Sogno d’estate
di Elena Pellegrini (e Lucia Furlani)
Essendomi appena diplomata in un liceo classico mi sono detta: “Perché non fare di questo articolo uno sfoggio di erudizione e un omaggio al percorso formativo che ho appena concluso?”. Ecco dunque che mi appello a voi, miei venticinque lettori (sperando che siate almeno venticinque): sopportate con pazienza citazioni sconnesse e periodi sconclusionati e, giunti alla fine, se non altro vi sarete goduti gli scatti che abbiamo raccolto (anche quelli effettivamente non sempre eccelsi).
“Il Paese delle Vacanze
non sta lontano per niente:
se guardate sul calendario
lo trovate facilmente.
Occupa, tra Giugno e Settembre,
la stagione più bella.
Ci si arriva dopo gli esami.
Passaporto, la pagella.
Ogni giorno, qui, è domenica,
però si lavora assai:
tra giochi, tuffi e passeggiate
non si riposa mai (Il Paese delle Vacanze, Gianni Rodari)”.
Ed è andata proprio così: a meno di una settimana dalla fine degli esami, eravamo già nel Paese delle Vacanze, dove le cartine prendono il posto dei libri e lo zaino da trekking si sostituisce a quello di scuola.
Scegliamo di inaugurare la permanenza nel Paese delle Vacanze con la Translagorai, un percorso che attraversa la catena del Lagorai, dalla Panarotta al Passo Rolle, suddiviso in cinque tappe da svolgere in totale autonomia; decidiamo tuttavia di cambiare la parte centrale del percorso, in modo da evitare alcune zone ancora coperte di neve, scendendo nelle valli più a sud.
“Non più libri: la stanza da ‘l sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su ‘l ciottolato
de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari selvaggi colli che il giovane april rifioría (Sogno d’estate, Giosuè Carducci)”.
È metà giugno e finalmente possiamo abbandonare i libri; non siamo più circondate dalle pareti delle nostre camere o delle aule scolastiche, ma da pareti di roccia, vette innevate, boschi e prati.
Quello che a primo impatto appare come un luogo idilliaco ben presto si rivela nella sua veste peggiore: verso la fine della prima tappa il rombo insistente dei tuoni ci incalza minaccioso, fortunatamente però si conclude in un nulla di fatto. Arriviamo così al Passo Palù, dove siamo accolte dalla visione di un capanno in legno, che ovviamente scegliamo come riparo per la notte. È vero, come si dice, che l’apparenza inganna e infatti tanto la struttura appariva solida e confortevole, tanti spifferi si insinuavano tra le assi e alla fine, dopo una notte alquanto ventilata e umida, conveniamo sul fatto che avremmo dormito meglio in tenda.
Il secondo giorno ci vede arrivare al Lago delle Buse ancora una volta con grossi nuvoloni neri alle calcagna. Piantiamo la tenda frettolosamente e vi ci rintaniamo per proteggerci dal freddo, ma il temporale non arriva, al suo posto spunta incredibilmente il sole, che picchia sulla tenda e coi suoi raggi ci scalda fin nelle ossa: mai l’effetto serra prodotto da una tenda sotto il sole fu più gradito.
Ad ogni modo il temporale arriva, eccome se arriva.
“E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d’arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì (Il tuono, Giovanni Pascoli)”.
La pioggia scroscia cadendo sul lago, tanto che il rumore assomiglia a quello di un torrente, motivo per cui chiedo a Lucia se non abbiamo forse assistito alla genesi di un nuovo corso d’acqua; dopo un’approfondita riflessione mi rende partecipe della conclusione a cui è giunta, ossia che si tratta del rumore delle gocce sul lago. Il giorno successivo veniamo a sapere che dal cielo non era caduta solo acqua, ma anche grandine, come un escursionista accampato a un centinaio di metri da noi e come i nevai ricoperti di palline di ghiaccio hanno potuto testimoniare. Noi però siamo state graziate.
La mattina del terzo giorno ci ha viste stringere un’alleanza con una guida e i suoi clienti per attraversare un nevaio e ritrovare il sentiero alla fine di esso e successivamente ricevere da loro un invito a giocare a “briscolone” in forcella. Non ancora soddisfatte pienamente, scendendo, ci siamo intrepidamente immerse in un laghetto formato dalle acque di scioglimento, realizzando così quello che possiamo definire effettivamente il nostro obiettivo primario.
La seconda metà della giornata, con l’abbandono del vero percorso della Translagorai, ha segnato invece l’inizio della fine.
“Inoltre anche questo [ti] raccomando, [di percorrere] vie non battute
dai carri, e di non condurre [il cocchio] sulle orme da altri
già segnate né lungo una strada ampia, ma per sentieri
inusitati, anche se lo spingerai per una via più angusta (Prologo, Aitia, Callimaco)”.
Callimaco nel prologo degli Aitia prende le distanze della poesia tradizionale e, seguendo il consiglio di Apollo, imbocca i sentieri meno battuti di una poetica innovativa e originale. Sentieri non poetici, ma di montagna, sono quelli che abbiamo seguito noi, spinte dalla stessa voglia di allontanarci dai luoghi affollati e di distinguerci. C’è da dire però che tali sentieri erano così poco battuti da scomparire del tutto; ma nemmeno le bianche strade sterrate sono state abbastanza perché non ci smarrissimo.
Dalla forcella di Valsorda imbocchiamo il sentiero che dovrebbe portarci al Col del Latte; tale sentiero si presenta inizialmente come una vaga traccia abbastanza visibile, tuttavia più avanti andiamo più tende a sparire tra l’erba. Incontriamo due escursionisti a cui chiediamo conferma riguardo alla direzione da seguire, i due ci rassicurano e noi, fiduciose, seguiamo i segni bianchi e rossi, i quali nel giro di dieci minuti sbiadiscono irrimediabilmente. Consultiamo la cartina e alla fine decidiamo di “crearci il nostro sentiero” facendoci strada tra massi, ginepri, rododendri, conifere cadute e vipere fino a quando, dopo un paio d’ore di faticoso vagabondaggio, troviamo un grosso cristallo di sale appeso ad un albero con del filo di ferro e poco dopo, finalmente, il sentiero. Arrivate a Malga Cupolà di Sopra decidiamo, temendo che la tappa dell’indomani sarebbe stata troppo lunga, di proseguire fino alla Malga Laghetti. Ci mettiamo allora in cammino, ancora una volta su una traccia di sentiero che si snoda faticosamente tra alberi caduti vittime di Vaia e prati inclinati. Il percorso si rivela decisamente più lungo del previsto per cui verso le sette di sera, giunte alla Busa di Sadole, il primo luogo vagamente pianeggiante che incontriamo, ci risolviamo a piantare la tenda e consumare l’agognata cena.
La mattina successiva ripartiamo, ignare di ciò che ci avrebbe riservato la giornata. Oltrepassata Malga Laghetti, camminiamo a lungo su una strada bianca senza incontrare indicazioni di alcun genere, finché non giungiamo nei pressi di un tornante dove individuiamo alcune peste che ci portano ad un’altra sterrata. Proseguiamo su quest’ultima, e ancora una volta non troviamo il bivio di nostro interesse e di nuovo chiediamo informazioni a degli escursionisti, i quali non sanno aiutarci, ma rimediano alla loro mancanza offrendoci della frutta secca. Decretiamo così di avviarci per l’ennesima sterrata (che portava il nome del posto che avremmo voluto raggiungere). Cammina, cammina ci ritroviamo nello spiazzo che segna la fine della strada, tiriamo fuori la cartina, che già tante volte ci aveva indicato la via, e scoraggiate iniziamo a fare ipotesi su dove potremmo essere rispetto alla nostra destinazione, dove potrebbe essere il sentiero, come potremmo arrivarci.
Torniamo indietro fino ad un punto dove avevamo precedentemente individuato una traccia, ci distacchiamo quindi dalla strada seguendo dei segni lasciati probabilmente dai tagliaboschi, finché, dopo un’altra ora di cammino, il bosco si apre rivelando una radura erbosa che ospita un piccolo stagno, una bella costruzione in legno e alcuni macchinari, una fontana e diverse panche, anch’esse in legno. Nonostante l’evidente presenza antropica, forse a causa del fatto che è domenica, non c’è anima viva. Non essendoci altri sentieri che si staccano, siamo costrette a tornare sui nostri passi. Ritornate nuovamente sulla sterrata, dopo aver perso metà giornata alla ricerca di sentieri introvabili, decidiamo che ne abbiamo avuto abbastanza e optiamo per la ritirata.
Facile a dirsi, lungo a realizzarsi, dopo una lunga discesa finalmente arriviamo al rifugio Refavaie (località Capriolo). Qui veniamo a sapere che non passano mezzi pubblici, perciò per tornare a casa accettiamo il passaggio offertoci da una coppia di gentili escursionisti, che avevamo incontrato la mattina e che ci hanno riconosciute incrociandoci nel parcheggio. Essendo loro diretti in val di Non ci accompagnano fino all’autostazione di Trento con il loro camper: un lungo viaggio, durante il quale la parlantina di Lucia mi salva dalle fatiche di dover intrattenere una conversazione, in cui tuttavia mi inserisco di tanto in tanto per dare il mio fondamentale contributo.
Ma quest’estate non ci siamo limitate a smarrirci per le montagne, abbiamo anche bivaccato (volontariamente) in parete, su un terrazzino della via Selene a Parete San Paolo (Arco, TN). Lucia è riuscita a convincermi con la sua sicurezza (molto, molto insistente!) e così l’ultima sera di vacanze insieme l’abbiamo trascorsa appese come dei pipistrelli sulla valle del Sarca.
Saliamo i primi cinque tiri, tirandoci dietro un piccolo sacco da bivacco, accompagnate da un sottofondo musicale proveniente da un locale della valle, che, nonostante fosse di gusto opinabile, in qualche modo ci porta allegria perché pare celebrare la nostra impresa.
Arriviamo al luogo designato per il bivacco, stacchiamo il materiale dagli imbraghi e lo appendiamo con ordine alla sosta, ci cambiamo i vestiti e tiriamo fuori la nostra cena, consistente in pomodori (dell’orto della famiglia Furlani!), mozzarella e tonno: certo, non una tipica cena da bivacco (e forse il motivo c’è, visto che il sugo si è sparso in tutto il sacco), ma innegabilmente raffinata.
Un centinaio di metri più in basso, proprio sulla nostra verticale, Ruggero Faoro, il gestore de La Lanterna, è l’unico, oltre alle nostre famiglie, a sapere del nostro bivacco e così immaginiamo che sia il nostro angelo custode, che vegli dal basso su di noi e osservi i movimenti dei fasci di luce delle nostre frontali, interrogandosi su cosa stiamo facendo e sul nostro stato d’animo, e dunque noi lo rassicuriamo, rispondendo alle sue domande inespresse. Ci pare quasi che Ruggero sia l’unico collegamento con un mondo lontano, che per un attimo non ci appartiene più e a cui noi non apparteniamo più, invisibili a tutti se non a qualche occhio attento che avrà scorto un barlume di luce proprio là, dove a sua memoria, c’era un muro di roccia.
Sfruttiamo l’ultima luce prima che il buio ce lo impedisca per giocare un po’ a carte e poi, una volta che il cielo è scuro e la luna alta, ci corichiamo. Notoriamente la roccia è dura, ma la nostra era anche parecchio inclinata, fortunatamente verso l’interno e non sul vuoto, per cui il sonno non ci rapisce immediatamente.
“Dormono le cime dei monti e le gole,
i picchi e i dirupi,
e le famiglie di animali, quanti nutre la nera terra,
e le fiere abitatrici dei monti e la stirpe delle api
e i mostri negli abissi del mare purpureo;
dormono le schiere degli uccelli dalle larghe ali (Fr. 49 Garzya, Anacreonte)”.
Dormiamo anche noi e la Luna veglia su di noi e custodisce i nostri sogni.
La prima volta
di Laura Gaspon
Quante prime volte nelle nostre vite? Il primo giorno di scuola, il primo bacio, il primo viaggio da soli, la prima auto, il primo lavoro… E per la categoria alpinisti la prima cima, il primo compagno di cordata, la prima via…
Quest’anno per Lucia ed Elena è stato l’anno del primo bivacco in parete.
L’idea è arrivata, come al solito, come fulmine a ciel sereno: “Mamma voglio fare un bivacco in parete!” “Con Elena?” “Certo!” “Allora chiedi a tuo padre!”
Mi rendo conto che stavolta non posso contare sulla parte razionale del dinamico duo, evidentemente Lucia l’avrà pressata adeguatamente. O forse nemmeno troppo. Ho l’impressione che la cosa alletti anche Elena. E nemmeno sul veto del coniuge che, naturalmente, non ci vede nulla di strano.
E quindi dovrò rassegnarmi a vedere alzarsi l’asticella: dopo 4 giorni in Lagorai ora un bivacco in parete.
Viene fatta una rapida valutazione per individuare una via non troppo lunga che abbia una cengia papabile per bivacco e vince la via Selene a San Paolo di Arco. E quindi è deciso, sarà bivacco.
Nel tardo pomeriggio di un giorno d’estate da Pietramurata parte una piccola spedizione di donne: le due protagoniste, io e Guya che si adatta a fare da vice mamma all’una o all’altra ragazza, secondo necessità.
Prima tappa alla Lanterna, punto di ritrovo molto conosciuto in loco; visto che la via è proprio sulla verticale del locale, ci premuriamo di avvisare il Ruggero, il gestore, perché non è la prima volta che il soccorso viene allertato perché qualcuno scorge luci in parete.
Mi prendo sulle spalle una corda ed accompagno le ragazze per i pochi metri che ci separano dall’attacco della via. Chiaramente la collaborazione non è richiesta, ma cerco di prolungare il momento della partenza e di ritagliarmi un piccolo contributo alla spedizione, una sorta di vicinanza attiva. Mettiamoci pure un po’ di invidia. Alla loro età i bivacchi in parete li leggevo sui libri di Cassin e Bonatti. E di Gogna.
“Mi raccomando non slegatevi MAI, per nessun motivo!” Un abbraccio e partono ed io torno all’auto cercando di scacciare dalla testa terribili immagini di adolescenti in caduta libera dalla cengia del bivacco per qualche distrazione.
Sono a casa, sono le 22.30 ed ormai la luna piena è alta in cielo. È una notte calma di metà agosto e già c’è nell’aria un odore di fine estate che fa un po’ di malinconia. Che dirvi: non ce l’ho fatta. Non ho saputo resistere, ho ripreso l’auto e mi sono riportata sotto la parete nella speranza di scorgere le luci delle frontali. Non ho visto nulla. Forse le ragazze sono state particolarmente discrete o forse non serve loro altro oltre alla luce della luna.
Però, che avventura per loro. E, soprattutto, che amicizia: diventa sempre più forte di pari passo con le esperienze condivise che sedimentano, strato dopo strato: camminate con zaini pesanti che segano le spalle, fame e sete durante i trekking, tuffi nelle gelide acque del lago di Cavedine, pelle scottata dal sole, compiti scolastici svolti assieme, arrampicate ed ora il primo bivacco in parete e con la luna piena poi! Che meraviglia.
Non mi resta che rientrare a casa. Buona notte ragazze.
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Brave! Bravissime! Attente a non finire in grotta.
Che dire se non brave. La giovinezza è una magia e l’avventura al di là di stereotipi e convenzioni c’è dove ogn’uno di noi la va a cercare. La vostra che è iniziata lo scorso anno, vi porterà lontano, lasciatevi guidare da lei più che potete.
Tantissimi sinceri complimenti !!! E’ bellissimo quello che riuscite a fare alla vostra giovane età. Continuate a sognare le vostre avventure e quando le realizzerete …. cercatene sempre di nuove !!!
…..ma brave ragazze!!! Bellissima esperienza. Complimenti Lucia, complimenti Elena, la vostra amicizia vi suggerisca nuove esperienze, accompagnate da passione ed entusiasmo. Anna
Simpatiche ragazze!
Dopo esami classici del dovere gli esami della propria onirica volontà ,immerse nella natura (e anche in sè stesse)…pieni voti!
Le figlie che tutti vorremmo.
BRAVE.
Brave ! Fa gran piacere leggere di ragazze così
E sono sulla buona strada per imparare la lezione più importante, sia praticamente che metaforicamente: la mappa non è il territorio.
Complimenti ragazze! Fantastica iniziativa, oltre ad un ottimo articolo. Il ricordo di questa bella esperienza vi accompagnerà nella vita. Infatti avete risvegliato in me il ricordo di “un’impresa” analoga alla fine del liceo, ormai 50 anni fa, con il giro del Gran Paradiso. Grazie.
Brave Elena e Lucia!!!
Ho sempre considerato fondamentale nella vita sognare, cercare ed inventare l’avventura, Ritengo altrettanto importante condividere le avventure vissute raccontandole scrivendo. Elena lo hai fatto molto bene. Continuate così.
Queste ragazze hanno imparato presto! Esperienze di questo tipo lasciano, in chi le compie, ricordi indelebili. Chiunque ami l’avventura e, in particolare, l’avventura in montagna, ha sicuramente vissuto simili esperienze, magari con un tantino d’incoscienza, ma sempre molto gratificanti.
152 minuti di applausi!!!
Che dire? Queste sono le cose che mi piacciono, due giovanissime alla ventura tra i monti, tra temporali e pareti da superare.
Brave ragazze! Avanti tutta!