Immaginiamo che qualche nostro lettore, oggi che è Ferragosto, preferisca alle vette “immacolate” il riposo su qualche sedia a sdraio, magari anche al mare… E siccome certa stampa non smetterà mai di far ridere, per oggi, giorno di festa, abbiamo scelto questa perla di Paolo Martini, apparsa qualche giorno fa su Il Fatto quotidiano.
A parte gli evidenti errori toponomastici e la probabile svista (speriamo…) del global-warning, a parte la lingua italiana maltrattata, rimane un articolo che è un’accozzaglia di luoghi comuni mescolati assieme per cercare di screditare le singole realtà che li compongono. Se lo scopo era quello di stupire con accostamenti arditi, il risultato è invece la precisa domanda se chi ha scitto tali cose sfilacciate fosse nel pieno delle sue facoltà mentali.
Se il Gran Jourasses rischia il crollo
di Paolo Martini
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it del 6 agosto 2020)
Con il social-mediatico plauso della piccola comunità degli alpinisti, la giovane torinese Federica Mingolla aveva appena concluso la sua seconda impresa sul Monte Bianco, ripetendo una linea di salita molto difficile sulla parete nord delle Grand Jourasses (sic!), conosciuta come Manitua. Nel primo report, la Ming, come viene chiamata dal cognome (sic!) che usa nei suoi account, descrive la discesa come un incubo.
Il gestore del rifugio Boccalatte-Piolti, l’appassionato Franco Perlotto, che da qualche anno cerca di mantenere in vita questo celebre punto di appoggio in alta Val Ferret, già il 24 giugno 2020 segnalava con un post la situazione: “Due ragazzi francesi sono i primi di questa stagione ad arrivare dalla parete nord. Hanno salito la via del Linceul. La neve è ancora abbondante e le condizioni sono buone. La via normale è tracciata ma in pomeriggio la neve diventa molto molle, faticosa. I due francesi hanno preferito bivaccare in vetta ed attendere le migliori condizioni del mattino”.
Ora, non siamo arrivati nemmeno alla seconda settimana d’agosto, ed eccoci al fondato timore di nuovi crolli, e ai conseguenti divieti, nel versante sud, sul ghiacciaio che s’affaccia verso Courmayeur: la “Conca in vivo smeraldo…” cantata da Giosuè Carducci, a cui, appunto, “da la gran Giurassa […] il sole più amabile arride”, ma parafrasando oggi si dovrebbe parlare di una gran Carcassa da cui spuntano con un atroce ghigno dei raggi ormai troppo riscaldanti.
Appena qualche mese fa, un rappresentante politico regionale della Valle d’Aosta si era lamentato per la presunta onda lunga negativa generata da un’analoga situazione d’allarme in Val Ferret l’anno scorso. Del resto, erano in molti a pensare che per l’alta montagna, grazie anche a tardive abbondanti nevicate, fosse una stagione buona, questa prima dell’epoca post-Covid.
Non sono mancate piccole e grandi imprese, ma – si noti – soprattutto da parte dei nuovi campioni della velocità, con il cronometro come dio: a fine luglio il polacco Filip Babizc in 17 ore ha affrontato la cosiddetta Integralissima di Peuterey sul Bianco, con un’incredibile cavalcata in solitaria di sette creste (riassunto statistico: 8000 metri di sviluppo, oltre 4000 di dislivello positivo, 900 di calate in corda doppia).
Ancora ai primi d’agosto i campioni valtournains François Cazzanelli e Francesco Ratti hanno ripetuto il cosiddetto trittico del Frêney in appena 46 ore; per non dire dei due alpinisti svizzeri Adrian Zurbrügg e Nicolas Hojac che l’8 luglio hanno completato, in 13 ore e 39 minuti, l’ascesa a tutte le 18 cime sopra i 4000 metri nel Monte Rosa. Un’impresa unica è stata la 4×4000 di Davide Cheraz e Pietro Picco di Courmayeur: in quattro giorni, dopo il 20 luglio, hanno concatenato le cime del Cervino, del Rosa, del Gran Paradiso e del Bianco, usando la bicicletta per muoversi da una valle all’altra: 400 km sui pedali, e 6500 metri di scalata.
Per i comuni mortali, invece hanno tenuto banco le solite litanie d’incoscienti che non si legano sui ghiacciai e non portano le attrezzature adeguate, di cadute nei crepacci, di chiamate al soccorso, d’interi pezzi di pareti mito come il Monviso e il Cervino che si sono sbriciolati. E ora il solito bla-bla sul possibile crollo dalle Grand Jourasses. Chissà perché, poi, facciamo tutti ormai così fatica a prendere atto della realtà (o meglio un perché in più ci sarebbe, e andrebbe indagato meglio, tra strapotere del virtuale e l’auto-referenzialità di massa).Ancora nei primi anni Duemila, quando si cominciavano già a vedere benissimo i disastri del global-warning (sic!) sulle nostre montagne, se qualcuno tentava di far notare agli alpinisti, magari quelli del CAI in giro per i vari corsi, che i rischi oggettivi da affrontare sconsigliavano di ripetere certi itinerari, magari proprio i più affollati, si sentiva rispondere: “Ma no, se si è sempre fatto”. Guai, poi se i divieti, anche i più logici e inevitabili, vanno a intaccare il grado di libertà assoluta della comunità alpinistica, com’è successo in Bianco: s’apre la sarabanda delle proteste, con in testa magari proprio i più noti.
Vallo a far capire, anche se ti dichiari reo confesso da ultimo della fila, che sono gli alpinisti i primi a violare l’eco-sistema, e non solo in quanto turisti o per gli spostamenti in auto e in aereo, ma perché si appropriano in vario modo del territorio di tutti, un patrimonio unico e straordinario come le montagne, oltretutto costellato di strutture pubbliche o comunque finanziate dalle istituzioni, come le strade e i sentieri, gli impianti di risalita e i rifugi (siamo stati tentati di pubblicare anche quest’altro delirio di Paolo Martini, poi non lo abbiamo fatto per rispetto del lettore. Chi fosse curioso, clicchi il link qualche riga sopra, NdR).
Per scalare le montagne si sporca e s’inquina parecchio: il che vale più che mai adesso che tanti vanno alla ricerca di sfide e di ambienti sempre più estremi. E’ un mondo da ripensare da zero, anche quello dell’alpinismo, ma non basterà forse nemmeno il crollo della Giurassa-carcassa.
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Caro moderatore del blog,
Ti ringrazio per la spiegazione che hai fornito e mi scuso per aver letto l’articolo saltando la premessa (dove peraltro si parla di errori toponomastici senza dire chiaramente quali).
L’account email che ho fornito esiste ma forse non l’ho scritto correttamente, pertanto ne fornisco un altro di cui sono sicuro. Aggiungo che avevo già letto il pezzo di Martini sul “Fatto” dove avevo segnalato i medesimi strafalcioni come faccio abitualmente quando scrive questo “giornalista” che ho soprannominato Cassandra-Martini. Grazie per la comprensione.
Certo, andare in montagna è dannoso per la montagna ed è inquinante.
D’altra parte vivere è inquinante e impattante sull’ambiente
Perciò è necessario ragionare e poi fare due conti per capire quanto inquina e quanto impatta ogni singola attività, altrimenti si dicono cazzate; il più delle volte non neutre, ma ideologicamente schierate.
Un brillante esempio lo fornisce il mio quasi omonimo che parla di “3 corde in nylon, 20 cordini, 15 rinvii, caschi, imbraghi, 3 paia di scarpe e scarponi, picche, zaini, giacche gore 6 strati” (dimenticando peraltro la “ferraglia” che energeticamente è molto più impattante).
A occhio, perché non ho voglia di fare ricerche e conti, equivale al massimo a una quarantina d’ore di funzionamento del dual split che il turista da spiaggia pretende nella sua camera d’albergo (senza tener alcun conto dei rendimenti). O a 600 km di una media cilindrata.
Considerando che il materiale non si cambia ogni 3 anni, direi che è proprio ininfluente.
Comunque, a parte le pisquanate pseudo-scientifiche, ritengo che sia vero che gli alpinisti inquinano e che si debba cercare i modi per diminuire l’impatto, ma questi modi di certo non sono correlati a “certi itinerari” o “ai pericoli oggettivi”, come ventilato dal Martini.
Caro “onesto”, avevamo cancellato il tuo commento relativo all’articolo di Paolo Martini.
Infatti, nelle 11 righe che precedono l’articolo, sono elencate le stesse cose che dicevi tu nel commento… Errori e farneticazioni di Martini sono stati l’unico motivo per cui abbiamo pubblicato un articolo tanto banale (che però è stato pubblicato da il Fatto quotidiano, non da un giornale o sito qualunque…).
Lasciaci quindi dire che il tuo account e-mail sparalesto dovrebbe non farti dimenticare mai di leggere con più attenzione prima di commentare.
Contemporaneamente alla cancellazione ti avevamo inviato una mail in cui spiegavamo a te, in via privata, le motivazioni della nostra decisione.
Subito dopo abbiamo ricevuto la mail indietro, non consegnata, evidentemente perché l’account “sparalesto” non esiste. Poi abbiamo visto che hai ripubblicato il tuo commento! Allora abbiamo deciso di scriverti pubblicamente la risposta che meriti (per la tua disattenzione, la tua pervicacia nel riproporla e l’anonimato totale dietro il quale ti celi).
In questo articolo sono presenti dei gravi errori considerato che l’autore si considera esperto di montagna e ambiente:
1) il “Gran Jourasses” non esiste, il nome corretto è “Grandes Jorasses”
2) neanche “global warning” esiste (warning=avvertimento), si scrive “global warming (warming=riscaldamento) ma è molto più semplice scrivere riscaldamento globale.
letto e attualissimo nel vecchio bivacco in cima alla Grignetta…. e vale per il grande giornalista dello stra- ordinario – fatto quotidiano – o strafatto quotidiano ordinario – Ul nom di cujun sa leg in tuc i cantun. Ciaooo e sorridete c’è di peggio
Non è con ciò che si fa ma è il come che fa la differenza.
Come sempre, gli esempi da seguire molto spesso si trovano in chi agisce in silenzio e senza troppi proclami.
Concordo con Matteo X, vogliamo fare gli alpinisti romantici ma vogliamo trovare la birra fresca al rifugio.
Alleluja! Gli alpinisti, scalatori, escursionisti, sono dannosi al mondo e quindi anche, soprattutto, alla montagna. Perché fare 3,4 ore di macchina è il minimo per andare a fare quattro tiri in una falesia all’ombra o al sole o per vedere quel bellissimo laghetto è dannoso.
Perché trasportare birra industriale d’importazione con elicotteri è dannoso.
Perché avere tutti 3 corde in nylon, 20 cordini, 15 rinvii, caschi, imbraghi, 3 paia di scarpe e scarponi, picche, zaini, giacche gore 6 strati, tutto da cambiare ogni tot anni perché non è più sicuro, anche se andiamo a scalare 3 volte l’anno, è dannoso.
Allora non capisco dove un alpinista, escursionista, arrampicatori sia diverso da un qualsiasi turista da spiaggia o da area pic nic, dove abbia più diritti di un altro che in montagna non ci va.
Siete dannosi, se volete bene alla montagna dovreste starvene a casa, oppure se volete aprire bocca, vedo con piacere e ottimismo e speranza per un futuro migliore, alcune belle salite con partenza in bici da casa. Poetiche e commoventi, con grande stile e manico soprattutto.
Anche Paolo Martini si dovrebbe ripensare da zero.
Pure lui sporca e inquina, con ogni probabilità piú di me. In media i giornalisti sporcano e inquinano sicuramente piú di escursionisti e alpinisti.
A parte l’ovvia constatazione che anche gli alpinisti, sia pure paranoici, utilizzano le strade e le funivie, purtroppo anche i turisti muoiono, sia pure romantici cercatori di stelle. Piuttosto bisogna ricordare al Fatto Quotidiano e a tutti i forcaioli che gli alpinisti sono rimasti tra gli ultimi anarchici a difendere la libertà in montagna.
Ignorante e’ il signor Carmelo Morabito grazie a persone come lui le Alpi fra un po’ saranno una discarica.
Idiota, ipocrita, incompetente ed ignorante! Gli Alpinisti non hanno espropriato proprio un bel niente! Gli Alpinisti subiscono le angherie più disparate, come l’ambiente montano, in nome della speculazione, del lucro.
Molto profondo il commento di Toni Farina. Fa riflettere. Certo l’autore degli articoli non ha messo insieme dei testi da Premio Pullitzer. Segnalo però che lo snellimento delle redazioni ha fatto vittime fra i correttori di bozze. Ormai errori di battitura e di toponimi sono una costante anche nei principali quotidiani nazionali. In articoli di ogni genere e tipo. Per quanto riguarda il testo linkato, sarà che l’atmosfera festiva di oggi mi ottenebra la lucidità, ma mi pare che, seppur con una forma un po’ abboracciata, esprima concetti con un loro perché. Buon Ferragosto a tutti!
Condivido ma solo in parte. Ieri sono stato alla audizione in consiglio regionale del Piemonte sulla legge da me denominata free eliski da me ovviamente contestata. Ne contestarla però non ho calcato la mano sullimpatto con la fauna, che c’e ma non è superiore all’impatto sulla fruizione invernale in genere. Che negli ultimi anni con la ricerca un po’ schizoide della neve fresca vergine ha cambiato registro.
È lapalissiano, il giornalismo non è il suo mestiere….