Sulle tracce dei 100 nuovi mattini – rotta verso sud
di Paolo Grisa
Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(2)
Premessa
Il giro di boa (che ti sei ormai lasciato dietro) dei 30… Un anno di grossi cambiamenti che ti aspetta, con i quali hai voluto metterti in discussione su tanti fronti e, forse, troppi tutti assieme. Senza sentirti in fondo davvero certo di nessuna di queste scelte.
E un bisogno, quello di “andare”, che si lega a un Libro che ti porti innanzitutto “dentro” di te prima ancora che “dietro” quando vai a scalare. Quella rarissima copia acquistata a caro prezzo a un’asta del noto portale web “mangia-botteghe-fisiche”.
Gianni Battimelli assicura l’autore all’inizio del Traverso dei Rondoni su Hellzapoppin a Gaeta.
Se riguardo indietro, a metà di questi maledetti trenta, vedo un ragazzo che sentiva di essere attratto da qualcosa e non sapeva come raggiungerlo. Dalla vita all’aria aperta in primo luogo e dalla “natura verticale” poi, ma senza minimamente avere idea su in che cosa consistesse davvero questa strana attività che risponde al nome femminile di “arrampicata”. Se non per un paio di libri passati da uno zio fotografo appassionato di viaggi. Senza comunque avere delle conoscenze o parenti praticanti che potessero avvicinarlo concretamente a quel mondo. Un anno dopo quel mondo si era (un poco) avvicinato, ma in un ambiente un po’ distante per un sedicenne, fatto di persone spesso con il triplo o anche più dei suoi anni. Dai corsi CAI ha imparato già moltissimo certo, ma allora, prima della maggiore età, chi avrebbe trovato disposto a condividere le gioie (poche) e i casini (tanti) delle prime salite in autonomia?
Ma per fortuna c’è un liceo. Non è il “suo” liceo, ma ciò che conta è che qui, un professore di educazione fisica un po’ atipico e che tira dritto per la sua strada, ha trovato il modo di avvitare poco più che quattro sassi di fiume sui 7 metri delle pareti della palestra per poi, in cima, fissare tre o quattro punti di sosta in cui passare le corde. Su quei quattro sassi, forse all’inizio fregandosene delle perplessità di genitori e colleghi, il prof-alpinista, già negli anni precedenti, ha permesso a uno sparuto gruppo di ragazzini carichi di entusiasmo per la disciplina verticale di aggregarsi. Ora alcuni di loro sono già più grandi e si sono lasciati alle spalle la porta del liceo anche se continuano a rimanere in contatto con quel professore. E… sorpresa, vanno in montagna, su pareti “vere”! Sì, perché non si sa come, a parte i quattro sassi e le tre soste in cima al muro della palestra, il professore matto aveva convinto il preside anche a lasciargli fare d’estate, grazie alla collaborazione di una scuola CAI, una settimana di corso di alpinismo in Dolomiti!!! E di fronte a una tale faccia tosta il preside probabilmente era stato talmente affascinato che in quegli anni ne erano stati fatti ben due di questi “camp”.
Giorgio Mallucci su L2 di Hellzapoppin, Gaeta. Lo assicura Massimo Marcheggiani (20 aprile 1980). Foto: 100 Nuovi Mattini.
L’incontro con il libro
Ma torniamo al Libro. Grazie a questa palestrina il nostro ragazzino conosce dunque questo gruppo di coetanei o poco più grandi di lui, che lo invitano a scalare anche fuori. Lui è fresco di corso, ma loro invece sono belli rodati perché in parete ci sanno andare davvero. E la meta iniziale avrà un ruolo importante nel suo percorso: Val di Mello, arriviamoooo!
Il Libro dicevamo… qui entra in gioco lo zio di uno di loro, che lo ha prestato al nipote fino a “data da destinarsi”. Che strano libro, diverso da quelli che lui ha già letto, dove si parlava di eroici gesti in alta quota compiuti da personaggi rudi e tutti d’un pezzo vestiti con pantaloni alla zuava, come René Desmaison nel suo 342 ore sulle Grandes Jorasses, e con le fotografie in bianco e nero. Qui i personaggi nelle foto sono colorati e “coloriti”: fasce nei capelli, maglie dai toni vivaci e jeans a zampa, così come le pareti: non più vette ma al termine dei ripidi muri di roccia morbidi altipiani: il verde dell’erba e dei licheni e il cristallino dei torrenti e delle relative pozze in cui tuffarsi. Su queste pagine non si fa una mera cronistoria delle salite. È un libro che non parla di estenuanti marce di avvicinamento o di pendii ghiacciati e notti gelide. È invece un libro di relazioni, pardon, “ri-creazioni” di itinerari che hanno poco a che fare con l’immaginario dell’alpinista, spesso si trovano a bassa quota, su strutture minori prive, appunto, di una vera cima.
Non solo. Che ci sia qualcosa di strano lo si capisce già dalle prime pagine: giri la prima “ri-creazione” (come vengono chiamate, in antitesi al concetto di ri-petizione) e vi trovi… il mare? Perché, si può scalare anche al mare? Leggi dove è stata scattata: Gaeetaaaa… E che posto è mai questo? Sotto Roma?
Per quel gruppo di ragazzi quel libro è un po’ mitico… parla di una realtà che non hanno vissuto ma che sentono di condividere. Qualcuno di più vecchio di loro però sì e forse gliene ha raccontato uno spicchio. Uno sì, ma uno di tanti, e ognuno diverso, con un proprio gusto tutto particolare, che lo accomuna per certi aspetti agli altri e per altri lo differenzia. Non è un caso che il libro si chiami così: gli spicchi sono 100, e ognuno è diverso.
Il mare dicevamo, la descrizione numero 1 parla proprio di una parete sul mare, nel centro-sud del nostro paese, il suo nome è via dei Desideri, e per quei ragazzi ognuna di quelle 100 salite, rappresenta un po’ un desiderio a sé. Molte di quelle più vicine alla loro zona le hanno già percorse e di molte, molte di più, sono in grado di citarne a memoria le didascalie che descrivono gli arrampicatori di quei tempi in azione sull’itinerario. A volte irriverenti, a volte dall’alone leggendario, a volte ironiche o sarcastiche, sono la fotografia di un’epoca, un moto di orgoglio, una piccola rivoluzione.
Via dei Desideri, dunque Montagna Spaccata di Gaeta, un’altra particolarità: che salita è mai questa in cui prima si è in alto, poi ci si cala in basso, per poi risalire verso l’alto?
Fabrizio Antonioli sulla L1 della via degli Ingegneri, Leano (23 aprile 1980). Foto: 100 Nuovi Mattini.
Una salita che non porta da nessuna parte, una salita che non “eleva l’animo dell’uomo verso le altissime vette e lo rende migliore, eccetera… No! Al termine dell’ascensione, quando l’arrampicatore arriva dove si conclude il verticale, e si spoglia dei panni e delle attrezzatture del personaggio, si ritrova esattamente l’uomo che era prima, con i suoi pregi e difetti. Rivoluzionario, non trovate? Almeno rispetto a cinquant’anni di retorica alpinistica precedente.
Ma Gaeta, Gaeta, maledizione, è lontana dalla Lombardia. Però rimane lì e, anche se il nostro protagonista non ha un gran rapporto con l’acqua, qualche esperimento più vicino a casa lo fa. Anche In sciö Bölesömme (ovvero, in genovese, “sul ribollire del mare”) infatti è parte della raccolta, 400 metri di traverso a sbalzo sul mare di Capo Noli, bellissimo, con solo un paio di passi da prestare attenzione e tutto il resto puro piacere. Pagina 34, ricreazione numero 13 per la precisione, per la quale c’è da ringraziare il mitico Alessandro Grillo.
Ma il pensiero di Gaeta resta, passano gli anni: ma quando è troppo caldo è troppo caldo, quando i giorni sono troppo pochi la strada è troppa, quando fa freddo ci sono le cascate di ghiaccio e quando c’è la neve c’è lo sci, quando ci sono altri progetti… ci sono altri progetti! Il nostro scopre anche che in primavera vige un divieto assoluto di scalata per esigenze faunistiche, quindi una volta ripiega all’ultimo sulla Croazia.
La verità è che il fascino per certe storie… o lo avverti perché le senti anche un po’ tue oppure non puoi pensare di contagiare chi proprio è prevenuto e ritiene che solo il proprio orticello offra il meglio o che la scalata meritevole sia solo una questione “alpina”.
Gianni Battimelli a Gaeta, anni Ottanta. Archivio Battimelli.
Il primo incontro con Gianni
Così passano gli anni, anni abbastanza ricchi di scoperta di nuovi posti, alcuni anche parte della famosa raccolta… dal lecchese alle fessure a incastro della Valle dell’Orco, ai temporali estivi della Val Maira, alla sistematica ripetizione di ciò che di bello e brutto c’è in Val di Mello (quasi una seconda casa)… altre perle della Pietra di Finale ormai schiacciate tra gli spit dei monotiri di alta difficoltà e con le prese ormai consunte, fino a un improbabile Castello della Pietra in una nebbiosa giornata autunnale (pag. 72, numero 29) o a un Risveglio alla Rocca Rossa di Cateissard (pagina 94, numero 39).
Ma non c’è solo il libro. Calanques, Corsica, Bismantova, Croazia. Spesso, il nostro protagonista, si trova a pensare che l’arrampicata dopotutto sia solo una scusa come un’altra, un mero mezzo, ha scelto questo ma potrebbe averne trovato uno diverso, per viaggiare. Nei luoghi certo, ma soprattutto nelle persone con cui condividerli esplorando se stessi in primis, nelle amicizie e nelle affinità elettive in un terreno, quello verticale, che forse aiuta a mettersi a nudo e ad accettarsi un po’ di più.
Ma il chiodo, ormai, era lì conficcato. Ed era lì in particolare quando, forse un po’ stanco dell’inflazionata e un po’ commerciale Valle dell’Orco, sulla spinta delle letture dei vari articoli di Motti si trovò, con l’amico Andrea, a scoprire le sue “Antiche Sere”. Il secondo Sea Climbing Meeting fu ben diverso da ciò che l’inglesismo potrebbe far pensare: niente casino e baracchini ovunque a rendere un bel posto per arrampicare simile a un bazar. Fu invece un incontro vero di un numero di persone limitato, permise di guardarsi negli occhi, farsi consigliare le vie dai local (grazie Marco Blatto) o raccontare la storia delle pareti da chi, anche solo per un soffio di anni, l’aveva vissuta. Chi aveva fatto da ponte tra la generazione mitica che quei luoghi li aveva “creati” (Motti, Grassi, Meneghin… e tutti coloro che hanno lasciato la firma sul masso che è detto “Il Libro”) e quegli sparuti giovani alla ricerca di quei luoghi appena un po’ più in là di dove di solito si ferma la massa.
Mariana Zantedeschi conduce sul penultimo tiro di Helzapoppin.
Ma sto divagando e portando lontano dal nostro tema primario: il mare. Quel giorno lui e Andrea volevano farsi consigliare una via dura… e li ascoltarono, sulle fessure larghe di L’Urlo del Silenzio, al bracciolo destro del Trono di Osiride, i due trovarono discretamente lungo. Dietro il secondo della cordata un trio non da poco, Andrea Giorda con la sua compagna e un forestiero giramondo che, hanno poi scoperto, ha scalato un po’ dappertutto: Gianni Battimelli, origini partenopee e residenza a Roma, professione: docente universitario di Fisica. Fisica… Fisica, chi altro s’interessava di Fisica e scalava…? Lo vediamo dopo.
Il nostro protagonista non ricorda se riconobbero Gianni grazie al fatto che nell’era digitale ci si conosce tutti tramite foto profilo prima che di persona. Ma in realtà forse quelli erano ancora gli anni dei forum, forse più social dei social di oggi, che facevano seguire alle chattate gli incontri in carne e ossa ben più di frequente che questi stramaledetti (a)social network. Il nostro si ricorda che mentre scalava e osservava come, dietro di lui, Gianni, che allora non sapeva che età avesse ma certamente già un discreto numero di primavere (del resto aveva aperto da studente alcune delle vie del Libro, edito, ricordiamolo nel 1981), avesse molta più tecnica di loro due con le fessure (del resto, scoprirono poi che non si era fatto mancare neppure una visita a Yosemite).
Il giorno dopo ebbero l’onore di salire in cordata con lui una bella via, più tranquilla, alla Torre di Gandalf. In una foto di quel giorno ci sono lui e Andrea che risalgono la pietraia di avvicinamento: il pomeriggio era previsto boulder al circuito di massi detto Polvere di Stelle, e Andrea affibbiò il suo crashpad a Gianni mentre loro due portavano gli zaini con l’attrezzattura per la via che volevano fare la mattina. Così era bellissimo vederli muovere: il più “esperto” con i jeans e il materasso sulle spalle e i due giovinastri con gli zainoni tipo “vecchi alpinisti”. Questo solo per dire che l’età è veramente un concetto relativo, e quando uno è avanti e aperto al rinnovamento, beh… lo puoi essere a 20 come a 60!
La sera al termine del raduno Gianni ci offrì una birra e io gli promisi che lo avrei chiamato appena fossi riuscito a organizzare di scendere verso le sue zone. Sì, perché di libri e articoli sul Nuovo Mattino avevo già letto tutto ciò che era stato scritto, e dunque ricordavo bene quella sua foto in bianco nero, con il casco con scritto “Woodstock”, e la dida che recitava “Gianni Battimelli controlla la sua Helzapoppin sulle scogliere di Gaeta”. Quindi per me le parole Battimelli e Helzapoppin erano mitiche già da un po’ e le avevo ben stampate in testa. Stiamo parlando del raduno del 2011, ci ho messo dunque 7 anni a mantenere quella promessa.
La sera si pianifica il giorno dopo. Da sinistra, Edoardo Zago, Paolo Grisa, Giovanna Carli, Mariana Zantedeschi e Jessica Locatelli.
Finalmente Gaeta
Ci ho messo 7 anni a trovare 5 giorni, il minimo sindacale per dare un senso ai tanti chilometri, e 5 compagni, lo stretto necessario per fare un po’ di casino e prenderla con uno spirito in linea con quello con cui vennero aperto quelle vie in quegli anni. Per poi, finalmente, partire “rotolando verso sud”. E soprattutto ci ho messo un bel po’ di fatica a motivarli e far percepire un po’ anche a loro la magia di un posto cui erano anni che pensavo e convincerli così che “Sì, Gaeta era e Gaeta doveva essere”. Sempre fedele al motto che l’eterogeneità è un valore, così erano le nostre provenienze: un bergamasco di città e una di montagna (per par condicio), una vicentina, una veronese e… un torinese, il più difficile da convincere sul fatto che: “No! La neve a sud delle Alpi non c’è e non arriverà per i prossimi 4 giorni, quindi SI’! La cosa più saggia che puoi fare è venire con noi a scalare su roccia… una roccia fantastica… blablabla a picco sul mare… blablabla… che ha fatto la storia del freeclimbing in Italia… blablabla… e soprattutto si mangia da Dio!” A quest’ultima affermazione anche il torinese mandò il fatidico Whatsapp “Ok, ci sono”. Per fortuna nessuna di queste affermazioni si è rivelata falsa e davvero in quei quattro giorni la nevicata più consistente è stata almeno a 400 km da Torino. Altrimenti siamo certi che lui avrebbe preso il primo treno e sarebbe tornato a casa in cerca di questa benedetta powder di cui tutti parlano ma che da tanti inverni manca dalle nostre latitudini.
Così definiamo il gruppo e i giorni di vacanza a… due giorni dalla partenza (com’è nel mio stile). Io metto solo una clausola: voglio vedere i tre settori citati nel Libro: Montagna Spaccata, Circeo (dopotutto “è la più alta parete del Lazio” dico con un tono un po’ da paleoalpinista, come se a qualcuno degli altri fregasse qualcosa) e per finire Leano. I quattro acconsentono. Ah, tra l’altro va precisato, nessuno di noi conosce tutti i componenti del gruppo, ma ognuno ne conosce almeno uno. Per noi evidentemente può bastare: saremo un ottimo esperimento sociale.
Io a 4 giorni dalla partenza, senza alcuna certezza di partire davvero, avevo però già preallertato Gianni, che a quanto pare ancora si ricordava chi ero… e sì, forse sarebbe riuscito a fare un salto giù almeno un paio di giorni. A me, dall’altro capo del telefono brillavano gli occhi.
Quando ci incontrammo con lui al parcheggio del mozzarellaro di Sperlonga il primo argomento fu Mike Kosterlitz, lo torchiai subito su un po’ di curiosità. Un anno prima avevo intervistato Mike al Rock Master. Si trovava, forse per la prima volta, ad ammirare cosa era successo di nuovo nel mondo dell’arrampicata dopo quarant’anni, quando cioè dopo che una malattia degenerativa lo aveva colto rubandogli in modo davvero beffardo quella che era la sua primaria passione, dopo (leggi prima) la fisica. E in cui, come tutti sappiamo, eccelleva. Beh, possiamo ben dire, era avvenuta una rivoluzione. Una rivoluzione che, se vogliamo, era partita (anche) da lui. In un certo senso, dopo essere uscito dal mondo della scalata, si trovava a distanza di anni ad osservare quali erano i frutti di ciò che in quel magico periodo che ancora ben ricorda, avevano fatto. Ad osservare cosa era scaturito dal fatto che uno scozzese andasse a studiare a Torino, si portasse le sue scarpette da roccia (che lì non avevano ancora visto), aprisse una via con i dadi (che diavolo erano?) lasciandola schiodata alla cordata successiva che si chiese, tra mille spaventi, come fossero passati i due davanti senza usare il martello. E ancora, portato la tecnica dell’incastro in Italia salendo un masso di 6 metri, essersi inventato un traverso di 90 metri che sembrava non portare da nessuna parte per risolvere magistralmente quel capolavoro che risponde al nome di Sole Nascente. O ancora, salito in libera, tanto per tornare al Libro, il tetto della via dei Tetti a Zeta alla Provenzale (pag. 80 numero 32).
Edoardo Zago sul secondo tiro della via del Tetto al Circeo.
Detto così fa ridere ma… Ondra, che nasce sulle prese di resina, sale appeso come un pipistrello il 9c e nell’epoca della comunicazione spinta assapora il “Silence” e poi dopo chiude idealmente il cerchio tentando e mancando la libera della Salathé in Yosemite. Non era da lì che era partita la riflessione di Motti?… Non è forzato dunque dire che Ondra arriva (anche) da lì… ed è bellissimo che sia così. Noi dell’epoca dell’arrampicata del consumo, o del climbing fitness, arriviamo tutti da lì. Certo, non solamente da lì, e se non fosse successo lì sarebbe successo (dopo? al tempo stesso? chissà…) da un’altra parte. Perché la direzione era quella, e la sfera una volta che ha iniziato a scendere lungo il piano inclinato dei cambiamenti è impossibile fermarla. Però le cose sono andate così, e Mike quel giorno, in sedia di plastica d’onore in quel prato guardava davvero con ammirazione (ma serenamente e senza rimpianti) come in pochi decenni il gesto arrampicatorio avesse potuto evolvere. La serenità di un premio Nobel per la Fisica (altro che “falliti”, verrebbe da dire). Tornando a Gianni, mentre cerchiamo di non farci investire lungo la statale della (falsa) Sperlonga, diretti alle falesie, mi raccontava di quante chiamate di amici climber avesse ricevuto in quei giorni, successivi alla premiazione, che gli facevano tutti la stessa domanda “Ma è quel Kosterliiitzzzz??” e lui pazientemente doveva ripetere “Sìììì, è quelloooo!!!”.
Abbiamo giusto un paio d’ore di luce, quindi puntiamo a fare un paio di tiri in falesia per ambientarci. Sperlonga ci accoglie senza mezze misure, la giornata si avvia a conclusione con un tramonto fotonico… appena prima di scaricarci addosso una discreta quantità di pioggia mista neve, che probabilmente arriva precisa precisa dalle montagne del Molise, quest’anno particolarmente nevose. Una vera doccia fredda a sorpresa, arrivata alle spalle delle pareti e dunque imprevedibile per noi intenti a gustarci il tuffo del sole nel mare. Gianni borbotta qualcosa e ci conduce al solito postarrampicata di Sperlonga: la birra e la tiella di Guido il Mozzarellaro.
Con la gola dissetata e i vestiti che asciugano addosso viene anche più voglia di fare i piani per l’indomani: ovviamente Montagna Spaccata, è lei il desiderio primario, la nostra perla più ambita, di queste 7 ore e mezza di viaggio.
Edoardo Zago sulla via dei Tetti del Circeo impara i rudimenti dell’artificiale.
Montagna Spaccata
Anche tu, o nutrice di Enea, morendo hai lasciato
alle nostre rive, Gaeta, un’eterna fama;
ancora il tuo onore denota il tumulo, e le ossa nella grande
Esperia, per quella che è la sua gloria, gli danno lustro e nome.
Il pio Enea adempì ritualmente le esequie,
compose la terra del tumulo, e, dopo che le alte distese
si placarono, dirige con le vele la rotta e lascia il porto.
Spirano brezze nella notte e la candida luna
asseconda il corso, i flutti risplendono sotto una tremula
luce (Eneide, Canto VII).
Il nome Gaeta deriva da Caiete, il nome della nutrice di Enea che venne sepolta su questa spiaggia, l’eroe era molto affezionato alla donna e anche dopo che ella morì le riservò ogni sorta di riguardo. Si aggregò a Enea quando fuggì da Troia presa dagli Achei. Secondo una delle versioni del mito il luogo della sua morte e sepoltura (Gaeta) fu anche una delle mete degli argonauti.
Gaeta è citata anche nell’Odissea: Ulisse quindi ormeggiò le sue navi nell’odierno golfo di Gaeta e qui si rifornì d’acqua alle fons Artakie, la Fonte Artace – che ancora sgorga lungo le coste dell’estremità sud della città moderna.
Poi furono attaccati dai Lastrigoni, abitanti indigeni, che uccisero la maggior parte dei suoi uomini e distrussero tutte le navi, Ulisse riuscì a salvare solo la sua e a salpare verso nord.
Gianni è solo, e io ne posso solo gioire perché significa che a distanza di sette anni, torneremo a legarci alla stessa corda. E la via non può che essere una: Helzapoppin.
L’ambizione non è mai troppa, quindi sia io che Mariana, la veronese, conosciuta qualche anni fa durante l’infinita discesa dalla val d’Ambiez, e ritrovata per i casi (di lavoro) qualche anno dopo, culliamo il desiderio di raggiungere il traverso dei Rondoni, che dà accesso alle vie del settore, non dalle calate della via dei Camini, ma da un altro traverso, raggiungibile a piedi, quello del Turco. Ma Gaeta non è ferma a quando il vento del rinnovamento portava le prime urla di gioia e schiamazzi degli alpinisti a disturbare i gabbiani. Le regole dell’uomo sono arrivate a mettere paletti. Entrati nel convento, lasciamo l’obolo per scendere nella grotta, ma dopo pochi gradini troviamo il cancello chiuso. Non fermerà certo un cancello chi si appresta ad affrontare una scalata fisica a due metri dai moti ondosi… ma proprio loro paiono indicarci la più saggia via delle discesa a corda: sono probabilmente stati piuttosto alti la notte, e la roccia pare lucida e umida, difficile tenere gli svasi levigati dalle quotidiane carezze (e talvolta sberle) di Poseidone.
La Torre Elena a Leano dove passa lo Spigolo del Povero Elia
Durante le brevi calate il morale è alto e le battute si sprecano. Al momento di affacciarsi dall’altro lato dello spigolo però, il vociare cessa. Jessica, bergamasca della Val Taleggio, Edo torinese trapiantato a Bolzano e Giovanna, vicentina si legheranno per la prima volta insieme per lanciarsi su Croce del Sud, che risale con una linea fotogenicissima la prua dello Spigolo (N° 3 pag. 14). Mariana, come me indottrinata da anni di Nuovi Mattini e contagiata da me dai poteri stregonici del Libro, non si sarebbe persa per nulla al mondo di, per usare una mia espressione, “percorrere la storia legati con chi l’ha storia l’ha scritta”. Il traverso appena ti affacci dall’altro lato, toglie subito entusiasmo, specie per chi, come me, l’acqua la preferisce ghiacciata piuttosto che liquida sotto i piedi durante un traverso di VII. I chiodi arrugginiti della storia talvolta ti porterebbero a stare più basso ma i nuovi spit, in condizioni diciamo decenti, indicano la strada, attenzione però: non bisogna alzarsi troppo. Gestendo bene le corde si sale il successivo diedrino, aiutando così i secondi riducendo loro il rischio di un pendolo in acqua. L’inizio è scoraggiante, senza riscaldamento ti sembra di avere già le braccia a fine corsa. Ma la scalata è entusiasmante e lo sciabordare delle onde trasporta la tua mente in una dolce bolla, quasi un’ipnosi.
Ne emergo grazie agli aneddoti che Gianni snocciola in sosta sulle vicende, travagliate dell’apertura: quante volte la conclusione immancabile della giornata era, dopo esser progrediti di pochi metri (a volte neppure quelli) dal punto massimo raggiunto in precedenza, un rientro al contrario per poi ritrovarsi nell’arco di mezz’ora con le gambe sotto al tavolo al ristoro di Guido. Altro che lotta con l’alpe. Ma del resto non era anche questo un modo per contestare la tradizione? Ovvero l’andare in montagna come se si fosse in fabbrica o peggio in guerra, misurando il tempo in pezzi costruiti o metri guadagnati in trincea?
Gianni lascia il piacere di guidare i primi tiri a me, che ovviamente nell’intricato reticolo di vie, mi perdo. Salto infatti lo storico traverso della via, proseguendo per una variante un po’ più diretta. Arrivando in sosta lui bonariamente mi rimprovererà per questo affronto alla Storia. Qui lascio il comando a Mariana, oggi a Gianni va bene così, di fare il cantastorie, su questa via ha già dato abbastanza ed è qui solo per farci percepire la magia di un’epoca irripetibile. Mariana vince un bel diedro strapiombante, poi sbuca a una cengia e il tiro successivo la porta su un lungo traverso che poi la conduce a un diedrino e un traverso finale su un muro verticale e esposto da percorrere in traverso. Poi è fuori, svettante contro il cielo azzurro e sopra il blu del mare. L’improbabile percorso di Helzapoppin.
Torri di Leano: l’indicazione climbing zone c’è… ma anche un filo spinato e una rete di un letto arrugginita a tenere fuori gli estranei (sic). Da sinistra, Paolo Grisa, Mariana Zantedeschi, Giovanna Carli, Edoardo Zago e Jessica Locatelli
È tutto bellissimo, il meteo, la roccia, il sapore dell’aria satura di iodio. Raggiungiamo il bordo della parete dove dovrebbero uscire gli altri. Anche loro escono estasiati da Croce del Sud. È presto, ci sarebbe tutto il tempo di percorrere altre vie, ma non è questo lo spirito di questi luoghi, di questi itinerari. Soprattutto non è questo lo spirito del Libro, anzi, questo è proprio lo spirito da cui l’autore, per staccarsi dalla tradizione ha “dovuto compiere un notevole sforzo di adattamento e duttilità”. Così ci dirigiamo dal figlio di Guido il Mozzarellaro. Al padre, che ha aperto il locale, punto di riferimento dei climber della zona, è stata persino dedicata una parete che sovrasta il posto, quella del Chiromante (a Guido venivano attribuite queste capacità soprannaturali).
Ringraziamo Gianni per la compagnia e per aver arricchito decisamente l’esperienza che potevamo avere semplicemente percorrendo la sua via. La sera riceviamo da lui un regalo. Lo “scartiamo dopo cena”, e ce lo gusteremo con calma. Dopo aver cenato, tirato fuori una bottiglia e riempito i bicchieri apro… il computer e la mail che mi ha inviato. Inizia così:
“Hellzapoppin fu un musical di Broadway di grande successo. Partito il 22 settembre del 1938 continuò ad essere messo in scena fino al 17 dicembre 1941, per un numero complessivo di 1404 volte. Lo spettacolo era ricco di colpi di scena, scene comiche che rasentavano l’assurdo, interventi del pubblico e molta ironia. Hellzapoppin entrò, però, nell’immaginario collettivo internazionale grazie al film omonimo del 1941, divenuto una pietra miliare della filmografia comica”. E poi: “Qualsiasi somiglianza tra Hellzapoppin ed un film è puramente casuale” (dai titoli di testa del film “Hellzapoppin’”), “Qualsiasi somiglianza tra Hellzapoppin e un normale itinerario di arrampicata è altrettanto casuale (da “Memorie di un batman climber”)”.
Uno di noi ha iniziato a leggere il racconto, gli altri, in un religioso silenzio ascoltano con il bicchiere a mezz’aria.
Non è breve. Con calma la storia di Gaeta si srotola con la naturalezza con cui le onde si frangono contro le rocce della montagna spaccata in una giornata di calma piatta. Parla dei primi nut a cavetto e dei vecchi Excentric con cordino in nylon. I primi friend erano ancora di là da venire, li avrebbe forse portati proprio Gianni dagli USA solo nel 1981. Racconta che il traverso, fino ancora agli anni del Libro, portava il nome di traverso dei Rondoni a causa di un grosso nido che trovarono al primo tentativo. Mentre oggi è caduto in disuso quel nome.
Sarà la luce soffusa del piccolo soggiorno, sarà la stanchezza che inizia farsi strada nelle membra, saranno i bicchieri che si svuotano, e le parole che, a turno leggiamo un pezzo ciascuno, ma l’atmosfera ci proietta in quell’epoca. A volte restiamo in un silenzio attonito, altre scoppiamo in sonore risate alle battute autoironiche della penna di Gianni: “NOI DI GIANNI AMICI SIAMO, E LE VIE NON GLI FREGHIAMO, MA LUI VINCE DA CAMPIONE, DIECI PUNTI AL BISCHERONE”.
Ebbene sì, il nostro Capitano di quel giorno, era stato vittima di un tremendo scherzo che ruotava attorno alla via, non ancora conclusa su cui stava lottando da mesi. Il bischerone era la gara di chi riceveva gli scherzi più tremendi, e c’era una classifica a punti annuale. Quello subito da Gianni era talmente grosso che quell’anno arrivò secondo.
Poi la storia torna a parlare di materiali, i chiodi di Carlo Platter di Trento, i soli che resistevano (e resistono, il giorno dopo ne troverò uno sul Circeo ancora perfetto) all’ossidazione marina. E infine, la via è conclusa.
“Gaeta è stata per noi una palestra naturale dove, giocando ai confini del mare e della terra, abbiamo trovato la libertà che oscuramente cercavamo e di cui avevamo bisogno come del pane. Gaeta ci ha elargito le sue bellezze che ammiriamo come ingenui fanciulli e che rispettiamo come un monaco l’idea divina”.
E mentre conclusa la lettura, tutti e cinque stanchi ci dirigiamo verso i nostri letti, ognuno forse in cuor suo pensa “grazie Montagna Spaccata, grazie nostro capitano: regalarci questa magnifica giornata a te ha richiesto mesi e mesi di scorribande. Noi ci abbiamo messo quasi più a leggere di queste ultime che a ripeterla oggi. Siamo davvero nani sulle spalle dei giganti”.
Circeo e Torri di Leano
Rasentano per prime le coste della terra circea,
dove la ricca figlia del Sole fa risuonare
di assiduo canto i boschi inviolati, e nel superbo palazzo
brucia alle stelle notturne cedro odoroso,
percorrendo con stridulo pettine lievi tele.
Di qui si ode il rabbioso lamento dei leoni
che si ribellano ai ceppi e ruggiscono nella fonda notte,
e setolosi porci e orsi nei recinti infuriare,
e grandi forme di lupi lanciare ululati.
Uomini furono, e la crudele dea Circe con erbe
potenti li aveva mutati in ceffi e dorsi di fiere.
Nell’Eneide sempre all’inizio del settimo libro si accenna a Circe ed alle sue arti magiche quando la flotta troiana, lasciata Gaeta, costeggia il promontorio del Circeo. Si ricorda la dimora della maga circondata da boschi tenebrosi e soprattutto il suo serraglio di maiali, orsi e belve feroci che furono uomini prima di essere tramutati dalle pozioni della maga.
“E su l’isola Eèa sorgemmo, dove Circe, diva terribile, dal crespo crine e dal dolce canto, avea soggiorno”.
Così alcuni versi dell’Odissea descrivono l’arrivo del re di Itaca nella terra della maga Circe. Venuta in Italia dalla nativa Colchide, abitava in uno splendido palazzo dell’isola Eèa (più tardi identificata con il promontorio Circeo, che anticamente era un’isola, ricongiunta successivamente alla terraferma da cordoni sabbiosi). In quegli splendidi luoghi la trovò Ulisse, che con l’aiuto di Ermete riuscì a vincere i suoi sortilegi, ad averne per un anno l’amore, un figlio, Telegono, e, infine, ottenne che fosse restituita la forma umana ai compagni trasformati in porci.
L’indomani parcheggiamo nei pressi di un b&b dal nome appunto di “Isola di Eèa”. Ci perdiamo nella macchia mediterranea prima di arrivare poi alla base delle due linee riportate nel Libro del Precipizio del Circeo: oggi siamo uomini contro donne, io avvierò Edo all’artificiale lanciandolo sul tetto della via del Tetto (N. 6 pag. 20), le ragazze usciranno poco prima del tramonto dal Pilastro Zoppo (N. 7 pag. 21), narrando di traversi paurosi e poco proteggibili. Insomma, di ravanate, che solo una volta che sei fuori, davanti a una tiella, ricorderai come entusiasmo! Una cordata vicina che sta richiodando qualcosa ci chiede da dove veniamo e rimane stupita da quanta strada abbiamo fatto. Siamo distanti, ci capiamo a fatica, ma io rispondo: “Il Libro”, e dall’altra parte annuiscono. Hanno capito.
L’indomani io e Jessica rimaniamo estasiati dalla qualità della roccia del diedro strapiombante del primo tiro della via degli Ingegneri alla Torre Giovanna di Leano. Gocce incredibili, roccia che sembra corallo. Il diedro non è stato richiodato di recente, i pochi vecchi spit sono penosi grumi di ruggine, senza vergogna ne rubiamo un paio dalla via adiacente. Un tiro di VII grado meraviglioso, quello della foto con (N.4, pag. 16, “Fabrizio Antonioli studia la situazione quasi all’uscita della prima lunghezza…”). Evitiamo il secondo facile tiro per salire dritti lungo una nuova linea su una placca commovente. Poi ci caliamo e inseguiamo gli altri tre su il Povero Elia (N. 5, pag. 18) “la via più lunga e completa del posto” narra la dida. Io parto spavaldo sul primo tiro giusto per godermi un bel voletto improvviso sull’unto passaggio chiave. Scuotendo la testa come di chi non si è nemmeno reso conto di cosa è successo riparto e allungando bene le protezioni unisco tre tiri. Li raggiungiamo al termine della calata. Ormai è già quasi tempo di ripartire, stasera non si cucina, si va di ristorante, ci trattiamo bene con piatti di pesce.
Il giorno successivo i buoni propositi di alzarsi presto per fare qualche tiro in falesia saltano bellamente con una colazione e una preparazione che si stiracchia a lungo. C’è giusto il tempo di qualche passo in spiaggia, perché non si può non andare a vedere il tempio dell’alta difficoltà: la grotta dell’Aeronauta.
Sulla spiaggia si affaccia anche un altro settore, l’approdo dei Proci, anche se in realtà pare che la spiaggia dove si si rifugiarono i Proci sfuggiti all’ira di Ulisse si trovi poche centinaia di metri più a sud-est, alla spiaggia dell’Ariana. Su un forum una volta lessi un post del chiodatore che diceva che il nome aveva il duplice riferimento, epico e… terreno, ovvero del malcostume che aleggia tra i frequentatori di questo bellissimo tratto di costa, che lo hanno ridotto a un vero e proprio immondezzaio e fogna a cielo aperto.
E fa proprio impressione pensare come luoghi “mitici” come questi, mitici per gli appassionati della letteratura epica, mitici per gli appassionati delle bellezze del mare e della pietra e dello sport siano diventati teatro di una tale bassezza.
Già nel 1981 Alessandro nel Libro scriveva: “Dedico questo libro ai dirupi, risalti, burroni, falesie, canyon e a tutte le strutture di fondovalle nella speranza che la follia “costruttiva” dell’uomo non perseveri in un’opera di aggressione e distruzione moralmente ed ecologicamente inaccettabile […]”. Di fronte a chi prospetta una rivalutazione del luogo, mi sento di poter rispondere che più che altro qui c’è necessità di una rivalutazione dell’uomo.
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«Ieri sarà quel che domani è stato» (“l’Incontro di Telgte” G. Grass)
https://gognablog.sherpa-gate.com/sulle-tracce-dei-100-nuovi-mattini-rotta-verso-sud/#comments
Ci ho messo un po’ prima di decidere di mandare ad Alessandro le mie note personali del viaggio effettuato a inizio anno sulle tracce dei Nuovi Mattini a sud di Roma con Jessica Edoardo Giovanna e Mariana nella loro interezza. Raccontare quei bellissimi cinque giorni scarsi di vacanza è stata una scusa per tirare le somme di quanto quel suo Libro ha rappresentato nel mio approccio alla dimensione verticale.
E per rivivere tanti bei momenti verticali passati in compagnia di persone che hanno arricchito il viaggio: Elio e il suo gruppo di studenti “delle origini” di Elio e le corde tese, che mi ha fatto conoscere l’opera tramite il libro prestato da quel famoso zio, la vacanza in Valle con Mauro, Raffaele e Silvia. Il mio primo “In scio Bolesomme” (l’opera d’arte di Alessandro Grillo) nelle vacanze pasquali con Raffo (ma anche il tetto della Nutella e la classicissima Grimmonet). Le tante volte in valle dell’Orco con tanti compagni diversi, la visita a ogni stagione in Val di Mello, la veloce puntata con Tommaso in Val Maira alla Rocca Castello (che grandinata paurosa…), l’enigmatico Castello della Pietra con Ale e la via del Risveglio a Cateissard con Francesco e Cristina. Gli innumerevoli capodanni in Pietra di Bismantova ad aiutare Will e Diego a completare la guida, senza mai riuscire a trovare il momento giusto per ripetere la Pincelli Corradini, oggi forse non più salibile dopo la frana (?). Ovviamente anche le vie vicino a casa, con Raffo quelle del Medale, della Grigna e le piccole perle della libera della Costiera d’Avorio: Manobong e Fessuriani e ovviamente la Panzeri-Riva al Pilastro Rosso. E con Andrea, al secondo Sea Climbing Meeting, quando insieme a Andrea Giorda conoscemmo finalmente Gianni, deus ex-machina di Helzapoppin, e lì decisi che prima o poi ci sarei andato laggiù. In quell’occasione conoscemmo anche il sempre disponibile “guardiano del luogo”, Marco (prima o poi una via insieme la dobbiamo fare). Con Andrea ripetemmo anche le vie al Bec di mea, sempre in Valgrande. Là a Ovest ma nella val di Ala resta ancora un conto lasciato in sospeso in una umida giornata autunnale, Claus e Asia sanno…
Per non parlare dell’incredibile opportunità occorsami due anni fa di intervistare Mike Kosterlitz, che se vogliamo, del Nuovo Mattino torinese ne era stata una delle principali miccie scatenanti esterne. Intervista alla quale mi ero voluto preparare psicologicamnete ripetendo con Alessandro e Angelo la sua via sulla Est del Badile un mese prima.
Insomma, il Libro e il suo lascito sono una chimera che tanti sforzi mi hanno chiesto, ma tanti momenti magici e numerosi amici mi hanno regalato. Il viaggio è ancora lungo, e per concluderlo, ancora una volta, la bussola, dovrà puntare a sud.
L’articolo è lungo, troppo lungo. Le citazioni sono la parte più interessante:
“Anche tu, o nutrice di Enea, morendo hai lasciato
alle nostre rive, Gaeta, un’eterna fama;
ancora il tuo onore denota il tumulo, e le ossa nella grande
Esperia, per quella che è la sua gloria, gli danno lustro e nome.
Il pio Enea adempì ritualmente le esequie,
compose la terra del tumulo, e, dopo che le alte distese
si placarono, dirige con le vele la rotta e lascia il porto.
Spirano brezze nella notte e la candida luna
asseconda il corso, i flutti risplendono sotto una tremula
luce” (Eneide, Canto VII).
“Hellzapoppin fu un musical di Broadway di grande successo. Partito il 22 settembre del 1938 continuò ad essere messo in scena fino al 17 dicembre 1941, per un numero complessivo di 1404 volte. Lo spettacolo era ricco di colpi di scena, scene comiche che rasentavano l’assurdo, interventi del pubblico e molta ironia. Hellzapoppin entrò, però, nell’immaginario collettivo internazionale grazie al film omonimo del 1941, divenuto una pietra miliare della filmografia comica”. E poi: “Qualsiasi somiglianza tra Hellzapoppin ed un film è puramente casuale” (dai titoli di testa del film “Hellzapoppin’”), “Qualsiasi somiglianza tra Hellzapoppin e un normale itinerario di arrampicata è altrettanto casuale (da “Memorie di un batman climber”)”.
“NOI DI GIANNI AMICI SIAMO, E LE VIE NON GLI FREGHIAMO, MA LUI VINCE DA CAMPIONE, DIECI PUNTI AL BISCHERONE”.
(dalla diapositiva della conferenza dedicata alla falsa prima salita di Helzapoppin)
“Gaeta è stata per noi una palestra naturale dove, giocando ai confini del mare e della terra, abbiamo trovato la libertà che oscuramente cercavamo e di cui avevamo bisogno come del pane. Gaeta ci ha elargito le sue bellezze che ammiriamo come ingenui fanciulli e che rispettiamo come un monaco l’idea divina”. (adattamento di Gianni Battimelli delle ultime righe del libro di Maurice Herzog)
“Rasentano per prime le coste della terra circea,
dove la ricca figlia del Sole fa risuonare
di assiduo canto i boschi inviolati, e nel superbo palazzo
brucia alle stelle notturne cedro odoroso,
percorrendo con stridulo pettine lievi tele.
Di qui si ode il rabbioso lamento dei leoni
che si ribellano ai ceppi e ruggiscono nella fonda notte,
e setolosi porci e orsi nei recinti infuriare,
e grandi forme di lupi lanciare ululati.
Uomini furono, e la crudele dea Circe con erbe
potenti li aveva mutati in ceffi e dorsi di fiere.”
Virgilio, Eneide, libro VII.
“E su l’isola Eèa sorgemmo, dove Circe, diva terribile, dal crespo crine e dal dolce canto, avea soggiorno”.
Omero, Odissea, libro X
Già nel 1981 Alessandro nel Libro scriveva: “Dedico questo libro ai dirupi, risalti, burroni, falesie, canyon e a tutte le strutture di fondovalle nella speranza che la follia “costruttiva” dell’uomo non perseveri in un’opera di aggressione e distruzione moralmente ed ecologicamente inaccettabile […]”.
Grazie Alessandro Gogna. La necessità di questa ristampa è il segno tangibile che quel fuoco che ardeva trent’anni fa, non si era del tutto spento. Tra le braci ingrigite una tremula fiammella ancora vibrava. Pronta a riattizzarsi quando i tempi sarebbero di nuovo tornati maturi…
Fotoreport qui:
Azzz, Paolo, non si possono fare scherzi del genere. Uno si trova a leggere una cosa così senza preavviso e rischia di prendersi un coccolone! Troppo buono comunque, il piacere è stato tutto mio. Dopo anni in cui ho portato su Hellzapoppin un sacco di gente, finalmente ho trovato qualcuno che mi ci porta. Devo solo puntualizzare che l’ultima citazione del racconto di Hellzapoppin è troppo pomposa per essere stata scritta da me. Infatti si tratta di una ripresa (adattata alla situazione) delle ultime frasi del libro di Maurice Herzog. Solo che lui parlava dell’Annapurna…
https://www.planetmountain.com/it/notizie/arrampicata/arrampicata-a-leano-e-gaeta-nella-storia-con-la-storia.html
Bei posti
La Montagna Spaccata, Leano, il Circeo, e Gianni, e Fabrizio e così avanti. Sulle tracce dei Nuovi Mattini, e degli anni passati. Ma è una nuova generazione
Non è solo nostalgia, quella è per noi. Grazie a queste ragazze e a questi ragazzi