Un-due-tre-quattro

Il problema è generato dal sistema che vuole risolverlo. Piccole note sull’incantesimo della logica.

Un-due-tre-quattro
di Lorenzo Merlo
(ekarrrt – 21 aprile 2024)

1.
Come tutte le creazioni, anche il linguaggio logico-razionale, con la sua semantica, corrisponde a un’esigenza umana che consiste nello sbrigo delle faccende quotidiane, qui dette amministrative.

Il perdurare dell’esigenza, quindi il valore della sua creazione, tende a eluderne la messa in discussione. Essa diviene dogma e chi s’è visto s’è visto. Tanto che, anche se qualcuno ci prova, la forza della maggioranza si inalbera o fa spallucce, sommergendo di solitudine il malcapitato.

Opera di Hans Ruedi Giger

Il dogma si realizza a causa dell’inconsapevolezza di chi lo subisce. La sua natura ha le caratteristiche del sortilegio e dell’incantesimo, identiche a quelle dell’idolatria, dell’accredito, della speranza.

Lo stato visibile del dogma è l’abitudine, una specie di circolo vizioso il cui potere è quello di farci riconoscere a noi stessi. Infatti, in occasione di impedimento a replicarla, si avverte spaesamento e il desiderio di tornare presto a casuccia. Qualcosa di simile avviene con la routine, spezzata la quale, qualcosa non va.

L’abitudine è anche una sorta di padrone occulto di noi stessi, nonché di risposta all’autoindulgenza. L’assuefazione che implica, vincola e limita i nostri comportamenti, le nostre scelte, i nostri pensieri e anche i sentimenti. All’abitudine diamo la responsabilità di quanto facciamo, di come viviamo.

Ilya Prigogine (1917-2003), russo

A volte ci si trova a confrontarsi con l’idea di poter liberarsi dall’abitudine. Nella maggioranza dei casi, si abbandona subito il confronto. La forza di volontà che richiederebbe per spuntarla tagliandone i lacci, ci pare utopica. E l’utopia si concretizza lasciandoci perdenti e ancora posseduti dall’abitudine.

L’ipotesi che non serva alcuna forza di volontà per smettere un’abitudine, non ci sfiora. E non ci sfiorerà mai finché resteremo prede inebetite del mondo logico-razionale, quello che altre dipendenze ci fanno credere essere il solo esistente, in quanto dall’ambito amministrativo è stato illuministicamente incaricato di gestire anche le faccende umano-relazionali, che di amministrativo non hanno nulla.

Emancipati dai dogmi scientisti, un altro mondo si apre agli occhi. Liberi dal conosciuto dei saperi cognitivo-analitici, nasce un altro uomo, il cui potere non è più in ciò che ha, ma in ciò che è. Per quanto riguarda le abitudini-dipendenze, non farà più riferimento alla forza di volontà, ma alla sua disponibilità – se non interesse – all’autoindulgenza. Non più a qualcosa di esterno più forte di noi, ma al proprio potere creativo, ovvero alla verità che possiamo reimpossessarci di noi stessi senza alcun uso della forza, spezzando, in un momento, le catene dalle quali credevamo utopico liberarci.

Ludwig Wittgenstein (1889-1951), austriaco

2.
Una delle creazioni umane divenuta abitudine e poi dogma è quella di affidarsi all’idea che il linguaggio e il pensiero analitico-logico-razionale sia il solo traghetto per navigare indenni sui mari delle menzogne ciarlatane. Come sopra accennato, essa corrisponde all’esigenza amministrativa del quotidiano e della sua organizzazione. Successivamente, l’infatuazione illuministica ci ha fatto inconsapevolmente credere che quel linguaggio potesse soddisfare anche gli ambiti opposti all’amministrativo, qui detti relazionali.

La caratteristica prima del contesto amministrativo e piatto è quella della condivisione della semantica.  Un evento che in ambito relazionale, multiforme e alogico tende ad essere fortuito e occasionale. L’inconsapevolezza di quanto inconveniente sia mutuare all’ambito umano il linguaggio idoneo a quello amministrativo, è all’origine, non solo di incomprensioni ed equivoci, ma del risentimento e conflitto che da questi ne emergono.

Dall’interno del crogiolo dove tutto il nostro piccolo mondo ruota si mischia e viene ordinato e organizzato a mezzo della logica, che come un guerriero uccide il disordine e l’assurdo, non ci si avvede di un effetto collaterale che mai si sarebbe voluto e che, anche se fatto presente, viene negato, come detto, facendo spallucce. Il mistero che la logica analitica cerca di indagare resta irrisolto. Non tanto per l’inadeguatezza dello strumento, quanto perché è proprio la ricerca logica a creare il mistero.

Martin Heidegger (1889-1976), tedesco

3.
Di queste vicende, futili per buona parte di noi, se ne sono occupati ricercatori di varia estrazione. La difficoltà a diffondere la cultura che da essi possiamo evincere, tende a dimostrare lo spessore del carapace scientista che come un Alien di Hans Ruedi Giger ci avvolge la faccia e, simbolicamente, tutto quanto le sta dentro.

La fisica classica si è data una forma sistematica. Ma la sua pretesa di costruire una descrizione del mondo chiusa, coerente, completa, espelle l’uomo dal mondo che descrive, non solo in quanto abitante di questo mondo, ma anche, l’abbiamo già detto, in quanto suo descrittore. […] Ignoreremo sempre e del tutto il rapporto tra il nostro mondo che la scienza rende trasparente e lo spirito che conosce, percepisce, crea questa scienza. […] La natura ha mille voci e noi abbiamo appena cominciato ad ascoltarla. Ma, da circa due secoli, il demone di Laplace infesta le nostre immaginazioni, rispunta senza tregua e, con lui, rispunta l’incubo del non senso del tutto, la solitudine allucinata di chi, per così lungo tempo, aveva creduto di essere l’abitante di un mondo fatto a sua misura (Ilya Prigogine, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999, p. 80-81)”.

Alien, di Hans Ruedi Giger

Non si combattono più miopi ed ingenue pretese, che basterebbe ripetere ad alta voce per far ridere i ragazzi e ridicolizzare chi le sostiene. Si combatte il tipo stesso di conoscenza prodotta dal sapere sperimentale e matematico della natura (Ilya Prigogine, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999, p 88)”.

La conoscenza oggettiva non è passiva, essa costruisce i suoi oggetti. Quando consideriamo un fenomeno come oggetto di esperienza effettiva, gli supponiamo, a priori, prima di farne una qualsiasi esperienza effettiva, un comportamento legale, che obbedisca a un insieme di principî. In effetti, sostiene Kant, possiamo fare questo tipo di supposizione, l’oggetto che percepiamo risponde alle nostre attese, perché è già sottomesso a questo ordine legale, perché è, in quanto percepito come oggetto di possibile conoscenza, il prodotto dell’attività sintetica a priori dello spirito (Ilya Prigogine, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999, p. 89).”

Le possibilità di matematizzare i comportamenti fisici si limitano ai comportamenti più banali. […] È proprio questo carattere intercambiabile, di cui Hegel fa una condizione per la matematizzazione, a sparire, quando si oltrepassi la sfera meccanica verso una sfera superiore (Ilya Prigogine, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1999, p. 94-95)”.

Alien, di Hans Ruedi Giger

Non è infatti ancora per nulla pacifico che la logica e le sue regole fondamentali siano in grado di offrirci, in generale, un criterio per il problema dell’essente come tale. […] Chi parla contro la logica è […] in modo tacito o espresso, sospettato di arbitrio. Si fa valere questo semplice sospetto come una prova e un’obiezione, ritenendosi esonerati da un più ampio ed autentico esame della questione (Martin Heidegger, Introduzione alla metafisica, Milano, Mursia, 1972, p. 36)”.

Ogni possibile proposizione è formata legittimamente e, se non ha un senso, è solo perché noi non abbiamo ancora dato un significato ad alcune delle sua parti costitutive (Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Torino, Einaudi, 1995, p 77-78, 5.4734)”.

Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati (Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Torino, Einaudi, 1995, p,108, 6.52)”.

Sembra giusto ritenere che la scienza, soprattutto a partire dal secolo XVII, con la sua strutturazione meccanicistica, abbia scisso il sapere dal senso comune. […] Con l’introduzione, inoltre, di tecniche sempre più raffinate e invadenti di formalizzazione matematica, essa avrebbe sottratto agli uomini comuni, al pensiero popolare, la visibilità della natura (Ludwig Wittgenstein, Della certezza, Torino, Einaudi, 1978, p. VII, dalla prefazione di Aldo Gargani)”.

Paul Davies (1946-vivente), inglese

È scomoda una teoria la quale attribuisce a noi stessi la responsabilità del mondo in cui pensiamo di vivere (Paul Watzlavick, a cura di, La realtà inventata. Contributi al costruttivismo, Milano, Feltrinelli, 2008, p. 17)”.

La maggior parte degli scienziati si sentono ancora oggi ‘scopritori’, coloro che rivelano i segreti della natura e allargano lentamente ma con sicurezza il campo del sapere umano; e innumerevoli filosofi si dedicano al compito di assicurare a questa conoscenza faticosamente acquisita l’inconfutabilità che tutti si aspettano dalla verità ‘autentica’ (Paul Watzlavick, a cura di, La realtà inventata. Contributi al costruttivismo, Milano, Feltrinelli, 2008, p. 19)”.

Alle radici della visione della fisica classica stava la convinzione che il futuro fosse determinato dal presente, per cui un attento studio del presente permette di svelare il futuro. […]. Eppure in un certo senso questa possibilità di previsione illimitata è stata un elemento essenziale dell’immagine scientifica del mondo fisico. Possiamo forse definirla il mito fondatore della fisica classica. […] Il realismo ingenuo della fisica classica, che supponeva che le proprietà della materia fossero «là» indipendentemente dall’apparato sperimentale, ha dovuto essere rivisto (Ilya Prigogine, Dall’essere al divenire, Torino, Einaudi, 1986, p. 192)”.

La nostra esperienza del mondo consiste nell’ordinare in classi gli oggetti che percepiamo. Tali classi sono costrutti mentali e perciò di un ordine di realtà completamente diverso da quello degli oggetti stessi. Le classi sono formate non solo in base alle proprietà fisiche degli oggetti, ma soprattutto in base al significato e al valore che hanno per noi. […] Ciò che viene definito la ‘realtà’ di un oggetto è, appunto, la sua appartenenza ad una classe; per cui chiunque lo consideri un membro dell’altra classe deve essere folle o cattivo (Paul Watzlavick, John H. Weakland, Richard Fisch, Change – Sulla formazione e soluzione dei problemi, Roma, Astrolabio, 1974, p.  107)”.

È assai probabile che la realtà sia quella che noi rendiamo tale o, per dirla con le parole di Amleto, ‘… non v’è nulla di buono o di cattivo, che il pensiero non renda tale’”. Noi possiamo soltanto congetturare che alla radice di questi conflitti di punteggiatura ci sia la convinzione, saldamente radicata e di solito indiscussa, che esista soltanto una realtà, il mondo come lo vedo io, e che ogni opinione diversa dalla mia dipenda necessariamente dalla irrazionalità dell’altro o dalla sua mancanza di buona volontà (Paul Watzlavick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Roma, Astrolabio, 1971, p. 87)”.

 “È per questo che Gödel affermava: «Il mio teorema mostra solamente che la meccanizzazione delle scienze matematiche, e cioè l’eliminazione della mente e delle entità astratte, è impossibile» (Michel-Yves Bolloré, Olivier Bonnassies, Dio. La scienza. Le prove -L’alba di una rivoluzione, Milano, Sonda, 2024, p. 339)”.

Paul Watzlawick (1921-2007), austriaco

David Hilbert è stato uno dei più grandi matematici del ventesimo secolo. A lui si deve la stesura di un elenco di problemi che i matematici dell’epoca avrebbero dovuto impegnarsi a risolvere in futuro. Uno di questi gli pareva particolarmente essenziale: dimostrare che la matematica costituisce un sistema contemporaneamente completo e coerente. […] In effetti se fosse possibile tale dimostrazione, in teoria si potrebbe giudicare la falsità o la veridicità di qualunque proposizione logica. Hilbert non esitava a chiamarla la soluzione «finale» al problema della logica. […] È evidente qual era l’ideologia dietro a questa ricerca: quella di «delimitare» il reale, di rinchiuderlo in se stesso, di dire «ecco, abbiamo analizzato completamente la questione, adesso circolate, non c’è più niente da vedere, abbiamo esaurito la realtà, l’abbiamo racchiusa nelle nostre equazioni» che come abbiamo visto si trovava al centro del positivismo logico e del materialismo dialettico che dominavano le scienze sul finire del diciannovesimo secolo (Michel-Yves Bolloré, Olivier Bonnassies, Dio. La scienza. Le prove -L’alba di una rivoluzione, Milano, Sonda, 2024, p. 331)”.

Certamente è al teorema di Gödel che pensa il celebre fisico e cosmologo Paul Davies nella conclusione del suo libro intitolato La mente di Dio, quando dichiara: «Ma in definitiva, è quasi certamente impossibile una spiegazione razionale del mondo inteso come un sistema chiuso e completo di verità logiche. Siamo tagliati fuori dalla conoscenza ultima, dalla spiegazione ultima, per via di quelle stesse regole che ci spingono a cercare tale spiegazione […] Se desideriamo andare oltre, dobbiamo affidarci a un concetto diverso di ‘comprensione’ rispetto a quello suggerito dalla razionalità. La via mistica è forse una strada verso tale comprensione. Io non ho mai vissuto un’esperienza mistica, ma mantengo la mente aperta riguardo al valore di queste esperienze. Forse rappresentano l’unico modo per trascendere i limiti che la scienza e la filosofia non possono varcare, l’unica via possibile vero l’Ultimo» (In Michel-Yves Bolloré, Olivier Bonnassies, Dio. La scienza. Le prove -L’alba di una rivoluzione, Milano, Sonda, 2024, p. 343).

Vincent Bolloré (a sinistra) e Olivier Bonnassies, viventi, francesi

4.
Nonostante quanto accennato finora possa bastare per rivisitare la propria idolatria scientista, tanto quella della vulgata, quanto quella degli esperti scienziati, in questo discorso sui limiti del mondo evinto dalla logica, almeno un cenno alla fisica quantistica va fatto. Questa, infatti, pare idonea a rappresentare quanto prima era esclusiva della magia. Ovvero di quella scienza giustamente detta suprema e il cui campo non era la metà del mondo ma l’intero. Il cui regolamento non è duale ma olistico. Il cui destino è riunirsi alla grande ricerca umanistica condotta da millenni dalle tradizioni sapienziali del mondo intero. Una via percorribile da chiunque si emancipi dal dominio della materia. Qualunque sia il sui linguaggio, con esso saprà narrare che dietro ogni consistenza fisica ve n’è una immateriale.

La fisica atomica ha distolto la scienza dalla tendenza materialista (Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, Milano, Il Saggiatore, 1961, p. 65)”.

La morte dello scientismo, del suo determinismo, del suo sogno di una scienza trasparente capace di accedere ai segreti dell’Universo è stata una specie di agonia per i premi Nobel che hanno vissuto l’avventura quantistica (In Michel-Yves Bolloré, Olivier Bonnassies, Dio. La scienza. Le prove -L’alba di una rivoluzione, Milano, Sonda, 2024, p. 279)”.

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Un-due-tre-quattro ultima modifica: 2024-08-06T04:01:00+02:00 da GognaBlog

7 pensieri su “Un-due-tre-quattro”

  1. Più che un sogno, caro Fabio, io penso che esistono infinite realtà, tante quanti sono gli occhi che la guardano.
    Mi par evidente – e il delirio del covid l’ha mostrato apertamente –  che ognuno di noi porta lenti differenti.

  2. Mah, io credo che la citazione più importante sia perlopiù bellamente ignorata:
     
    «Su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere.»
    (Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus)

  3. La realtà è quella! Altrimenti non sarebbe realtà.
    Cari voi, pure io fino a non molti anni fa la pensavo cosí, con certezza granitica grazie a una mente che reputavo razionale. Poi, con l’età, mi sto domandando sempre piú di frequente:
    “È tutto vero il mondo o è solo un sogno?
    Soprattutto, siamo veri o siamo un sogno?”.
     
    P.S. Che dite? Sto diventando profondo pensatore o trattasi soltanto di banale rimbambimento senile?

  4. La realtà è quella! Altrimenti non sarebbe realtà
     
    Taci, scientista che non sei altro! 😀

  5. La realtà è quella! Altrimenti non sarebbe realtà.
    Che poi la si possa distorcere a proprio piacimento con il linguaggio, è un altra cosa.

  6. la realtà non esiste al di fuori del linguaggio con cui gli uomini interpretano la realtà
     
    Non ti sembra un tantino antropocentrica questa tua affermazione, Telleschi ?

  7. Si potrebbe aggiungere che gli uomini sono prigionieri del linguaggio e che la realtà non esiste al di fuori del linguaggio con cui gli uomini interpretano la realtà: una ragione in più per cambiare il linguaggio, altrimenti non cambia neppure la realtà.

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