Storie della Valle Nera

Storie della Valle Nera
(vecchio nome della Val Vogna)
di Marco Fanchini (Alpe Buzzo, Valle Vogna)

Lasciare il posto migliore di come l’abbiamo trovato, era il motto di Robert Baden-Powell, fondatore dello scoutismo, rivolto ai suoi scout e a tutti gli uomini. Forse era un motto sbagliato, perché sono in tanti che per “migliore” intendono lo sfruttamento di tutte le risorse del posto, distruggendolo. A volte penso che forse, il posto, sarebbe meglio lasciarlo così com’è. Però è inevitabile, vivendo, avere a che fare con il luogo in cui si vive. Per chi vive in montagna, come me, tenere pulito il ruscello, il sentiero, il bosco, diventa indispensabile.

Alpe Buzzo, Val Vogna (VC)

Purtroppo la montagna è stata per lo più abbandonata negli anni addietro, con questo si è perso anche il senso di certe cose. Noi lo sappiamo perché ci viviamo, vediamo cosa succede quando non si ha cura del territorio: è come non avere cura del proprio Amore, prima o poi si ribella, lo riscontriamo poi, quando a valle e nelle pianure ci sono frane e i fiumi esondano, provocando gravi danni. E tutto in qualche modo parte da qui, dalla montagna. Probabilmente, solo se si vive qui si possono capire realmente i delicati equilibri di questi luoghi così selvaggi, dove la presenza dell’uomo può essere determinante in positivo così come in negativo. Purtroppo è difficile, se non impossibile, che a scuola e persino nelle università si possano imparare certe cose, non si apprendono sui libri, ci vuole qualcosa di diverso, forse anche una certa spiritualità. Su quei sentieri ci ho camminato anche di notte, al buio e senza pila, conosco ogni sasso, anche quelli imbrattati di vernice e qualche volta anche dopo aver fatto festa. Come la notte di Natale di qualche anno fa, quando la gente, invece di guardare verso l’altare guardava me che ero sceso dalla montagna in mezzo alla neve per la messa. Finita la cerimonia abbiamo poi mangiato una fetta di panettone sul sagrato della bellissima chiesa di Riva Valdobbia e bevuto un po’… Arrivare a casa dopo una sana camminata è sempre bello. Ma non sono più andato a messa e sono diventato buddhista.

Certe volte è impegnativo anche socializzare.

Marco Fanchini su una nuova variante (1988) alla via Wunschland al Sass dals Nü, Gruppo di Sella. Foto: Marcello Cominetti.

Poi arrivano delle persone che si mettono a imbrattare di vernice i poveri licheni che vivono sui sassi, con la scusa di segnalare il sentiero, tanto ormai vanno tutti in giro con il GPS, anche le vacche (ti dice dove sei e dove devi svoltare, puoi impostare la voce e anche la lingua, te lo dice anche con l’accento scozzese). Gli chiedo: “ma come?” i sentieri vanno prima di tutto tenuti puliti datemi piuttosto una mano a mantenere puliti i sentieri.

Così l’anno dopo sono venuti con la motosega, quando io non c’ero, hanno tagliato tre larici di 15/20 anni sul mio terreno, vicino a casa mia, lasciandoli lì, così, buttati lì come un cafone getta via l’immondizia e hanno nuovamente verniciato i miei sassi, tra l’altro fuori dal percorso. Per favore, non venite più. Se venite, portate solo voi stessi, camminate in pace sui nostri sentieri e se vorrete, potrete darci una mano a mantenerli puliti, ma insieme con noi.

Marco Fanchini in sosta sulla via Spit Verdonnesque Edentée, parete nord dell’Eiger, terza ascensione. Foto: Marcello Cominetti.

Poi arriva qualche benestante che si compera una parte di Valle, progetti ambiziosi ma completamente irrealizzabili, si dice che volessero costruire degli impianti sciistici: impossibile in Val Vogna, che è costantemente sotto valanga nel periodo invernale. D’altra parte queste persone non conoscevano assolutamente il territorio perché vivono in Calabria. Ma almeno non hanno fatto danni, gli voglio bene, anche se purtroppo, vedono la montagna come un grande Luna Park.

Poi ne arriva un altro, anche lui si compera una parte di Valle e subito vuole farci una strada, non a spese sue, ma della Regione, ci mancherebbe (quindi a spese nostre). Un momento, aspetta un attimo!

Come avrà fatto a convincere i rappresentanti della Regione non lo so, sta di fatto che da qualche anno nella Valle ci sono delle vacche scozzesi, ogni anno aumentano di numero, hanno invaso la Valle e mangiano ovunque senza che nessuno le governi. Le trovo spesso nel mio orto e tra i miei mirtilli, ma non posso governarle da solo, ce ne sono tantissime, nessuno sa il numero.

Marcello Cominetti sul Pilone Centrale del Frêney. Foto: Marco Fanchini

Noi le conosciamo per nome le nostre vacche, una ad una e sappiamo di sicuro quante sono. Le scozzesi hanno distrutto migliaia di piantine sul mio terreno, perché spesso sono lì da me e mi tocca fare il pastore di bestie non mie per mandarle via. Ma ho sentito che qualcuno dice che quei pastori, che stanno appoggiati lì sul loro bastone e guardano le vacche senza fare niente, sono superati: adesso siamo proiettati in un futuro in cui le vacche, come i turisti, sono in giro con il GPS. Ma poi chi lo sa usare? I danni che fanno queste bestie non sono solo sul mio terreno: dove normalmente pascolano loro i mirtilli non crescono più, e tutti i piccoli alberelli sono rotti e finiscono nel torrente, ostruendolo e dappertutto sui sentieri. Forse le Highlander si sentono spaesate e se la prendono con quei poveri alberelli, trasportandoli qua e là con quelle corna.

Normalmente in primavera, dopo le valanghe e quando la neve si è sciolta, in certi punti (ovviamente quasi sempre i soliti) ci sono rami, piccoli e anche grandi larici ammucchiati, che se lasciati lì, prima o poi finiscono nel torrente. Ma queste vacche scozzesi sono peggio delle valanghe.

Penso che chi possiede animali esotici che non fanno parte di un determinato territorio, dovrebbe perlomeno essere limitato nel numero di capi, soprattutto se l’impatto con il territorio può essere così disastroso e dovrebbe pagare una tassa seria per ogni capo che possiede, altroché ottenere i finanziamenti pubblici e gli aiuti europei per l’agricoltura, altrimenti chi ci rimette è sempre il povero contadino, quello vero, che i finanziamenti e gli aiuti non li vede mai, ma una volta viene invaso dagli insetti cinesi, un’altra dalle vacche scozzesi, quell’altra dagli incivili che ti rubano le poche risorse. Ma è possibile che i divertimenti dei ricchi possano essere così illimitati fino a poter distruggere e snaturare una valle? Credo di sì, finché ci sarà chi lo permette e chi lo sopporta in silenzio.

Marco Fanchini in sosta sulla YperScotoni, Cima Scotoni. Foto: Marcello Cominetti.

Marco Fanchini, guida alpina dal 1984, è stato istruttore ai corsi guida dal 1984 al  2001. Oggi non più attivo, è specialista del massaggio ayurvedico-yoga, master reiki e pranoterapeuta, ex pastore e produttore di ottimi formaggi, scrittore di guide alpinistiche e fotografo. Vive da molti anni sul Monte Rosa all’Alpe Buzzo, in Val Vogna.
Al suo attivo ha numerose prime e prime ripetizioni in Dolomiti, sul Monte Bianco e sul Monte Rosa, numerose vie su tutto l’arco alpino, nelle Ande, in Patagonia e nell’Himalaya indiano.

Storie della Valle Nera ultima modifica: 2019-12-20T05:12:52+01:00 da GognaBlog

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38 pensieri su “Storie della Valle Nera”

  1. Ho specificato legali perché in valsesia /come altrove/ siamo molto ‘amichevoli’ ma non si può (soprattutto dopo aver tirato su sto casino)..so che sei suo amico Marcello, perciò chiedevo a te/ voi se avete idee che possano far smuovere la situazione. Ho in mente il film Il gladiatore, dove grazie al consenso del pubblico ne è uscito vincente..lavoro in una panetteria ed effettivamente è così..i miei clienti/ amici mi vogliono bene e mi sostengono. Se così non fosse non potrei fare questo lavoro..lui da coltivatore idem. Sono certa che una o più soluzioni esistano e l aiuto del pubblico possa far sì che la vicenda volga al termine..il 
     

  2. chiedo a voi..
    Come lo si può aiutare concretamente in questa estenuante tiritera che dura da troppo? avete delle soluzioni o idee /legali/ ? ….Prima che l emigrante diventi lui e così contribuire al ritorno della valle nera..

  3. Io ci sto! Carlo Possa è simpaticissimo e piacevole che non sembra manco un socio del Cai di quelli che te li immagini con gli scarponi anche a letto.Penso che con Marco Fanchini (se già non si conoscono) andrebbe d’accordo e viceversa. Ai portatori per il lambrusco chi pensa?

  4. Viva la Val Vogna!
    … … …
    A proposito, Carlo Possa, storico e simpatico maggiorente del CAI di Reggio Emilia, mosse i suoi primi passi in montagna proprio nella Val Vogna. Piú volte, sul giornale sezionale (Il Cusna), ne ha elogiato i pregi, descrivendola come una piccola Shangri La. Possa ha scritto anche un libro, La Pace coll’Alpe (che non ho ancora letto, ma mi riprometto di farlo a breve), dove presumo siano raccontati i suoi piú bei giorni sui monti. Tra questi con ogni probabilità ci sarà pure la mitica Val Vogna.
     
    Alessandro, quando organizzerai una bella gita del GognaBlog in Val Vogna? Direttore tecnico: Marcello Cominetti (guida alpina). Capogita e cicerone: Carlo Possa. Partecipazione obbligatoria (pena l’espulsione con infamia dal GognaBlog).

  5. Bragantini, non si capisce se il casco lo porti oppure no. È  tutta colpa mia se i commenti sono deviati sul casco si e casco no. L’avevo mostrato come simbolo di libertà qua do avevamo ventanni ma poi tutto si è orientato sul casco uscendo completamente dal tema Val Vogna. Bella cazzata.

  6. Non ho mai portato il casco, anche in scialpinismo. Un giorno in montagna un signore si è avvicinato e notando un gruppo sprovvisto di casco, fra cui un suo conopscente, ha detto: “Vedo che nessuno di voi, compreso il mio amico X, porta il casco. Se faceste il mestiere che faccio io, lo mettereste…”
    Era un medico del Pronto Soccorso. Io il casco l’ho comprato, e lo porto regolarmente. Anche arrampoicando, all’inizio degli anni ’60 andavo spesso senza casco. Un giorno un sasso mi ha aperto un buco in testa, dal quale sanguinavo copiosamente, tanto che quasi svenivo. Indovinate cosa ho fatto dal giorno dopo…

  7. Simpatica la coincidenza della pubblicazione del tuo articolo con ciò ch è successo lo stesso giorno a un assessore di Fratelli d Italia della nostra Regione…volevano turismo e strade ma è stato lui ad essere..asfaltato…altra casualità è il partito all epoca elezioni voleva proprio rilanciare alla grande la val vogna..ma il fulcro è ..casco o non  casco? l unico che casca è l asino..e ha trovato proprio quello giusto con cui trattare 😂😂  

  8. Condivido. Più che colonscopia io userei il termine tecnico “coprolalia” indica quella fase in cui i bambini sono attratti dalla cacca e ne parlano in continuazione. Da adulti diventa una patologia di cui sembra sofrisse anche Mozart. Io non lo seguo per la parte dibattito, per ovvi motivi, e poi capisco anche poco di come si esprimono, ma mi interessa capire (ognuno ha i suoi gusti) i comportamenti collettivi, anche quelli un po’ patologici, e ogni tanto vado a curiosare. È uno specchio di un pezzettino della comunità arrampicatoria che non saprei stimare nelle dimensioni. Non tutti sono così, anche se qualche micro/tratto lo vedo anche in ragazzi ok che incontro in palestra. Così come su un altro piano poco si capisce di cosa succede se almeno una volta, non di più perché stai male, non vedi uno dei programmi della De Filippi e non vedi in azione la sua tecnica di consenso e popolarità, o non ascolti almeno una volta la Zanzara. Anche per contrastare una malattia prima bisogna capirla.
     
     

  9. La lettura del forum di Planet Mountain lascia sbigottiti per il livello primitivo dei commenti, escluse – beninteso – le evidenti eccezioni.
    Non mi riferisco solo al lessico, all’ortografia, alla sintassi, ecc. ma anche alla trivialità e soprattutto alla sciatteria del pensiero: desolante.

  10. Papa nero mi piace! La cantavano i Pitura Freska se non mi sbaglio.
    Seguire più di un blog? Mica sono così scemo! A volte mi detesto pur seguendone uno solo…La verità è che mi interessano gli argomenti più dei commenti, ma poi scopro che dai commenti nascono nuovi punti di vista, quindi ben venga questo sistema di “andare al bar”.Il forum di Planetmountain (non me ne vogliano i fondatori che sono miei amici) è come una colonscopia.
    Eppure frequento arrampicatori e alpinisti  che hanno l’età dei miei figli, ma nessuno di loro è frustrato al punto di parlare della propria passione in certi modi. E scalano, eccome se scalano!

  11. Bestiu! Un altro mondo.
    Grazie mille e molti auguri a tutti voi del papa nero. Ciao!

  12. Mi alleno…….sperando il linguaggio influisca anche sul grado in arrampicata, anche non ci spero purtroppo
    WB Crov👻
    WTF non sai trovare? Ma ando vivi? Hai fatto el soldato a C.eo🤡👾w2lt
    Sei black come il fondale del tuo blog da 4 friends Albard🦾 xoxo
    come sono andato? Mio nipote dice che come inizio è accettabile. Vai su wikipidia “Gergo internet” e trovi le sigle. Poi vai su Planet Mountain Forum. Nella sezione News e varie, clicca su Generale. In alto nello spazio di ricerca e digiti : “ Affollamento “ e ecco a te apparire gli interventi di ottobre.
    C6.. spero CU🎅🏿
    Un saluto e un augurio (vecchio stile)

  13. Ciao. Com’è il link preciso con il forum di Planet mountain dove trattano l’affollamento in montagna?
    Essendo io un ultra-giurassico, non so neppure rintracciarlo da solo!
    Altra cosa: interessanti le statistiche sugli italiani senza tv (8%,) e su quelli senza cellulare (10%). Io non rientro in nessuna delle due, anche se guardo tv solo in chiaro e spesso lascio volutamente il cell sulla scrivania per uscire standomene tranquillo con me stesso, anche in citta’. Chissà se qualcuno ha stimato gli italiani che non utilizzano per nulla i cosiddetti social, parlo di Facebook, Twitter e Instagram. In questa statistica (io no social) io rientro in pieno.
    Infine mi pare di aver letto che i giovinastri abbiano appellato questo blog “del papa nero”. Ma vi risulta  che sia in generale o solo per l’argomento dell’affollamento?
    Vi ringrazio per la solidarietà, l’apprezzo genuinamente, ma ho la pellaccia spessa e le spalle belle larghe.
    Buone feste a tutti! Ciao!

  14. Tanto tempo fa affermavano: “Ricordiamo che il primo scopo del casco non è proteggere dai sassi, bensì proteggere il capo in caso di caduta”. Visti i terreni su cui ci muoviamo questa precauzione dovrebbe valere ancora. Viste però le dimensioni di alcuni caschi omologati in circolazione o come a volte vengono indossati, i dubbi sorgono spontanei.

  15. Se volete divertirvi a proposito di stili generazionali durante le vacanze andate a vedere su Planet Mountain Forum la discussione sul tema “Affollamento in montagna:esiste davvero?” Iniziata 1 ottobre 2019- riprende quella sviluppata qui, quello che loro chiamano il blog del papa nero. Praticamente è rap : tipo il Rap della minchia di Jovanotti. Istruttivo. Sarebbe divertente farne un’imitazione alla prossima discussione. Menano comunque anche loro Crovella. Dovremmo costituire un’associazione “Giu’ le mani da Caino”😁😍🤡 Buon Natale

  16. La memoria fa cilecca (una caratteristica del target); ecco perché ci piacciono tanto le storie commemorative; un Viagra spirituale 🤪😛🙀👹😇

  17. A spanne, noi del segmento “giurassico” rappresentiamo una quota rilevante del target di questo blog. Basta guardare il Forum di Planet Mountain: le differenze sono evidentissime. In quel contesto certe problematiche e certe modalità di comunicazione manco se le filano direbbero loro con un sacco di faccine e frasi in gergo a volte difficili da capire se hai più di 25 anni.  Anche se ci sono punti comuni come l’ambiente: Jane Fonda arrestata a 82 anni per la quinta volta.

  18. Marcello appartieni  al segmento dei senza televisione (8%). Forse non a quello dei senza cellulare (10%). Siamo sempre un target per qualcuno. Tornando nella casa di un mio amico dopo un’arrampicatina , a Semorile, paesetto sopra Zoagli, siamo stati avvicinati da un ragazzo gentile e ben vestito che voleva venderci Lotta Comunista, un giornaletto in bianco e nero che sembra stampato e scritto negli anni ‘70. Gli abbiamo chiesto: perché lo proponi a noi. Risposta: ho visto l’età, l’abbigliamento, l’auto, lo stile e ho pensato che magari me l’avreste comprato o almeno non mi avreste mandato a fare in ….”una lacima sul viso” cantava la Cinquetti.

  19. Purtroppo ogni categoria è spesso rappresentata in TV in forme grottesche. Corona è un esempio, ma se ne potrebbero fare altri. È un genere chi viene chiamato informazione/intrattenimento. Anche il nostro blog è informazione + intrattenimento ma essendo destinato ad un pubblico selezionato ha meno bisogno del caricaturale e del grottesco per fare audience. Anche se certe modalità da dibattito televisivo con personaggi fissi e ben definiti su temi controversi attirano più interventi anche qui, come avrete notato. Io per primo ho fatto l’esperimento sul tema delle gare e si è verificato puntualmente il fenomeno della polarizzazione che attrae, anche se qui manca il ruolo dei “costumi di scena”, solo in parte sostituito dal linguaggio. Come avrebbero vestito me e Crovella gli sceneggiatori in televisione? Casco o senza casco ?

  20. Il casco come abbigliamento. Anche  in montagna valgono le dinamiche: uniformità e/o differenziazione. “L’abito non mente. Il ruolo dell’abbigliamento nel definire chi siamo, cosa facciamo e cosa pensiamo “ By Gaia Vincenzi.Prima o poi qualcuno scriverà una storia dell’abbigliamento in montagna. Sicuramente una donna. Bisognerebbe intervistare anche chi cura il trucco e parrucco di Corona in televisione. Purtroppo per il grande pubblico (anziano) che guarda la TV rappresenta la categoria dell’alpinista: notare il cambio continuo di look: dall’alpino alla canottiera che evidenzia i muscoli.
     

     

  21. Et in Val Vogna ego
    La Val Vogna è la terra bucolica in cui gli uomini vivono nella felicità, un paradiso in questo mondo di lacrime. Piú di Utopia, molto piú della Città del Sole e ancor meglio della valle sperduta di Shangri La.
    E tuttavia, mentre un pastorello si intrattiene sull’erba dei prati, suonando spensierato il suo flauto, dalle ombre della foresta lí accanto appare a un tratto una figura da incubo. Avanza con ghigno infernale, avvolta nel suo mantello nero, e la falce che impugna non è destinata al grano nei campi.
    Puntando il dito scheletrico contro il giovane ignaro, cosí si presenta:
    – Attento a te, pastore. E ricorda: io sono anche in Val Vogna.
     
    P.S. Libero adattamento dal detto in lingua latina «Et in Arcadia ego».

  22. In tema di crani sfondati (🤘🤘🤘), consiglio la lettura del libro «Totem Pole. Risalita dall’abisso» di Paul Pritchard, ed. CDA, 2000, collana «le Tracce». 
    A seguire, doverosa e dolorosa meditazione sulla caducità della vita…
     
    Dopo però sarà meglio consolarsi pensando alla pace bucolica della Val Vogna.

  23. Mah, se uno in discesa ha paura delle capocciate se lo metta pure, ma chi lo porta anche in salita penso abbia dei seri problemi psicologici. Se poi fa l’istruttore a qualsiasi titolo, bisognerebbe destituirlo. Non si possono tirare su generazioni di idioti come sta purtroppo accadendo sempre più.

  24. La piega che ha preso questa chiacchierata verso il tema del casco mi ha fatto venire in mente alcune considerazioni che spero introducano un po’ di ironia…
    In arrampicata, io ho sempre indossato il casco anche in falesia, per scelta. A Finale negli anni ’80-90 portare il cascio era da veri sfigati, da vecchi scarpun, oilì oilà (ci mancava solo avere anche la penna d’aquila e i pantaloni alla zuava).
    Per fortuna restava lo scialpinismo (tradizionale), dove io non ho mai indossato il casco fin dalla notte dei tempi. Nelle ultime stagioni si è invece diffusa a macchia d’olio l’abitudine del casco (ri-preciso che stiamo parlando di scialpinismo classico e non di sci ripido). Le scuole di scialpinismo stanno spingendo in questa direzione, alcune hanno già introdotto il relativo obbligo, per allievi, ma anche per gli istruttori.
    La sensazione però è che molti scialpinisti indossino il casco perchè “fa figo”, perchè le riviste di tendenza pubblicano foto di ripidisti e/o agonisti con il casco. Insomma, mettersi il caso è un modo per somigliare agli opinion leader, per brillare agli occhi di allievi e soprattutto allieve…
    L’ultima novità sociologica, recentissima, è che ho visto molti miei colleghi (originariamente vecchi scarpun) che, dopo decenni e decenni di gite scialpinistiche senza casco, adesso lo indossano con assiduità. Peccato che si tratti di caschi da fighetto, aerodinamici, colorati in modo sgargiante, con disegni vari…
    Insomma l’impressione è che nello scialpinismo il casco sia  indossato più che altro come status symbol.
    Morale: a Finale dove i fighi arrampicavano (e probabilmente arrampicano ancor oggi) senza casco, io lo indossavo. Nelle attuali gite in sci (dove i fighi, allineati all’ultima modo, indossano il relativo caschetto), io non lo porto.
    “Sei proprio uno sfigato cronico” ha commentato sarcastica mia moglie…

  25. Cassin portava il cappello e lo zaino.
    Mi diceva di stare sempre attento e di evitare i sassi spostandomi, alla peggio di mettermi lo zaino sulla testa.
    Il casco come tante robe moderne dà sicurezza, ma spesso toglie l’attenzione e i  rischi aumentano.
    Non so se bisogna dire di portare sempre il casco, io preferisco spiegare i pericoli e come fare attenzione per riconoscerli e poi evitarli.
    Ma stiamo sviluppando l’automobile senza pilota e quasi tutti portano il telefonino acceso 🙂
    La ricerca delle verità obbliga al loro rispetto, annulla la piacevole illusione della libertà e permette l’autonomia….. può anche fare in modo che gli stupidi vengano protetti.

  26. a metà anni 80 sulla via Frisch-Corradini alla Pala del Rifugio  presi una sassata in testa. Nonostante il casco una bella ferita e 4 punti all’ospedale di Feltre. Sicuramente mi ha salvato la vita.
    Detto questo portare il casco è una rottura di palle. In falesia non lo porto mai, tanti altri lo fanno, e anche su certe vie sportive dove la qualità della roccia da buone garanzie ne faccio volentieri a meno. Anche se poi il casco non protegge solamente dai sassi ma anche da eventuali possibilità di andare  asbatte con la testa se ti rovesci in una caduta.  Alcuni amici per questo mi criticano e dicono che do il cattivo esempio.
    Gli rispondo che sono istruttivi anche i cattivi esempi.
    Su vie alpinistiche o su ghiaccio, cascate, invece lo metto.
    Il casco fa sudare, quando arrivo in sosta spesso me lo levo e aspetto un poco che il sudore raffreddi e poi me lo rimetto così se sente un bel frescolino alla testa.
    Comunque resta una rottura di palle.

  27. Ma certo Fabio! Il casco lo metto eccome. A 20 anni e in quegli anni si poteva non mettere per l’ideologia che rappresentava per ognuno. 
    Anch’io ho preso tanti sassi in testa ma avendo il casco non me la sono rotta, ma quando mia figlia ha compiuto 14 anni e come regalo mi ha chiesto di poter sciare senza casco (perché in pista è obbligatorio fino ai 14 anni per legge) con le sue amiche, io ero felice!
    Oggi il nostro patto è che in pista il casco lo deve mettere, mentre fuoripista o con le pelli (nella montagna libera del freeskiing) può farne a meno, e siamo tutti contenti.

  28. Marcello, permettimi di non essere d’accordo. L’alpinismo è sí espressione di libertà ‒ è il suo aspetto migliore ‒ ma un sasso può sfondare il cranio. Pierre Mazeaud sulla parete nord-ovest della Civetta si salvò grazie al casco, e cosí tanti altri.
     
    In definitiva, non deve esistere l’obbligo del casco ‒ libertà! ‒ ma solo il consiglio, la raccomandazione di non farne a meno. Poi ciascuno farà le sue scelte, in modo consapevole.
    Però chi opta per il casco non è per questo meno libero di chi arrampica con la bandana o a testa nuda.

  29. Per Paolo Gallese: non è vero che i tuoi commenti sono impropri. Per esempio le tue considerazioni sul modo femminile di concepire l’avventura e l’andare in montagna (mi pare commento 30 dell’articolo di ieri) le ho trovate molto argute e interessanti. E’ un fenomeno che sto monitorando anche io da un po’ e sono curioso di vedere come si evolverà. In ogni caso, a dispetto degli amanti dei tweet sintetici,  è sempre bene scrivere quello che si pensa, anche quando può sembrare non direttamente collegato all’articolo del giorno, perché il confronto fra le idee è una vera ricchezza.

  30. Le foto in cui non usavamo il casco credo non siano un caso, ma un segno di libertà.  La stessa che aveva il contadino di un tempo. Oggi appaiono come azzardi, pur essendo rimasto immutato il rischio di un sasso in testa. A cambiare sono stati gli standard introdotti dal sistema, che hanno cambiato anche le teste delle persone. Jean Affanasieff arrivava a sostenere che il casco in montagna fosse antiestetico. Quello che oggi è sicuramente etichettato come follia, anni addietro era semplicemente idealismo è forte senso di sano individualismo, in una parola: libertà.

  31. Che dire di più e di diverso di quanto già esposto nei commenti dei precedenti post (mi pare di settembre)?
    Purtroppo non posso che limitarmi ad offrirti la mia incondizionata solidarietà emotiva. Quello che in realtà mi piacerebbe fare, nei confronti di tutti gli individui da te descritti, è vietato dalla legge.
    Certo che la tua esperienza mi fa riflettere: è da circa 10 anni che mi piacerebbe smontare tutto in città (Torino, a cui sono affezionato in quanto tale, ma che sta diventando invivibile) per trasferirmi in un luogo tranquillo, senza stress e senza folla.
    Ma, sulla base dei tuoi racconti, mi rendo conto che è un miraggio. Magari quando prendi residenza in una certa valle, in quel momento il luogo è idilliaco. Il problema è che il futuro è ingovernabile. Se non arrivano le mucche scozzesi, ci sarà l’eliski, oppure un’organizzazione di quad, oppure boscaioli canadesi che lavora intensivamente nella foresta… insomma, la tranquillità non fa più parte di questo mondo. 
    Perché la tranquillità, lo starsene in pace e lasciare gli altri in pace, non piace alla società consumistica ed edonistica. Chi trascorre le giornate a leggere un libro, ascoltare i rumori della natura o semplicemente a meditare in silenzio… non consuma, non acquista, non alimenta il circuito economico.
    Gli altri, quelli delle strade, quelli degli impianti, quelli delle vacche scozzesi e cose del genere, quelli invece alimentano il circuito economico e quindi vengono addirittura spronati, mentre bisognerebbe debellarli.

  32. Torno a commentare di montagna vera e vissuta (su altri post non ci vado più, non è la mia dimensione e parlo a vanvera).
    Nelle mie, ormai lontane, alte valli marchigiane ho visto accadere le stesse cose. Ho visto arrivare leggi e regolamenti che impedivano al contadino di proseguire l’uso dei suoi saperi e mestieri antichi. Ho visto vendere, ho visto partire, ho visto dimenticare.
    È giunto spesso (sempre di più), chi aveva i denari per seguire le nuove norme, i nuovi regolamenti.
    Non c’era più bisogno di saper fare e porre mattoni, di cuocere tegole, di segare e lavorare legno. Non te lo lasciano più fare.
    Non si poteva più tenere pulito il bosco, la fonte, il torrente… tirare sassi (o qualche schippettata) alla volpe o alla faina che facevano la festa ai polli.
    Se coltivavi qualche varietà antica non potevi venderla. Dovevi cambiare sementi e poi svenderne il frutto.
    Troppe regole che impongono spese impossibili per un contadino non benestante. E allora si vende.
    Si va via.
    Arriva chi può, non necessariamente chi vorrebbe, chi amerebbe, chi vivrebbe anche in modo modesto ma attivo.
    Le regole non vogliono modestia e dedizione. Impongono dazi, impongono investimenti.
    E la montagna passa ad altre mani.
    Le tue, che sapevano o sanno tante cose, al mondo moderno e razionale non servono più.

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