Tra carta stampata e social media alla ricerca di un limite

Tra carta stampata e social media alla ricerca di un limite

Sette anni fa, su Up 2018, avevo pubblicato un saggio (Alpinismo per noi o per gli altri) teso ad indagare come la comunicazione e la tecnica ad essa relativa abbiano influito in passato e oggi influiscano ben più massicciamente sulle tipologie e sulle discipline dell’alpinismo e dell’arrampicata. In particolare osservavo come social e comunicazione moderna siano responsabili di parecchie decisioni tecniche e si rivelino potenti moltiplicatori di tecnologia.

A distanza di sette anni è sempre più evidente la necessità di responsabilità e sensibilità per ogni giornalista o addetto alla cultura e comunicazione, che deve essere figura aperta e flessibile, in grado di unire conoscenze e competenze, imparzialità e rigore”. Ed è un problema che non riguarda più solo l’informazione specialistica di montagna, sport e outdoor, ma interessa e coinvolge in modo pervasivo l’intera società e tutti i suoi attori principali.

Sempre più spesso, nei convegni come nelle singole professionalità, ci si domanda, dati i cambiamenti del mondo della montagna e degli sport ad essa collegati, come si “debba” oggi comunicarli, magari definendone una cultura “nuova”.

Il più grande ostacolo allo svolgimento di questo tema di solito è l’età, che si ritiene collegata con l’esperienza: nessuno pensa mai che l’età possa anche, al contrario, essere il grande armadio della propria inesperienza. Perché purtroppo non esiste la possibilità di misurare in noi stessi la reale apertura di fronte ai cambiamenti.

Di conseguenza la mia risposta vorrebbe cominciare con un’esclusione: vorrei eliminare la parola “dovere”, perché ritengo che sia meglio che ognuno comunichi come vuole. Se nessuno volesse spacciare la propria come la miglior modalità, probabilmente saremmo tutti più autorizzati a parlare di comunicazione. Senza dimenticare quel “nuova” tra virgolette: va bene che probabilmente sta davvero a significare che se ne avverte l’esigenza a tutti i livelli. Però, ciò che manca è la chiarezza su cosa possa essere definito “vecchio” oltre ogni ragionevole dubbio.

Libertà
C’è qualcuno che ha o ha avuto interesse al controllo: e questo è indubbiamente più facile con giornali e riviste, ma anche i siti web non ne sono esenti. I blog e le conversazioni su facebook sfuggono più facilmente ai rituali del controllo, anzi a volte ne sono del tutto esenti.

Mentre avanza la banda larga, la montagna è oggi frequentata sul web tramite la fitta rete dei social network. I blog in questione sono in larghissima parte autofinanziati, e perciò indipendenti, immuni da censure esterne. Rappresentano nella loro complessità elementi trainanti ormai ineludibili per l’informazione e per la cultura del nostro mondo verticale.

Esibizione
Con i social network praticanti e atleti hanno la possibilità di esibire in continuità le attività svolte durante il proprio tempo libero, o durante il proprio allenamento. Alcuni sponsor esigono una presenza assidua sui social, tanto da determinare la recessione stessa del contratto. Video autoprodotti e selfie si sono moltiplicati all’infinito, uccidendo in genere il racconto e quindi la trasmissione da umano a umano. La diffusione capillare e quasi in tempo reale di immagini e video legate agli sport outdoor stimola ulteriore curiosità nei confronti di queste attività, portando all’aumento del numero dei praticanti e della dimensione del pubblico interessato anche solo superficialmente.

Responsabilità
In conclusione, sia da parte di chi scrive o racconta, sia da parte di chi legge o ascolta, non è possibile distrarsi dalla responsabilità. Sarebbe auspicabile che il gioco dei click non mietesse più vittime. Perché, oltre un certo livello, vittima è chi pigia compulsivamente sul tasto sia chi ne tiene accurato conto e ne mena vanto.

E’ “responsabile” invece chi, nel garantire la qualità dell’informazione, non lascia che alpinismo e montagna rientrino anche loro nel circuito della notizia di facile e veloce lettura, o di quello del numero di visualizzazioni. E’ responsabile chi mantiene ricchezza di contenuti e competenza d’informazione: il rapido consumo uccide la notizia e non fa distinzione tra un’informazione qualitativamente valida o meno. E’ responsabile che dedica spazio e tempo all’approfondimento.

Ambiente
Uno dei ruoli della comunicazione è quello di educare e sensibilizzare il pubblico sul tema della protezione ambientale. Dagli anni Ottanta a oggi le pagine di tutte le riviste di settore hanno accolto un numero importante di articoli che avevano l’obiettivo di denunciare, provocare, portare alla luce i problemi legati al turismo di massa, all’inquinamento, alla creazione di aree urbanizzate in luoghi ancora selvaggi, al cambiamento climatico. Chi pratica alpinismo e frequenta la montagna non necessariamente si è sempre rivelato un pubblico attento alla salvaguardia dell’ambiente: perché quando i frequentatori di un certo ambiente crescono esponenzialmente diventano “fruitori” che non hanno più valori comuni da rispettare. “In questo senso il giornalismo di montagna ha sempre avuto e sempre avrà la responsabilità di ribadire l’importanza di tali principi e di diffonderli continuamente e il più possibile (Sofia Parisi)”.

Comprensione
E’ ragionevole mirare a una completa trasmissione di fatti, imprese, commenti, riflessioni che riguardano il mondo della montagna, dell’alpinismo e dell’arrampicata odierni. Ma è anche importante riscoprire vecchi scritti e riproporli per il valore che conservano dopo tanti anni, dall’impresa al racconto autobiografico, fino all’esposizione monografica di una certa zona. La cosa che più dovrebbe attrarre il comunicatore è il tentativo di spingere il suo lettore nella direzione della comprensione. Evitando però di ritenere o far pensare di esserne egli stesso padrone.

Non è un hobby ma qualcosa di ben più importante, perché fonte di ispirazione, creatività ed esperienza. Personalmente, la tematica principale che vorrei comunicare è la voglia di spingere quante più persone sia possibile all’autocoscienza, alla consapevolezza di ciò che stanno facendo, all’importanza del proprio inserimento in un contesto sociale, alla sostenibilità. Oggi alpinismo e arrampicata per migliorare hanno bisogno di prese di coscienza. È un tentativo per spostare il fuoco dell’attenzione su quanto di importante ci sia ancora da scoprire, su quanto comodità e tecnologia abbiano nascosto e quanto ci stiano ancora nascondendo; questo per togliere tutto il velo di incomprensione e di ignoranza che è stato apposto all’esperienza dell’alpinismo con la tecnologia. Il valore di trovare un percorso lo si scopre solo ed esclusivamente se non si hanno né bussola, né guida, né gps. Sfruttare tutti i moderni ausili equivale a essere automi che evitano le difficoltà che la natura stessa oppone e non uomini che entrano in contatto con l’ambiente. La natura deve essere partner e non sfondo delle nostre imprese.

Documentazione
Se uno si porta dietro un po’ di tecnologia, possiamo sapere parecchio di lui e di cosa fa, se arriva in cima o se non arriva, quanto tempo impiega. La documentazione, se prima serviva a trasmettere un’esperienza, oggi è diventata più importante dell’esperienza stessa. La documentazione è più esaminata della stessa impresa alpinistica, cioè la “prova” è più importante del fatto. A questa distorsione c’è da ribellarsi: vale più la documentazione o l’ascensione? Perché ci sono degli effetti drammatici. Abbiamo visto Ueli Steck arrivare in cima alla Sud dell’Annapurna, lo abbiamo visto indagato sulla verità di ciò, lo abbiamo visto cadere in depressione. Non ne ha fatto un dramma pubblico, ma c’era il dramma privato. Ed è finita come è finita.

Limite alla tecnologia
La rinuncia totale alla tecnologia è un estremo ben rappresentato dal free solo, disciplina evidentemente non certo per tutti. La soluzione può essere quella, ma non per la maggioranza. Si può adottare un tasso di tecnologia inferiore al livello di guardia, evitando le esagerazioni odierne.
Ma altrettanto importante è non stabilire regole, la libertà prima di tutto. Se cominciamo a dire “qui questo si può fare, là no”, è già finita in partenza. Si avranno solo grandi discussioni che, invece di essere canti di diversità, sono solo sterile noia. Meno male che la comunità alpinistica è sempre stata abbastanza restia ad accettare decaloghi e codici vari. Ma con l’aumento della tecnologia questa difesa naturale potrebbe essere azzerata. Le precise norme che regolano l’arrampicata sportiva, per esempio quando occorra definire con precisione se un tiro è stato “chiuso”, possono ispirare il moderno alpinismo, ma non possono essere codificate in quell’ambito, pena la morte dell’alpinismo stesso e della sua creatività.

Limite individuale e collettivo
Sarebbe un grande obiettivo se il comunicatore (il protagonista, non il giornalista) si ponesse la domanda di quanta ambizione sta contaminando la sua genuina passione per questo gioco che ci appassiona tutti; se proseguisse poi indagando su quale sia la differenza tra il suo iniziale approccio libero e scanzonato a questa disciplina e quello suo attuale (più o meno professionale) in cui, giorno dopo giorno, i suoi exploit determinano un interesse pubblico sempre maggiore. Le risposte nel tempo dovrebbero portarlo a riflettere se ha raggiunto o meno il picco oltre il quale il voler dimostrare di essere ancora e sempre a quel livello diventa rischioso, al di là di ogni discorso sulle difficoltà e sui pericoli. Qual è dunque il mio limite? Qual è il nostro limite? Dove cessa il mio rispetto per il drago? Dove uccidiamo definitivamente il sacro?

Se ci rivolgiamo seriamente queste domande, e se ne tentiamo una risposta sincera con noi stessi, passano in secondo piano quelli che superficialmente ci appaiono i responsabili del disagio mediatico: sponsor, media, spettacoli organizzati, competizioni. La loro importanza e la loro influenza decrescono di pari passo con il nostro disinteresse, mentre al contrario crescono smisuratamente con la nostra incapacità di tenerli lontani e, soprattutto, a bada.

Tra carta stampata e social media alla ricerca di un limite ultima modifica: 2025-07-23T05:09:00+02:00 da GognaBlog

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5 pensieri su “Tra carta stampata e social media alla ricerca di un limite”

  1. “Se nessuno volesse spacciare la propria come la miglior modalità, probabilmente saremmo tutti più autorizzati a parlare di comunicazione.”
    “Ma altrettanto importante è non stabilire regole, la libertà prima di tutto. Se cominciamo a dire “qui questo si può fare, là no”, è già finita in partenza.”
     
    Due delle frasi più vere e importanti che possano essere dette.
     

  2. Anche in montagna il senso del limite si è interrotto per la cattiva informazione dei giornalisti che alla riflessione critica sostituiscono la propaganda dei comportamenti più stereotipati. Nonostante le risse e gli equivoci il buon senso si trova più spesso nei social.

  3. Sono d’accordo con Marcello. Non è difficile lasciare i social, ed è come abbandonare la coda ferma in autostrada per incamminarsi lungo un fresco sentiero. Molti faranno questa scelta.

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