Perché la transizione è verde
di L’Urlo della Terra
Da L’Urlo della Terra, numero 10, luglio 2022
“Sebbene sia piuttosto vero che ogni politica radicale di applicazione delle teorie eugenetiche sarà impossibile per molti anni a venire (ragioni politiche e psicologiche lo impediranno), è importante che l’UNESCO continui a esaminare l’eugenetica con la massima attenzione, informando nel miglior modo possibile l’opinione pubblica sull’argomento e sulle sue possibili implicazioni. In questo modo, quello che oggi è considerato impensabile potrà in futuro almeno cominciare a essere preso in considerazione senza tabù di sorta (Julian Huxley, 1946)”.
Nel programma di resettaggio e di Grande Trasformazione in corso tanti gli aspetti che vengono toccati, sia per trasformarli irrimediabilmente, sia per renderli obsoleti e quindi da destinare nel dimenticatoio della storia. Esiste però un aspetto che non solo è chiamato a comprendere tutti gli altri, ma ha anche origini più antiche: l’ecologia. Su questo tema vi sono questioni ampiamente denunciate e dibattute, a volte anche dagli stessi responsabili dell’ecocidio in atto. Nel tempo, denunciare il rischio ecologico e poi portare a risolverlo si è rilevato molto remunerativo per tutta l’industria, da quella chimica ed energetica a quella farmaceutica. Tutti parlano di ecologia, evidentemente a sproposito, per poi adottare strategie commerciali o politiche che rappresentano tutto l’opposto.
L’ecologia è talmente considerata che anche a Davos tra aguzzini della finanza e delle multinazionali gira una giovane ragazza in treccine che li riporta alle loro responsabilità in merito al cambiamento climatico, tanto da far percepire quasi un po’ di bonomia etica, ma è solo un attimo perché uno sguardo attento mostrerebbe subito gli artigli assassini di tutti costoro. Ormai sembra essere evidente ai più che tutta la ristrutturazione del comparto tecno-industriale si basa su retoriche ambientaliste, tanto che è stato coniato un termine specifico per evidenziare e denunciare questo fenomeno, ovviamente con un inglesismo: green washing.
L’industria, nelle sue multiformi vesti, adotta lo stile ecologico per continuare, non solo quello che ha sempre fatto a discapito di terre e corpi, ma per continuare a farlo ancora meglio, soprattutto con la possibilità di un nuovo rivestimento che mimetizza le nefandezze in una cornice di ecosostenibilità. Il verde sta quindi colorando tutto, anche le terre rare e rarissime che sono la base energetica per le batterie di tutti i nuovi dispositivi che andranno ad arricchire il guardaroba della transizione ecologica.
Da una visione superficiale sembrerebbe di trovarsi di fronte a un qualcosa di positivo, l’ecologia, che ad un certo punto ha subito una degenerazione. Le ragioni per cui questo cammino ha avuto un’involuzione o delle prassi di tradimento rispetto l’idea originaria sarebbero da ricercare nel solito profitto, nell’avidità senza scrupoli dell’industria. L’avidità economica sembra dunque essere sempre il motore che tutto muove. Noi sosteniamo che certamente il lato economico è importante, ma, ancora una volta, vorremmo sottolineare come questo sia già appagato da molto tempo, considerando che queste élite di potere stanno a capo delle stamperie del denaro con il potere di aprire e chiudere i rubinetti a seconda del progetto in corso.
Quando parliamo di ecologia in questo contesto ci riferiamo a quella promossa dalle compagnie, dagli Stati, portata avanti dalle grandi corporazioni ambientaliste, ONG, fondazioni e dall’associazionismo ascoltato nei grandi forum internazionali.
Questo tipo di ecologia che potremmo definire senza alcun dubbio scientifica ci riporta all’opera di razionalizzazione della natura. In questo testo vorremmo occuparci di quest’ecologia scientifica che da decenni accompagna il potere nella sua presa della natura, dell’umano e degli altri animali. Siamo convinti che il vero motore di questa ecologia del potere sia stato sempre quello di trasformare il mondo naturale secondo determinate visioni tanto care a precise élite di scienziati del secolo scorso e dei tempi presenti.
Se questa precisa concezione di ecologia nei suoi grandi programmi ha sempre rappresentato lo sviluppo del dominio nei suoi vari aspetti, non stupisce oggi vedersela puntare contro quale arma di ricatto per la nostra irresponsabilità nei confronti del pianeta, non avendo noi avuto un giusto “stile di vita”, come si chiamava una vecchia campagna del WWF Italia.
Siamo fortemente convinti che questa visione estesa oggi a livello mondiale abbia origini molto lontane. A livello teorico deriva da determinate correnti di pensiero ecologista che dettero vita al transumanesimo di cui il clan Huxley era il più rappresentativo. Julian Huxley, che coniò il termine transumanesimo, gettò le basi sulle quali si edificò il pensiero eugenetico e transumanista e a seguire anche il pensiero cibernetico. Una razionalizzazione, un controllo e gestione, al fine di riprogettare tutto il vivente dirigendo la sua evoluzione. Ma la “maggior parte del lavoro” secondo Huxley sarebbe stata fatta sull’umano.
Risaliremo alle origini di questa ecologia scientifica e transumana, alla sua idea di conservazione della natura e ai suoi campioni di natura, tracciando i punti cardine di questo pensiero che nell’organizzazione cosciente e sistematica del mondo – espressa nel testo chiave di Julian Huxley Ciò che oso pensare del 1931 – rappresenta quel pensiero che vediamo oggi prendere drammaticamente forma in tutte le sue molteplici espressioni in questa transizione verde.
Determinati interventi e programmi che vediamo oggi nella cosiddetta conservazione della Natura hanno origini antiche, come quelle principesche che dettero i natali al Fondo Mondiale Per La Natura (WWF) dove figurava come primo presidente il principe Bernardo dei Paesi Bassi simpatizzante del Terzo Reich e organizzatore dei primi incontri del Club Bilderberg. Negli anni ’60 tra i fondatori di questa organizzazione e lobby ambientalista figurava anche Julian Huxley.
Huxley nei suoi scritti, in particolare La biologia e l’ambiente fisico dell’uomo, esprime in maniera molto chiara la necessità di controllare i sistemi naturali, per evitare quello che descrive come caos, disordine e sviluppi che lasciati a sé stessi potrebbero rivelarsi, a suo avviso, nocivi. Si rende quindi necessario controllare e stabilire nuovi equilibri che siano convenienti agli scopi dell’essere umano. Il punto di partenza per tale controllo e gestione dell’intero vivente è proprio la conservazione della natura, che diventerà la politica centrale del WWF e di tutti i vari organismi governativi che verranno dopo.
Per la salvaguardia della natura selvaggia e in particolare degli animali in estinzione Huxley osserva come l’essere umano si è reso responsabile della scomparsa di tante specie e, nel suo significativo libro Ciò che oso pensare, scrive: “Dobbiamo sapere dove e quando procreano, quanti piccoli mettono al mondo, e quanto tempo questi impiegano per crescere, quale è la loro mortalità naturale; poi sulla base di tali cognizioni predisporre il nostro sfruttamento in modo che esso incida soltanto la superproduzione”. Il tutto se “vogliamo che le specie selvagge continuino a fornire olio, pellicce, concimi, carni e sport dobbiamo regolare la loro situazione come regoleremmo un affare”. In questo elenco sembra proprio che Huxley stia pensando alla propria classe agiata e influente di cui fa parte da generazioni. Più che di un naturalista sembra essere in presenza di un allevatore coscienzioso e lungimirante che prodiga buone cure perché sa che queste permetteranno un mantenimento e una buona produzione nel tempo. Per aumentare le rese di cibo per gli animali da allevamento Huxley scrive: “se è migliorata la macchina animale per utilizzare l’erba, bisogna in corrispondenza migliorare la macchina vegetale cui è affidato il primo stadio del processo, cioè la elaborazione di materiali greggi della terra e dell’aria. Perciò le ricerche proseguono alacri per scoprire i migliori fertilizzanti dell’erba, ma anche per produrre nuovi tipi vegetali che per efficienza siano superiori all’erba ordinaria quanto una moderna mucca da latte lo è rispetto alla mucca primitiva”.
Viene enunciato con chiarezza come si dovrebbe attuare questa trasformazione ed emerge con forza il legame tra ecologia e genetica: “L’ecologia qui si congiunge con la genetica… perché essa offre la prospettiva delle trasformazioni più radicali del nostro ambiente. Mucche e montoni, alberi della gomma o barbabietole, rappresentano sotto un certo aspetto altrettante macchine viventi, designate a trasformare materiale greggio in prodotti finiti, valevoli per gli usi dell’uomo”.
Si arriva anche a fare quelle che all’apparenza sembrano semplici speculazioni filosofiche o più probabilmente dei sogni di un’eugenista: “Se volessimo, potremmo infliggere ad altri felini ciò che abbiamo inflitto a numerose specie di gatto domestico, cioè la placida amabilità invece della ferocia truculenta, e così ottenere tigri che fossero realmente, e non soltanto nei versi di Belloc, vezzose e miti”. Tutto può portare ad esiti sorprendenti, ma solo se si “riesca a perfezionare la scienza ecologica che sola può fornirci le cognizioni necessarie”.
Oltre alla conservazione delle singole specie l’interesse si è spostato presto verso l’intero ambiente, tanto che il WWF attualmente usa ancora le stesse affermazioni del suo storico fondatore.
Secondo Huxley è molto facile mescolare natura e civiltà in modo tale che l’essenza di una è distrutta e quella dell’altra non del tutto realizzata con il risultato finale di un’insoddisfacente compromesso. “Diversi sono l’equilibrio della natura e quello della civiltà: ognuno di essi è mirabile nel suo genere, e di entrambi possiamo progettare la conservazione”. Per far fronte all’insoddisfacente compromesso è necessaria un’organizzazione cosciente.
Nella sua idea conservazionista Huxley intendeva che “certe aree dovrebbero essere messe a parte come campioni della natura, nello stesso modo che nei musei conserviamo esemplari interessanti di animali e piante. Esse sarebbero dei santuari della natura, ai quali bisognerebbe concedere con parsimonia accesso, e soprattutto a scopo di studio scientifico. In aggiunta a queste categorie principali, si potrebbero stabilire riserve per usi speciali: per la vita degli uccelli, per la conservazione di piante rare o belle, o anche di strani esseri umani, quali i pigmei”.
La necessità di mantenere delle zone non immediatamente ad uso umano hanno portato alla creazione di quei progetti che oggi chiamiamo parchi o oasi naturali, ma è possibile intendere anche particolari zoo o bioparchi.
Cosa intende quindi Huxley con conservazione della natura? Una sua catalogazione e organizzazione sistematica, al fine di renderla illimitatamente disponibile. Una parte di essa dovrà conservare le sue proprietà naturali e originarie che potrebbero sempre servire, come quando oggi viene conservato il germoplasma dei semi antichi nella Banca del seme, un’altra parte di essa servirà come bacino di materia prima da sfruttare, ma la parte più grande, o, meglio l’intera natura per come viene concepita, diventerà spazio di controllo, gestione, intervento e modificazione da parte dell’umano. Conservare la natura per averla disponibile da modificare in base alle proprie esigenze e da riprogettare in base alla propria idea di evoluzione e progresso. Una conservazione e una gestione anche degli ambienti selvaggi sotto la mano dell’organizzazione cosciente. L’ecologia, intesa come conoscenza dei processi naturali, è fondamentale per raggiungere questi scopi. Ben presto Huxley arriva a toccare il punto cardine del suo pensiero: “per preservare la natura noi dobbiamo conoscere il meccanismo che ne assicura l’equilibrio, ci aiuta in ciò la ben sviluppata scienza che è detta ecologia”. Un’ecologia scientifica che da sempre ha avuto un’ossessione non solo per il controllo, ma per regolare e dirigere il corso della natura, di tutti gli esseri viventi e degli stessi fenomeni, perché è necessario, ricorda ancora il fondatore del WWF, sfruttare la natura in modo “cosciente e sistematico” e stabilire “nuovi equilibri” funzionali ai nostri scopi.
Una riorganizzazione e produzione della natura che necessita di sopprimere tutto ciò che esiste in modo autonomo e spontaneo. Non potrà esistere manifestazione vivente fuori da razionalizzazioni e da previsioni, il principio razionale scientifico-ecologico decreterà nuove norme necessarie per il buon andamento di ogni cosa.
Huxley con dispiacere afferma che l’umano non riuscirà forse mai ad avere un completo controllo dell’ambiente perché non riuscirà a impedire tutti quei fenomeni come terremoti, alluvioni e non riuscirà a cambiare il clima, ma rimane fiducioso nelle future possibilità a cui condurranno gli sviluppi scientifici. Nel frattempo, in attesa di giungere a un totale controllo l’umano potrà comunque intervenire nei processi naturali al fine di regolarli e guidarli. Il controllo totale sarà necessario al fine di irrompere nei processi naturali per stravolgerli e modificarli. Ovviamente fin tanto che tutto ciò non sarà ancora possibile la natura continuerà ad essere sfruttata in modo sistematico.
Questo modo di intendere l’ecologia e la conservazione della natura non è stato uguale in ogni parte del mondo anche se il modello proposto da Huxley con il suo WWF ha avuto la meglio, soprattutto nel permeare di scienza qualsiasi visione, anche in ambito sociale. Dal controllo e gestione dell’ambiente naturale alla scienza del controllo e della gestione delle condotte, alla gestione coordinata e pianificata degli spazi, alla gestione ordinata e ottimale del mondo grazie al potere razionalizzante della tecnica e in particolar modo della cibernetica. Controllo e pianificazione totali saranno possibili grazie alla scienza. Questa natura addomesticata avrà bisogno del controllo efficace operato dalla scienza, “unica vera guida” che potrà portare l’umano al suo possibile “destino evolutivo”. Senza questo accompagnamento scientifico la società andrebbe incontro ad un “crollo e ad un ristagno”.
L’umano viene posto all’interno di un “gigantesco esperimento evolutivo” che deve essere controllato e guidato dalla scienza ed ora, grazie alle tecno-scienze e alla biologia sintetica anche modificato e riprogettato dal suo interno permettendo così la massima realizzazione delle loro iniziali aspirazioni e dei loro fini.
Tra vetrini, provette e colture di cellule nei loro laboratori, effettuando esperimenti minuziosamente descritti in Ciò che oso pensare, questi scienziati non erano mossi da una morbosa o folle curiosità e non giocavano a diventare dio, ma si stavano dotando delle conoscenze e degli strumenti per loro necessari a intervenire poi sull’intero vivente, umano incluso, al fine di governarne l’evoluzione. Esperimenti durante lo sviluppo embrionale di alcuni animali cambiando la temperatura, introducendo sostanze tossiche o durante il successivo sviluppo esportandone le ghiandole endocrine per osservare come si sarebbe modificata la crescita di alcuni organi affermando che tutto questo era molto interessante dal punto di vista teorico, ma chiedendosi come applicarlo all’umano.
In quella conservazione della natura Huxley sembra intravedere quindi una possibilità non solo importante, ma irrinunciabile. Il campo di intervento è la biologia infarcita di eugenismo che andrà a dare corpo al suo “umanesimo scientifico”: “alla vita umana si può applicare il procedimento già applicato con tanto successo alla materia inerte, agli animali, alle piante”.
In più di un’occasione – forse non per caso, e forse nemmeno come semplice megalomania di chi sa di far parte di un’élite chiamata a svolgere compiti superiori – Huxley confonde i ritmi di un’evoluzione naturale con un determinismo tecno-scientifico, proprio quello che chiamerà come il nuovo “umanesimo scientifico”.
Leggiamo queste sue parole: “La maggior parte di noi vorrebbe vivere più a lungo, godersi una vita più sana e felice, poter controllare il sesso dei figli quando sono concepiti, e poi modellare il proprio corpo, intelletto e temperamento nel miglior modo possibile, ridurre le sofferenze non necessarie a un minimo; stimolare al massimo le proprie energie senza poi risentirne effetti nocivi. Sarebbe piacevole creare a nostro talento nuove specie animali e di piante, così come si preparano tanti composti chimici, raddoppiare il rendimento di un ettaro di grano o di un gregge, mantenere la bilancia della natura in nostro favore, bandire dal mondo parassiti e i germi delle malattie. Sin dai tempi di Platone, e anche prima, vi sono stati utopisti che sognarono di controllare il flusso della razza umana, non soltanto nella quantità, ma anche nella qualità, affinché l’umanità potesse fiorire con caratteri nuovi”.
Anche in queste righe quasi recitate in seconda persona, come un qualcosa di collettivo sicuramente condiviso dai più, sta pensando al proprio di programma, a quello del suo clan familiare e a quello di tutta un’élite di cui lui era un ottimo rappresentante.
È molto importante seguire questo filone di pensiero, comprendendo che l’ecologia per questa élite transumanista non era un mero involucro dove nascondere altri intenti e obiettivi, ma era ed è parte dello stesso discorso. Fuori dall’ambiente selvatico, che costoro allora – come ancora adesso – percepivano come un qualcosa di simile ad una teca da museo che si può ammirare in un fine settimana o in gita scolastica con il professore di scienze, vi è l’allevamento per gli animali e la coltivazione per i vegetali. Le persone più capaci sono chiamate ad essere i selezionatori dei più adatti.
Impregnati di Malthusianesimo e di Darwinismo sociale – tutto rimane in famiglia a quanto pare -sono sfociati nei più ampi programmi di eugenetica che nei decenni sono sopravvissuti a tutte le turbolenze, anche a quelle degli orrori dei campi di sterminio, o forse sono sopravvissuti proprio grazie a questi. Nel pieno della propaganda nazista durante la Galton Lecture del 1936 presso la Società di Eugenetica Huxley afferma: “Gli strati più bassi, presumibilmente meno dotati geneticamente, si riproducono relativamente troppo velocemente. Per questo motivo è necessario insegnare loro i metodi di controllo delle nascite; non devono avere un accesso facilitato all’assistenza o alle cure ospedaliere, per evitare che la rimozione dell’ultimo riscontro della selezione naturale renda troppo facile la produzione o la sopravvivenza dei bambini; una lunga disoccupazione dovrebbe essere un motivo di sterilizzazione”. Costoro, che a Norimberga da vincitori avrebbero dettato le regole morali ai vinti nazisti, non erano altro che arrivati alle stesse conclusioni, tanto da far dichiarare a degli imputati in quel processo che si erano ispirati agli Stati Uniti d’America, dove da anni si portavano avanti politiche eugeniste regolamentate da leggi democratiche.
Quella che è evidente, ieri come oggi, è che si vuole arrivare ad un’“umanità scientifica”, usando la definizione di Huxley. Questa praxis scientifica si vuole universale, ma ovviamente solo un’élite ne conoscerà i più segreti meccanismi. Huxley mette in guardia dal possibile crearsi di una dittatura, ma ne propone una su base biologica e si sbizzarrisce nel parlare di esperimenti evolutivi dove la vita può raggiungere “nuovi livelli di realizzazioni e di esperienze”. Il tipo di società desiderata è bene esposta da Aldous, fratello maggiore di Julian. Aldous Huxley era un altro noto eugenista che nel suo romanzo Il Mondo Nuovo in realtà non aveva voluto lanciare un allarme, il libro è da interpretare come un manifesto del clan Huxley, da sempre promotori di certe teorie. Solo realizzando un’ “umanità scientifica”, ci ricorda Julian Huxley, l’umano potrà affermare il suo privilegiato diritto: quello di “diventare un primo organismo che eserciti un controllo cosciente sul proprio destino evolutivo”.
Nel loro immaginario il mondo “sarà suddiviso in modo razionale, secondo i bisogni delle messi, delle foreste, dei giardini, dei parchi, della caccia, della conservazione della natura selvaggia; ciò che crescerà in qualsiasi parte della superficie terrestre sarà dovuto ad una precisa idea dell’uomo; molte specie di animali dovranno al controllo umano non soltanto il fatto della loro esistenza e crescita, ma anche le loro caratteristiche e la loro stessa natura”.
Questa idea di conservazione viaggia strettamente in parallelo con quella che era, ed è tuttora, la filantropia: fondazioni miliardarie con poteri smisurati piene di buone intenzioni, ovviamente quelle che loro ritengono buone intenzioni. C’è la povertà nel mondo? Costoro da sempre si prodigano a controllare e gestire la popolazione nella sua alimentazione, ma soprattutto nella sua riproduzione con precise politiche che hanno sempre condizionato nei paesi del Sud del mondo le decisioni più importanti in ambito sociale e sanitario.
Sono passati decenni da quando questi pensieri vennero non solo elaborati, ma poi concretizzati attraverso strumenti operativi per agire nel reale. Lo stesso Huxley, oltre ad aver fondato il WWF, fu presidente dell’UNESCO per circa due anni per poi dimissionare in modo non del tutto chiaro. In quegli anni si parlava della povertà in Africa e del grave flagello della febbre gialla elogiando coloro che al tempo erano i filantropi per eccellenza essendo i promotori della Rivoluzione Verde: la famiglia Rockfeller. Significativo che Huxley affermò: “la febbre gialla sta perdendo terreno nella guerra che le ha dichiarato il signor Rockfeller”.
Huxley si interroga sul fatto se tutti questi risultati potessero essere considerati buoni: “Perché eliminando una malattia, la necessità biologica della resistenza andrebbe a sparire e i meno resistenti sopravvivranno al pari dei più resistenti, e la resistenza della media della popolazione scemerà gradualmente. E, se molte malattie fossero bandite da un paese, lasciando per il resto le cose al loro andamento, è quasi certo che ne conseguirebbe un abbassamento della vitalità generale, essenza menomata della popolazione dalla sproporzionata sopravvivenza degli individui deboli che le malattie avrebbero spietatamente eliminato. In altre parole, la popolazione sarebbe più sana per quanto riguarda quelle determinate malattie, ma come razza avrebbe messo i piedi nella pericolosa china della degenerazione”.
Dietro apparentemente tanti dubbi e interrogativi trasuda una ben chiara visione di mondo, che affronta una questione tanto cara a quell’élite di allora come a quelle di oggi: la sovrappopolazione. I numeri delle bocche da sfamare, ma anche i più adatti a esserlo. Se Huxley si differenzia da alcuni suoi contemporanei come Galton, Spencer e Mendel – a quest’ultimo gli toccò di smettere di torturare animali per passare ai piselli per non irritare le autorità ecclesiastiche – dichiaratamente razzisti, non lo fa per buonismo o perché la pensasse diversamente. Semplicemente ritenne più efficace la sua formula dell’ecologia che, a quanto pare, gli aveva permesso di innestare il suo pensiero nel tempo, assicurandogli una durata che gli è sopravvissuta.
Queste visioni ecologiste, almeno quelle del clan Huxley, avranno un’enorme peso nel consolidare le politiche ambientali nei vari decenni, sicuramente quelle del conservazionismo di Stato e soprattutto del WWF. Questa organizzazione è stata la più rappresentativa di quella visione di mondo, tanto da spostare, sterilizzare, reprimere e uccidere popoli originari indigeni per preservare specie in estinzione, arrivando a promuovere lo sviluppo di tecnologie invasive pur di far rientrare le proprie cornici di vita selvatica degna o non degna di sopravvivere. Una piccolissima percentuale di vita selvatica ingegnerizzata e costantemente monitorata rinchiusa in ristrettissimi parchi per il sollazzo di quella che con il tempo si restringerà in una piccola élite pagante che vorrà sentire da vicino il gusto del selvatico arricchito magari da performance multimediali.
La storia di questi filantropi-naturalisti che hanno portato le loro teorie e i loro sogni transumanisti fino ai nostri tempi è ricca di sorprese. Non si può considerare una generosità verso i poveri il loro costante impegno per debellare gravi malattie del Sud del mondo come la malaria. Costoro odiavano i poveri e il loro mondo, tutto ciò che questo poteva rappresentare, considerato come uno spreco e più spesso come una minaccia per la loro sopravvivenza, essendo loro i portatori di privilegi unici, ovviamente su base biologica.
Parlando del flagello della mosca tse-tse e la conseguente diffusione del morbo Huxley sostiene la necessità di intervenire in modo diretto o indiretto non solo sulla mosca, ma su tutto l’ambiente, in modo che gli insetti sgraditi non trovino più le condizioni favorevoli per la loro diffusione. Prosegue poi ritornando a quel legame tanto caro con la genetica: “possiamo affrontare il problema secondo un’altra prospettiva, si può modificare l’essenza stessa della Natura, alterando l’equilibrio col mutare delle qualità congenite degli organismi in questione, per esempio, invece di assalire un flagello inserendo il suo nemico o modificando l’ambiente in cui esso opera, possiamo di proposito allevare una specie che resista direttamente ai suoi assalti. Così ora si produce grano che è relativamente immune dalla ruggine; gli Olandesi ci hanno dato un esempio suggestivo di ciò che si può compiere applicando a fondo i metodi mendeliani”.
Pochi anni dopo tutte queste speculazioni sarebbero diventate la Rivoluzione Verde: il più grande flagello sociale per i popoli del sud del mondo espropriati della loro autonomia e spesso minacciati nella loro stessa sopravvivenza. Ma anche la natura avrebbe pagato il suo prezzo con una degradazione ed erosione di cui ancora oggi si contano le conseguenze. Queste visioni di mondo sono sopravvissute nel tempo e hanno permesso ad altri affini di mettere in pratica i progetti di costoro. Dopo la Rivoluzione Verde è arrivata la Rivoluzione biotecnologica, fino a quella del Crispr/Cas9. In Africa assistiamo a progetti ancora una volta di natura filantropica, ancora una volta per i poveri e ancora una volta per debellare malattie come la malaria. Qui troviamo all’opera la Fondazione Gates che ha finanziato progetti come il Gene Drive che consiste nell’immissione in natura di zanzare geneticamente modificate in grado di portare all’estinzione l’intera specie ritenuta nociva. Ovviamente la zanzara è solo l’inizio perché è evidente che si vuole fare ben altro con queste tecnologie, lo spettro di nocività per questi neo malthusiani è molto ampio.
A questo punto viene da porsi la domanda: che naturalisti erano questi Huxley passati alla storia proprio come grandi scienziati ed estimatori del bello naturale? Basta andare ancora un po’ indietro nel tempo al “nonno Thomas H. Huxley” che così si definiva e, riferendosi alle scienze naturali che erano il suo particolare mestiere: “ho paura che in me ci sia ben poco del vero naturalista. Non ho mai fatto raccolte, e la sistematica è sempre stata una seccatura per me. Nel mio campo di studio mi interessava quel che vi era di architettonico, e quel che poteva essere studiato da un ingegnere, il riconoscere quella meravigliosa unità di piano in migliaia di diverse costruzioni viventi, e le modifiche di apparati simili a scopi diversi”. Forse fanno più chiarezza altre sue parole che trasudano distanza verso le categorie più svantaggiate o semplicemente verso gli sfruttati: “Pensavo allora, come mai questa gente non facesse massa e non cercasse di mangiare bene e saccheggiare secondo il proprio gusto, magari per poche ore finché la polizia non riuscisse a fermarli, e ad impiccarne qualcuno. Ma questi poveri rottami non hanno più cuore nemmeno per questo”.
Ci sono stati altri naturalisti che hanno dato un fondamentale contributo per diffondere un senso altro di conservazione della natura con visioni non paragonabili a quelle transumaniste ed eugeniste. Uno di questi pionieri dell’ecologismo di tipo conservazionista è sicuramente l’americano John Muir che ci ha lasciato tra le più belle pagine scritte attorno alla storia naturale dedicata alle montagne Americane come lo Yosemite, allora ancora poco esplorate. La sua creatura, il Sierra Club, presente ancora oggi, fa parte della cloaca dell’ambientalismo governativo, antropocentrico e produttivista, ma in principio era altra cosa. Il suo fondatore non ha concepito la sua idea di natura selvaggia discutendone nelle sedute della Royal Society tra gentiluomini che avevano in odio qualsiasi cosa che non rappresentasse la loro categoria e soprattutto il loro metodo scientifico, abituati a camminare nei lunghi e austeri corridoi del British Museum ad osservare nelle teche gli ultimi saccheggi effettuati nella natura selvaggia. Muir può benissimo essere considerato uno dei fondatori dell’ecologia e nulla in lui, nel suo pensare e soprattutto nel suo agire, può avvicinarlo anche solo di poco a quell’ecologia scientifica fatta di calcoli, razionalizzazioni e pericolosissime manipolazioni.
Quando, in tempi recenti, l’alibi per far accettare l’inaccettabile – travestito da un’aurea pura ed ecologica – irrompe con il suo volere con il dogma tecno-scientifico, personaggi come Muir – instancabili ammiratori e difensori della natura che ben poco avevano di scientifico – ridanno speranza a quelle idee e a quelle lotte che hanno compreso l’importanza di proteggere la natura selvaggia allo stesso modo in cui proteggiamo noi stessi, perché gli squilibri di uno cadranno irrimediabilmente sull’altro, ma non solo, come scrive John Muir descrivendo le distese selvagge dell’Alaska: “Non ci sarà felicità in questo mondo per chi non è capace di gioire in un posto simile”.
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In attesa dei commenti dei sostenitori del progressismo verde. Ovvero di quelli che comandano. Nonché quelli che che sarcasticamente chiamano apoti chi contesta la cosiddetta sostenibilità. Quelli che vogliono imbambolare le persone con la storia che scienza, progresso tecnologico e benessere siano una parola sola. e che altre non ce ne siano.
Quelli che predano la terra e la gente, ma si offendono se li chiami fascisti, schifosi o vigliacchi.
Quelli che il capitalismo è l’economia migliore, che “basta correggerlo per farlo andare bene”.
Schifezza.