Ci sono troppi impianti sciistici sulle montagne. Almeno sulle Alpi, ma direi che vale un po’ ovunque.
Non dico che si debbano estirpare quelli esistenti, ma occorre evitare di costruirne di nuovi.
Visti d’estate i tralicci hanno un’aria funesta, la montagna sembra lastricata da forche in attesa degli impiccati. Negli ultimi decenni si sono anche aggiunti i cannoni. Tutto ‘sto “ferro e cemento” ha raggiunto un limite invalicabile. Peggio che mai quando i tentativi di stazioni sciistiche naufragano nel nulla.
Veri catafalchi fantasma. E’ il caso di Pian Gelassa, proprio sopra Susa, a un tiro di schioppo da Torino. Era stata definita la “Bondone di Torino”, per l’estrema vicinanza alla città.
L’idea poteva essere avvincente, anche perché, a cavallo fra anni ’60 e ‘70, l’autostrada del Frejus non era neppure ipotizzata e poter sciare a un’oretta o poco più dalla metropoli aveva un suo appeal.
Come però descrive l’articolo riportato, la realtà si è evoluta in un’altra direzione, ma il punto è che i residui sono rimasti per lungo tempo e alcuni infrastrutture edili sono ancora lì a distanza di 50 anni. Il tutto lasciato nel degrado assoluto e a disposizione dei vandali, che ovviamente ne approfittano: impallinare il cartello stradale (divelto e appoggiato a un albero) è il minimo che potesse accadere. Se non è “inquinamento” questo…
Poco importa che il fallimento della stazione abbia rimesso a disposizione degli scialpinisti un bell’itinerario, quello al Monte Pintas, con esposizione Nord (anche se la quota modesta non lo rende sempre fattibile, specie nelle ultime stagioni caratterizzate da precipitazioni anomale). Il punto è che, salvo rarissime eccezioni, le zone montane adatte in modo “naturale” allo sci di pista, sono ormai state sfruttate appieno e ogni nuovo progetto (che sia un singolo impianto o un’intera stazione) è inevitabilmente una forzatura.
Impariamo quindi dai fallimenti del passato per evitarne altri in futuro: anche solo un banale ski lift addizionale nell’ambito di una stazione ben posizionata, domani potrebbe rivelarsi un cadavere di ferro che nessuno andrà a togliere dai monti (Carlo Crovella).
I cinquant’anni da fantasma della stazione sciistica inaugurata e subito fallita
di Massimiliano Peggio
(pubblicato su La Stampa, Cronaca di Torino, 5 settembre 2019)
Tutti hanno un sogno, ma non tutti i sogni sono destinati a realizzarsi.
In Val di Susa, in località Pian Gelassa, sopra Gravere a 1590 metri di quota, scheletri di palazzine incompiute, con cemento armato e mattoni lasciati a nudo che sembrano voler giocare a nascondino tra gli abeti, raccontano il sogno infranto di un imprenditore edile, Romolo Pomponio, costruttore della sede universitaria di Palazzo Nuovo (a Torino, NdR).
Lassù, cinquant’anni fa, aveva realizzato una stazione invernale avveniristica, che avrebbe dovuto attirare turisti e «pendolari» dello sci.
Progetto rivoluzionario: a 68 chilometri da Torino, una funivia cabinata, due skilift, un ristorante a forma ottagonale per mille coperti, alloggi, una pompa di benzina. Una strada ampia e collegamenti con navette.
L’idea di portare in vetta le scolaresche, al posto «dell’inutile ginnastica». Così scriveva con sincera enfasi Stampa Sera nell’autunno 1969.
Meno di un anno dopo, nel 1970 il tribunale di Torino dichiarò il fallimento della società, per un miliardo di lire.
Ritardi e problemi, spezzarono il sogno di una stazione sciistica moderna. Sette anni più tardi una valanga distrusse impianti e parte degli edifici già costruiti.
La metamorfosi del sogno si compì, diventando incubo. Romolo Pomponio era perseguitato dalla iella. Nel 1953 sette operai morirono a Moncalvo, in provincia di Asti, sotto il crollo di un capannone costruito dalla sua impresa.
Oggi l’oblio si è impossessato di Pian Gelassa. Il tempo si è fermato. Non c’è ombra di turismo. Gorgoglio di ruscelli e scampanellio di vacche al pascolo.
Dalle nebbie che abbracciano il crinale al fondo dell’ultima curva sterrata, ecco comparire ciò che resta dell’edificio che ospitava gli ingranaggi della funivia cabinata. La vecchia strada asfaltata non esiste più.
«Le poche case risparmiate dalla valanga sono state saccheggiate negli anni o distrutte. Chi sapeva, si è portato via bagni e rivestimenti» dicono le poche persone che vengono quassù.
Poche casette dì pietra e un rifugio per i margari. Il piazzale, che nel sogno di Pian Gelassa avrebbe dovuto essere il cuore della stazione sciistica, è invaso da abeti tagliati di recente.
Ai margini del bosco c’è il ristorante ottagonale, costruito addossato alla montagna. Non ci sono più le finestre. Profonde fessure sul tetto di legno e cemento asomigliano a ferite di giganteschi artigli.
«Dicono che la valanga si sia schiantata lì sopra, portandosi dietro tronchi e massi».
Al primo piano, con le vetrate rivolte sulla Val di Susa, penzola dal soffitto la cappa di un grande caminetto da sala. Ricorda la tromba di un grammofono. Che cene, lassù, in quell’unico anno di splendore.
Adesso ci sono muri sbrecciati, pavimenti ricoperti da detriti, pareti piene di promesse d’amore. Anche insulti a politici, passati e presenti. Date. Ricordi. Graffiti.
«Era un bel posto, ma è finito tutto troppo in fretta. Qui ci vengono solo quei patiti della guerra, quelli che si sparano con i fucili finti. Arrivano in mimetica e si nascondono nel bosco. A volte fanno paura».
Risalendo il crinale, si incontrano i basamenti di cemento armato che un tempo sorreggevano i pali degli skilift. Qualche anno fa sono stati rimossi i tralicci, che penzolavano ancora deformi dopo la valanga.
Ad un certo punto si è pensato anche di rilanciare il comprensorio, in tandem con gli impianti del Pian del Frais. Un progetto più effimero di un sogno, subito tramontato.
Oggi restano i ruderi e il degrado. Spettrali come un fantasma, nella nebbia appiccicosa di metà mattino.
9
La natura si sta riprendendo i suoi spazi ma percorrendo la strada che arriva fino a ciò che rimane del progetto di una stazione sciistica, ho provato sensazioni di disagio e anche paura specie per le condizioni della strada che avrebbe potuto problemi al passaggio della nostra auto, sia per l’aspetto spettrale e inquietante di tutte quelli rovine. Ad accrescere il senso di inquietudine la presenza di numerosi uomini in divisa mimetica nei paraggi e dinnanzi a quelle costruzioni scheletriche; mi faceva pensare alla Bosnia e sinceramente consiglierei a chiunque di non lasciarsi trasportare dalla curiosità di intraprendere il giro ne in auto, ne con le bike e tantomeno a piedi. Ci sono località molto belle da vedere nelle nostre montagne!
Archeologia del turismo alpino, simbolo del fallimento delle utopie. Da non smantellare, per consentire di vedere come la natura si riprende gli spazi sottratti dall’uomo. Danno molto più fastidio le zecche dei boschi, quelle si che creano problemi.
Vedendo questi obbrobri non riesco ad avere fiducia nell’uomo e mi convinco sempre di più che la sesta estinzione, precognizzata da Eldredge, sia inevitabile!
Dovrebbe essere di legge demolire tutte queste opere inutilizzate ( tralicci, case, scheletri di case ecc ecc) se non ci sono soldi lo faccia il genio militare che i mezzi li ha sicuramente !!!
@Fabio Lo so, sono di Modena… La famosa (o famigerata) stazione sciistica “Faeto 1000”
Non sapevo invece di Zocca
Negli anni Sessanta/Settanta esistevano sciovie a Faeto di Serramazzoni, Zocca, Pavullo nel Frignano, Monteacuto delle Alpi.
I giovani modenesi e bolognesi che qui mi stanno leggendo non ci crederanno mai. È quasi come vedere piste e sciovie sui Sette Colli di Roma.
Segnalo un’informazione che c’entra anche se solo indirettamente. Nei giorni scorsi alcune stazioni sciistiche dei Pirenei hanno ricoperto le loro piste completamente “secche” con neve reperita sulle vette e spostata tramite uso di elicotteri. L’evento ha innescato molte accese polemiche in Francia. Lo cito perché è un’ulteriore dimostrazione che le stazioni da sci andranno incontro a crescenti problemi (vedi anche articolo su skidome). Di conseguenza avremo sempre più tralicci senza vita come forche in attesa degli impiccati. Ciò ci deve irrobustire nella contrarietà ad accettare anche un solo skilift in più rispetto agli attuali. Ben fa questo blog a rendere noto il problema, sensibilizzando l’opinione pubblica e aggiungendo anche segnalazione di azioni specifiche come no alle Cimd Bianche e no al supercarosello delle Dolomiti. Buona serata a tutti!
Da un servizio del Corriere della Sera del 21 dicembre 2019. Vedere le foto allucinanti sul sito
Montagne devastate
Un destino comune a tutto l’arco alpino, costellato com’è di resort, carcasse di funivie e skilift abbandonati: 40 in Val d’Aosta, altrettante in Piemonte, 35 in Veneto, 25 in Friuli, senza contare tutte quelle lasciate marcire sugli Appennini, dalla Liguria alla Calabria. Scheletri arrugginiti, tralicci che sono come la testimonianza di una guerra persa dall’uomo per inseguire un sogno impossibile: sciare a mille metri di quota al tempo del cambiamento climatico.
Duecento fallimenti
A mettere insieme tutti i censimenti degli impianti di risalita abbandonati, realizzati in questi anni da Mountain Wilderness, Lega Ambiente e Cipra, Commissione internazionale per la tutela delle Alpi, si arriva quasi a contarne 200. Duecento cimiteri di montagna che sono un monumento della miopia degli amministratori locali, nell’illusione di rilanciare delle zone depresse puntando sullo sci da discesa.
Appunto Alberto… Noi laggiù sapevamo tutti che la zona sovrastante recava memorie geomorfologiche funeste. Questo la dice lunga sugli amministratori di allora.
dobbiamo ognuno di noi fare qualcosa di più che esternare il dissenso su un blog , dov’e il rispetto dell’ambiente che nei vari protocolli diciamo di aderire… diciamo e basta poi ognuno fa i propri interessi.
La valanga di Rigopiano non ti ricorda nulla?
questo luogo rappresenta un vero museo degli orrori della crescita.
Di cemento e ferro abbandonato sono piene le Alpi e non solo: mi viene in mente una ex-stazione sciistica nel nord della Corsica.
Anche le stazioni sciistiche di successo sono piene di roba dismessa, perché costa meno rifare nuovo e nessuno paga (o è costretto a pagare) il ripristino della situazione preesistente alla dismissione. In realtà è la medesima cosa anche in pianura e dovunque: è che in montagna si nota di più!
Mi piace molto la figura della “montagna che sembra lastricata da forche in attesa degli impiccati”
Che tristezza…
Per non appesantire ulteriormente il post sul modello Dubai riporto qui i risultati di una ricerchina che ho fatto ieri sera. Magari a qualcuno interessa.
Progetti Skidome Italia: 3
Casale Monferrato: il più folle, in mezzo alle risaie e difficile da raggiungere , morto e sepolto
Arese: si doveva collocare sul terreno ex Alfa, vicino al grande centro commerciale, progetto elaborato dall’archistar che ha progettato il centro commerciale: rimandato a data da destinarsi secondo quanto dichiarato ufficialmente dal sindaco. Non sono chiari i motivi del rinvio e cosa vogliono fare a questo punto dell’area.
Selvino: vedi dettagli del progetto nel post su modello Dubai, è il progetto in fase più avanzata, mancano ancora un paio di passi formali ma mi sembra che non sia ancora chiaro chi ci mette i soldi.
Ma se avesse funzionato… Con quella valanga cosa sarebbe potuto accadere?