Anche io ho compilato una sorta di diario, inizialmente intitolato Dai diari di una quaglietta, poi diventato Dai diari di un istruttore. Il testo è nato fondamentalmente per due motivi:
– cercare di unire alcuni testi già precedentemente pubblicati;
– provare a rispondere al perché andassi per monti, perché fossi diventato istruttore CAI e se tutto questo avesse ancora senso (Piero Visentin aka Joe Condor).
Quagliette – 02
di Piero Visentin aka Joe Condor
(estratto da Dai diari di un istruttore, ancora non pubblicato)
(continua da https://gognablog.sherpa-gate.com/quagliette-01/)
QP – “Quaglietta Più” bravissima, senza ironia ma… non ha tempo, non può, ha la tendinite, la mamma che sta male… e ai corsi non viene, poi la corda che gli è stata affidata si consuma da sola stando in garage e casualmente quando esci lo scopri in falesia a provare l’8a…
QS – “Quaglietta Specialista” e un po’ maleducata. Tu spieghi davanti a tutti e lei ad alta voce commenta smentendo quello che hai appena affermato. Il problema è che l’allievo è lì per imparare e come tale non è in grado di discernere tra due informazioni fornite, specialmente se la seconda viene data con atteggiamento saccente e incurante di chi in quel momento si è preso la briga di spiegare per tutti e davanti a tutti.
Nel mio “anno d’oro”, quello in cui mi mancò la terra sotto ai piedi, ci fu un’incomprensione che ancora oggi mi brucia. Divisi gli allievi in due gruppi. Quelli con già qualche esperienza arrampicatoria erano a fare una via più impegnativa da una parte della vallata, gli altri, un po’ più alle prime armi, erano di fronte a noi dall’altra parte del torrente. Quello fu il mio “anno speciale”, ma non fui l’unico. Un nostro allievo ebbe una tresca con un’altra allieva, chi non la prese bene fu la ragazza che già frequentava e con cui si era iscritto al secondo corso consecutivo. I due “esperti” al secondo corso da una parte della Valle e la meno esperta dall’altra. Come avevo detto io, che ero il direttore di corso, la giornata finiva con la salita e la discesa a valle, poi si poteva arrampicare liberamente. Io mi sarei fermato in un settore chiamato “Bosco incantato”. Come finì? Che per avvalorare quel famoso detto sul carro di buoi, il ragazzo al secondo corso era disposto ad attraversare mari e monti per raggiungere la sua bella e inesperta. Nel dettaglio attraversò il torrente che taglia la Valle (Val Rosandra, per chi è della zona La Valle), seguito dalla ragazza con cui si era iscritto al secondo corso e che forse un ancora po’ confusa, forse un po’ arrabbiata, era decisa a non alzare bandiera bianca e non avrebbe mollato così facilmente l’osso. Non prima di avere lottato, almeno.
Come finì? Finì che con somma sorpresa di tutti, la ragazza “storica” fu molto paziente e riuscì con il tempo a conquistare il suo bello rispedendo a casa la “new entry”. Tutto subito? Non proprio. La “new entry” scomparve di lì a poco, loro ci misero un po’ a concretizzare e orientare i loro sentimenti che, a quattro anni di distanza si sono realizzati in un bel bimbo. Io? Fui bollato come quello che per i propri interessi ho abbandonato il gruppo, peccato che fui proprio io ad essere abbandonato. No… non rimasi da solo… Rimanemmo in tre, quel “trio allegro e pieno di brio” che per qualche tempo, in maniera complicata, avrebbe caratterizzato la mia vita (senza accavallamenti, come premesso). Cosa accadeva intanto dall’altra parte delle acque? Di là, c’era chi, dipingendosi bello, o dipingendomi egoista raccontava la storia dal suo punto di vista. Eppure, io l’avevo ben specificato che la giornata sarebbe terminata una volta scesi dalla parete… Un cambiamento rispetto agli altri anni non compreso? Forse. A volte seguire l’abitudine può portare a farsi idee diverse da quanto spiegato, inoltre molte cose cambiano quando le si guarda da un altro punto di vista.
Cosa fece sponda a queste teorie? Che gli istruttori dall’altra parte del torrente erano in parte svogliati e mai sarebbero risaliti dove ero io. Quindi, chi perché non aveva voglia, chi perché doveva andare a casa e chi perché davanti agli allievi doveva tirare l’acqua (e gli allievi) al proprio mulino… rimase dall’altra parte del rio.
Lo stesso personaggio di cui sopra è solito raccontare eroiche storie in cui altri istruttori con lui, o suoi amici ne combinano di ogni e lui sempre pronto a salvare la situazione. Uno dei suoi bersagli “preferiti” è lo “specia(l)ista lagunare di cui ho già narrato altre volte le imprese. I protagonisti ridicolizzati non sono mai presenti al momento del racconto, pertanto, mi aspetto qualche aneddoto anche sul mio conto. Qualche volta abbiamo scalato assieme o l’ho visto scalare. Una volta ci fu un volo di circa 6 m o più da lui trattenuto solo a un metro da terra (allungamento della corda compreso) avvenuto allo Sportler Climbing Center di Silea (TV). I rinvii presso quella struttura indoor sono fissi, il volo non avvenne “corda in mano”, eppure il risultato fu quasi tragico. Cosa avvenne alla sua sicura non lo seppi mai, mai entrai nel dettaglio di quella scena che si prospettò davanti ai mei occhi (ero sulla balaustra antistante e casualmente li stavo osservando in una pausa arrampicatoria), quando mi capita di farmi assicurare da lui, salgo più pensieroso del solito.
Altri due gli episodi buffi fortunatamente finiti bene. Di uno fui protagonista io. Via Gaudeamus, zona passo Falzarego. Sul tiro chiave ero da secondo. Non capii un passo ma non volli appendermi. Per passare mi aiutai “tirando” il rinvio. Sul traverso che porta in sosta mi feci fare delle foto. Anche lì non mi appesi. Arrivato in sosta mi accorsi che il secchiello non era montato in sosta in modalità “Guide”, bensì passato come una semplice carrucola (non ricordo se all’imbraco, mi pare in sosta). Se fossi volato o mi fossi appeso durante le foto sarei finito di sotto. A volte abbiamo santi che non sapevamo di avere, altre anche l’istinto ci aiuta a sopravvivere a noi stessi e ai nostri amici.
Secondo episodio. Via Airlog, Torre Spinotti, Passo Volaia. Partimmo in due cordate. La mia compagna ed io davanti. Lui e un amico dietro. Davo per scontato si scendere per il sentiero “Spinotti” evitando la discesa in corda doppia che ritenevo lunga, laboriosa e a rischio di incastro per la corda. Jure mi aveva insegnato così: fare le doppie solo se strettamente necessario, possibilmente scendere per il sentiero. Loro lasciarono parte del materiale all’attacco e vollero scendere a doppie. Il tiro chiave mi sembrò molto impegnativo ma Elena passò in libera ed “a vista” (un diedro tecnico misto placca di 6b+). Io mi fermai qua e là. Se ben ricordo lasciammo loro qua e là dei rinvii per agevolarne la salita, potrei sbagliarmi. Arrivarono in sosta “cotti” e decisero di calarsi rinunciando all’ultimo tiro (stavolta 6b dove Elena fece resting su un passo, probabilmente c’era da spostarsi molto lateralmente allo spit fix). La via attrezzata dall’alto era protetta magistralmente, forse quel passo aveva la protezione in una posizione un po’ fuorviante. Nonostante il tiro in più, un ulteriore tiro facile per uscire dalla via, il raggiungere lo “Spinotti” e la discesa, li aspettammo al rifugio Tolazzi per quasi un’ora. Scoprimmo poi che anche in discesa combinarono qualche “marachella”: corde incastrate, una corda che cadendo riuscì a rompere la rotella per la regolazione di uno dei due caschi e altri casini di sorta…
Terzo e mi auguro ultimo episodio della carrellata:
Anni fa durante un corso c’era sovrabbondanza d’istruttori (chi l’avrebbe mai detto, è successo pure questo), salì a comando alternato lo Spigolo del Glemine, al tempo non ancora rifittonato a resinati, con un altro istruttore sezionale. Sul passo chiave il suo “socio”, da capocordata, fece resting su un chiodo. Quando salì lui, da secondo, intento a recuperare i rinvii, inavvertitamente, estrasse senza alcuna fatica anche quel chiodo. La storia fu raccontata più e più volte mettendo nel ridicolo quel capocordata che già in passato era stato oggetto di sue battute e frecciatine. “La vita è lunga e fa tanti giri” è la frase che compariva sul telefono cellulare di una persona che ho conosciuto e che per fortuna non frequento ormai da una decina d’anni. Mai frase fu così veritiera: nel 2022 il destino gli giocò un brutto scherzo: sulla Via dei Camini, in Peralba, via che non avevo ancora salito per timore reverenziale, assieme a un altro istruttore, il destino gli giocò un bel tiro. Entrambi mi parlavano spesso di questa via, su cui, pensando a come li avevo visti arrampicare in falesia, a mio avviso non avevano molto margine. Me lo tenni per me, essendo stato bollato spesso come guastafeste o come colui che voleva tarpare le ali agli astri emergenti. Al primo tiro salì, rinviò i primi tre chiodi e poi, alzatosi poco oltre il terzo chiodo, si rese conto di essersi male impostato. Pensò allora di scendere e riposare ma si trovò in difficoltà. Decise allora di allungare la mano verso il basso, prendere il chiodo e aiutarsi per scendere. Il chiodo, tirato verso l’alto fuoriuscì portandosi l’omone nel vuoto. Per fortuna il suo volo si fermò al secondo chiodo e senza conseguenze. Calato a terra, il socio salì il primo sportivo di una via lì accanto, arrivò incolume alla prima sosta e a quel punto, recuperati i materiali, se ne tornarono a casa.
Eppure, a sentire i racconti lui era sempre l’eroe… Mah…
E io? Chi fa sbaglia, a volte clamorosamente, come quando passai un cordino in una clessidra e poi rinviai una sola delle due asole… Se ne accorse il secondo di cordata (un amico guida, quando salendo lo recuperavo da una sosta poco più in alto. Eravamo su Paperon de Paperoni in Panettone ed era una gelida “giornata no”, dove al primo tiro, da secondo, mi ero tirato in faccia un friend notoriamente incastrato lì da secoli, ora è a casa nella mia collezione di cimeli. Pochi tiri più in su ci calammo, per il freddo e perché quel giorno non ero sicuramente sul pezzo. Con lo stesso tentammo un canale sulla parete nord del Monte Lavara e anche quel giorno, con la scusa di essere da poco guarito dalla Mononucleosi, non mi dimostrai all’altezza.
QSS – “Quaglietta Super Star” che, mentre stai spiegando come ci si lega e si fanno le cose “in sicurezza”, ti arrampica di fianco slegato su vie dove gli allievi non salirebbero nemmeno parancati.
QAU – “Quaglietta Prussiana”, “Col ciodo in testa”, come i soldati A.U. della Prima guerra mondiale. Parente stretto della Quaglietta Burocrate. Rigidità mentale pari a una barra di acciaio appena uscita da un’acciaieria, il suo motto è “Mi spezzo ma non mi piego”, come l’adesivo che ha sul portellone della macchina, lato terminale di scarico e ovviamente sul casco. Capacità di adattamento pari a quella dei dinosauri quando le condizioni sulla terra erano cambiate e non erano più a loro favorevoli. “Il manuale si applica pedissequamente, i regolamenti sono la nostra vita, se abbiamo detto che la tal lezione sarà nel tal posto alla tale ora, è così che si farà”. Anche se piove o se tira vento e anche se solo ritardando oppure anticipando di qualche ora si sarebbe stati tutti asciutti e felici. È lo stesso che, quando a lui sta bene… “Si ok ma non perdiamoci in inutili formalismi” (es. ufficializzare gli aggiornamenti con un n.o. per garantire assicurazione e rimborsi).
QTK – “Quaglietta The King” che, quando arriva in falesia gli mancano solo scettro, corona e mantello. È lui il re della falesia. Sul petto tante medaglie che nemmeno i generali russi in certe foto della Seconda guerra mondiale. Arriva e se ne va quando vuole lui, magari dopo avere impartito degli ordini. A lui vi si rivolge dandogli solo del Voi, il Lei sarebbe troppo femminile e poco regale.
QCOC – “Quaglietta Credere Obbedire Combattere”, come riportava la sua foto profilo su WhatsApp, salvo poi a Pasqua mandare immagini con coniglietti animati che ti fanno gli auguri e dicono cose dolci. Non scherzo. Lo ricordo quando su una via di III/III+, ripetuta abitualmente ai corsi, fittonata, di roccia solidissima, disse alla mia compagna: “Dobbiamo scendere, è troppo pericoloso!”. Per l’emozione non aveva nemmeno visto la sosta a un metro da lui. Recuperava la seconda su uno spuntone stondato, unico punto di sosta, fumando nervosamente. Lei lo guardò in faccia e con due tiri da 20 m concluse questa ardita via da corso che finiva in cima al Cippo Comici (Spigolo Verde Val Rosandra). Tornò sulla stessa via durante un nostro corso AR1. No… non con l’allievo, con un altro istruttore, chi mai si sarebbe fidato a dargli un allievo? All’ultima sosta, forse “complice l’emozione”, recuperava il compagno con secchiello in vita e non rinviato (pura carrucola in caso di caduta). A farglielo notare un altro istruttore che tra l’altro con me avrebbe fatto più o meno lo stesso errore. Era il 2018, io, direttore di corso, ero su La Grande con l’altra metà del gruppo. Vidi le foto a fine giornata e gli mandai quella che catturava la manovra errata facendogli un po’ di domande…
C’è poi un ex direttore di scuola, istruttore nazionale presente in area VFG che come profilo ha teschio, rosa in bocca e la scritta “Belli come la vita, neri come la morte”. Forse anche ex paracadutista. Poi parla tutto spaventato delle responsabilità delle scuole… Mah…
Mi chiedo ancora una cosa… come avranno presa, lor signori, l’esclusione, avvenuta solo nel 2023 di “LVI” da Socio Onorario del Club Alpino Italiano (allora rinominato Centro)?
QX – “quaglietta Xanax” voglioso, pieno di fare, è sempre agitato. Tanta buona volontà, pari all’agitazione. Però ci mette sempre il cuore ed è pure molto bravo.
QE – “quaglietta Emerita”. L’istruttore emerito esiste veramente, è previsto dai regolamenti della CNSASA per istruttori ormai in “pensione”, cui si riconoscono meriti per le attività svolte in ambito scuola nel corso degli anni. A richiedere il riconoscimento deve essere la scuola di appartenenza, ad autorizzarlo, l’organo tecnico di riferimento. In particolare, quello cui mi riferisco ha anche una pagina Wikipedia dedicata, probabilmente da lui autocompilata o da qualche amico della “cricca” di cui fa parte. In quella pagina veniva definito come “alpinista di punta degli anni ’70 e ’80, precursore dell’arrampicata su ghiaccio”. Precursore dell’arrampicata su ghiaccio… parole importanti insomma… sempre a patto che la carta o una pagina internet non si lascino scrivere. Come mai non mi risultano nuove salite importanti con la sua firma? A Sappada, culla del cascatismo italiano qui a oriente, non c’è un flusso da lui aperto, credo anche nel resto dell’arco alpino. Alcuni anni fa, durante il corso passò in falesia, io, in Scuola da una decina d’anni non l’avevo mai visto se non in foto, giustamente, essendo un emerito. Un allievo, mentre l’emerito passava di lì mi chiese cosa fare dei chiodi piantati lungo una salita. Dissi quello che mi sentivo: che sulle vie classiche, fino al quarto si trovano pochi chiodi, poi su vie frequentate e su passaggi chiave tendenzialmente ci sono. Dissi che io di chiodi non ne avevo piantati a centinaia, ma che ero un fifone e qua e là mi era capitato di battere o ribattere qualche chiodo. Aggiunsi che, se un chiodo da noi piantato fosse ben piantato, si potrebbe prevedere di lasciarlo dov’è, per non romperlo, occupando una fessura buona e perché se era stato buono a me, avrebbe potuto essere utile a un successivo ripetitore. Lo notai fermo ad ascoltare, senza nemmeno presentarsi, da dietro agli allievi mi interruppe e con tono saccente disse: “Noi non abbiamo mai lasciato neanche un chiodo in parete!”. L’emerito si era rivelato un emerito essetierre.
Ci rimasi un po’ male, soprattutto non ebbi la prontezza di lasciargli la parola, presentandolo ai ragazzi e andandomene lasciandogli concludere la lezione. D’altronde, un self made man come lui, imprenditore, consulente, psicologo, docente di non ho capito cosa, scrittore di montagna (parte del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna), ci mancherebbe solo “presidente operaio”… di capacità dialettiche immagino ne avesse parecchie… sicuramente sarebbero state più delle mie e in sede di dibattito mi sarei trovato in una lotta impari. A ognuno il suo mestiere. Poco dopo, un po’ come fece poco dopo avere fondato la scuola di cui facevo parte, scomparve per non farsi più rivedere. Solo anni dopo, un amico, apritore di vie, guida alpina e scrittore di guide, mi raccontò come era andata anni prima nel Vallone Winkel. Lo fece come sempre a modo suo, con la massima essenzialità: “Avresti potuto ricordargli che almeno una volta, due dadi li abbandonarono, dato che lungo la via XXXXX di XXXXX dovettero calarsi dopo un volo del capocordata e lo fecero abbandonando due loro dadi. Tornarono in seguito con un altro, più forte e in quell’occasione salimmo assieme lungo una nuova variante”. Di questa via, con nuova variante di uscita, c’è prova sulla guida di riferimento per quel posto, ci sono nomi e date, il nome del saccente non compare in corsivo, pertanto non fu lui ad aprire nemmeno quella variante.
Non replicai mai alla sua risposta, anche se ogni tanto penso alla frase di un mio dirigente: “a bastardo si risponde con bastardo e mezzo”, non ricordo l’occasione in cui me lo disse, ma rende l’idea. Nel 2022 l’emerito fu riesumato per un corso roccia AR1, a riportarlo in auge, un po’ di amicizia verso il direttore di corso e presumo molta della sua nota vanità. Si presentò alle lezioni pratiche (mi auguro pura presenza informale) con attrezzatura dell’altro secolo: Scarpe LaSportiva Mariacher, caschetto CAMP Rockstar, fuseaux (chiamarli leggins sarebbe già moderno) e imbrago preistorico con set da ferrata auto costruito in canapone incorporato. Gli passai davanti e scorreggiai sonoramente di proposito, tempismo perfetto. Più tardi chiesi ad alta voce: “Cos’è quest’odore di naftalina?” non mi riferivo di certo al peto emesso qualche ora prima.
Durante lo stesso corso fece una bella lezione teorica sulla storia dell’alpinismo, alla quale mi presentai in ritardo, mettendomi sul banco in fondo mangiando direttamente dal cartone e con le mani una pizza ai peperoni. Forse mi succhiai anche le dita una volta finito. Un caro amico mi chiese se il tutto era stato fortuito. Risposi sorridendo e sollevando le sopracciglia ponendo la domanda: “Secondo te?”. Bella lezione, che fermò al 1980, circa, anno dopo il quale, secondo lui, l’alpinismo si era fermato. Come giustificare altrimenti il fatto che di lì a poco aveva appeso le scarpe al chiodo? Una sua salita viene anche definita, sempre su Wikipedia, come “ultimo problema alpinistico andino, al momento irripetuta” o qualcosa di simile. Eppure il suo nome non mi pare sia mai stato affiancato a suoi contemporanei come Alessandro Gogna oppure Renato Casarotto… personaggi di spicco che se ben ricordo, nella lezione, non ha nemmeno citato… Non mi pare nemmeno fosse stato selezionato per essere premiato con il Pelmo d’Oro oppure con il Piolet d’or. Pensai a lui quando scrissi “Storie di chiodi”, qui ripubblicato nel capitolo successivo.
QGV – “Quagliette il Gatto e la Volpe” loro lavorano in squadra, come il gatto e la volpe: una delle due quagliette, pensando si trattasse della chat dei soli istruttori mise per sbaglio nella chat degli allievi la foto della figlia di un ex allievo in tenuta da sera. A quel punto i due iniziano a commentare con battute “da caserma”, in una chat di corso, con tutti gli allievi silenti e probabilmente perplessi a leggere. Anagraficamente la ragazza avrebbe potuto essere
tranquillamente loro figlia. Contattati “privatamente” invitandoli a smettere, hanno fatto anche gli offesi. Oltre alla figura di “strudel” davanti agli allievi, mi chiedo come l’avrebbe presa l’inconsapevole protagonista se fosse venuta a sapere quello che stava succedendo alle sue spalle. Protagonisti dell’impresa, il buon “Monturello” e “l’Emerito”.
QNC – “Quaglietta Non Classificata”. Alcune quagliette invece faccio fatica a qualificarle. Coppia, nazionalissimi, “musa dura e bareta fracada”, di un’altra scuola, arrivano in Napoleonica, settore Calabroni, non salutano nessuno, come riscaldo provano “Calabronication” 6a/b boulderoso. Lo ricordo come fosse ieri: il primo vola e scende, parte il secondo, non passa. A quel punto con qualche “giro del pirata” arrivano in catena. Prendono smontano tutto e come erano arrivati (senza salutare e a muso duro) se ne vanno. Lei a una riunione con me presente, disse: “A chi si iscrive ai nostri corsi premettiamo che non siamo di certo lì per migliorare loro autostima, glie lo diciamo proprio: noi non siamo qui per migliorare la vostra autostima!” (eh, certo, aggiungo io, quel genere di istruttori sono lì per migliorare la loro autostima, altrimenti col cavolo che facevano gli istruttori). Vengono tutti dalla stessa valle bagnata dal Noncello (stavolta non “La Valle”) questi “Signori”. Che sia una questione geografica? Forse colpa dell’Atrazina dopo così tanti anni di monocoltura di mais? Lui è anche della categoria: “Manuale e moschetto(ne) istruttore perfetto”, diciamo: “Manuale e moschetta, quaglietta perfetta” vista l’immagine di cui si fregia su whatsapp (è sempre quello del teschio con rosa in bocca e la scritta “Belli come la vita, neri come la morte”). Ma non era che un istruttore rappresenta il CAI e pertanto deve curare forma e sostanza? Si sarà sentito telefonicamente con la “Quaglietta QCOC” ricordando i “bei vecchi tempi” in cui i corsi cominciavano in orario?
QS – “Quaglietta sabotatrice”. Corpo speciale delle quagliette, sa ma non fa e mio malgrado lo sono stato anche io. Trovo una piccola giustificazione, in un corso fortemente disorganizzato, inizialmente ho aiutato, dando una mano, andando a fare cose che non mi erano richieste. Nello specifico ero entrato nel portale dei nullaosta per accorgermi e segnalare ben due volte distinte che il nullaosta era errato. L’avevo fatto per dare una mano, contemporaneamente avevo fatto un abuso, mi si sarebbe potuto obiettare che non avrei dovuto accedere al portale, non ero direttore di corso, scuola, componente del comitato direttivo o incaricato. Per mesi ho atteso di essere contattato dal direttore di corso relativamente ai materiali da predisporre per il corso (sono anche magazziniere, e se mi infilassero una scopa… pulirei pure per terra…), nulla. Moschettoni, cordini, secchielli in magazzino e gli istruttori ad utilizzare il loro materiale. Le corde mi sono state chieste dal direttore del corso forse ad una settimana dall’uscita finale, nella settimana in cui era nata mia figlia e… quella volta ho detto no. Pur avendo qualche lieve scusante ho anteposto il mio rancore al bene degli altri istruttori e degli allievi. È così che è andata. Fossi stato più maturo, avessi saputo vivere meglio, avessi cercato il bene della Scuola a prescindere, avrei consegnato il materiale senza tante manfrine. Scrivere qui queste poche righe contribuisce forse a provare a pulirmi la coscienza, sicuramente dirlo, ammetterlo non mi rende una persona migliore.
QDC – “Quaglietta Due Calzini”. Come nel film “Balla coi lupi”. Bravo ragazzo ma tanto tanto strano. Ha partecipato con me al corso esame IAL. La sua divisa era così costituita: maglietta rigorosamente bianca a maniche corte anche in una giornata gelida, pantaloncini corti e calzetti prevalentemente bianchi, tirati su, ben tesi, a metà polpaccio. Sui porta materiali in falesia aveva sempre appesi tre Ball Nut della CAMP e… le scarpe da ginnastica. Perché? Solo Dio sa. Secondo me anche Dio al riguardo ha manifestato qualche perplessità. Lungo i tiri di riscaldo manifestava già le prime difficoltà e iniziava il suo rosario: “Sono un idiota, sono uno stupido, perché sono così stupido!!!!”, inizialmente piano, poi sempre più forte. Ogni 10 Ave Maria un Padre Nostro. In questo caso, a questo rosario seguiva un ampio corollario di bestemmie, a volte fantasiose. Per i primi 3 minuti ridi… poi inizi a chiederti in maniera molto perplessa: “Dove e con chi diavolo sei finito?”. Vorrei avere inventato anche questa storia. All’esame, una volta superata la prova di difficoltà passai sotto al monotiro dove era impegnato. L’esaminatore, molto perplesso, gli aveva detto: “Questa è l’ultima bestemmia, altrimenti ti calo e invalidiamo la prova”.
Non diventò istruttore IAL ma la scuola aveva evidentemente un buon budget e lo fece partecipare anche a IA e ISA prendendo entrambi i titoli. Mi è parso di capire che dopo il titolo ISA il gruppo di esaminatori gli fece un po’ la paternale. Intanto glie lo diedero. Su ISA e IA non voglio entrare nel merito. Quando provò l’IAL lo vidi arrampicare. O meglio non lo vidi arrampicare. Ancora oggi mi chiedo come il suo direttore possa averlo mandato almeno a quell’esame. Colpa del direttore? Oppure, come mi sento di condividere, è un po’ troppo pretenzioso aspettarsi che un direttore possa conoscere in maniera approfondita tutti i soci della propria scuola? Già mi pare assurdo che sia lui a fare da garante controfirmando il curriculum. Se un direttore, figuriamoci un istruttore, non è Dio, non ha nemmeno la proprietà di essere ovunque e di essere colui che tutto sa. Perché affidargli quella responsabilità controfirmando dati che difficilmente potrà verificare? Ciò non toglie che a quel ragazzo, che non conosco così bene, lo ammetto, ma che ho visto in azione, ora, saranno affidati fino a quattro allievi ed avrà la possibilità di dirigere corsi, cosa a mio avviso poco condivisibile.
QBN – “Quaglietta buona”. Non solo se fatta alla griglia. Uno è stato il mio direttore. Tanto disorganizzato a volte quanto sempre buono e generoso. Un collante per il gruppo omogeneo e disaggregato che eravamo. Altri di questo sottogruppo? Li ho incontrati agli esami. Si distinguevano dalle quagliette esaminatrici meticolose che ti guardavano dall’alto in basso, che non vedevano l’ora di vederti sbagliare per dare spazio al loro ego, spesso probabilmente stritolati da un lavoro in cui non si sentivano apprezzati o in una medesima situazione familiare. Queste quagliette buone, sono in pace con il mondo, non hanno bisogno di praticare “bondage alpinistico” con l’esaminando. Badano all’essenziale. Agli esami mi resi conto che buona parte di questi era stata anche componente del Soccorso Alpino. Questo fu uno dei motivi che mi fece avvicinare al Soccorso.
Probabilmente negli anni “di stazione” (CNSAS) ne avevano vista qualcuna e per tali motivi non si sentivano superiori, non se la sentivano di giudicare, sapevano che tutti possiamo sbagliare, possiamo avere la giornata sbagliata, oppure che a volte il destino non fa distinzione tra esperto e principiante. Questa è stata una delle cose che mi ha colpito e mi ha fatto meditare di fare domanda per entrare nel soccorso, non la necessità di visibilità sbandierata nei congressi del CAI come causa della fuga di cervelli. I cervelli scappano perché sono di persone che pensano, si fanno domande e banalmente si chiedono: “Ma in che gabbia di matti sono finito? È giusto che io dedichi il mio tempo libero in un gruppo di questo tipo?”. Non si tratta di mezzi, fondi o visibilità. La mia conclusione è che… finché si continuerà a credere che l’Istruttore Nazionale altro non è che una Guida mancata, specializzata in una singola disciplina, non andremo lontano…
Mi fermo qui, ci sarebbero altri casi ma sento già profumo di arrosto e temo si tratti di un fuoco appiccato dalla sacra inquisizione caiana… la quaglietta allo spiedo è sempre molto gradita, specialmente dopo esternazioni di questo genere… si salvi chi può!
6
E’ necessaria una precisazione. Per una serie di piccoli disguidi la pubblicazione di Quagliette – 1 e Quagliette – 2 non è stata del tutto regolare, nel senso che è stata eseguita senza l’approvazione finale dell’autore. Ci scusiamo con i lettori, in attesa di possibili aggiornamenti.
Negroni e poi anche miserabili, allora qui ne fai contenti in tanti.
Pensa te se invece del negroni fosse un bersagliere…
Non sono un uomo felice: illusioni, disillusioni, fallimenti, lavoro, soldi, anagrafe avversa, cazzi e mazzi.
Avrei potuto fare di meglio, ma tant’è e chissenefotte, ormai è andata come è andata.
Sono una merda come molti uomini e pari numero di alpinisti/arrampicatori/boulderisti/salcazzo. Il diario dell’istruttore pregno, com’è giusto che sia visto il contesto, di dinamiche simil aziendali non mi rattrista, non aumenta il mio disagio e non mi restituisce niente. L’è quel che l’è tra una quaglia e l’altra.
Finisco il mio Negroni quotidiano, degno e miserabile riscatto dell’uomo qualunque.
@23
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😉
@ 22
Una delle cose belle della vita è questa: ciascuno di noi si fa del male come meglio crede.
😀 😀 😀
Io sono 30 anni che vado a mangiare nello stesso ristorante , anche se in paese ce ne sono due o tre molto migliori.
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Devo dire che e’ veramente un ristorante di merda : la qualita’ del cibo e’ scarsa , il cuoco fa schifo, il freezer e’ rotto e in cucina banchettano gli scarafaggi.
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E io cosa ho fatto ?
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L’abbonamento !
Crovella tuttologo ora anche psicologo.
Ti ringrazio per le tue descrizioni critiche, tutto concorre a migliorarmi ed a guardarsi allo specchio e ….. a volte pure alle spalle.
Mi spiace che ti sia pure firmato con un pseudonimo ma anche questo ti qualifica.
Mi domando tutto ciò cui prodest?
Fabio
La prima frase, per farsi capire anche dai pittiquitti dello spaccamento del capello in 32 (nonché dello smarronamento di zebedei) va precisata meglio nei suo meandri concettuali: “il CAI ci guadagnerebbe solo se gli insoddifatti del CAI se ne andassero dal CAI di loro iniziativa, lasciando piazza pulita da fastidiose lagnanze, rimbrotti, capricci, polemiche, ecc ecc ecc”
(Ciò premesso, riconosco che se il CAI si mettesse a sbatter fuori d’autorità gli infelici che si lagnano, io certo non mi opporrei a tale azione. Ma è un’ipotesi teorica, perché il CAI non sbatte fuori nessuno, a meno di infrazioni di specifiche norme regolamentari, ma sono cose che capitano una volta al secolo…).
Invece, cosa più importante: in 54 anni di mia associazione continuativa al CAI, io NON ho mai incontrato gente infelice del CAI, anzi ho incontrato solo persone che si capisce benissimo che nel CAI si trovano bene. Evidentemente dalle mie parti chi non si trova bene, non sta a fare lagne, ma prende e si cerca la sua strada altrove. Può darsi che lo spaccato che io osservo (quello nordoccidentale e torinese nello specifico) abbia caratteristiche particolari, che non necessariamente possono essere estese in automatico a tutto il CAI nazionale. Ma l’orizzonte statistico torinese è molto ampio: due sezioni da 3500-4000 soci l’una, più tutti quelli che, pur risiedendo in città, sono soci delle sezioni dell’hinterland, più quelli che risiedono nell’hinterland (e lì sono soci), ma che concettualmente fanno parte dello spazio metropolitano A seconda del raggio geografico assunto a tal fine, possiamo stimare che i soci CAI oscillino da 10.000 a 15.000,presumibilmente si avvicinano ai 20.000. Quindi si tratta di uno spaccato che ha già una sua rappresentatività statistica: non sto parlando in uan sezioncina di 100 iscritti.. Ebbene io in 54 anni ho conosciuto SOLO persone FELICI di far parte del CAI: ciascuno vi ha trovato la sua dimensione. Chi come istruttore, chi bibliotecario, chi organizzatore di eventi, chi capogita alle sociali, chi consigliere sezionale, chi ispettore di rifugi ecc ecc ecc (molti poi ricoprono o hanno ricoperto più di un ruolo). ebbene parliamo di questi soggetti, quelli “felici” di far parte del CAI, e non degli infelici, che numericamente sono quattro gatti in croce.
MA POSSIBILE CHE CON TUTTA ‘STA GENTE CHE E’ FELICE DI FAR PARTE DEL CAI, DOBBIAMO SEMPRE E SOLO SENTIRE LE LAMENTELE E I CAPRICCI DI QUEI QUATTRO GATTI IN CROCE CHE (per frustrazioni personali, come ho già spiegato), SCARICANO SUL CAI LA LORO INFELICITA’ ESISTENZIALE????
Bum!
Senza di lui, il CAI chiude.
Mister intelligentone di Crovella, l’hai scritto te!
Fare piazza pulita, a casa mia vuol dire eliminare.
Ti do di nuovo il consiglio: attento perchè a volte il cacciatore si trasforma in preda.
Del tuo dirmi che non capisco nulla, me ne sbatto le pelotas.
“sarebbe meglio fare piazza pulita”
e
“se ne vada di sua iniziativa”
in effetti significano proprio la stessa cosa…ma anche questa è una caratteristica saliente e storicamente ben affermata della tua area di riferimento.
Difficile che il CAI mi faccia fuori, in 54 anni consecutivi da socio ho fatto talmente tante cose (sia nel risvolto didattico che in mille alti compiti) per il CAI che sarebbe un suicidio (per il CAI) eliminami: difficile che arrivino a questa decisione. Cmq Benassi, come al solito, non ha capito niente: non ho mai parlato di eliminazione forzata di “certi” soci da parte del CAI. Dico che chi non si trova bene nel CAI è un “non intelligente” a continuare a starci, ma, se se ne va, do per scontato che se ne vada di sua iniziativa, non perché lo eliminano.
@ 13
No, il Crovella è del 1961.
Io a volte lo chiamo confidenzialmente Krovellik per farlo arrabbiare, ma lui – mannaggia! – per quel nomignolo non si arrabbia mai. Scrive cinquecento articoli all’anno, oltre a conferenze e libri vari: è tutto tranne che ottantenne. Dice che fa tre cose contemporaneamente: mano destra (computer), mano sinistra (secondo computer), bocca (telefono). Insomma vive in perenne multitasking. Ma in fondo è un bravo ragazzo, anche se a volte fa arrabbiare perché un po’ birichino.
Il Benassi – che ora io ribattezzo il Terminator delle Apuane – è del 1960. E in montagna va ancora come un treno. Beninteso, un treno dell’alta velocità.
Ha salito la parete N delle Courtes, mio massimo sogno di gioventú. Quando l’ho imparato, ho avuto un attacco isterico da invidia, trattato con quindici gocce di Alprazolam due volte al giorno per un paio di settimane.
Io invece, il Bertoncelli, ora vado come un treno accelerato: mi fermo in tutte le stazioni.
Insomma, attenti a quei due! 😀 😀 😀
Benassi come fai ad essere più vecchio di Crovella ???
Io pensavo avesse almeno 80 anni .
Crovella io fossi in te mi guarderei le spalle. Perchè con tutte le minacce che spari a destra ed a manca, ci sta che siano gli altri a fare piazza pulizia di te.
E detto fra noi il CAI non è infallibile, fa le scelte giuste e quelle sbagliate, come tutti gli esseri di questo mondo, compreso TE.
E’ un consiglio che ti da uno più anziano di te.
Quindi rispetto, certo! Ma non è che ha un diritto assoluto di ragione sempre e comunque perchè è il CAI.
Ma per carità, fate pure quello che volete, basta che la smettiate di rompere gli zebedei a chi nel CAI si trova bene. Quando qualcuno persiste nel frignare e, di conseguenza, infastidire, mandarlo a quel paese è legittima difesa (tra l’altro: ma quanti mai saranno gli “infelici” dell’intero CAI? 1.000? 5.000? 10.000? … ma come è possibile “pretendere” che i restanti 340.000 soci si debbano “preoccupare” di loro e andare incontro alle loro esigenze? Numericamente parlando, questi infelici sono una minoranza risibile: la loro incidenza sul Sodalizio è pari a zero. Ma il punto chiave è di principio: il CAI non è un assistente sociale, è un club dove frequenta chi si trova bene e chi, invece, non si trova bene… ho già spiegato quali opportunità ha).
Pensa di poter dire agli altri quello che devono fare.
IO NON STO DIFENDENDO IL CAI! (NON CE NE SAREBBE NEPPURE BISOGNO, IL cai è CAPACISSIMO DI DIFENDERSI DA SOLO)
IO STO DIFENDENDO IL DIRITTO DI NON FARSI ROMPERE I COGLIONI DA parte di CHI, INFELICE DI SUO, STRUMENTALIZZA I DIFETTI DEL CAI PER CONTINUARE A SCARICARE SUL CAI LE SUE PERSONALI FRUSTRAZIONI E INFELICITA’
Ritenete che i difetti del CAI sino “correggibili”? Benissimo, ma anziché sfracellare gli zedebei con queste litanie da bimbi capricciosi, rimboccatevi le maniche e agite con l’obiettivo di correggere detti difetti. Per esempio fatevi eleggere delegati e in quanto tali partecipate all’assemblea annuale dei delegati del CAI. Con congruo anticipo elaborate delle proposte di riforme, comunicatele a chi di dovere e fatele inserire nell’Ordine del Giorno dell’assemblea. In tale sede, quando il Presidente vi darà la parola, illustrate le vs proposte, cercate di conquistare la maggioranza dei presenti, impegnatevi (se del caso) in una “battaglia congressuale” e, se sarete capaci e persuasivi, le delibere saranno a favore delle vs proposte (in caso contrario, ve ne tornerete a casa con le pive nel sacco…). Ma i primi a NON voler fare tutto ciò sono i frignoni stessi, primo perché si tratta di impegno faticosissimo (e i frignoni proprio perché frignoni non amano “impegnarsi”…), ma soprattutto perché, paradossalmente, se i frignoni vincessero le loro battaglie congressuali in assemblea, si darebbero la zappa sui piedi: infatti verrebbero meno i difetti del CAI, difetti la cui persistenza è “necessaria” per i frignoni al fine di continuare a sfogare sul CAI medesimo le frustrazioni personali.
“il punto NON è se il CAI abbia o meno dei difetti, ma il punto è che chi “vede” i difetti del CAI e non li sopporta, dovrebbe andarsene di sua iniziativa.”
L’opzione denunciarli o irriderli per emendarli non ti sfiora, vero?
“Difetti del CAI ce ne sono a milioni, a mio parere sono incorreggibili”
Quindi con milioni di difetti va difeso a oltranza, altrimenti la mia pochezza esistenziale dove potrebbe trovare ristoro con il prestigio di una patacca, di un ruolo nell’associazione, di una platea plaudente?
[giusto per rispondere alle accuse di frustrazione che continui ad ammanire]
“È giusto che io dedichi il mio tempo libero in un gruppo di questo tipo ?”
A parte l’evidente padronanza dello scrivere, l’ironia e la fantasia, da apprezzare, è la domanda che mi sono fatto anch’io, stamattina. Se c’è una puntata 1 che fortunatamente mi sono perso, spererei non ci sia la 3. Almeno su questo blog.
Repetita juvant. Anche perché se sempre qualche fenomeno (come 5) che continua a mescolare (volutamente) i concetti: il punto NON è se il CAI abbia o meno dei difetti, ma il punto è che chi “vede” i difetti del CAI e non li sopporta, dovrebbe andarsene di sua iniziativa. Invece continua a stare dentro al CAI e, appunto, ci sta per continuare ad avere un capro espiatorio su cui sfogare la propria frustrazione esistenziale. Difetti del CAI ce ne sono a milioni, a mio parere sono incorreggibili (per la famosa palla di pongo che è il sistema di autodifesa del CAI medesimo) e quindi o uno riesce a conviverci o se ne va. A frignare come bambini capricciosi non si risolve nulla nel CAI (come nella vita, mi limtiamoci al CAI) e si rompono solo i coglioni agli altri. E allora la conclusione è proprio questa qui: gli “infelici” strumentalizzano i defetti del CAI per rompere i coglioni a chi, nella sua vita personale, ha una invece situazione complessivamente in equilibrio o addirittura di soddisfazione e vive con serenità il suo coinvolgimento nel CAI. Insomma è solo una manifestazione di invidia e un tentativo di “pareggiare” fra l’infelicità degli uni e la complessiva serenità degli altri. Ma il CAI, i suoi difetti, le sue sbavature, le sue contraddizioni in tutto questo meccanismo non c’entra un belino di niente.
“Fra i frustrati/infelici, ognuno ha il suo motivo specifico…ma il comun denominatore è il prender atto cejj’esswer completamente fuori posto rispetto al modello di vita dominante (nel ns caso da stato occidentale). Per cui ogni EVENTO dell’esistenza diventa un casus belli per sfogarsi: ecco i NO VAX, i NO GREENPASS, i NO TAV, i NO CAZ, i NO MINC, i NO FIG…. e, in fondo alla lista, ci sono anche i NO CAI.”
O forse e più semplicemente sono quel tipo d’uomo che sa che il mondo non è bianco-o-nero.
Che è capace di vedere i pregi, ma anche i difetti, apprezzando i primi e combattendo i secondi.
Che non fonda la sua essenza sull’adesione acritica a un gruppo/fazione/ideologia/partito.
Che non rimane imbrancato come un cretino nel campo che ha scelto senza permettersi di illudersi che il suo branco, debba essere il migliore di tutti, non possa che essere perfetto e superiore a qualsiasi critica
@ 3
Abbiamo trasmesso la tremilaottocentosettantasettesima puntata della telenovela I Crovellas.
P.S. Carlo, mi dispiace, ma tu le battute te le vai proprio a cercare. Le ispiri.
😀 😀 😀
Da tempo immemore sono convinto che chi detesta il CAI ma continua a starci, a maggior ragione se in ruoli impegnati (come, a puro titolo di esempio, in attività didattica), è perché, se non rinnovasse l’associazione annuale al CAI, gli verrebbe meno il “capro espiatorio” su cui riversare le sue frustrazioni e la sua in felicità esistenziale. Fra i frustrati/infelici, ognuno ha il suo motivo specifico (lavoro, soldi, moglie/marito, figli, salute, vicini di casa, politica, ecc ecc ecc), ma il comun denominatore è il prender atto cejj’esswer completamente fuori posto rispetto al modello di vita dominante (nel ns caso da stato occidentale). Per cui ogni EVENTO dell’esistenza diventa un casus belli per sfogarsi: ecco i NO VAX, i NO GREENPASS, i NO TAV, i NO CAZ, i NO MINC, i NO FIG…. e, in fondo alla lista, ci sono anche i NO CAI. Con una differenza sostanziale: che per stroncare l’infelicità che innesca lo stare nel CAI basta evitare il rinnovo annuale e cercare alternative: oggi esiste tutta la galassia UISP, quella FASI, un’altra il cui acronimo mi pare sia UEIO (o roba simile). In più moltissimi CRAL aziendali organizzano sistematiche uscite in montagna, anche se non si è dipendenti spesso è facile aggregarsi come parenti, amici, fidanzati/e… Poi ci sono le pagine dei social (amo le montagne, cerco compagni di cordata…) e addirittura mi hanno riferito di “gruppi Whatsapp”, basta riuscire a inserirsi, ma non è complicato e… insomma se uno è infelice dove sta (nel CAI), si tira su le maniche e una soluzione la trova. Invece tutti questi capricciosi NON vogliono trovare la soluzione, la spiegazione è che la causa della loro infelicità è altrove (rispetto al CAI), cioè è nella loro vita individuale, ma, se lasciano il CAI, perdono il capro espiatorio su cui sfogare la loro frustrazione e la loro infelicità. Per questo motivo, io considero tutto questo insieme di “falsi” soci CAI completamente inutili per il Sodalizio e anzi li considero “dannosi” e sarebbe meglio fare piazza pulita.
È evidente che da quelle parti facciano largo uso di mescalina ai corsi Cai.
scusa è… si salvi chi può da un pippone del genere.
Comunque mio babbo, le quaglie, le usava per allenare i suoi cani da caccia.