciacchiati in quanto con frequenze regolari (anche più volte all’anno) vasti incendi si impossessano del Musinè alimentati anche dal forte vento valsusino che spesso soffia in questa vallata alpina. Al santuario termina la via crucis. Quindi finiscono le edicole votive e anche la “acciottolatura” del sentiero che prosegue sterrato, alle spalle del luogo di culto, ma con pendenza ancora maggiore. Quindi veloce cambio di assetto. Bastoncini in azione e stop alla corsetta. Proseguo sull’erto percorso e poco dopo l’app mi segnala che sono al primo chilometro e che ci ho messo… 20 minuti e una manciata di secondi. Tempo di merda, il peggiore da quando uso questa app. Gli anni passano, boja faus. Continuo la salita, un po’ depresso dal riscontro cronometrico, fino a sbucare su una cresta erbosa che concede un po’ di sollievo alle stanche membra in quanto la pendenza diminuisce assai. Si può riprendere la corsetta…

Era forse novembre o dicembre di un anno imprecisato. Potrebbe essere inizio 2000. Ricordo che era mattina e quindi immagino fosse sabato, visto che all’epoca ero assai “lavorativamente operativo”. Mentre corricchio sul sentiero in cresta sento alle spalle un suono possente e di intensità crescente. Mi volto per capire cosa sia e vedo un jet militare (credo fosse un Tornado) che passa vicinissimo alla cresta a velocità contenuta. L’assetto del veicolo mi permette di vederlo nella sua interezza in quanto vola in posizione obliqua con la parte superiore rivolta verso la montagna e quindi verso di me. La bassa velocità fà si che l’intera scena duri qualche secondo. Il pilota dal cupolino trasparente dell’abitacolo mi saluta con la mano. Contraccambio sventolando i bastoncini. Poi l’aereo scompare dietro la cresta e io rimango lì un po’ rintronato dal rumore e… con i bastoncini per aria. Mi viene in mente una frase stampata sulla maglietta di Grunf, il pilota di aerei triplani di Alan Ford, e che recita: “chi vola vale, chi vale vola, chi non vola è un vile” (anni dopo, scoprii che era una citazione di Italo Balbo…).

Ogni tanto incrocio qualcuno che scende e che mi guarda un po’ come dire “… ma dove cavolo vai a quest’ora, balengo…”. Poco prima di un altro tratto in falsopiano raggiungo 5 ragazzi che stanno salendo, tutti rigorosamente senza bastoncini (altro colpo al morale…). Però li raggiungo, li saluto e li supero. Sono tutti mooolto più giovani di me e questo in parte mi rincuora. Non sono ancora da buttare nella “differenziata”. E poi… non sono proprio solo sulla “montagna magica” (c’è sempre quella storia di spilloni… non si sa mai…).

Eccomi all’alberello di Natale, un’altra delle “chicche” del Musinè. Ogni anno, in prossimità delle feste di fine anno, mani a me ignote decorano questo alberello con palline natalizie colorate.

Alla base viene collocato anche un piccolo presepe. Ogni tanto il vento fa cadere qualche pallina e mi è capitato più volte di raccoglierle e riattaccarle all’albero. A volte vengono aggiunte delle bandierine di preghiera tibetane, souvenir di qualche trekking nepalese che poi, tornati a casa, non si sa cosa farsene di questi pezzi di stoffa colorati e tenuti insieme da un cordino (invoco la clemenza di qualche monaco tibetano per questa irrispettosa descrizione del suddetto manufatto…). E allora vengono mollate in giro per le nostre montagne e qualcuno anche qui sul Musinè, a conferire un tocco esotico all’installazione natalizia.

Eccomi al traliccio elettrico. Poco prima l’app mi dovrebbe segnalare che sono arrivato al secondo chilometro ma rimane muta come un pesce. Boh… proseguo e arrivo in un tratto che io chiamo “il traverso”. Un tratto in falsopiano che taglia orizzontalmente il pendio un po’ sotto la cresta. A quel punto l’app, bontà sua, mi dice che sono al secondo chilometro e mi spara un tempo farlocco frutto dell’errata localizzazione. Mando due “simpatici accidenti” ai satelliti del GPS che saranno in sciopero come l’odierna agitazione della GTT (ovviamente… dì venerdì…), causa del discreto traffico che ho trovato stasera arrivando dal mare nella metropoli torinese. Proseguo.

Mentre salgo realizzo che ieri era il giorno più lungo dell’anno; com’è che si dice già… “solstizio d’estate”, oppure equinozio estivo (cioè “cavallo stanco in estate “), oppure “prepuzio d’estate” (in omaggio alle avventure galanti estive…). Vabbè, smetto di pensar minchiate e mi compiaccio di questo “colpo di culo” che mi permette di avere a disposizione il massimo delle ore di luce naturale di tutto l’anno (la serata è bellissima e in cielo non c’è una nuvola), anche se il versante di salita è rivolto ad est e quindi, a quest’ora, è in ombra completa e questo va anche bene così in quanto oggi il sole “picchiava duro” e “con una salita ombrosa il corpo si riposa” (che metrica… che poetica. Da pjurè – trad. “da piangere” -).

Sarà successo circa 10 anni fa. In questo punto incrocio alcune persone in discesa e mi avvisano che un po’ più avanti c’è una vipera “ca fà disnè” (trad. “che fa pranzo”). Ringrazio del warning e proseguo cauto… fino alla base del primo salto roccioso dove mi si presenta la seguente scena. Una vipera si sta sbafando un rospo. La metà davanti dello sventurato anfibio è già nella bocca della vipera dilatata a dismisura. Rimane fuori metà corpo e le zampe posteriori che ogni tanto si muovono, forse in preda a contrazioni incontrollate. Ovviamente in questa situazione la vipera è totalmente indifesa e avrei potuto intervenire per sopprimere il rettile e liberare il rospo (posto che fosse ancora vivo). Ma… chi sono io per intervenire in questo esempio offerto dalla natura di “catena alimentare”? Passo cauto per non disturbare il lauto pranzo e proseguo verso la punta del monte. Al ritorno la scena è la medesima dell’andata. La vipera si è spostata di poco e la parte esterna del rospo si è un po’ ridotta. Ignoro quanto tempo ci ha messo il viperozzo a magnarsi il rospo e quanto ci abbia messo poi per… digerirlo (immagino un rutto fantozziano che sarà stato scambiato per un tuono temporalesco dalla popolazione locale…).

Eccomi al saltino roccioso con la scritta “Quota 1034”. Poco più di 100 m di dislivello e ci siamo. Arrivo a quello che io chiamo “il balcone”. Si tratta di un pulpito roccioso posto al termine di una ripida balza e da cui si gode una vista magnifica sulla pianura sottostante. Panorama molto più bello (a parer mio) di quello che si vede dalla punta, in quanto “il balcone” si protende nel vuoto (pochi metri di salto, nessuna paura…) ma soprattutto non ha alcun ostacolo davanti. Nessun albero. Niente. Una vera “cartolina”. Gli do uno sguardo veloce e mi riprometto una sosta più lunga al ritorno con le luci della città ad impreziosire la vista.

Dopo l’incontro con le cinque persone di prima, non faccio altri incroci e quindi penso che potrei anche essere solo su questa montagnetta con le tenebre che avanzano. I cinque di prima potrebbero essersi fermati sulla cresta erbosa dove li ho lasciati. Magari mangiano e bevono qualcosa e poi scendono soddisfatti. Penso a tutto questo mentre salgo, poi alzo gli occhi e vedo… due sederi che avanzano. Uno maschile e (per fortuna) uno anche femminile. Non sono solo e di ciò un po’ mi rallegro. Li raggiungo. Li saluto e li supero (idem come per i 5 precedenti). Per questi due mi produco anche in una battuta ad alta voce “anche voi qui a festeggiare i giorni più lunghi dell’anno?”.

Mi risponde l’uomo: “Hai ragione. Non ci avevo pensato!”. Allora non sono il solo a non averci pensato. Non sono quasi mai “il solo” a pensare ad una certa cosa… (“siam tutti uguali”…).

Ancora avanti e si arriva all’ultimo salto roccioso in punta al quale è stata collocata una catena la cui utilità è, diciamo, discutibile. In salita, alla stessa altezza della catena c’è una magnifica radice che spunta dal terreno a mezza altezza e che sembra una maniglia naturale posta al punto giusto e della giusta dimensione. Quando c’è la neve in inverno (sempre più raramente, purtroppo…) la catena, posata a terra, è coperta dal “bianco manto”, quindi inutile. Forse se si è sorpresi dalla pioggia in discesa può avere una qualche utilità (forse). A me non è mai capitato di usarla. 

Ancora un pezzetto di salita, una radice che sembra uno scalino e… ci siamo ! Si sbuca proprio sotto l’immensa croce bianca in muratura alta 15 metri e che si vede bene anche dalla pianura. Come al solito proseguo ancora qualche metro per arrivare al punto più alto del monte dove è posto un piloncino in alluminio con una targa in cui sono elencati i nomi di varie divinità mondiali, compreso (ovviamente) il “nostro” Gesù Cristo. L’app capisce che mi sono fermato e mi dice “pausa automatica”. Mi tolgo con cautela lo zaino (per non far ripartire l’app…), estraggo il cellulare e tappo sul bottone “fine” che segnala il termine dell’allenamento. Il tempo indicato è di un’ora e 7 minuti. Pensavo peggio, tipo un’ora e quindici o anche più. Si vede che nella seconda parte sono andato meglio. Succede di raro. Di solito nella parte finale si rallenta a causa della stanchezza. Bene così. Mi do una pacca sulla spalla da solo e il morale migliora. D’accordo che “ai bei tempi’ ci mettevo anche 47 minuti. Ma… ”l’temp a pasa”. Nulla può fermarlo (unfortunately…).

Come al solito recito due o tre preghiere (oggi 3). Di norma un “Padre Nostro” (con la formula classica del “… non ci indurre in tentazione…” che è quella che mi hanno insegnato e me ne sbatto altamente se i vertici ecclesiastici l’hanno modificata…) e una “Ave Maria”. Oggi due “Padre Nostro” (sarà il crepuscolo che induce alla meditazione religiosa).

Era già qualche anno che non salivo a quest’ora e lo spettacolo è veramente bello. Osservo soprattutto quello verso le montagne in quanto il “versante pianura”, come detto, si apprezza di più dal “balcone” sottostante la punta. Le montagne verso est sono “sfondate” di rosso e sono molto suggestive.

Panorama verso ovest

Scendo dalla punta con pilonetto e mi vado a sedere sotto la croce. Quasi sempre mi siedo in una specie di tavolo in pietra, molto comodo in quanto piuttosto alto da terra, dove faccio “le mie cosine rituali”, da punta. Mi cambio, mi asciugo il copioso sudore, mi stendo e mi riposo. Ma stavolta “i due sederi” di cui prima mi han fregato il posto mentre io recitavo le preci di punta. Più avanti c’è un’altra tavola in pietra con una piastra metallica di orientamento con i nomi delle montagne che si vedono dal Musinè (sono salito su tutte… piccola sudisfasiun…), ma pure questa è occupata da un’altra coppia seduta sulla tavola. E quindi a me non rimane che lo scalino alla base della croce (dedicando mentalmente “ogni bene” alle due suddette coppie…).

Seduto alla base della croce

Sono le 9 e mezza e, per quanto la giornata sia lunga, la luce cala vistosamente. Ancor di più sul sentiero il quale, come detto, è in ombra. La luna nel cielo è una falce sottile e quindi potrà aiutare piuttosto poco. È ora di scendere. Ho la “frontale” nello zainetto ma decido di non usarla. Anzi… decido di neanche renderla attiva posizionando le 3 batterie stilo che tengo separate dalla pila. Se mi serve lo farò mentre scendo alla luce del cellulare. Mentre mi preparo a scendere arrivano i 5 di prima. Piccolo affollamento serale in punta al Musinè.

Ci sono tre percorsi diversi per scendere (e, ovviamente, anche… per salire). La scelta di quale seguire, per me, dipende dal tempo che ho a disposizione e dalle condizioni del terreno. Questa sera è il “fattore tempo” a farmi scegliere lo stesso percorso seguito in salita in quanto è il più breve anche se quello con il terreno più insidioso. Allungo di 5 cm i bastoncini e inizio a scendere con molta cautela. La luce è poca e diventa ancora meno nei tratti coperti da vegetazione. Per fortuna conosco il percorso piuttosto bene, ma comunque bisogna fare molta attenzione perché è un attimo… rovinarsi la stagione (o peggio…).

Negli anni, le mie cadute sul Musinè sono state molte e hanno prodotto vari “risultati”. Premetto che il Musinè in discesa presenta alcune insidie. È molto ripido. Se bagnato/umido i tratti rocciosi diventano assai scivolosi (non questa sera, per fortuna) e poi c’è il famoso “terriccio del Musinè” che scivola come sapone. È proprio su questo terreno coperto da sassolini che sono avvenuti i peggiori “sghiun”. A volte me la sono cavata con grandi culate e nulla di più (come si dice, “per fortuna il sedere non ha i denti”…). Qualche altra volta mi sono sbucciato mani e avambracci sui quali sono “atterrato”. Una volta un bastoncino ha avuto la peggio. Un modo per ridurre il rischio di caduta (che ho scoperto con gli anni) è quello di seguire fedelmente i segnavia bianchi e rossi che segnano un percorso tra i moltissimi possibili. A volte il percorso può sembrare un po’ illogico ma assicuro che è quello più sicuro. 

Scendo molto cauto. Mi sono pure tolto gli occhiali le cui lenti sono piuttosto rovinate. Ci vedo meglio senza. 

Eccomi al “balcone”. Lo spettacolo è fantastico. La città con la collina come sfondo sembra un immenso presepe. La nostra bellissima Torino! Provo a fotografarla ma la foto viene una cagata. Non rende neanche lontanamente la realtà visiva. Probabilmente io non sono tanto capace a fare le foto (mentre scendevo mi sono ricordato che toccando il display la foto sarebbe venuta meglio…), però provo un certo compiacimento a rilevare come “il materiale ottico” che nus Sgnur ci ha messo a disposizione è ancora superiore a quello presente nel mio cellulare. Non ho certo l’ultimo modello della nota casa di Cupertino e poi, come detto, la mia abilità di fotografo è assai discutibile. Tutto vero. Ma io mi compiaccio lo stesso della supremazia della mia “focal nature” sulla tecnologia “stars&stripes” e proseguo la discesa.

Panorama dal “balcone”

La luce è sempre più fioca. In compenso, man mano che scendo, aumenta… il sottofondo musicale… “pumpa-pumpa”… “… su le maniiii…”. Io nelle mani ho i bastoncini… se le alzo mi mancano due appoggi… e cado. Ogni tanto un raggio laser viene puntato verso la montagna e qualche albero si colora di azzurro o di viola. Continuo a scendere cercando, come detto, di seguire i segnavia. Purtroppo di notte i segnavia si vedono meno che di giorno (saggezza… catalanica…). Viene in soccorso la memoria per cui mi ritrovo ad azzeccare quasi sempre il percorso seguendo solo la memoria visiva e cercando di riconoscere i luoghi oscuri che attraverso. Me la cavicchio. Un paio di piccole scivolate senza conseguenze né cadute e sono al santuario di Sant’Abaco. Qui di solito chiudo i bastoncini e percorro di corsa la via crucis fino alla base del monte. Ma stasera… i bastoncini teniamoli operativi, vah… visto che si vede ben poco. Rivedo delle lucciole. Erano anni che non le vedevo. Poi ci sono le luci del “pumpa-pumpa” di intensità crescente man mano che scendo e arrivo alla base. Mi sciacquo alla fontana e bevo avidamente. Mi bagno anche le numerose punture di insetti che hanno banchettato con la mia epidermide per tutto il percorso (che bello sapere di avere l’Autan… in macchina…).

Ed eccomi al parcheggio. Macchine da tutte le parti in quanto la festa è al clou. Famiglie con bambini che ballano scatenati. Un ragazzo apre la sua macchina sportiva per prendersi un giubbotto. C’è un po’ d’arietta nella serata festaiola di Casellette. Mej quatese (trad. “meglio coprirsi”). Io mi cambio e faccio sfoggio delle mie nudità (nei limiti della decenza…). Vengo osservato con un misto di curiosità e… compassione come dire “ma chi te lo ha fatto fare”. La solita domanda alla cui noi montagnini diamo sempre la solita risposta (mentale) volgendo lo sguardo verso la scura massa della montagna e pensando “perché è lì”. Il Musinè “mon amour” è lì e non mi ha tradito neanche questa volta.

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Musinè mon amour ultima modifica: 2023-07-20T05:59:00+02:00 da GognaBlog

16 pensieri su “Musinè mon amour”

  1. A Torino si realizza la quadratura del cerchio, ben al di là del caso Musine’. La tradizione alchemica ed esoterica dei sabaudi è di lunghissima data (medioevo almeno): sembra un paradosso, considerato il pragmatismo militaresco cui siamo educati da secoli. Ma è cosi: gli estremi si toccano. I sabaudi si muovono in un quadrato esistenziale i cui quattro vertici sono: 1) scienza/logica/managerialita’/organizzazione militaresca; 2) massoneria/conoscenze/far parte dei “giri utili”; 3) religione, intesa come qualcosa che non e’ “scienza”, cioe’ che non si può spiegare con le rigide regole scientifiche; 4) esoterismo/paranormale. Se fate attenzione i primi due vertici stanno dalkacstessa parte, gli altri due dall’altra parte. Ecco il quadrato perfetto. Un vero sabaudo sa giostrare abilmente fra questi quattro angoli. Anche la frequentazione delle vette (fra le nostre mille attivita’) si inserisce in questo quadrato.
     
    I capitelli che sorreggono i balconi principali dei palazzi storici torinesi hanno quasi sempre precisi riferimenti esoterici: diavoli, mostri, fiere rampanti, guerrieri in armi… C’è tutta una lunghissima tradizione, nonché una fiorente bibliografia, su questi “simboli” di cui è tappezzata la citta’. In più a Torino ci sono alcuni luoghi ben definiti che sono considerati come vere “porte degli inferi”, note da secoli a tutti gli esoterici del mondo.
     
    A cinque o sei isolti dalla mia abitazione c’è la residenza che fu di Gustavo Adolfo Rol, illusionista per alcuni,  mago del paranormale per altri. Le riunioni nel suo salotto erano famose e ambite e costituivano un circolo molto esclusivo. Vi partecipavano personaggi di spicco, anche imprenditori di rilievo, e pare addirittura Piero Angela, torinese e acclarato uomo di scienza. Si narra che nelle riunioni a casa Rol si assistesse a fenomeni come piegare posate a distanza con la sola forza del pensiero o far attraversare i muri ai presenti. Pare che la famiglia che ha rilevato l’abitazione dagli eredi Rol, dopo circa 30 anni in cui ha vissuto sistematicamente e felicemente, abbia deciso di rimetterla in vendita. Se interessati all’acquisto, ben volentieri mi attivo a mettervi in contatto. La mia provvigione è del 3,5%. Ciao!

  2. “Chissà se prima o poi qualcuno scrivera’ la storia del lato oscuro della lotta con l’alpe.”
     
    Per il momento, piú modestamente, ci accontenteremmo del lato oscuro del Crovella, altrimenti detto Lo strano caso del dottor Crovella e mister Krovellik.
    😂😂😂  😉😉😉 

  3. Grazie Crovella. Storie interessanti. È il ben noto lato oscuro della razionalità sabauda e fordista della ex capitale del Regno. Mirafiori e Sacra Sindone diceva un mio amico torinese. Anche nell’alpinismo c’è un lato oscuro (Tabelle e Tiri  da lato,  Totem e Tabù dall’altro 😀). Chissà se prima o poi qualcuno scrivera’ la storia del lato ocuro della lotta con l’alpe. Qualche frammento ogni tanto emerge ma non mi pare ci sia nulla di sistematico. Chi meglio di un torinese potrebbe cimentarsi nell’impresa? 

  4. Il Musinè è un mondo a se stante, con leggende che si perdono nella notte dei tempi. Altre più recenti (anni ’70) lo dichiarano base d’appoggio privilegiata per gli allieni, proprio perché morfologicamente molto simile a pianeti o satelliti non terrestri. Quando si diffuse questa notizia, torme di ragazzetti torinesi (fra cui il sottoscritto) trascorsero intere nottate estive sdraiati sulla vetta ad aspettare di vedere in cielo il passaggio degli UFO o “dischi volanti” come si chiamavano allora. Inutile specificare che non si vide niente di tutto ciò, ma ci siamo divertiti lo stesso.
     
    Che il Musiné, per la sua posizione a sbalzo sulla pianura e la natura “arsa” del suo terreno, sia luogo magico fin dall’antichità lo conferma questo articoletto che ho recuperato nel mio archivio. L’articolo cita un avvistamento di UFO datato 1996, ma in realtà i primi “sedicenti” avvistamenti (e nascita della relativa “leggenda”) risalgono agli anni ’70.
    Più interessanti sono le annotazioni sui “segnali” misteriosi che si trovano sul terreno e che risalgono a molto tempo fa.
     
    l mistero del Monte Musiné abitato dagli alieni
     
     
    Nella Val di Susa si trova uno dei luoghi più misteriosi d’Italia: il Monte Musinè. Qui sono di casa UFO, lupi mannari, manhir e fuochi magici.
     
     
     
    Torino, si sa, è la città dell’occulto e, unica al mondo, fa parte sia del triangolo della magia bianca che di quello della magia nera.
    Ebbene, anche i dintorni non sono da meno, come dimostra il “caso” del misterioso Monte Musiné, un antico vulcano spento da millenni, ricco di gallerie e passaggi irregolari in gran parte inesplorati, sulla bocca di tutti a causa dei vari avvistamenti di UFO, ma non solo.
    L’episodio eclatante che pose all’attenzione mediatica questo luogo piemontese risale al 1996, precisamente il 3 marzo quando due escursionisti videro – o almeno dichiararono di vedere – un oggetto luminoso dalla forma circolare e con i riflessi giallo-verdi, svolazzante in cielo per oltre un quarto d’ora.
    L’oggetto – sempre stando alle dichiarazioni dei due spettatori, abbondantemente riprese e riportate da vari giornali – presentava due grosse calotte trasparenti attraverso le quali si intravedevano muoversi sagome apparentemente umanoidi.
    Il luogo dell’avvistamento fu, appunto, il Monte Musinè, ovvero un rilievo sinistro alquanto inospitale, brullo e decadente dove nessuna pianta o vegetazione alcuna riesce ad attecchire, solo cespugli ed erbacce abitate da vipere.
    Invitante no? La versione più diffusa è che questa montagna sia una base segreta di “dischi volanti”, ma a parte UFO ed extraterrestri, ci sono altre peculiarità collegate a questo luogo che, non a caso, è stato definito il monte più misterioso d’Italia.
    Si parla di grotte incantate come quella di mago Merlino, lupi mannari e urla inspiegabili che riecheggiano nella notte, fuochi magici e immagini spettrali …
    La leggenda più diffusa riguardante il luogo è quella secondo la quale il feroce Erode, re di Giudea, sarebbe stato condannato ad espiare i suoi crimini proprio qui, alle pendici di questo tetro monte rinchiuso in un carro aereo di fuoco (sono ancora sue le urla strazianti che si odono in certe particolari notti?).
    Spazio alla fantasia se ne può dare tanto, quello che è certo sono alcuni segnali concreti, visibili che la natura regala agli occhi attenti degli osservatori esoterici.
    Nei pressi di Caprie, ad esempio, sempre nella valle di Susa, si trova una lama di pietra su uno strapiombo di 150 metri, sovrastata da segni solari: sembra un serpente rozzamente simboleggiato e affine a quell’arte maya che trova nel “tempio dei guerrieri” di Chichén Itza uno degli esemplari più stupefacenti.
    Il monte Musiné, inoltre, è pieno zeppo di rappresentazioni solari, menhir, grosse pietre tra cui spicca un monolito trapezoidale perfettamente squadrato dove si possono distinguere tre soli.

  5. Crudo. Quindi oltre alla possente Croce in ricordo dell’apparizione in cielo a Costantino “in hoc signo vinces” abbiamo anche un’apparizione di UFO sul Musine’ ?  Ma questa è una storia fantastica, con tutto il rispetto delle corse serali e delle vie non proprio memorabili ! Devi assolutamente raccontarla, per favore. 

  6. Ciao caro Bosco…. Sono un ex valsusino del 70 diventato guida grazie anche agli allenamenti su questo splendido monte… Ed anche al masso di Casellette Mi hai fatto rivivere tanti ricordi… Una montagna magica…. E questo lato degli avvistamenti UFO… Della storia della targa posta in cima è un vero peccato non parlare…. Ma il tuo racconto nasconde queste magie… Grazie e arvedze!!! 

  7. Hey Brother, bell’articolo! suggestivo, giocato sul limite dei 1.500 caratteri, ma mai noioso, romantico e ironico.
    Musinè, palestra e icona misteriosa dei “muntagnin” subalpini, senza dimenticare i” biker “che corrono in lungo e in largo la sua pista tagliafuoco, chi impegnato con le pure”muscolari”sbuffando e tranfiando come locomotive a vapore con la lingua a penzoloni, chi con le tecno”ebike” più freschi e rilassati (personalmente alla soglia dei 60 sbuffo e tranfio  ancora con orgoglio con un vecchio “rampichino” come si apostrofava il mezzo agli albori del suo sviluppo, mi mancano solo le camere d’aria incrociate sulle spalle).
    Personalmente l’ho salito qualche volta…con Te( che me l’hai fatto scoprire) ,da solo o accompagnando mio figlio più giovane in una delle camminate fatte insieme.
    Quindi io non ho un legame di sangue come Te con “la montagna dei torinesi”, nè con la montagna in assoluto ai tuoi livelli…Se tu alla montagna dai ,hai dato..e hai preso 100! ..io ho dato e preso 10… e spesso fin dalla gioventù dietro tuo sprono e pungolo e in tua compagnia. (E di ciò ti ringrazio)…
    Forse è dico forse della montagna ne ho poi fatto più  di Te terreno di competizione negli anni d’oro della mia attività podistica (amatoriale)…ma non usciamo dal seminato e non annoiamo oltre chi passerà di qua…è salutiamo il Musinè, sentinella ,e gendarme severo di noi piccole formiche affannate e nervose che ci aggiriamo sulle sue pendici con rispetto…..
    Tiziano Bosco 

  8. A margine: certe narrazioni – tipo questa, soffocate da incisi pedanti  – sono noiose come i filmini della prima conunione: annoiano anche i parenti.
    Dovresti tagliare almeno il 60 %, 

  9. Bel racconto, fresco, semplice, evocativo soprattutto di un modo di rapportarsi personale con la propria indole sportiva.
    L’ho trovato, lo spirito di questo racconto, molto aderente al vecchio termine francese desport, diporto.
     
    Ed in uno scritto così, pur con cronometri e smartphone, ci vedo rappresentato un senso molto differente da quello presente nei soliti e noiosi racconti alpini.
     
    Bravo Giuliano Bosco. Mola nen!

  10. Sulla cima del Musinè la prestazione sportiva sembra giustificare la contemplazione del panorama che l’ozio sulla riva del mare trasforma in vizio. Unicuique suum però!

  11. Ps. In realtà ero attirato proprio dalla croce di Costantino dopo averla vista infinite volte svettare dall’autostrada 😀 

  12. Bertoncelli. 35 anni fa in inverno con la neve e in un momento di disperazione. È vero che le perversioni dell’animo umano sono infinite ma bisogna sapersi limitare. Esageruma nen…

  13. Voi, alla vostra età, andate su per questa roba qui? Per la famigerata cresta E del Monte Musinè? Ma non avete paura che vi venga un balordone sullo strapiombo di terzo grado?
     
    Mi meraviglio soprattutto del Pasini, che stimavo come persona a modo e chiamavo “il buon Pasini”.
    Mah! Non c’è piú religione…

  14. La famigerata cresta est del musinè. Forse la gita più orrenda che si possa fare. Per lo più percosa da rantoloanti fissati del tempo – tra i quali io. 
    L’unica cosa interessante è che si cammina su rocce provenienti dal Mantello terrestre e sailte sino a noi.
     
     

  15. La croce in cemento armato alta 15 metri sulla cima è davvero un reperto storico. Alla sensibilità moderna appare un ecomostro. Ci andai a fare un paio di viette in inverno con un compagno molto pio e anche lui rimase colpito anche se nevicava e la cosa aveva un suo fascino strano. Evidentemente non era quella la sensibilità nel 1900 quando fu concepita per ricordare l’apparizione della croce a Costantino. Significativo anche il riferimento a Costantino. Però ormai è lì, che ci vuoi fare. Come tanti altri manufatti simbolici dallo scarso valore estetico che trovi in giro e che oggi magari ci sembrano alieni. Notizie interessanti sulla sua storia si trovano in rete, per chi fosse interessato. 

  16. Musinè la montagna in città data la prossimità con Torino. Grande valore aggiunto per chi vive in città , valvola di sfogo e prezioso rifugio nel periodo di confinamento COVID quando c’era il divieto di uscire dai confini comunali…andavo a Caselette in bici partendo dal centro città per godere della libertà di una bella camminata in montagna o di una divertente arrampicata sulle 4 vie del versante ovest…

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