La storia di due genitori ventenni, che dopo il liceo hanno deciso di gestire un rifugio isolato del parco dell’Antola, in Liguria. La loro bambina di 10 mesi è la prima neonata ad abitare sul monte da oltre un secolo.
Nuove famiglie giovani in montagna
di Giovanni Masini
(pubblicato su D, inserto di La Repubblica del 26 ottobre 2019)
Dalla cima del Monte Antola, nelle giornate di sereno, si vede il Mar Ligure che scintilla al sole. Quando il tempo volge al brutto, la capanna rimane avvolta in una coltre di nubi che la isola dal mondo esterno. A 1460 m di quota, sulle montagne a cavallo fra Liguria e basso Piemonte, in un bell’edificio moderno costruito poco più di 10 anni fa sorge il Rifugio Parco Antola. A gestirlo Federico Ciprietti, 28 anni, e Silvia Cevasco, 26: giovani appassionati di montagna che ormai da più di dieci anni vivono tra i boschi di faggi dell’Antola, il “monte dei genovesi”. Originari di Torriglia, sulla via del sale che anticamente portava dal capoluogo ligure nel cuore della pianura padana, Federico e Silvia hanno deciso di dedicare la vita alla montagna e dopo quasi un decennio sembrano sempre più convinti della scelta. Per sei mesi all’anno vivono in rifugio, accogliendo gli escursionisti della domenica e le tante scolaresche che durante la settimana si arrampicano dal fondovalle per imparare a distinguere i nomi delle piante e scrutare la foresta alla ricerca di un cervo o un cinghiale. Silvia cucina, serve ai tavoli, tiene i conti. Federico si occupa della manutenzione del rifugio, spacca la legna che serve a riscaldare la capanna, se occorre dà una mano ai fornelli. Alla sera, servita la cena, se non c’è da fare si riuniscono nella sala comune con i clienti che hanno voglia di chiacchierare, «lo sono scout, vado in montagna da sempre. Sull’Antola ero di casa – racconta lui guardando i boschi dalla terra affacciata verso Genova – Dopo la maturità, otto anni fa, mentre cercavo un lavoro scoprii che il Club Alpino italiano aveva bisogno di un gestore per il rifugio. Ho aspettato che anche Silvia finisse il liceo, ho fatto domanda: è andata bene e abbiamo iniziato la nuova vita in quota». «È tutta colpa sua – sorride lei guardando il marito – Mi ha convinta lui: un weekend, 3 giorni, poi un mese, alla fine tutta la stagione. Da quando mi sono trasferita qui, sono passati più di 6 anni».

Per il primo anno Federico e Silvia hanno affiancato un altro ragazzo, che gli ha insegnato i rudimenti del mestiere. Poi, quando la struttura non ha più avuto segreti, sono rimasti soli. Uno splendido isolamento durato 6 anni, che si è rotto il 25 dicembre 2018, quando all’ospedale San Martino di Genova è nata Rosa. «Dopo 18 giorni di vita era già in vetta», confessa orgoglioso Federico avvolgendo la figlia dentro una coperta di pile. Ora la piccola accoglie i turisti con i risolini e i gorgheggi di una bimba felice di 10 mesi, esplorando giorno dopo giorno il rifugio e i boschi che lo circondano. Rosa è la prima neonata ad abitare sul monte da oltre un secolo, come sottolinea compiaciuta la stampa locale. Il primo rifugio, infatti, venne costruito nel 1895 da un emigrato della valle di ritorno dagli Stati Uniti. Saccheggiato dai nazisti che vi avevano individuato un covo di partigiani, risorse dopo la guerra e chiuse definitivamente i battenti nel 1979.

Nel 2007 venne inaugurata la nuova struttura, voluta dal Club Alpino e dal Parco dell’Antola. Oggi il rifugio è il regno di Federico e Silvia. La loro è stata una scelta radicale, dettata da un amore viscerale per la montagna ma vissuta con serenità e senza voler “lasciare il mondo fuori”. Certo, Federico ammette che «il bello di questo mestiere sono i clienti, tutti uniti dalla stessa passione per l’alta quota: lavorare qui è un po’ come uscire con gli amici». «È tutta questione di organizzazione – gli fa eco Silvia – Non posso negare che portare le bombole del gas e la spesa per un’ora lungo una mulattiera sia faticoso, ma la tranquillità che di cui godiamo a fine giornata non ha prezzo. Anche al termine della stagione, dopo tante giornate pesanti, se siamo stanchi ci basta aprire la porta e abbiamo un parco». E se durante i fine settimana le terrazze del rifugio sono assediate da legioni di escursionisti all’assalto dei sentieri, dal lunedì al venerdì può capitare di rimanere solo in tre. O addirittura, com’è successo, di vedere la capanna circondata da decine di daini, che di notte temono di finire preda dei lupi e vengono a cercare protezione davanti alle case degli uomini. Un mondo che pare uscito da una fiaba, in cui ci si può trovare a proprio agio a trent’anni come a uno.

Rosa per il momento sembra godersi la meritata popolarità: è la beniamina dei clienti, cui sorride senza risparmiarsi, e conosce già moltissimi camminatori. Dopo la pappa si dedica curiosa a osservare i volti accaldati degli escursionisti, indicando contenta i tanti cani di città, eccitati dalle corse libere nei prati. «Qualcuno ci chiede se non temiamo di isolarla – accenna la mamma – Ma la verità è che non c’è’ molta differenza fra la vita qui e la vita in uno dei tanti villaggi sperduti alle pendici della montagna, come quello dove sono cresciuta». Fino a che la piccola non avrà l’età per andare alle elementari la famiglia continuerà a vivere in rifugio per sei mesi all’anno. Nel frattempo il papà segue un corso per diventare accompagnatore in montagna e la mamma sogna di avviare un programma di escursioni a cavallo, altra sua grande passione. Per decidere cosa fare quando la bimba sarà ancora più grande, e magari vorrà incontrare le amiche per fare merenda o giocare con le bambole, c’è tempo. Per ora Rosa è piccola, anche se già detiene un curioso primato: è stata la prima persona battezzata sull’Antola, nella cappellina del Sacro Cuore a pochi metri dalla cima. Il rito è stato celebrato durante la festa di San Pietro, a giugno 2020, fra centinaia di persone salite con le fiaccole in vetta. Una piccola folla che ogni anno torna a far vivere, con Federico, Silvia e Rosa, un angolo di mondo che sembrava abbandonato.

Cercasi giovane famiglia per ricominciare
La decisione di Federico e Silvia di costruire una famiglia in montagna non rappresenta certo una scelta comune. Secondo uno studio Eurispes pubblicato nel 2019, riuscire a costruire nella vita una relazione duratura è un obiettivo importante per quasi 8 giovani su 10 (78,3%), ma solo il 32,4%, meno di un terzo, considera la presenza dei figli indispensabile per una vita di coppia soddisfacente. Ancora meno le giovani coppie che scelgono di trasferirsi in un luogo isolato, magari ad alta quota: tanto che diversi Comuni di montagna offrono incentivi anche economici alle giovani coppie che scelgono di abitare nelle aree isolate a rischio spopolamento. È il caso di Albinen, in Svizzera, che nel 2017 offri circa 21 mila euro agli under 45 che si fossero trasferiti in paese, venendo sommerso di richieste. In Italia il Comune trentino di Luserna quest’anno ha messo a disposizione alloggi gratuiti per le giovani famiglie al fine di contrastare lo spopolamento del territorio montano.
Giovanni Masini
Giovanni Masini, milanese: «Dopo una laurea in filosofia mi sono trasferito a Londra dove ho conseguito un master in giornalismo. Per cinque anni ho lavorato al sito de Il Giornale e ho viaggiato come reporter per Gli Occhi della Guerra, oggi InsideOver». Dal gennaio 2019 scrive per varie testate come freelance.
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Troppo buffo, scrivo, tanto sono quasi certo che nessuno leggerà. Tanto che noi a Novembre 2020 ci accapigliavamo sulla gestione dei rifugi, questi avevano già mollato da inizio anno…https://www.trekking.it/news/nuovi-gestori-per-il-rifugio-dell%26%238217%3Bantola_4121/
Purtroppo la coppia ha rinunciato e si cerca un nuovo gestore. Sicuramente la pandemia non gli è andata incontro. Spero per loro che sia una scelta magari dovuta a migliori opportunità e non problemi personali o di salute.
Peccato non ci sia un gestore di rifugio/genitore a commentare.
@58 Interessante quesito: a memoria non ricordo, ma (andando indietro fino all’adolescenza) mi pare proprio di no. Potrei raccontare migliaia di aneddoti, ma il tempo e lo spazio sono tiranni. Restiamo agli ultimi anni: ho numerosissimi interlocutori, con i quali chiacchiero stabilmente, anche quotidianamente (spesso via mail). Di tutti costoro stimo l’intelligenza e la cultura (sono in genere giornalisti, economisti, giuristi, scrittori, però a volte anche semplici cittadini) e con loro il dialogo è fluido, perché evidentemente ci muoviamo sugli stessi livelli. Nelle mie giornate non parlo solo di montagna, anzi la montagna è una percentuale collaterale dei miei interessi, è un tassello importante, importantissimo, ma collaterale. Normalmente dialogo di politica (sia nazionale che internazionale), attualità (naz/int), storia, scienza, economia (sia micro che macro), finanza, sociologia (intesa come cambiamenti della società che ci circonda), letteratura ed editoria, musica (classica, raramente leggera), arti varie, ecc ecc ecc. Può darsi che, nell’infinita numerosità di tali dialoghi, si siano anche concretizzati dei “cambiamenti” impliciti nella mia visione grazie al confronto con gli interlocutori, cioè che le mie idee siano cambiate nel corso della chiacchierata, ma occorre precisare subito: 1) se si tratta di cambiamenti impliciti significa che non me ne sono reso conto, per cui il fenomeno è avvenuto in modo indotto (ecco il perché della risposta della prima riga) e 2) perché devono esser stati solo i miei interlocutori a saper cambiare implicitamente le mie idee? magari è capitato anche il contrario, anzi io sono convinto che spesso accada così, sia per le validità delle argomentazioni che avanzo sia per la metodologia dialettica che seguo.
Con la scusa di comperare il pane, ora vado a farmi due passi sfruttando il bel sole che è uscito.
Ciao!
Carlo, hai mai incontrato persone che ti hanno portato a cambiare, in parte o completamente, le convinzioni che ti sei formato strada facendo?
@56 Ti ho già detto che il problema, che tu continui a segnalare, non esiste fin dalla radice: l’art 21 della Costituzione non pone condizionamenti alla libertà di espressione, neppure in termini di eventuali contraddizioni, errori, mancata corrispondenza con la realtà (la ratio giuridica è proprio di non limitare la libertà, anche eventualmente di cambiare idea: non ci si deve giustificare). Quindi fattene una ragione: anche se fosse fondata (ma non lo è) la tua impressione, ovvero di incongruenza e falsità nei mei scritti, essi hanno la massima libertà di manifestarsi.
Sono daltonico? E allora? Certamente non è così, ma anche se fosse, prendine atto e tira dritto.
Dovresti invece riflettere sul fatto che sprechi delle opportunità di acculturamento. Solo per prendere l’ultima mia segnalazione, quella conseguente alla chiacchierata collettiva con un Presidente della Corte costituzionale, anziché stare stupidamente a spaccare il capello se c’è o meno coerenza con altri miei interventi oppure se è corrispondente o meno alla realtà e tutte le menate che ti contraddistinguono, dovresti leggere con molta attenzione e recepirlo, perché si tratta di “merce rara”: non la trovi facilmente in giro. Stesse considerazioni per la stragrande maggioranza dei mie interventi, che a te appaiono incomprensibili o viziati, ma ciò accade per tuoi limiti e non per oggettivi vizi dei testi.
In ogni caso: non ti piacciono i mei contributi? Beh, saltali a pié pari, l’ho già scritto migliaia di volte. A me personalmente che tu legga o meno i mie scritti non me ne fa un baffo: non è cosa che ricerco premeditatamente, ma se tu non vuoi cogliere opportunità di tua eventuale “crescita”, alla fine ci perdi tu, non io. Buona domenica!
Allora hai dei problemi di daltonismo: il tuo fil rouge è un fil arc en ciel tendente al Caran d’Ache Supracolor
clima da bar sport: vi aspettate che ci si tratti tutti a “tarallucci e vino”
🥨🥨🥨🍷🍷🍷🍷
🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣
@53 Ti ho già spiegato che il fil rouge assolutamente coerente che lega i mie interventi fra di loro, sia in un singolo dibattito che in generale della mia attività, e che parimenti lega tutti i mie scritti con la realtà, c’è sempre. Solo che tu non riesci a coglierlo. In ogni caso elabora pure l’opinione che ti pare, ho già spiegato che non corro dietro al consenso. Ciao!
Nessuno ha mai accusato qualcuno di aver soffocato i figli.
Nessuno ha messo in questione la libertà di espressione, tua o di chiunque.
E ovviamente nessuno chiede “per poter manifestare le proprie opinioni, né la coerenza o la corretta corrispondenza delle idee con la realtà.”
Però chi non è coerente con se stesso (o almeno spiega coerentemente i motivi della sua non coerenza) e, peggio, chi non si cura della coerenza con la realtà, ai miei occhi si qualifica da solo.
Senza alcun riguardo rispetto a chi è o cosa ha fatto, a partire dall’uomo più potente della terra fino l’ultimo derelitto.
Io non sono un politico che corre dietro al consenso: dell’approvazione o meno degli altri me ne faccio un baffo (ma non da adesso: da quando sono nato). Da “sempre” ho un approccio di tipo “illuministico”: dico le cose in modo oggettivo, se necessario anche crudo, senza pali sulla lingua. Inevitabilmente “spargo il sale sulle ferite”, come dicevano gli antichi latini. Non è premeditato, è una conseguenza inevitabile del mio approccio. Tuttavia 60 anni di ininterrotta attività con tali caratteristiche mi hanno confermato che essa è quella più adatta, anzi alla fine sono numerose le persone che, in ambito professionale, mi vengono a cercare proprio per queste mie caratteristiche.
Invece voi scambiate il dibattito con il clima da bar sport: vi aspettate che ci si tratti tutti a “tarallucci e vino”, a “bravo, bene, bis” a “che sogni mi hai fatto vivere”. Ma questa è roba che si trova in osteria, mentre per parlare di contenuti seri occorre un’altra impostazione.
Se considerate “fregnacce” le riflessioni emerse durante un incontro (abbastanza informale nel clima, ma consistente nei contenuti) con un ex Presidente della Corte costituzionale (tra l’altro uno dei più fini giuristi esistenti in Italia) vuol dire che non riuscite proprio a cogliere il significato profondo delle cose. Ciao!
Chi chiama l’ambulanza?
Anxhe la tua ultima affermazione è una grande ed evidente fregnaccia. Tanti scrittori e giornalisti hanno vissuto una vita intera scrivendo solo grandi fesserie. Consolati quindi sei in buona compagnia.
Ed ufficialmente da oggi salterò con cura ogni tuo intervento perchè sei totalmente irrecuperabile
@ 46 Fabio funziona proprio così, fattene una ragione. Cmq i lettori attenti intuiscono che l’affermazione era provocatoria perché non mi avventuro nelle fregnacce. Scrivo professionalmente da 35 anni, in diverse modalità di lavoro, e articoli di monagna da 40 anni. Chi scrive solo fregnacce non sopravviverebbe così tanto tempo. Ciao!
Smaltite le consegne di lavoro, illustro i collegamenti con il tema giuridico. Mi serve un piccolo prologo: pazientare un secondo. Uno dei tanti frequentatori della nostra località di villeggiatura in alta Val Susa è Gustavo Zagrbelsky: uomo di grande cultura, giurista di fama, presidente della Corte costituzionale nel 2004 e autore di moltissimi libri. Qualcuno se lo ricorderà in un dibattito televisivo (Mentana, La7) contro Renzi durante la campagna per il referendum costituzionale proposto da Renzi. Ebbene Zagrebelsky ha spesso fatto delle presentazioni dei suoi libri durante il mese di agosto, quando i villeggianti sono su in balle (parliamo di era pre Covid). Due o tre estati fa, presentò il suo libro “Troppi diritti” e nel dibattiti finale si parlò dei diritti delle future generazioni, quelle neppure nate al giorno d’oggi, ma che noi stiamo già danneggiando, per esempio consumando l’ambiente in modo irreversibile oppure facendo un eccessivo ricorso al debito pubblico, i cui veri costi graveranno appunto sulle generazioni future. Nella chiacchierata a ruota libera, se non ricordo male, emerse che fra i giuristi di alto profilo si chiacchierava circa un possibile e futuro modello giuridico di tutela dei diritti delle future generazioni. A tale tutela consegue l’azione per farsi risarcire in caso di danni irreversibili oppure di altra natura, es se psicologici, cioè, come si dice nell’ambiente, “danni non patrimoniali”. Cerco di semplificare al massimo: i bimbetti di oggi ed anche quelli che, oggi, non sono ancora nati potranno chiederci il risarcimento del danni da noi prodotti. Su questioni di ampio respiro, come appunto i danni all’ambiente, saranno presumibili le cosiddette class action, cioè azioni giuridiche plurime. Ma non sono escludibili azioni singole su specifiche situazioni personali. Ebbene se mai dovesse concretizzarsi questo principio giuridico (attraverso la futura approvazione di specifiche leggi e/o l’evoluzione giurisprudenziale – cioè le sentenze di tribunale – in tale direzione), ebbene non è irrealistico ipotizzare che il principio possa estendersi a macchia d’olio su ogni risvolto della vita. Mi è tornato in mente questo concetto e, stante che già l’impostazione giuridica (315 bis) e soprattutto quella giurisprudenziale hanno spostato il quadro a favore dei figli e a carico dei genitori (con risarcimenti economici anche ingenti a carico dei genitori) la cosa potrebbe estendersi fino a coinvolgere anche temi spiccioli come quello trattato nell’articolo. In parole povere: se la pargoletta dei due ragazzi si trovera’ sempre a suo agio e non rinfaccera’ nulla ai genitori, beh nessuno andrà mai a sindacare. Ma se la pargoletta, di qui a 20 o 30 anni, dovesse impostare una causa per i danni da lei riportati e conseguenti alla scelta dei genitori di andare nel fitto del bosco, allora è possibile che in futuro le richieste in tal senso verranno accettate. Addirittura, esagero provocatoriamente, potrebbero essere autorizzati a chiedere risarcimenti le “generazioni future”, cioè quelle non ancora nate al momento delle scelte dei genitori. Ricapitoliamo in sintesi: una coppia giovane decide di lasciare la città e vivere nei boschi. Ipotizziamo che in quel momento non abbiano figli e manco ci pensino. Poi un figlio arriva e loro continuano a stare nei boschi, “obbligando” di fatto il figlio alle conseguenze di una scelta che lui non ha preso. Infatti ci sonoo degli evidenti disagi rispetto a una parallela vita in città. Magari il figlio si trova bene e allora nessuno andrà mai a sindacare, magari invece dopo 20-30 anni farà causa ai genitori. Se si consoliderà il quadro giuridico che ho descritto, potrebbe essere assodato che i figli hanno diritto al risarcimento danni anche per scelte dei genitori precedenti alla nascita dei figli. Pensate che sia fantascienza? Può darsi, ma non così irrealistica come pensate voi. Certo non accadrà domattina, ma chi segue l’evoluzione giurisprudenziale, in particolare nelle vertenze figli contro genitori, comprenderà che il trend potrebbe anche arrivare a tali estremi. Tutto ciò, ovviamente, avrà una valenza generale, cioè riguarderà la totalità di tipologie di danni lamentati dai figli come “conseguenze” di decisioni dei genitori. Si trattera’di “colpa” e non di “dolo” (cioè non necessariamente ci deve essere la mala fede dei genitori). All’interno della generalità dei danni potrebbero rientrare anchequgli conseguenti alla scelta di vivere nei boschi. Inoltre i danni che presuppongono il risarcimento già oggi abbracciano la cosiddetta “perdita di chance”. Per capire, torniamo all’aneddoto del figlio del mio amico, quello che voleva tirare di scherma e non lo ha potuto fare per la decisione dei genitori di vivere dove vivono. Se tale ragazzo in futuro riuscisse a dimostrare che il mancato avvicinamento alla scherma lo ha privato di un beneficio (esempio non ha potuto realizzarsi come campione di scherma perché il suo talento e rimasto inespresso in conseguenza della scelta di residenza operata dai genitori), ebbene già oggi potrebbe avanzare richiesta di risarcimento del danno, a maggior ragione se la generale evoluzione giuridica dovesse in futuro concretizzarsi come ipotizzato. Fantascienza? Può darsi, ma se andate a leggere molti miei articoli, sia di montagna che di politica dei decenni scorsi, molte cose, che hanno innescato immediate risate a crepapelle, si sono poi realizzate almeno in parte. Per esempio già da qualche anno io avevo vaticinato una tragedia planetaria, come carestie o inondazioni o – udite udite – una epidemia generalizzata… ho sbagliato nel timing, perché speravo che arrivasse verso il 2030… In conclusione, tornando al tema clou: attenzione a ponderare molto profondamente le scelte di vita, per non trovarsi in un domani sul banco degli imputati su richiesta dei figli. Buona serata a tutti.
Crovella, vorrei spiegarti diverse cose che noto che non hai capito, ma ho le castagne sul fuoco, il gatto isterico perché ha il bruciaculo e i cervi maschi davanti alla porta di casa che fanno la brama per contendersi le femmine. Ti lascio scrivere i tuoi 30 articoli giornalieri senza rubare tempo alle tue giornate già piene.Ma dai….fatti una risata assieme a tutti quelli che fai ridere. Ti farebbe bene. Comunque con stima. Marcello
Carlo, prima ho tentato di difenderti dall’assalto dei “cominettiani”, i quali, senza pietà, non prendono mai prigionieri. Il loro capo è il terribile K. Kominetti, che sovente vaga libero e selvaggio per i monti della Patagonia (beato lui), ululando al cielo nelle notti di luna piena.
Poi però tu ci ricordi che l’articolo 21 della Costituzione riconosce il diritto di parola, compreso quello di fregnaccia. E quindi ti ritieni libero di “fregnacciare” a tuo piacimento, cioè come e quanto ti aggrada.
Mi dispiace, ma non funziona proprio cosí.
Rubo due minuti.per una doverosa precisazione. Guardate che non leggete mai con attenzione: io non soffocò per nulla i miei figli. Abbiamo messo a disposizione tutte le carte giuste e loro vivono comd ritengono opportuno. Ci sono giorni interi che manco li vedo, entrambi abbiamo giornate pienissime, nonostante il lockdown, e ci si vede a cena che è l’unico nostro momento di incontro giornaliero. A loro piace vivere così e hanno la loro autonomia che li fa distinguere nella massa, sia all’università che nel lavoro. Scrivono articoli hanno impegno politico e culturale e fanno tutte queste cose in modo autonomo e indipendente da noi genitori. È un bel modo di vivere, a loro piace. Se a voi fa ribrezzo, fatevene una ragione e leggete l’art 2 della Costituzione. Ciao!
@41 guarda che c’è sempre un filo rosso, a ben vederlo, nella sequenza di quello che scrivo (a volte addirittura fra articoli autonomi e magari distanti molto tempo fra di loro). Questo perché un mio assioma di fondo è che la vita è come un romanzo e ogni frase ne compone un pezzettino della trama. Il punto è che bisogna avere l’occhio allenato per vedere il filo rosso.
Ma in realtà nell’esistenza o meno di un filo rosso non è richiesta per poter manifestare le proprie opinioni, né la coerenza o la corretta corrispondenza delle idee con la realtà. Se vai a leggere l’art. 21 della Costituzione, dove è appunto definito il diritto di espressione, potrai constatare che tale diritto non è sottoposto a nessuna condizione, neppure a quelle di tipo logico o concettuale. Di conseguenza oggi posso dire bianco e domani nero, cosi come posso fare un intervrnto solo oppure farne diecimila consecutivi e questi interventi possono essere coerenti fra di loro o del tutto contrastanti e contradfittori… ebbene ciò nonostante non si può minimamente ostacolare il dritto di espressione perché tale pretesa sarebbe anticostituzionale. Per cui ti devi mettere il cuore in pace e lasciare spazio a tutti, anche a me, con tutti gli eventuali difetti, di stile e di contenuto, a carico dei contributori e quindi anche del sottoscritto. È lavoro inutile fare l’elenco cronologico come hai fatto tu perché tanto è irrilevante ai fini del dibattito.
Ovviamente nei miei interventi e a maggior ragione i mie articoli/libri c’è sempre, come ho gia’ detto, un fil rouge che li collega e li unisce in un complessivo racconto coerente e fondato. Bisogna pero’ saperlo focalizzare, questo fil rouge. il fatto che alcuni.non lo vedano al volo non significa che non ci sia.
Per quanto riguarda lo sconfinamento in terra giuridica, la fondatezza c’è tutta. Ma oggi ho delle scadenze di articoli da consegnare: sono un po’ stretto di tempi. Quando avrò onorato ciò che devo consegnare, ti spiegherò adeguatamente i collegamenti fra il tema dell’articolo, la natura morale o meno delle scelte e le prospettive giuridiche che contraddistinghueranno presumibilmente i rapporti genitori,,-figli in misura sempre più stringente. Devi però metterci del tuo, specie in termini di “apertura” a capire cose che a prima vista non cogli nella loro pienezza: se non metti questo tuo impegno, io ti posso spiegare le cose milioni di volte, ma le cose rimbalzano contro il tuo muro. Buon proseguimento, ciao
Famiglia, società, scuola e mondo del lavoro devono consentire ai figli diventati maggiorenni di incominciare a camminare realmente e dignitosamente con le loro gambe e con il proprio zaino.
Ormai siamo arrivati al “Piove. Crovella ladro”.
Faccio un rapido riassunto (beh, insomma…) a favore di Carlo
n°2 – esprimi apprezzamento per la scelta dei protagonisti
n°11 – pistolotto sulla tua vita con la spiega del perché tu non faresti la stessa scelta
n°14 – introduci il tema “responsabilità verso i familiari”, con scontati riferimenti al tuo “senso di responsabilità”
n°21 – intemerata sulla censura altrui che è peggiore ecc. Di nuovo storia della tua vita con l’affermazione che il modello cittadino ti è più congeniale e che volevi offrirlo ai tuoi figli anche prima di averli
n°23 – ti poni la domanda se la scelta dei protagonisti sia morale in quanto condiziona la vita dei figli
n°25 – intervento riempitivo
n°32 – finalmente la domanda “Quanto è giusto, moralmente giusto, che le nostre scelte possano condizionare i nostri familiari stretti, in particolare i figli? “ che attribuisci a Mirco intervento n°12, che dice però cosa ben diversa (come fa notare lui stesso nel suo intervento n°35) e accusa ai protagonisti di non rendersi ben conto di ciò che fanno
n°34 – introduci l’argomento giurisprudenziale
n°37 – la giurisprudenza c’entra e sono io che non focalizzo.
Solo a te poteva venire in mente che la scelta dei protagonisti possa essere non lecita o di mescolare giurisprudenza e morale
E ribadisco che la domanda “morale” è mal posta, perché qualunque cosa faccia e qualunque scelta prenda un genitore condizionerà i propri figli (anche decidendo di rimanere a Torino)
Et hoc satis est. Ma non credo che imparerai a leggere
I figli faranno un po’ quello che i genitori gli consentiranno di fare, nel bene e nel male. I figli non devono condizionare la vita dei genitori privandoli della loro, altrimenti si vivrebbe in un’eterna catena che porterebbe a rincoglionire l’umanità più di quanto non lo sia ora.
Non sono assolutamente d’accordo con chi si dedica troppo ai figli perché tira su dei rammolliti che “neppure” la scherma saprà irrobustire in tutti i sensi. Quando leggo quello che scrive Crovella rabbrividisco e mi spiego però perché l’umanità occidentale è ridotta così. Carlo non provo nessun sentimento d’odio, ma per me sei (spesso ma non sempre) l’esempio di come non fare a vivere.
E da certi commenti letti qui (sottolineo certi) mi rendo conto che ci sono troppe, secondo me, persone che vivono impaurite anziché in equilibrio con ciò che le circonda. Curatevi che il tempo intanto passa.
In tutta sincerità pare proprio che l’osservazione sia più adatta a te che a me… infatti, anche se non mastichi di diritto, non ti sforzi di cogliere l’assonanza concettuale fra il trend giurisprudenziale, citato come esempio dell’evoluzione di pensiero in corso, e le (eventuali) rivendicazioni dei figli a fronte di stili di vita a loro “imposti” per scelte genitoriali. Sempre dal Codice Civile traggo un bel concetto “ottocentesco”: quello della “diligenza del buon padre di famiglia”. L’esperienza che ci ha raccontato Mirco dimostra che esistono ancora individui che possiedono tale “diligenza”, pur nell’era della società liquida come la chiama Bauman. Ho molto apprezzato il suo racconto, denota saggezza e capacità di mettere in fila le priorità della vita. Buon week end a tutti!
Certo che far lo sforzo di leggere e capire ti par proprio tempo buttato, vero?
@ 35 C’entra c’entra, solo che tu non lo focalizzi, ma non significa che ne sia estraneo, quanto meno in modo traslato, perché il trend giurisprudenziale è la cartina di tornasole del fatto che siano ormai le aspirazioni e le inclinazioni dei figli a dettare legge (nomen omen) in ambito familiare, non le aspirazioni dei genitori. Stiamo andando verso un quadro in cui la volontà dei genitori non conterà più nulla.
Ma vedo che Mirco ha riportato la sua esperienza di vita e il relativo modo di ragionare che, Codice civile o meno, è quello di un genitore ponderato che ha saputo anteporre le esigenze del suo nucleo familiare a quelle individuali. Questo è il vero punto della questione. Ciao!
Carlo, non mi intendo di giurisprudenza, ma credo che non c’entri nulla, come non c’entrano nulla i padri-padroni, né i figli parassiti.
La domanda è stupida (o se vuoi inutile, sbagliata) perché, come ho scritto, è ovvio che i comportamenti dei genitori siano assolutamente influenti sui figli, li condizionino, a partire dal primo momento di condizionamento totale (non metto il presevativo); via via l’influenza, il condizionamento dovrebbe diminuire e contare sempre di meno, ma normalmente non cesserà mai del tutto.
Attenzione che “condizionamento” non è qualcosa di negativo, ma qualcosa di necessario perché è cosi che siamo fatti.
Semmai il problema è definire quando questo condizionamento diventi patologico o comunque negativo, ma questo è un altro discorso.
Detto in altre parole: qualunque decisione tu prenda, qualunque scelta tu faccia, influenzerà i tuoi figli in un modo o in un altro, quindi li condizionerai…non ha proprio senso chiedere “Quanto è giusto, moralmente giusto, che le nostre scelte possano condizionare i nostri familiari stretti, in particolare i figli?”
Ha senso chiedersi quanto li condizionerà, in che direzione li spingerà o cosa potranno perdere. Ma anche fino a che punto è giusto che la preoccupazione per i figli guidi o imponga scelte a un genitore (che poi è il duale della precedente)
Come un genitore che conceda tutto a un figlio è duale di quello che impone sempre la sua volontà…e credo siano pessimi genitori entrambi
Credo che stiamo un pò sbagliando il registro della comunicazione. Il mio paragone che ho portato prima è totalmente diverso da quello dei due ragazzi, che ho detto di ammirare e invidiare un poco. Ammirare perche comunque è una scelta coraggiosa niente da dire. Vivere lassù (all’Antola) significa ridimensionare I rapport sociali con amici e parenti visto che ci vogliono un’ora e mezza di auto e due ore a piedi per raggiungerlo. E invidiare , perchè quando ho pensato di farlo ,come detto prima, avrei dovuto lasciare i due ragazzi che avevano 14 e 17 anni in città. Come avrebbero fatto a studiare o praticare sport a 2/3 ore dal Rifugio? Anche i ragazzi ,a cui auguro totalmente di riuscire dato che a vivere del lavoro che ti piace fatichi la metà, dovranno fare alcune considerazioni. In auto ci vogliono quasi due ore per raggiungere Genova, una e mezza per Busalla. Con una bimba piccola di pochi mesi lo vedo un problema. Quando andrà all’asilo, tra tre/quattro anni, faranno 6 ore di viaggio ogni giorno? I miei ragazzi hanno sfruttato a pieno le possibilità che hanno avuto a disposizione. Mia figlia è responsabile a Francoforte in una grande azienda di informatica, si è costruita conoscenza e percorso professionale senza aiuti da parte mia. Mio figlio si è buttato nello sport, e dopo una buona fase agonistica sta crescendo come allenatore (vi garantisco che vedere il proprio figlio gareggiare in una piscina come il Foro di Roma in uno dei più prestigiosi trofei internazionali a fianco di campioni olimpici anche se solo per batterie di eliminazione fa venire I brividi cosi come vederlo sul gradino più alto insieme all’Inno Italiano) Per tutte queste cose la mia rinuncia è solo un rammarico, pensata troppo tardi, troppe complicanze. Poi per quanto riguarda la garbata risposta su avidità e non saper cosa fare del tempo libero, dico solo che se avessi seguito il consiglio del mio comandante nel 1982 (Battaglione Tuscania) adesso sarei in pensione da 3 anni e potrei dedicarmi a tutte le mie passioni, dalla lettura ai viaggi al pianoforte a tante di quelle cose che solo ora , avendo piu tempo a disposizione ricomincio a godermi. L’avidità non è proprio nelle mie corde, per niente. Ma la mia passione all’epoca era l’informatica, non la carriera militare e così ho fatto il salto nel buio lasciando il proverbiale posto fisso statale. Comunque non è ancora detto che l’opzione rifugista sia tramontata. In Appennno Ligure e oltre, rifugi che cercano gestore ce ne a mazzi, basta scegliere.E partire.
Ave atque vale
@ 33 Mi sa che sei fuori linea con il pensiero dominante anche in campo giuridico, o meglio giurisprudenziale. L’art 315 bis del Codice Civile è stato aggiunto (il “bis” è perché si inserisce fra gli originari 315 e il 316 c.c.) con l’obiettivo di contrapporsi ai “padri padroni”, ma l’evoluzione giurisprudenziale (ovvero le sentenze in tribunale) degli ultimi anni stanno addirittura ribaltando il quadro precedente. Per dirla in soldoni: oggi come oggi le esigenze dei figli “comandano” su quelle dei genitori a tal punto che sono stati appioppati dei risarcimenti a carico di genitori che non hanno assecondato le aspirazioni e le esigenze dei figli. Si tratta ovviamente di casi molto più eclatanti del mancato “tirar di scherma”, ma il principio giurisprudenziale la dice lunga sull’idea oggi dominante.
Personalmente non condivido totalmente questa rivoluzione copernicana in ambito giurisprudenziale, per cui siamo passati da un quadro di “padri padroni” a un quadro di “figli padroni”, ma è sintomatica dell’attuale contesto dominante. Se non sei disponibile a porti il problema di cosa potranno davvero volere i tuoi figli (anche quelli che devono ancora nascere), sapendo assicurare la concretizzazione delle loro aspirazioni, l’unica alternativa è solo più non avere figli.
Circa la domanda da te citata, anche se a te appare stupida: 1) è cmq legittimo esprimerla e 2) la (presunta) stupidità non è limitata al solo sottoscritto, per fortuna dico io.
Per aspettarsi di vedere un senso del dover verso la collettività (la quale è composta da estranei e inoltre è un concetto astratto, non ben definito in carne ed ossa) bisogna partire dalla vita spicciola, dalla quotidianità del nucleo familiare. La dominante società liquida (per dirla alla Bauman), in cui – purtroppo – viviamo, è tale non tanto per l’utilizzo sfrenato della tecnologia, ma perché domina senza reticenze il senso del disimpegno, che è l’opposto del senso del dovere. In realtà il “disimpegno” è una pia illusione. Ho già espresso in altri tempi che viviamo nel regime dell’egoismo individualista: pensiamo di essere “liberi”, ma in realtà siamo incatenati peggio che nell’Ottocento. Buona giornata a tutti!
“Quanto è giusto, moralmente giusto, che le nostre scelte possano condizionare i nostri familiari stretti, in particolare i figli? ”
Mi sembra una domanda proprio stupida: i nostri comportamenti condizionano totalmente i nostri figli. A iniziare dalla decisione di averli.
La domanda vera semmai è fino a che punto i figli possono o devono condizionare le nostre scelte? Oppure fino a che punto dobbiamo tenere conto dei figli nelle nostre scelte?
Il punto su cui riflettere è stato introdotto da Mirco al commento 12. Quanto è giusto, moralmente giusto, che le nostre scelte possano condizionare i nostri familiari stretti, in particolare i figli? Io ammiro i due ragazzi dell’articolo, ma temo che non si rendano conto del fatto che, dando sfogo ad una loro esigenza individualistica (se riferita a ciascun genitore), potrebbero prospetticamente condizionare la crescita futura della loro pargoletta.
Faccio un esempio, di per sé stupidissimo ma estremamente significativo. Un mio compagno di cordata di gioventù, nato e vissuto a Torino fin verso i 28-30 anni anagrafici, da circa 25 anni vive in un centro abitato della pianura cuneese. Un grosso paese, non una città, ma neppure una baita sperduta in un bosco. La scelta dipese sia dalla sua professione di veterinario sia dalla residenza della moglie. Ho rivisto l’amico qualche tempo fa (abbondantemente prima dell’era Covid) in un incontro istituzionale e ci aggiornammo sulle rispettive vite. Mi ha raccontato che uno dei suoi figli, all’epoca sui 12 anni, gli aveva espresso il convinto desiderio di tirare di scherma come sport quotidiano (l’amico mi citò il fatto perché sapeva che io ho tirato di scherma da ragazzo). Però nel loro paese di residenza non c’è una palestra di scherma: o lo accompagnavano a Cuneo (circa 1 ora di auto solo andata) o a Torino (anche qui circa 1 ora di auto). Si trattava poi di attendere lo svolgersi dell’intero allenamento (circa 1,30-2 ore) e poi tornare a casa: circa 4 ore ogni pomeriggio. Evidenti esigenze professionali sia del mio amico che di sua moglie rendevano impossibile questa ipotesi. Il ragazzino irritato gli disse qualcosa del tipo “Ma perché hai abbandonato la città? Ora potrei andare a tirare di scherma senza problemi!“.
L’aneddoto ha un contenuto stupidissimo, perché si può benissimo vivere senza aver tirato di scherma. In realtà posso assicurare che la scherma è uno sport che irrobustisce moltissimo il carattere, specie in età adolescenziale, e quindi ha un suo “perché” nella costruzione della personalità di un individuo. Ma si può ovviare in altri modi: sport e attività che irrobustiscano fisico e carattere ce ne sono a bizzeffe.
Ho raccontato l’aneddoto per esemplificare il concetto chiave di questo dibattito: mettiamo che un adulto, ben prima di essere genitore, compia la scelta di allontanarsi dalla città. Tale scelta, analizzata in sé, è assolutamente legittima, ma “condiziona” le possibilità dei (futuri) figli. Ecco, io penso che si dovrebbero sempre soppesare queste eventualità prima di prendere delle scelte, apparentemente anche individuali.
Quanto alla presunta contraddizione delle mie posizioni, la sensazione è che molti di voi stentino a seguire il corretto svolgersi dei ragionamenti. Non c’è nessuna contraddizione. Oggi come oggi, a titolo personale, io potrei benissimo vivere lontano dalla città, a maggior ragione con la tecnologia che ci tiene tutti connessi: per scrivere articoli posso farlo sia dal mio ufficio cittadino che da una baita immersa nei boschi. Pertanto un po’ invidio i due ragazzi che hanno davvero compiuto la scelta in questione. Ma la mia invidia si ferma subito, perché il mio senso del dovere (verso tutto l’ambaradan familiare, ma in particolare verso i figli anche se, anagraficamente, sono maggiorenni da un bel po’) mi spinge a rinunciare. Infatti io sono stato educato, come molti torinesi doc, al motto “Prima il dovere e poi il piacere“. Vi fa ridere? Peccato, perché non vedete che proprio l’assenza del senso del dovere è un grosso problema a livello globale. Mi spiego: sicuramente il citato motto è un concetto degno di Camillo Benso conte di Cavour, ma (ampliando l’orizzonte delle considerazioni) se tutti i cittadini avessero questa impostazione, non sarebbe in mutande come siamo. Ieri sera ho visto un servizio in TV in cui si descriveva il fenomeno di alcuni italiani (residenti in città o meno non rileva) che hanno partecipato alla distribuzione del bonus monopattini/bici senza nessuna intenzione di acquistare un attrezzo. Di fatti ora stanno rivendendo tale bonus su internet. Ecco fenomeni di questo tipo hanno una matrice diametralmente opposta al motto cavouriano ed è per questo che stiamo affondando tutti. Quindi ben vengano i concetti cavouriani!
“io non sono per nulla “arrivato”. Infatti continuo a scappare”
una delle più belle affermazioni mai sentite!
Dai, facciamoci tutti una risata. Io sono finito a Ferrara! Qui le montagne le vedo in cartolina. E stasera mia moglie mi ha fatto una foto dove ho in mano la bottiglia spray dello sgrassatore, dopo aver pulito l’ennesima pisciata dei gatti. Poi ha mandato la foto agli amici ironizzando di avermi tolto la piccozza per munirmi di nuovi attrezzi…
Ci credo che poi invidio i due ragazzi in rifugio!
Drugo, non nego che rispondere a Crovella mi faccia partire per la tangente ma… io non sono per nulla “arrivato”. Infatti continuo a scappare. Ciao.
Mi sembra di capire che (Crovella) tu abbia una visione del vivere in montagna un po’ sbagliata. Forse ti riferisci alle tue valli che in effetti non brillano per vitalità, ma qui a est di vitalità ce n’è eccome. Tutte quelle cose che elenchi che sono caratteristiche della città ci sono anche in montagna con la differenza che c’è la pace che in città non c’è e il contatto con la natura è tutt’altro che un limite alla cultura che uno può farsi. Anzi…
Per carità, chi vuole restare in città ci resti, io non ce l’ho con lui, ma se penso ai miei figli (oltre che a me stesso) preferisco che non respirino l’aria inquinata delle città proprio perché gli voglio bene.Poi parli di attività sportive in città, infatti in montagna lo sport non si può fare?! Infine sono d’accordo con Messner quando sostiene che anche in alpinismo si ha un “senso” che si sviluppa solo se in montagna ci si vive. Posso confermarlo. Andandoci nella tua ora e mezza non potrai mai assaporare cosa significhi questo pensiero e quanta pienezza restituisca. Nulla di male se si va in montagna la domenica per “sfogarsi” o altro, ma si tratta di punti di vista. Sono felice che in montagna si sia in pochi, altrimenti ci si ritroverebbe a vivere come in città. E le difficoltà che la montagna offre -perché ce ne sono- servono a vivere più intensamente ogni cosa perché si è imparato a non dare nulla per scontato. Vedo degli amici dei miei figli cittadini e le differenze, generalizzando, si notano eccome e personalmente preferisco il “modello” montagna. Almeno quando incontri una vacca non ti spaventi. E questo è niente. Buonanotte.
@Crovella e meno male che hai passato i 50.Per i concetti e per il come ti esprimi Camillo Benso sembra tuo nipote.@CominettiChe te ne sbatta o meno, che io sia o meno in sintonia col tuo pensiero, mi piace il fatto che tu non abbia remore a dire con schiettezza quello che pensi. E oggidì è una bella cosa.Ma se mi posso permettere, anche se sono premesse ad altro argomentare, piantala con “sono una guida alpina qua e là” e “sono arrivato lì partendo da là, facendomi coraggio e impegnandomi”.L’abbiamo capito.Bravo.Ma non occorre reiterarlo all’infinito.C’è già l’anacronistico triste sabaudo a ripetere la solita solfa.
Crovella io non interpreto a modo mio. Leggo semplicemente quello che scrivi.
Continui sempre a rigirare la frittata. Prima dici che ammiri…poi però insinui sempre il dubbio se sia “moralmente” leggitimo fare certi tipi di scelte e poi prosegui con la tua solita tiritera dove elenchi le tue scelte di vita sottolinenando che sono indubbiamente più corrette e sensate di quelle fatte da altri.
Chi lo dice che “È infatti fuor di dubbio che un modello di vita cittadina (specie metropolitana) offra delle chance incomparabilmente superiori sia di numero che in termini di qualità”?
Non mi sembra sia una legge scritta. E’ solo una tua opinione. Si può benissimo vivere fuori da una città per fare una vita più sana e recarvisi esclusivamente quando se ne sente la necessità. E’una scelta di vita altrettanto legittima della tua, altrettando ponderata pensando al benessere dei propri cari. Io non sarei mai disposto a far vivere mio figlio in mezzo all’olezzo ed ai rumori di una città. Per me è impagabile aprire la finestra respirando aria pulita e dormire nel mezzo del silenzio più assoluto.
Quello che infastidisce è il continuo dare per scontato che le tue scelte e la tua morale siano giuste e le altre da discutere…
Io non giudico chi vive in città, non lo ritengo ne’ migliore ne’ peggiore di me, semplicemente penso sia una persona che ha necessità diverse dalle mie e vive di conseguenza. Tutto qua.
Come sbagliavi a ritenere che chi frequenta le montagne sia una persona dotata di valori più elevti, continui, secondo me, a sbagliare anche adesso con queste tue catalogazioni restrittive.
Ci sono persone valide e non, egoiste e non…e via dicendo, in tutti gli ambiti e in tutti i luoghi.
Come ovunque ci sono persone tolleranti e persone che invece vorrebbero imporre il proprio modello di vita, o che forse per quanto dicano il contrario hanno un continuo bisogno di trovare un riscontro positivo delle proprie scelte e convinzioni.
Con questo chiudo, tanto scriverai per la millesima volta della tua Torino e delle tue scelte pensando di non essere stato compreso….e al solito pensiero già sbadiglio….Ti prevengo,è inutile che dici che chi non è interessato può non leggerti…periodicamente lo faccio poi ogni tanto ci ricasco e provo a riponderti per quanto sappia che è tempo perso.
Ciao
Fra città e outdoor vale lo stesso anche al contrario. Da Torino in un’ora-un’ora e mezza si puo raggiungere ogni tipo di montagne, potendo spaziare dalle Marittime alla VdA fino al Sempione (questo forse richiede un paio di ore di auto). Quindi uno può stare in città e rivolgersi alla montagna nei weekend. Ma il punto non riguarda queste facezie. Le scelte esistenziali dipendono dall’ordine di priorità che ciascuno affida alle opportunità della vita. Quando parlo di opportunità non mi limito banalmente al fatto materiale di entrare in un cinema o in un teatro (cmq oggi impossibile per il Covid), ma faccio riferimento alla “verve” del “clima” cittadino sotto il profilo culturale, politico, civile, universitario, ideologico, scientifico, scolastico, assistenziale e perfino sportivo ecc ecc ecc. È indubbio che nelle metropoli hai maggiori chance, non lo si può negare, è oggettivo. Ovviamente devono interessare queste cose: se uno privilegia altre cose, come il silenzio e i cervi dietro casa, bhe certo che la città non è il suo contesto ideale (modello=contesto di vita quotidiano). Torino è un valido compromesso, come ho già esposto. Io e mia moglie siamo contenti di aver educato i nostri figli in un contesto cittadino, perché hanno potuto spaziare senza limiti nelle loro scelte, sia scolastico-culturali che anche di tempo libero e sportivo. Una volta preparati alla vita, sceglieranno liberamente quello che vogliono, anche spostarsi fuori città. Se invece noi genitori avessimo scelto, 30 anni fa, di stabilirci in valle, magari noi genitori saremmo stati meglio (non credo perché ci piace di più il modello cittadino), ma per i figli ci sarebbe stato un orizzonte più limitato o meno esteso. Stando in città, puoi passare in 10 minuti da una conferenza a una riunione politica o di lavoro, da una mostra a un cinema. Questo, teoricamente, tutti i giorni e lungo tutto l’arco di ciascuna giornata. Insomma si massimizzano questi interessi. Ovviamente se tali interessi sono in vetta alle priorità di vita. Per i ragazzi c’è una gamma molto ampia di opportunità. Dipende da loro e dai loro genitori sfruttare queste opportunità: se tutti stanno sul divano, non fa differenza dovd si vive. Chi, fra i ragazzi, sfrutta le opportunità, corrobora moltissimo la sua crescita personale. Buona serata a tutti!
Vedo un errore pensare che ci siano dei “modelli”. Cittadino, montano, ecc. E pure mi sembra assurdo pensare che Crovella non abbia voluto privare i suoi figli del modello cittadino che tanto a lui piace. Niente da eccepire ma, vivendo in città ci si prova di altrettante cose che invece si imparano e vivono stando in montagna. Non si può avere tutto, ma ribadisco che dai monti si può scendere anche tutti i giorni per non perdersi quella socialità e cultura cittadine. Ora poi, sono proprio gli elementi che contribuiscono alla diffusione del Coronavirus. Insomma, ognuno persegua pure i suoi ideali e gusti, ma per favore non attribuiamo maggior o minor valore a scelte personali, perché non siamo tutti uguali, per fortuna.
Se rileggi fin dall’inizio, constaterai di persona che non esprimo altro che ammirazione e invidia verso questi ragazzi. La tua interpretazione, circa un mio preteso “velato messaggio” specifico su di loro, è quindi completamente infondata. Un qualsiasi dibattito diventa complicato proprio quando gli interlocutori “interpretano” a modo loro e partono in quarta su un assioma che non corrisponde alla realta’ dei fatti. Nei contenuti: ammiro e un po’ invidio questi ragazzi per la loro scelta coraggiosa, tuttavia (ampliando le riflessioni a tutto campo, cioè oltre la vicenda di questi due) mi domando se scelte del genere siano moralmente legittime, in quanto condizionano a priori il futuro dei figli piccoli o, peggio ancora, dei figli che devono ancora venire. È infatti fuor di dubbio che un modello di vita cittadina (specie metropolitana) offra delle chance incomparabilmente superiori sia di numero che in termini di qualità. Ricordo però che per me vivere in città non è stato assolutamente un sacrificio, proprio perché mi piace a titolo personale vivere a Torino. Ma certamente, per come sono fatto, scegliere a 20-25 o anche 30 anni, di spostarmi strutturalmente dalla città in montagna, mi avrebbe posto dei problemi morali: l’idea di condizionare la vita dei figli (allora ancora da venire) mi avrebbe molto frenato, probabilmente in modo irreversibile. Ma tanto il problema non si è posto, nella mia vita, perché mai avrei abbandonato Torino. Sottolineo Torino (e non una generica “città”), perché con altre città magari avrei ragionato diversamente. Chi ha letto il mio recente reportage sulle Gole di Gorropu ha verificato che tale discesa si inserì in un contesto personale in cui, dopo un’esperienza professionale di due anni a Milano, ho esplicitamente scelto di tornare a vivere e a lavorare a Torino. Forse, chissà, se non avessi avuto la sponda torinese, magari mi sarei trasferito nel fondo di una foresta alpina. Ma al tempo non conoscevo neppure mia moglie e concreti progetti di famiglia non mi passavano per la testa, quindi una scelta del genere (andare nel fitto della foresta) non avrebbe condizionato nessun altro. Era una cosa solo mia, nel bene d nel male. Come ha citato Mirco prima di me, quando ci sono invece altri individui di mezzo, le scelte non sono più individuali, ma occorre tener conto delle esigenze di tutti. E le future esigenze dei figli, che sono piccoli o magari manco esistono ancora, non sono variabili note al momento in cui prendi le scelte. Questa cosa qui sfugge ma è un tassello determinante. Col senno di poi, io sono contento, sia a titolo personale che come apprezzamento dei miei figli, dj esser rimasto a Torino. Ciao a tutti!
Nessuno si scandalizza o si offende. Esprimo la mia contrarietà nel voler far passare più o meno velatamente il messaggio che la vita scelta da questi ragazzi sia dettata semplicemente da volglia di evasione o mancanza di impegno o scarso sensoi della famiglia (qualunque coisa voglia dire…).
Vivere in città non è connotazione di maggiore serietà o impegno. Non c’entra niente.
Ma piano piano, ognuno con i suoi tempi, c’è sempre speranza….
Nel tempo, …molto tempo, c’è chi ha cambiato opinione sul fatto che l’andar per monti non sia necessariamente indice di maggior senso civico…
Se qualcuno fa riferimento a ciò che ho scritto, non comprendo perché le mie parole possano essere considerate come delle condanne. non condanno nessuno, esprimo delle opinioni in modo sereno. Spesso insistete con vostre censure che sono peggiori di quelle che rinfacciate agli interlocutori. A volte (spesso, in realtà) date l’impressione che siate come “scandalizzati” perché su un sito di un “grande alpinista” ci sia spazio per opinioni contrapposte al modello che “fuori è bello”, “partire è bello”, “vivere senza senso del dovere è bello” ecc ecc ecc. Ci sono individui che hanno filosofie diverse ma che, ciò nonostante, sono in ogni caso degli appassionati di montagna. Ognuno esprime la sua idea, in piena serenità. Se negate questa impostazione, allora tanto vale eliminare gli spazi per i commenti.
L’articolo, come molti di quelli pubblicati sul Blog, mi ha spinto a (ri)fare delle riflessioni sul tema. Ho riportato la mia esperienza personale. La sintetizzo, per chi non l’avesse letta: io ho deliberatamente scelto, negli anni delle superiori (15-20) di rinunciare a ogni ipotesi di vita lontano dalla città (es gestire rifugi o cmq vivere di montagna e in montagna) per due ordini di fattori: 1) a titolo strettamente personale, mi piace di più il modello cittadino, sia sul piano culturale che professionale e 2) perché mi piaceva fin da tempi non sospetti (cioè prima ancora di avere i figli) offrire le stesse cose ai mie figli, che difatti, le apprezzano smisuratamente all’atto pratico. Se, a 20 anni, avessi scelto di vivere in montagna, li avrei privati di opportunità sia personali che professionali che a loro piacciono molto: a posteriori sono quindi molto contento della scelta fatta e tra l’altro profondamente condivisa con mia moglie. Ribadisco che ho compiuto delle scelte esplicite e ben determinate, cioè ben conscio delle scelte che stavo facendo: non mi sono trovato a vivere condotto dalla corrente della vita, ma ho deliberato di vivere così. Ognuno fa le sue, di scelte, tutte rispettabilissime, ma non comprendo perché, da una certa platea di lettori, debbano essere considerate “virtuose” solo le scelte che allontanano dalla città. A me piace andare in montagna, ma ho “scelto” di tenerlo come un hobby per il tempo libero, tra l’altro “annegato” in decine di altri hobby che sono, per me, altrettanto importanti. Anche ai mie figli ho insegnato a concepire la montagna come interesse collaterale e così la frequentano con ampia soddisfazione, ma senza alcuna frustrazione. Apprezzano questa impostazione e sono i primi ad essere ben contenti di vivere in città (ribadisco che, da questo punto di vista, Torino è una città molto particolare: abbiamo tutto a portata con un’ora o poco più di auto). Se però i miei figli, che ormai son o adulti e maggiorenni, prendessero scelte che li allontanano dal modello cittadino, io non mi opporrei minimamente. Noi genitori abbiamo indicato loro una possibile strada: starà a loro seguirla o prenderne un’altra, in piena libertà.
Discorso molto diverso, invece, quello condotto su un piano generale di analisi socio-economica, in particolare per le ipotesi oggi fattibili circa il futuro post Covid, che renderà tutto molto più complicato in termini di portare a casa la pagnotta. Parlo proprio della pagnotta nel senso di arrivare a fine mese, non di arricchirsi, quello ormai è un mito archiviato da decenni: l’Italia da 5-6 potenzia economica mondiale (annio ’80) sta affondando da tempo e il Covid darà il colpo di grazia. Ci sarà un notevole impoverimento della sistema nazionale, per cui io stimo che le scelte “alternative” da parte di nuove coppie saranno ancor più complicate che in passato. Il che non significa che se uno vuole farle non debba farle: le farà, ma saranno ancor più complicate del passato. Da qui la conclusione che, in futuro, per fare scelte del genere (in particolare se trattasi di “lasciare la città per trasferirsi stabilmente in montagna”, specie da parte di coppie giovani con figli piccoli o ancora da venire) io penso che occorrerà – in termini relativi rispetto ai decenni scorsi – una di queste due caratteristiche individuali: o più “coraggio” o più “sconsideratezza”. Vedremo cosa ci riserverà il futuro. Per ora… “a da passà a nuttata” per dirla alla Peppino…
Paolo da quello che traspare dai tuoi commenti ho di te una opinione piü che positiva e spesso condivido le tue parole. Non è sicuramente a te che mi riferivo.
Rispondevo a chi è pronto ad accusare di egoismo e mancanza di senso della famiglia due ragazzi che hanno scelto di fare della loro passione un lavoro e di mettere al mondo un figlio.
Capisco che la maggior parte delle persone operino scelte diverse…non capisco i giudizi gratuiti.
Simone non mi pare che qualcuno abbia dato giudizi morali. Si è qui, ci si pone delle domande (anche da ignoranti, che problema c’è ad ammetterlo), facendo chiaramente confronti con il vissuto personale.
Se uno volesse intraprendere quella vita, pone la propria sulla bilancia. Le parole degli altri spingono, almeno vale per me, a farmi domande su quanto ci sia di concretamente complicato e quanto rientri in una mancanza di determinazione.
Se riflettendo scoprissi in me la seconda, pazienza. Me ne farò un cruccio privato.
Scusate che torno ancora. La domanda su “cosa fanno quelli che gestiscono un rifugio” per 6 mesi e ne hanno 6 liberi, fa letteralmente sorridere. Fa sorridere perché chi la pone non sa darsi una risposta o pensa che stare del tempo senza lavorare sia impossibile o amorale. Innanzitutto non tutti i rifugi lavorano assicurando un reddito che consenta di starsene mesi e mesi senza lavorare. Nelle Dolomiti chi gestisce un rifugio solo estivo fa un altro lavoro invernale solo se è avido, perché si guadagna abbastanza per non averne bisogno pur tenendo un buon tenore di vita. Nel caso il reddito non sia sufficiente vorrà dire che il gestore farà un altro lavoro nel restante periodo dell’anno. Questa domanda mi stupisce davvero.
Io non capisco chi si professa tanto educato e tollerante e poi spara continuamente sentenze su chi vive o pensa differentemente da lui.
Chi vive fuori dagli schemi non è detto sia più egoista o meno virtuoso o che ami meno la sua famiglia.
E come qualcuno ha giá scritto cosa ne sapete cosa faranno questi ragazzi quando il bimbo sará in etá scolastica…per ora vivono serenamente e pienamente la loro scelta e poi decideranno. Nel frattempo il figlio avrá il privilegio di crescere con due genitori felici della loro vita e quindi in un clima più sereno di tante altre famiglie ligie ed inquadrate.
Rosicate meno e giudicate meno chi fa scelte diverse dalle vostre…o quantomeno smettetela di atteggiarvi a persone moralmente superiori.
Ribadisco la teoria delle seghe mentali ancor più alla luce di alcuni commenti qui apparsi. E’ mai possibile che debba esistere una “norma” alla quale tutti si attengono e se qualcuno ne esce, risulta come una pecora nera o comunque uno strano, che fa una vita strana, che è un egoista e che, ancor più, trascura famiglia e affetti…Sarà che sono nato in città e un bel giorno ho deciso di andare a vivere in montagna, scelta che non ho mai rimpianto di avere fatto. Faccio la guida alpina e non mi piacciono i luoghi affollati e rumorosi, infatti casa mia si trova a 1600m isolata più di certi rifugi. I miei figli sono nati qui, sono andati e vanno a scuola e il maggiore ha fatto l’università a Londra pagandosela di tasca sua. Siamo una famiglia normale anche se il mio ufficio sono le montagne. Vi assicuro che è come fare l’impiegato o il trapezista in un circo, tutte professioni rispettabili. Mia moglie fa un lavoro che può svolgere da qualsiasi posto si trovi e i nostri figli hanno amici, passioni e frequentazioni come tutti i loro coetanei. Spostandoci di poco ci sono cinema, teatri e d’estate le presentazioni di libri (a cui non andiamo più perché ci siamo stufati, a meno che lo scrittore non sia un amico) sono perfino troppe. Per l’ubicazione geografica possiamo scegliere tra una serata in Piazza San Marco a Venezia o uno spettacolo all’Arena di Verona, ma quando torniamo a casa c’è silenzio e semmai qualche cervo sulla strada da evitare com la macchina. 4 di noi sono musicisti dilettanti e a volte nel cuore della notte ci mettiamo a suonare cantando a squarciagola, intanto non ci sente nessuno.I miei amici cittadini, quando mi sono trasferito nel 1983, mi dicevano che stavo facendo una scelta coraggiosa, mentre loro diventavano affermati professionisti o comunque lavoratori da 8 e più ore al giorno sempre nello stesso ufficio. Io avrei preferito morire, ma è questione di gusti. Massimo rispetto per chiunque. Quando vengono a trovarmi mi dicono che vivo in un bellissimo posto e che mi invidiano. Alcuni sono pure molto ricchi (non tutti, eh) e io penso che a vivere come dicono, cioè in un modo che non gli piace, siano stati molto più coraggiosi di me. Io mi reputo un codardo che spaventato dalla vita metropolitana è fuggito tra i monti per fare della passione per l’alpinismo la sua vita. Vi assicuro che all’inizio mangiavo bistecche se avevo i soldi , sennò mi nutrivo di patate, senza mai lamentarmi di ciò. Anche adesso se non possiamo premettercelo, non andiamo in vacanza (personalmente è una cosa che trovo inutile e faticosissima) perché viviamo in un bel posto dove stiamo bene. Queste non sono scelte coraggiose e che prevedano avere dei capitali e tutte quelle cose lì, sono scelte leggere che se si vuole farle, vanno fatte assolutamente per non doverle rimpiangere quando è troppo tardi. Credetemi.
coraggio o sconsiderazione secondo me sono assolutamente presenti in una scelta come questa ma non vuol dire che siano le parole che determinano la scelta stessa
pensare alla famiglia…ai figli…al lavoro…alla carriera….certo
non sono anche queste delle scelte?
qualcuno viene a discuterne a riguardo?
spero di no perchè io non vorrei saperne a riguardo
allora scegliamoci le nostre scelte e la nostra vita certi di essere soddisfatti senza pensare a tempi lunghi
su quelli ci pensa la vita a scegliere
Sì, finalmente qualcuno che riconosce apertamente di “sentire” un senso di responsabilità verso i suoi familiari. Spesso leggo (in generale) prese di posizioni in cui è figo chi antepone le esigenze individuali a quelle del nucleo familiare di cui fa parte (tra l’altro con ruolo di responsabilità). Non si può avere tutto nella vita, anzi vivere è proprio fare delle scelte. Oltre agli motivi di preferenza per la vita cittadina, ogni tanto anche io avrei piacere, come ho accennato, di rintanarmi fuori dalla bolgia umana. Però, finché i figli non sono definitivamente a posto sulla loro strada, il mio senso di responsabilità mi spinge a mantenere intatta la “baracca” cittadina (insieme a mia moglie ovviamente). Il problema della società attuale è che si sono allungati a dismisura i tempi prima che i figli riescano a raggiungere un loro posto nel lavoro e nella vita. Di conseguenza scelte coraggiose come quella raccontata in quest’articolo stanno diventando sempre più complicate e difficili, appannaggio di pochi che sono o estremamente coraggiosi o molto sconsiderati. Chissa’…
Credo che Mirco abbia centrato il problema. Grazie.
Sempre un pò stupito dalla veemenza di certe risposte, non è una questione di seghe mentali o mancanza di coraggio. E’ questione di quanto decidi di far pagare agli altri della famiglia , la tua decisione. Anni fà eravamo li per prenderne uno, contratto 3+2 e 12.000 € di canone annuo. Obbligatoria fidejiussione e copertura assicurativa. Raggiungibile a piedi (700 mt D+) rifornito a teleferica, 2500 mt slm. Un’ora di auto verso il centro abitato più vicino. Avrei dovuto mettere mia mamma in una casa di riposo e impedire ai miei figli di cercarsi le loro strade e le loro passioni che per inciso li hanno hanche portati lontano. Non mi sono sentito di piegare gli altri alla mia passione. Ah, tra l’altro ho (ormai ho avuto) un lavoro che mi ha portato in giro per il mondo a fare esperienze incredibili, sono arrivato a dover cambiare il passaporto perche non avevo più spazio per I visa.
Ma soprattutto non ho mai capito un cosa: chi lavora in Rifugio 4/6 mesi all’anno (quando va bene) poi di cosa vive?
La chiudo qui.
Saluti
Per il tipo di interessi che hanno contraddistinto, fin da ragazzo, la mia vita (teatro, concerti, mostre, conferenze, presentazioni di libri, dibattiti su attualità e politica, impegno civile ecc ecc ecc) il modello “cittadino” è sempre stato il più adatto alle mie esigenze. Anche in termini lavorativi, non avrei mai concambiato gli impegni professionali che ho svolto in città con una vita esclusivamente nei boschi. Non c’entra niente il tema della vita sociale: non sono uno che ama feste, discoteche, cocktail ecc e neppure frequentare amici e/o invitarlki a cena a casa. Non rimpiango la scelta fatta a titolo personale fin da ragazzo, cioè quella di tenere la montagna solo come un interesse per weekend e vacanze. Tuttavia ora che sono ancor meno socializzante di un tempo mi piacerebbe potermene stare in una baita, alzarmi alla mattina e vedere le montagne circostanti, trascorrere il giorno a curare l’orto. Si tratterebbe però di una scelta profondamente differente da quella di una famiglia giovane con figli piccoli. Li “invidio” non tanto per la location scelta, ma perché sono giovani e hanno il progetto di vita ancora davanti a loro. Io non andrei in un posto isolato per pianificare il futuro della vallata, andrei là per tenermi l’umanità totalmente fuori dalle palle. Non la metto in pratica perché devo ancora tenere in piedi la baracca cittadina e poi perché mi sono trovato, 30 anni fa, una sistemazione che, seppur metropolitana, è un ottimo compromesso: in pochi isolato sono sulle rive del Po e, se voglio, posso camminare per una decina di km (altrettanti al ritorno) in riva al fiume, nella continuità del parco. Se voglio un po’ di salita, giusto dall’altra parte del fiume si alza la collina. Non è come vivere isolati nei boschi, ma è un ottimo compromesso e quindi alla fin fine non mi sposto. Il modello di vita cittadina non è poi tutto ‘sto schifo. C’è da dire che Torino probabilmente è molto fortunata: abbiamo un semicerchio alpino a un’ora-un’ora e mezza di auto da casa e il mare è altrettanto vicino, per non parlare della campagna, collinare o piatta a seconda delle preferenze. Non è casuale se, noi torinesi, siamo dei bougia-nen: basta allungare una mano e prendiamo quello che ci piace. Buona giornata a tutti!
È una questione di volontá e prioritá. Io ho sempre vissuto fuori dai centri abitati in localitá pedemontane o montane e mio figlio gli amici ha sempre dovuto andare a cercarli o invitarli da noi, ma sono convinto non gli manchi niente. È vero che non abito in un rifugio ma è altrettanto vero che nei periodi di apertura di un rifugio questo sia più frequentato delle frazioni in cui ho vissuto/ vivo.
In conclusione concordo con Marcello è una questione di volontá e prioritá.
Paolo, capitali direi di no, ma capacità e volontà si.
Ps: Marcello. Ti avevo risposto al post sulle guide.
Marcello, magari ci vogliono anche un minimo di capitali. Mica tutti li hanno disponibili. Non essere così duro.
“Vissero da infelici perché costava meno.”
La bambina è appena nata e andrà a scuola tra almeno 5 anni. Fare programmi, addirittura a 5 anni, è la cosa più inutile che ci sia. Le cose accadono e ti fanno cambiare programma anche se non vuoi. Quindi ci si goda il presente, se piace, e poi si vedrà.Conosco decine di gestori e proprietari di rifugi che portano i figli a scuola in jeep, in motoslitta, con gli impianti di risalita e pure a piedi e mi sembra che vivano normalmente e non si facciano tutte le seghe mentali che si fanno quelli che dicono “è una scelta coraggiosa” e continuano a vivere insoddisfatti.
Non mi sento per nulla urtato dalle tue considerazioni Mirco, non vedo perché.
Come o cosa faranno quando la bimba crescerà non lo so e probabilmente nemmeno loro, però personalmente penso che sia comunque bello che qualcuno ci sia qualcuno che provi strade e modi nuovi o differenti, anche se io non ne ho avuto voglia o coraggio.
Premetto che quanto scrivo è anche dettato da una buona dose di ammirazione ed una punta di invidia. Loro ci sono riusciti/hanno avuto il coraggio, io no. Il bando per l’Antola l’avevo letto in occasione delle due volte in cui era stato emesso dall’Ente Parco. Intanto viene descritto nell’articolo come una capanna. A onor di cronaca è una “capanna” costruita con I più moderni criteri eco termici, dotata di pannelli fotovoltaici e solare termici, gruppo elettrogeno d’emergenza e approvigionamento di acqua da una fonte che anche se piccola (6 lt/h) unitamente alle meteoriche consente una buona gestione. L’acqua nei rifugi è sempre la più difficile da portare. Detto questo, devi essere elettricista, idraulico, muratore, infermiere e tante altre cose vivendo così lontano. Però mi chiedo: lavori 6 mesi all’anno come tanti altri rifugi (e tanti rifugisti vorrebbero ma spesso la stagione piena va da giugno a settembre. E poi? Il resto dell’anno? Quando la bimba sarà grande e avrà necessità di socializzare o fare sport o scuola? Non so, quando leggo queste cose ho sempre l’impressione che si canti la mezza messa, forse sarò diffidente ma ogni volta che abbiamo provato con mia moglie a prenderne uno in gestione abbiamo sempre trovato grosse difficoltà. Spero che nessuno si senta urtato da queste considerazioni.
Anche io li invidio, ma, essendo io ormai un abbondante over 50, non ho più in prima persona lo spirito di andare a ricolonizzare la montagna con pargoli e nipoti. Magari mi rintanerei come un orso in una baita spartana e ardua da raggiunge, questo sì. Però bene che ci siano giovani che hanno voglia di tirarsi su le maniche. Sia come lavoratori che come genitori (altro problema strutturale delle società iper-consumistiche e iper-individualistiche). Ciao!
L’ammirazione per questi ragazzi è sconfinata.
Però questa è una fiaba. Da quel che ho visto leggendo i bandi devi avere grossi fondi per gestire un rifugio. Se sei un cinquantenne che vuole cambiare vita sei tagliato fuori da qualunque incentivo o agevolazioni.
Questa bella storia ha qualche lato non raccontato, nel senso comunque buono dei termini.
Li invidio? Naturalmente.
Parliamone.