Quagliette – 01

Anche io ho compilato una sorta di diario, inizialmente intitolato Dai diari di una quaglietta, poi diventato Dai diari di un istruttore. Il testo è nato fondamentalmente per due motivi:
– cercare di unire alcuni testi già precedentemente pubblicati;
– provare a rispondere al perché andassi per monti, perché fossi diventato istruttore CAI e se tutto questo avesse ancora senso (Piero Visentin aka Joe Condor).

Quagliette – 01
di Piero Visentin aka Joe Condor
(estratto da Dai diari di un istruttore, ancora non pubblicato)

CAI e quagliette, dogmi e contraddizioni
Quaglietta… termine che un caro amico, caro al punto da chiedergli di fare da padrino al battesimo di mia figlia, pure lui istruttore, usava per definire quello che ero: un istruttore del CAI. Usando quella definizione probabilmente si puliva la coscienza, lui era sì un istruttore ma pro forma, in realtà era un alpinista in blue-jeans che faceva anche l’istruttore o almeno di questo era convinto. Il suo curriculum gli avrebbe permesso di puntare tranquillamente a diventare istruttore nazionale, cosa che per scelta non farà. Viste le capacità avrebbe potuto coronare il sogno che, anche se non lo ammetterà mai, ogni istruttore cova, talmente segreto che qui non può essere nemmeno accennato. In questo caso era stata la vita a scegliere per lui un percorso diverso.

Dogma n.1 – Mai nominare il lato oscuro della forza;

Dogma n.2 – Siamo in Italia ed i figli si battezzano a prescindere, se figli di istruttori CAI si provvede anche alla loro iscrizione al sodalizio.

Quaglietta… ebbene, a quel termine mi ci sono affezionato da subito, l’ho sentito mio, al punto da sfoderarlo spesso, definendo così anche me stesso. Perché? Perché un po’ ci tenevo e un po’ per provocare chi credeva fermamente e, a mio avviso in maniera eccessivamente ortodossa, nel sodalizio istituito da Quintino Sella e dagli altri padri fondatori a ricordo della prima simbolica salita italiana al Monviso nel 1863. Perché? “Perché sì! Noi ci crediamo davvero!”. Ci crediamo al punto che molti di noi hanno quel numero tatuato sul tallone sinistro. Ricordo di avere parlato di quaglietta auto definendomi tale anche durante uno dei vari esami sostenuti davanti ad almeno uno dei Gran Mogol del CAI, istruttore plurititolato e medagliato che, occhiali da sole indossati e molta autodeterminazione e auto referenziazione, mi stava esaminando. Cosa avrà pensato dopo la mia sparata? Non lo saprò mai, le lenti scure mantenevano tra noi una certa distanza, non facevano trasparire emozioni. Io non le portavo, non avevo nulla da nascondere, volevo che mi guardasse negli occhi.

Quaglietta è un po’ una contraddizione, si contrappone all’aspetto serioso e austero che in certe situazioni il CAI, travestito da giovane, dinamico e brillante, osserva, basti pensare all’aspetto severo di alcuni istruttori, all’aquila che portano cucita sulla loro bella giubba rossa e, molto probabilmente, tatuata sulla loro pelle… Gli istruttori che ho visto a torso nudo non ce l’avevano, non escludo fosse celata in luoghi più birichini… io mi sono limitato a tatuarmi 1863 sul tallone sinistro. Perché? Perché se sono qui a scrivere questo articolo è forse perché pure io sotto sotto un po’ ci credo.

Congressi e convegni
Un presidente di commissione, nel congresso degli istruttori di Trieste del 2019, se ben ricordo, propose la necessità di partecipazione ai congressi per il mantenimento del titolo. Un congresso ogni tre anni, cui si potrebbe eventualmente partecipare e votare anche con delega, a patto che questa non riguardi solo l’espressione di voto. Mi chiedo: se uno in quell’occasione, per un problema dell’ultimo minuto, non fosse stato in grado di partecipare? Fortunatamente, in seguito non sentii parlare di tale proposta, che mi auguro non abbia avuto seguito.

A farmi riflettere parecchio furono quello e altri due episodi.

Il primo è legato a una telefonata intercorsa con un presidente di commissione dove egli si sbilanciava, asserendo che non era contento relativamente alle scelte legate all’elezione di un nuovo commissario: lui voleva l’altro candidato, quello che, presidente per almeno un mandato qualche anno fa, alla fine non era stato scelto.

Il secondo è relativo a un altro commissario che si trincerava, interrogato sull’operato dei commissari, affermando che i componenti delle commissioni erano persone che erano state votate ed agivano pertanto su “mandato” dei loro elettori.

In entrambi i casi mi posi delle domande: mi sono trovato più volte a votare dei commissari, con numero di candidati indicati spesso presenti in numero inferiore ai posti previsti, salvo poi occuparne i posti mancanti con cooptati. Relativamente ai cooptati, non mi risultano pervenute formalizzazioni sulla loro carica, né mi risultano citati nei documenti, così come non mi risultano pervenuti o inviati i verbali delle riunioni delle commissioni, giusto per capire cosa viene discusso nel corso di tali incontri.

Mi sono trovato a chiedere informazioni sulle modalità di candidatura, dato che a pochi giorni da un congresso in cui si sarebbe votato, non mi risultavano pervenute, salvo poi solo dopo il mio sollecito, vedere pervenire ai titolati una mail in cui si chiedeva a chi fosse eventualmente interessato e di manifestarlo rispondendo alla stessa mail. Dopo avere chiesto informazioni e manifestato l’interesse a candidarmi, prendendo tempo, senza sapere altre informazioni da parte della commissione, cercando di capire quale fosse il ruolo dei commissari, trovai il mio nome sulle schede per le votazioni. Nessuno aveva chiesto le mie intenzioni oppure il mio programma, niente. Perché uno avrebbe dovuto votare me piuttosto che un altro candidato? Per il nome simpatico e ammiccante? Basta la voglia di fare o serve un programma? Altra domanda, sulla base di cosa avevo espresso il mio voto scegliendo i nostri rappresentanti? Se mai tornerò a un congresso, a queste condizioni, rifiuterò le schede.

Ai congressi ho visto due volte premiare persone, un premio è andato alla memoria. Dove è il bando? Come si può proporre un partecipante?

Spazio alle istruttrici
Per voi ragazze è sempre più facile”. Lo dissero a una mia amica durante il corso esame IA del 2013. Con quella battuta l’esaminatore sottintendeva che per le donne si chiudeva un occhio, anche due. Stare zitti, ingoiare il rospo, fare l’esame e prendere il titolo, la regola è sempre quella. So che la mia compagna ha frequentato e superato positivamente il corso esame IAL 2019 ed è stata trattata al pari di noi uomini, a parte qualche battuta di bassa lega da parte del direttore riservata in esclusiva alle due ragazze esaminate e che tale direttore non avrebbe avuto coraggio di rivolgere agli uomini esaminati. A dirla tutta… pensando all’esame e alle difficoltà richieste, se volessimo essere coerenti, le difficoltà massime delle atlete e alpiniste femminili non hanno raggiunto quelle degli uomini, pertanto mi chiedo: perché agli esami le richieste sulla difficoltà non dovrebbero tenere conto di questa differenza?

Che altro aggiungere: un sodalizio di oltre 300.000 soci, diverse migliaia tra titolati e qualificati, e per le giacche appena uscite non è stato previsto un modello da donna. Cosa cambia tra un uomo e una donna? Cambia, se non le si vuole mandare in giro vestite da “Topolino, l’apprendista stregone” o da “Cucciolo di Biancaneve”, un bel sacco con le maniche che arrivano alle ginocchia, per intenderci.

PBY e la giacca pagata e mai arrivata
Il titolo è un po’ fuorviante, ma un appassionato di aeronautica potrebbe comprenderne il senso, essendo il nome della sfortunata protagonista. Un amico, istruttore presso un’altra scuola della zona, mi contattò per il seguente problema: come noi, anche loro avevano ordinato e pagato anticipatamente le giacche con la quaglietta, non quelle del marchio scandinavo in voga fino a qualche anno fa, quelle più recenti con un simbolo simile al “sole delle alpi”, con qualche petalo in meno e qualche nota artistica in più. La merce loro consegnata presentava un collo in meno rispetto a quanto pattuito e pagato: mancava una giacca. Il mio amico contattò i preposti, che invece di risolvere subito il problema gli dissero che una sola giacca non l’avrebbero spedita e che avrebbe dovuto accodarsi all’ordine di un’altra scuola per poi arrangiarsi autonomamente a ritirarla. Contattò noi, che di giacche dovevamo ordinarne un paio, effettuammo l’ordine e da allora, ormai è passato qualche anno, non se ne seppe più nulla. Fine della storia.

CAI: Statuto e politica dell’inclusione
È una parentesi complicata da aprire. Da una parte il CAI ha delle precise finalità: l’alpinismo in ogni sua manifestazione e la tutela ambientale. Tutto scritto nel primo articolo del suo statuto, al momento, se ben ricordo, aggiornato al 2011. C’è una domanda cui faccio fatica a rispondere: “Cos’è l’alpinismo?”. È una domanda cui non so rispondere, che mi mette in difficoltà. Anche quando sono io stesso a pormela e non un allievo. Nemmeno Wikipedia mi aiuta, la definizione che trovo non riesco a condividerla, a farla coincidere con quanto immaginavo. Ripenso a quel “È bello andare dove non conosco” (Renato Casarotto). Il resto faccio fatica ad associarlo a quella parola. Il CAI è diventato altro. Non voglio commentare quella scelta. Mio suocero non è iscritto al Club, non va in montagna ma leggeva Montagne 360, io sono iscritto e non ci riuscivo. Lui si lamentava che alcuni numeri erano troppo votati all’exploit, all’estremo. Io la sfogliavo, la trovavo un’accozzaglia mal amalgamata e la depositavo in un angolo della libreria che ogni italiano ha, ben disposta accanto ai due sanitari e di fronte alla doccia. Dopo qualche mese, quando la pila era troppo alta, aspettavo la domenica sera per depositarla sotto casa in attesa del lunedì mattina, quando qualcuno sarebbe passato per valorizzarla meglio di come avrei saputo fare io. Diversamente faccio per altre riviste, come Le Alpi Venete, sempre edite dal Club, che gelosamente conservo. Trovo che la rivista ufficiale che ogni socio riceveva ben rappresentasse l’associazione: tante idee, tanti volontari che donano il loro tempo gratuitamente. Forse troppe idee. Non so quale sia il confine tra lo statuto del CAI e quello che a volte vedevo rappresentato in quella rivista, specchio dell’associazione. Mi chiedo quale sia la realtà di questa sbandierata inclusività se io, socio celiaco, una volta diagnosticato, nel 2018, durante gli esami del 2019 ho sbattuto il muso contro l’incapacità di ascoltare le mie problematiche e le mie esigenze legate al conseguimento di un titolo. Esigenze sanitarie certificate di un volontario che per l’associazione, una volta conseguito il titolo, si sarebbe messo ancor più a disposizione.

Il problema rimane uno. Siamo volontari e siamo persone, diversi, con diverse sensibilità e priorità. Ciò che per uno dei 300.000 soci può essere vitale, può essere inutile o dannoso per gli altri e in un’associazione, giustamente, conta chi fa, anche male o diversamente da come farei io e non chi come me è qui a lamentarsi.

Nello statuto è ben precisata inoltre la tutela ambientale, tematica a sua volta sviluppata in specifici documenti. Immagino la domanda fatta ad ogni socio: “Sei favorevole alla tutela ambientale?”. Fatico a immaginarmi un solo parere negativo. A questo punto si dovrebbe rispondere: “Se sei talmente appassionato e favorevole alla tutela ambientale resta a casa!”. Buona parte delle attività legate al CAI hanno una pesante impronta ambientale, dalle arrampicate nelle falesie che disturbano alcune specie in nidificazione al fare sei ore di macchina per scalare il giorno seguente una cima e poi tornare a casa. Pensando a un episodio recente mi faccio la seguente domanda: “Che senso ha per un’associazione che vorrebbe promuovere la tutela ambientale organizzare una prova d’esame della durata di venti minuti cronometrati a tre ore e più di trecento chilometri da casa?”. Episodio accaduto al mio presidente di sezione, recupero di una prova d’esame per accompagnatore AG inizialmente bocciato in una singola prova. Se il recupero richiedeva “solo” 20’, tempo che gli era stato dato per concludere la prova, magari poteva essere fatto il giorno stesso della bocciatura. Una volta tanto non si tratta nemmeno di un corso esame strettamente collegato alla CNSASA. Si tratta, invece, di una delle tante altre branche del grande albero del CAI, con parziale coinvolgimento come esaminatori di istruttori di alpinismo. Il livello di insoddisfazione dell’esaminato rimane tale.

Istruttori e Allievi: persone
Per scrivere questo pezzo mi sono ispirato a quanto visto nella scuola di cui faccio parte o in quelle limitrofe, più d’una, dove qualche volta per curiosità, voglia di fare o amicizia ho collaborato. Non c’è nulla di inventato. Ebbene? Ebbene, le scuole si assomigliano un po’ tutte, come le figure che le frequentano, dal fortissimo che non ha tempo per partecipare ai corsi a quello che ha un occhio di riguardo per il gentil sesso, al tecno burocrate inesauribile nel ribadire la sua posizione: “No, non si può!”. Lo stesso vale per gli allievi, di alcuni mi è rimasto qualche ricordo particolare, non a caso alcuni mi pare di rivederli, anno dopo anno: cambiano le facce ma atteggiamento, carattere schivo oppure spavaldo, educazione, timidezza, si ripetono, un piccolo spaccato della nostra società. Istruttori o allievi, siamo persone e come tali, i profili sono simili a quelli qui descritti e si potrebbero trovare in ogni gruppo.

Una cosa è cambiata e spero che tutti gli istruttori se ne siano accorti, “i tempi”: internet permette di raggiungere velocemente le informazioni e gli istruttori dovrebbero rendersi conto che da maestri di vita auto costruiti ora è facile passare velocemente a imbarazzanti stereotipi o cretinetti sclerotici. Gli allievi non si bevono più la favoletta raccontata dall’istruttore. Hanno gli strumenti e possono verificare tutto in pochi minuti, direttamente dal loro telefono, anche contemporaneamente alla lezione. Ciò nonostante, qualche istruttore si ostina a provare a fare il bulletto, finendo a volte deriso, anche apertamente e davanti a tutti.

Se faccio l’istruttore è perché nonostante tutto, nonostante queste pagine spesso amare come il fiele, mi piace e ci tengo. Il merito è anche delle persone, di quegli istruttori di cui ti puoi fidare e con cui ti puoi confidare, merito di quegli allievi che ti fanno scappare un sorriso, a volte perché un po’ macchiette, a volte perché ti ricordano come eri. Il tutto a patto di volerli guardare negli occhi ed ascoltarli, non giudicandoli mentre li si guarda dall’alto verso il basso…

Un po’ di statistica: profilo della Quaglietta
Tante, troppe domande mi passano per la testa. “Come sono diventati titolati alcuni degli istruttori che conosco?”. Sicuramente perché il loro direttore aveva una visione, forse era un leader trascinatore, ma altrettanto sicuramente perché tale direttore partecipava annualmente agli esami, conosceva l’esaminato e gli esaminatori, aveva voce in capitolo in caso di contestazioni. L’istruttore amico, presente a quel corso come esaminatore, anche se indirettamente poteva dire la propria parola sul giudizio finale. Alcune scuole sono cresciute con istruttori in Scuole Centrali e Interregionali, perché il CAI è probabilmente capacità, ma sicuramente anche politica e potere. Tutti gli istruttori e tutte le scuole fanno così? Sicuramente no. Penso a quel bravo direttore, ma bravo davvero in termini di umanità, simpatia e visione, non sono ironico, ora direttore, con un curriculum decisamente importante. Al tempo aveva un amico che voleva fare la guida e pertanto doveva fare curriculum: erano giovani, liberi e per qualche anno, per interessi diversi, ma confluenti hanno vissuto praticamente in simbiosi. È una colpa? Sicuramente no. Molto probabilmente uno ha fatto curriculum per diventare professionista “tirandosi le vie da capo cordata”, l’altro ha fatto curriculum prevalentemente da secondo. Avendolo visto arrampicare, questa è l’unica soluzione plausibile. Ciò nonostante, è un ottimo direttore di scuola. Ma non siamo tutti in quella condizione. Poi ci sono i titolati che non ti spieghi come lo sono diventati, se una volta le maglie erano più larghe (pare di sì. Pare che per diventare istruttori di alpinismo si fosse esaminati su vie di quarto grado, quelle dove tra l’altro devi dimostrare di dover salire sapendo leggere la parete e sapendo proteggerti vista la scarsità di chiodi presenti su quelle difficoltà) o gli esaminatori quel giorno fossero da un’altra parte, magari al bar a bere birrette, ma questa è un’altra storia. Penso poi a quel direttore che ha detto a un suo sezionale di gonfiare un po’ il curriculum e di non pensarci che tanto lo firmava lui. Non è un atteggiamento corretto, ma ho sentito anche questa. Escluse le questioni etiche e di correttezza, la rogna poi sarebbe ricaduta sull’esaminato al quale avrebbero chiesto difficoltà che forse mai aveva fatto. Ora almeno non è più direttore, è stato sostituito anche se temo che “el tacon” sia “pezo del buso”.

Fortunatamente tra gli istruttori ci sono persone serie e davvero in gamba, alcune sono silenziose, altre fanno più confusione per mettersi in mostra ma tutte dedicano anima e corpo alla scuola. Chi ti apre sempre la sede, chi fa il lavoro sporco, chi aggiorna il sito internet o la pagina social, chi prepara e appende i volantini, chi silenziosamente si prende sempre l’allievo “rogna”, chi fa i sopralluoghi, chi pulisce e prepara la falesia, chi va in falesia prima che il corso inizi e prepara le vie, chi aiuta te che sei direttore di corso a prendere decisioni, che senti 2-3 volte al giorno nei periodi di corso e che assieme a te valuta meteo, luoghi, temperature etc., chi “porta su le corde e gli allievi”, chi vede che qualcosa non va e prova a rimediare al volo, chi chiami e anche se non si era segnato viene lo stesso, chi rimane tutto il giorno appeso a 20 m di altezza a guardare che gli allievi salgano e facciano correttamente le manovre, sotto il sole cocente o nelle giornate di bora nera, chi dopo il corso non abbandona gli ex allievi a se stessi. Questi istruttori sono il cuore pulsante delle scuole, alcuni sono titolati, altri sezionali, altri ancora semplicemente aspiranti.

Ci sono poi le macchiette, che a volte ti fanno arrabbiare, altre, le guardi con compassionevole sorriso. Sono parte della scuola, la scuola siamo noi (tanto per mettere una citazione tra le righe), come lo zaino di Casarotto, con nostri pregi e difetti. Ecco alcuni esempi di istruttore macchietta, istruttori della scuola di cui faccio parte o che ho conosciuto in giro, di “loro” ho visto diverse loro copie in altre scuole. Nonostante loro, o forse anche grazie a loro, essere istruttore è impegnativo, stancante, a volte snervante ma nel complesso molto bello e di soddisfazione.

Ecco alcuni esempi di “quaglietta”:

QF – “Quaglietta Furbetta”, una sottospecie: sono quelle che dopo anni di selezione si sono specializzate e compaiono sempre in occasioni di rappresentanza o solo alle prime lezioni dei corsi, quelle meno impegnative e che poi con altrettanta maestria scompaiono (essendo quagliette avrei dovuto scrivere “spiccano il volo”) al momento in cui bisogna sporcarsi le mani e prendersi qualche responsabilità.

QB – “Quaglietta Burocrate” (anche note come le quagliette “No se pol” sottotitolo “La provi in Friul”, “Gnanche i furlani riva”). Ogni occasione è buona per opporsi, dire di no, che non si riesce, che i regolamenti lo vietano o altro. A riguardo di uno di loro c’è un aspetto più preoccupante: la discrezionalità. Il bello delle regole, se le applichi sempre, è che sono uguali per tutti, un po’ come la “livella” di Totò. Uno invece, andreottianamente applicava le regole all’occorrenza, altrimenti si poteva fare finta che la regola non esistesse. A mio avviso gravissimo. Un esempio diverso di discrezionalità l’ho conosciuto quando volevo partecipare a un corso propedeutico per istruttori. Il regolamento prevedeva almeno un istruttore per scuola. Della nostra eravamo due candidati. Entrambi esclusi. Il file con gli ammessi comparve sul sito dell’OTTO solo su mio sollecito, ben oltre i termini previsti. Deluso mi presi la briga di fare una conta: c’erano diverse scuole con iscritti 3-4 istruttori. E noi? Esclusi perché il direttore del corso aveva deciso di dedicarlo solo agli scialpinisti. Grazie “Tavernello”! E pensare che era stato pure presidente del nostro OTCO… Anche in questo caso, discrezionalità e mancato rispetto delle regole. Se l’apice è così non oso immaginare come vada “ai confini dell’impero”. Fortunatamente non è tutto da buttare, la scelta di “Tavernello” probabilmente aveva mosso malumori nella scuola interregionale e mi fu proposto di recuperare privatamente in un’uscita scialpinistica quanto non avevo potuto vedere. Fortunatamente il sosia di Kurt Diemberger e l’avvocato neocommissario dimostravano di avere una visione più lungimirante dell’uomo del “Xe bon el vin in cartòn”. Nel 2023 uscì anche il bando per corso IA. Da regolamento ci sono 60 giorni tra la pubblicazione e la partenza del corso. Mi pare fosse uscito a un mesetto scarso dalla partenza ma… le regole, evidentemente, valgono solo per gli esaminati. Idem se ben ricordo per il corso IAL 2019. Questi signori, le “Quagliette burocrate”, li voglio ricordare così: sempre pronti a negare l’evidenza per potere dire ancora una volta con voluttà: “No”. Almeno quando sta bene a loro.

QGF – “Quaglietta Grandi Firme” che esibisce il suo atelier alle migliori serate di cinema di montagna e poi sparisce.

QR – “Quaglietta Revival” anche nota come “Quaglietta ai miei tempi…”. Pare scalasse con Bonatti, Messner, Maestri, Ferrari, Kammerlander e nel 1786 avesse salito il Monte Bianco, prima dei primi salitori. Mai vista arrampicare.

QE – “Quaglietta Esperta” che va di sezione in sezione a fare proselitismo sulle sue capacità. Mi ci metto dentro un po’ anche io. Mi viene in mente l’espertone di meteorologia, “Il Maresciallo” che ci diceva che lui non guarda “I vari 3b…” quelli danno tramite algoritmi ed esperti un dato già elaborato, lui interpretava le carte meteo e sapeva precisamente da che ora sarebbe piovuto. Per merito delle sue “abilità” trascorremmo un aggiornamento intersezionale sotto la pioggia quando “I vari meteo” avevano dato pioggia con qualche possibilità di schiarite e lui si era sbilanciato con “Tranquilli, fate pure l’aggiornamento”. Alla fine di quella giornata della primavera del 2022 gli mandai un messaggio un po’ provocatorio e un po’ me ne pento. Il “Maresciallo”, padre di una scuola intersezionale che aveva unito due sezioni della stessa città (non sarebbe vietato?) è sempre il “Maresciallo” merita rispetto e gli voglio bene. Ogni volta che lo incrocio scherzo con lui dicendo davanti a un mio amico ma in modo che mi senta: “Mi raccomando, oggi non fare arrabbiare il Maresciallo”. Sicuramente apparentemente un po’ scorbutico, per la scuola che ha fondato ha dato tanto per poi non essere ripagato della stessa moneta. Sfortunatamente non siamo tuttologi, anche se agli esami ci hanno interrogato su materie che probabilmente nemmeno i nostri esaminatori conoscevano a fondo ma che erano convinti di dominare. Agli esami per istruttore di alpinismo interrogavano anche su flora e fauna. All’allievo esaminato dopo il mio turno chiesero un po’ provati: “Non parlerai mica in latino come quello che è appena andato via?”. A me dopo i primi cinque minuti chiesero semplicemente: “Che lavoro fai?” Ecco… a mio parere a ogni mestiere le relative conoscenze. Un istruttore per quanto preparato non sa chi ha davanti, vale anche con gli allievi di un corso base. L’esperto di meteorologia (il “Maresciallo”) una volta si trovò in aula un dottorando straniero esperto in meteorologia. Era venuto a lezione solo per sentire parlare in italiano, non so nemmeno se sapesse dell’argomento della lezione o se era pura coincidenza. Fu educato e lasciò fare all’istruttore la sua lezione, non intervenne ne interruppe e tutti a casa contenti. Chissà che idea si sarà fatto del CAI e dei suoi istruttori. Il “Maresciallo” è la stessa quaglietta che mi ha detto che il Soccorso Alpino si occupa solo di raccogliere morti mentre i fini delle Scuole sono più nobili occupandosi di prevenzione. Ho tanto pensato a lui e a quella frase il sabato in cui, a una settimana dalla scomparsa, è stato recuperato il disperso del Matajur (estate 2022). Vivo e incolume. Forse sarebbe ora di smettere di giocare a chi è più bravo.

Una volta ero in gita con l’altro esperto, “Il Fabbro”, l’istruttore nazionale del “Chi mi ama mi segua”, era senza cartina, l’unico che l’aveva portata ero io. Sarà stato il 2020 ed i monti erano quelli a nord di Kranjska Gora. Dopo una sua breve lezione di fitosociologia applicata all’orientamento (un po’ buffa, mi permetto di dire, vista la mia laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie con massimo dei voti e lode), propose la direzione da prendere (la fitosociologia esiste davvero anche se lui non sa di cosa si tratti, io forse si) dicendo: “Si va di qua, si vede che si apre e c’è una radura”. Come si vedeva che la radura si apriva, altrettanto bene si vedeva dove terminava… Proseguendo diritti, seguendo le tracce di altri, avremmo semplicemente incrociato la forestale che portava al rifugio evitandoci una ravanata nel bosco. A volte, senza polemica, mi sorge il dubbio li scelgano di proposito così… non ci sarebbe altra ragione razionale a giustificare determinate scelte e determinate cariche.

QLL – “Quaglietta Latin Lover”. Sempre innamorata e ad ogni corso di una persona diversa. Siamo umani, a tutti cade l’occhio, ma è possibile che questo “Talent scout” ogni anno trovi sempre la persona che è più promettente e brava di tutti ed è sempre guarda caso una ragazza? Uno di questi, evito per buon gusto di dire chi, durante la lezione sulla sicurezza in falesia e sulla parata, davanti a tutti, ha dovuto mettere due belle manate sul sedere della mia compagna. L’avrà scambiata per un’allieva? L’età avanza e a volte si è portati a confondersi. Ad ogni buon conto la mia compagna, istruttrice pure lei, che tra l’altro era incinta di qualche mese, tanto bene non la prese. È lo stesso personaggio che un giorno urlò a un collega istruttore, davanti a tutti, le “Giù le mani, le ragazze non si toccano!”. L’accusato non aveva fatto nulla ed aveva una certa dignità, così l’anno dopo, forse anche per quel motivo se ne andò dalla Scuola. Recentemente una ex allieva ha mostrato disgustata a un mio amico un moschettone a forma di cuore chiedendogli se immaginava chi glie l’avesse regalato… Già… anche questa volta la realtà supera la fantasia. Esiste poi la leggenda dell’istruttore extra area VFG, “P***** Palpa”, omen nomen. E qui mi fermo.

Devo citare alti due aneddoti, aneddoti che inizialmente non avevo incluso in queste “memorie”: ebbene, ci caddi anche io o, meglio, ai corsi conobbi una ragazza che per tre anni fu la mia compagna in una storia parecchio turbolenta. Riguardo alle coppie istruttore / allievo che si formano durante i corsi al momento ho una pessima opinione: sono storie che nascono tra persone con “ruoli” definiti dentro il corso ma le dinamiche della vita sono ben diverse, con i rischi che ne conseguono.

Accadde anche un altro episodio, non da poco: conobbi in sede una ragazza appassionata di montagna, non era un’allieva ed io ero fidanzato, era comunque una ragazza interessata ai corsi della Scuola, al momento erano in procinto di iniziare, per lei non c’era posto. Accadde una di quelle cose che mai mi sarei aspettato, per vari motivi: perché banalmente “avevo tutto” o credevo di averlo, perché avevo già ufficializzato progetti con la mia compagna, eppure… eppure mi mancò la terra sotto ai piedi e… dalla sera stessa in cui ci presentammo non riuscivo più a tenere la mia compagna per mano. Di lì a poco trovai ogni pretesto per litigare e in breve ci lasciammo, io la lasciai. Ognuno a casa sua o, meglio, io a casa mia e lei dai suoi, bagagli compresi. Ebbi modo di frequentare la persona, avemmo una storia, agli occhi di molti mi resi sicuramente ridicolo, mancai sicuramente l’impegno che avevo preso con la prima persona, per poi rendermi conto che la seconda non faceva per me, ci stavamo infilando in un brutto vicolo. Fu un brutto periodo, per tutti. Lo fu per tutti perché avevo coinvolto nella mia passione, arrampicatoria stavolta, la mia compagna che era diventata istruttrice. C’erano amici, gruppi, scuole comuni. C’erano genitori che immaginavano figli realizzati e invece li vedevano dovere ricominciare tutto da capo. C’erano amici che non sapevano da che parte voltarsi o cosa dire. Il tutto avvenne nel periodo in cui ero direttore di corso e ci furono momenti difficili. Con la prima continuammo a sentirci, parlando di molto, scrivere “di tutto” mi parrebbe esagerato, infine ci ritrovammo. Cosa rimane di quel periodo? Agli occhi degli altri non sono certo più la persona affidabile che mi prefiggevo di essere. Davanti a me stesso… non saprei, a volte non è facile ammettere cosa hai fatto, soprattutto quando stai scrivendo un testo relativo a cosa, negli istruttori, nelle scuole CAI o nel CAI stesso non va.

(continua in https://gognablog.sherpa-gate.com/quagliette-02/)

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Quagliette – 01 ultima modifica: 2024-08-05T05:22:00+02:00 da GognaBlog

12 pensieri su “Quagliette – 01”

  1. Continua?
    Mi sa che il Gogna ogni tanto fa dei test per provare la resistenza dei lettori!
    ‘Sto giro, ahimè, non sono arrivata sino in fondo.

  2. Fare l’istruttore Cai , o di vela , o di sub non e’ obbligatorio , se penso che ci sia un ambiente di merda vengo via e mi iscrivo a un altro gruppo senza tanti gne gne.

  3. Se questo signore fosse stato istruttore nella scuola dove io, decenni fa, sono stato Direttore, di fronte a piagnistei del genere, lo avrei preso letteralmente a pedate nel sedere! Ma… alla grandissima, che sorvolava l’Atlantico più veloce del Concorde!

    Bum!
    E’ arrivato lo sceriffo!

  4. Proprio perché, oggi, c’è una sconfinata libertà di andare in montagna anche fuori da CAI, è ormai insopportabile l’insieme dei piagnistei sui difetti del CAI. Traiamo spunti da questo ammasso di idiozie:  “E io sono celiaco e non mi hanno capito (?) e quello ha fatto 300 km per una prova di riparazione di 20 minuti e poi l’istruttore così e il commissario cosà e il presidente di commissione che “avrebbe gradito” tizio piuttosto che caio… e mettiamoci anche che Montagne 360 fa ”cagare” (ma non mi pare che si sia fatto il minimo sforzo personale per “migliorarla”, NdR) e invece mio suocero e poi le battute al corso IA sulle ragazze………………..
    Che piagnisteo da bambinetto capriccioso! CHE PALLE! Tra l’altro che valore aggiunto possono portare al CAI bimbetti capricciosi del genere? Ancora grazie che il CAI, nella sua generosa magnificenza, permetta loro di continuare a stare nel CAI.
    Se questo signore fosse stato istruttore nella scuola dove io, decenni fa, sono stato Direttore, di fronte a piagnistei del genere, lo avrei preso letteralmente a pedate nel sedere! Ma… alla grandissima, che sorvolava l’Atlantico più veloce del Concorde!

  5. Interminabile quindi illeggibile, e forse mi perdo qualcosa; come dice Marcello Cominetti, preoccupa la scritta al fondo, “Continua”.
    Per il resto, Crovella docet: non disturbare il manovratore, nessuno spazio a opinioni diverse, di qualsiai tema si parli si rischia sempre di finire in politica, e come tutti sanno, “qui non si fa politica”. Sgomberare, marcs!
     

  6. – Bambini, cos’è un socio del CAI?
    – (in coro) Una persona che paga la retta annuale di iscrizione, signora maestra! 

  7. E’ vero ci sono infiniti soci e anche moltissimi istruttori mossi da stimoli “non meritevoli”, come quelli citati. Ma allora, per questi signori, delle due l’una:
    1) O non ne possono più del CAI e allora se ne vadano e ricerchino le stesse cose (patacca, cuccare, potere) nelle ASD (o altre forme analoghe);
     
    2) Oppure non sono convinti delle ASD, allora continuino pure a stare nel CAI (nonostante le loro motivazioni aberranti), ma se ne stiano buoni buoni, ringraziando che il CAI li accoglie (nonostante le loro motivazioni aberranti) e soprattutto la SMETTANO DI LAMENTARSI e di CONTINUARE a ROMPERE LE PALLE a chi, invece, nel CAI si sente a casa sua.

  8. Al di là dell’estrema pallosità dell’articolo, per rispondere al solito Crovella, che ha espresso per la milleottocentosessantaquattresima volta lo stesso concetto, dirò che:
    -dove vanno gli istruttori che lo fanno per la patacca?
    -dove vanno gli istruttori che lo fanno perché nella vita non hanno altro modo per detenere un qualche tipo di “potere”?
    -dove vanno quegli istruttori che lo fanno solo per cuccare (stile bagnino)?
    -ecc. ecc…
    Sono convinto che tra gli istruttori ce ne siano anche di molto in gamba e che ci credono, ma la maggior parte NON È COSÌ. Le scuole probabilmente chiuderebbero.

  9. Senza particolare riferimento (né tanto meno volontà polemica personale) a questo signore, che non mi pare di conoscere, esprimo una considerazione generale. IO MI SONO PROPRIO ROTTO DI QUELLI CHE STANNO NEL CAI EPPERO’ LO DETESTANO, LO CRITICANO, LO SMINUISCONO.
    Il CAI non vi piace? Vi sentite soffocare? Ne vedete solo i difetti? M allora io domando: e che ci state a fare nel CAI? Aria e andare! Io sono contrario in generale al concetto stesso di inclusione, non solo per il CAI, ma lo applico anche al CAI.  Chi si trova male, ha solo da fare le tende e togliere il disturbo. Oggi, rispetto al passato, è molto più facile andare in montagna anche senza essere soci CAI. Anche per chi cerca il risvolto associativo nell’andar in montagna, oggi ci sono infinite possibilità che NON esistevano decenni fa: ASD, Scuola e/o iniziativa di Guide alpine, gruppi informali di amici, addirittura pagine social (stile: cerco compagno di cordata). Quindi NON è necessario esser soci del CAI per concretizzare il proprio desiderio di andar in montagna.
    Il CAI è il luogo istituzionale dei caiani, cioè di chi si riconosce (senza sforzo) nella mentalità caiana. E’ invece sbagliato pensare che il CAI debba esser la casa di tutti. Chi si trova male, prenda la sua strada.
     
    INSOMMA: SE IL CAI SMAGRISCE E PASSA DA 350.000 SOCI A 150.000-200.000 SOCI (ragionevole STIMA DEI POSSIBILI SOCI CAIANI veramente “GENUINI”), IL CAI CI GUADAGNA.
     

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