Turismo bianco, futuro nero – 11

L’azienda bergamasca Neveplast propone piste realizzate con plastica non biodegradabile da usare nelle località senza neve. In Russia e Polonia è già realtà.

Plastica invece della neve
(l’ultima trovata salva-sci, con brevetto italiano)
Turismo bianco, futuro nero – 11 (11-17)
di Corrado Fontana
(pubblicato su valori.it il 24 febbraio 2020)

Qualche sciatore che butta il peso a valle e percorre una lingua di plastica verde lunga più di un chilometro tagliata sul pendio di una montagna. Neve intorno e sulla pista non se ne vede o quasi, solo sassi e terra grigia. Boschi neanche a parlarne, e non c’è il suono ovattato e inconfondibile che il manto bianco e soffice restituisce al fluire del vento, a sci e scarponi. Potrebbe essere questo il futuro delle nostre stazioni sciistiche in crisi di neve e di redditività.

Sciare sulla pista in plastica. Accade nella località scistica di Veduchi, in Russia. Foto: screenshot video dell’azienda italiana Neveplast.

Una prospettiva non così remota se l’esempio della località turistica di Veduchi, in Russia, facesse proseliti. Un sito dove le imprese italiane di punta nel settore stanno facendo affari e investimenti, a partire da una big dell’innevamento programmato come Demaclenko. E, più in generale, un successo di esperienze come quella della pista inaugurata il 27 dicembre 2019 sulle alture del Caucaso costituirebbe un sicuro volano per l’azienda bergamasca Neveplast (4 milioni di euro di fatturato e 14 dipendenti): sua la pista in plastica e il brevetto della tecnologia.

L’investimento su questo o materiali affini concretizza quello che Legambiente definisce “accanimento terapeutico” dell’industria sciistica. E sarebbe anche uno scenario piuttosto lontano dalla filosofia descritta dalla presidente dell’associazione imprenditori funiviari Anef, Valeria Ghezzi: «La gente quando esce dalla cabinovia o scende dalla seggiovia, vuole trovare un prodotto, e il prodotto sta nel paesaggio e nella cura del territorio. Oppure le funi non servono a nulla…».

Neveplast, dettaglio modulo base

Neveplast in soccorso degli “sci-dipendenti”
Ci sono località che scelgono, in modo lungimirante, di ridurre al minimo l’inquinamento da plastica (la ski area italiana di Pejo3000, in Val di Sole, è la prima al mondo ad essere diventata plastic free…) E, al contrario, c’è chi, pur di soddisfare gli appetiti degli sciatori più incalliti, pensa di usare uno dei nemici numero uno dell’ambiente.

«La nostra proposta – spiega Nicolò Bertocchi, amministratore delegato Neveplast – punta sulla plastica perché consente di avere dei vantaggi davvero importanti, evitando il consumo di acqua ed energia necessari per la neve tecnica. Neveplast è completamente rigenerabile perché al termine del suo ciclo di vita – che può essere di 12, 15 o anche 18 anni – possiamo riprendere indietro il materiale, sottoporlo a un trattamento speciale e generarne di nuovo da quello originario. Attraverso la rigenerazione si crea del nuovo Neveplast, mentre l’eventuale smaltimento segue i normali canali dei rifiuti di plastica».

Nato dalla passione della famiglia Bertocchi per gli sport invernali, il prodotto della società di Bergamo potrebbe fare un balzo inatteso. Le richieste di località sciistiche disperate dal Giappone, dall’Italia e non solo, dicono infatti che può candidarsi a riempire il vuoto lasciato dalla neve che manca, integrandola o addirittura sostituendola. E mentre la neve sparata dai cannoni costa sempre più, e sotto i 1500 metri qualcuno già abbandona gli impianti sciistici o punta su attività attraenti a prescindere dalla stagione, troviamo Neveplast già in 1900 differenti siti, compresi impianti turistici di una certa portata, come quelli di Kurza Gora e Kopaonik in Polonia.

Tanti dubbi e poche risposte sull’impatto ambientale
Una cosa è certa: di nuove tonnellate di plastica non riciclabile sul Pianeta non avremmo bisogno. Ma quale impatto ambientale diretto di questa tecnologia? Sul sito ufficiale si legge che «I manti sintetici Neveplast hanno ottenuto la certificazione positiva di impatto ambientale e non contengono sostanze dannose per l’ambiente». Di fatto l’unica certificazione fornita dall’azienda è quella rilasciata da un agronomo nel 2004 in cui si afferma che la posa del materiale «non crea danni all’ambiente e al terreno circostante». Sufficiente?

In assenza di analisi più specifiche, anche chimiche e relative alla filiera, non è possibile conoscere l’impronta ecologica della produzione,  installazione, manutenzione e smaltimento del Neveplast e dei numerosi prodotti similari proposti oggi nel catalogo.

Non si sa poi se il suo impiego comporti, sul lungo periodo, un maggiore o minore dispendio di acqua ed energia rispetto alla gestione delle piste tramite l’innevamento programmato. Non è inoltre disponibile una comparazione tra i costi (anche per l’estrema variabilità dell’utilizzo e dei sistemi di fabbricazione della neve tecnica). Né possiamo dire, infine, quali effetti possa avere la quota residua di Neveplast (3-5%) che viene immessa nell’ecosistema, per stessa ammissione del CEO Bertocchi: «Dopo diversi anni di vita, il materiale che andiamo a recuperare con l’intento di rigenerarlo è intorno al 95-97%. La dispersione nel tempo è quindi davvero minima».

Copenhill, pista di Neveplast per sciare sul termovalorizzatore di Copenaghen

In attesa di avere maggiori dati sull’innocuità o meno dei residui di Neveplast, bisogna però aggiungere un ultimo tassello al racconto del successo di questa soluzione: il caso Copenhill (cioè collina di Copenaghen). O meglio, il nuovo termovalorizzatore – volgarmente chiamato anche inceneritore – Amager Bakke, sul tetto del quale l’azienda bergamasca ha installato una delle sue piste da sci. Un intervento abbellito da un’erbetta fine che cresce al di sotto del materiale plastico e filtra sotto gli sci tramite una rete apposita.

Di Copenhill tutti maggiori media italiani, e non solo, si sono occupati, descrivendo il progetto, decisamente innovativo sul piano costruttivo, con una certa patina green. E in effetti l’impianto, costato 670 milioni di dollari, brucia 400mila tonnellate di rifiuti l’anno, ma dalla sua elegante ciminiera esce solo vapore acqueo (mentre le ceneri residue vengono smaltite altrimenti). Un risultato eccellente, considerato che l’impianto contribuisce al riscaldamento di migliaia di cittadini e include sentieri verdi, servizi e attività sportive diverse per gli abitanti.

E per quanto Copenhill possa configurarsi anche come una gradita operazione di marketing per chi punta più sugli inceneritori che sull’economia circolare del riuso e del riciclo, sulla copertura del termovalorizzatore danese c’è il marchio della società italiana. Neveplast è stata infatti chiamata a installarvi ben tre piste da sci in materiale sintetico. Una pista nera, per sciatori esperti, che parte dalla sommità e scende per circa 180 metri; una blu per sciatori principianti (60 metri); e 150 metri di pista rossa, intermedia, che porta fino alla base dell’impianto.

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Turismo bianco, futuro nero – 11 ultima modifica: 2020-09-19T05:23:29+02:00 da GognaBlog

6 pensieri su “Turismo bianco, futuro nero – 11”

  1. Ma è geniale e contribuirà alla salvezza delle montagne, perché in breve tempo tutti gli sciatori appassionati scopriranno che è molto meglio sciare sulla plastica a Sharm el Sheik la mattina e fare snorkeling il pomeriggio. O a Rimini per poi buttarsi fuori in una megadiscoteca!
    Certo per l’ambiente non è il massimo, ma chissenefrega…

  2. Va bene se utilizzato in aree urbane e possibilmente su manufatti che non mettano a contatto con il suolo il “rotolone” di plastica. In contesti naturali mi sembra una cosa assurda e antiecologica. 
    Trovo che l’operosità estrema abbia collegamenti con la diffusione del virus Corona. Mi sbaglierò, ma l’accanimento terapeutico non da mai buoni risultati. E poi c’è il discorso estetico,  ma non mi sembra una caratteristica che rientri tra quelle ironiche. Che disastro.

  3. Nei lontani anni sessanta mi allenavo in estate su di una pista di plastica montata su di un prato della collina torinese, sotto l’Eremo. Era servita da una funzionale manovia per risalire. Questi impianti, di impatto limitato e inferiore a quello di uno stadio del ghiaccio, di un trampolino o di una pista di bob (limitandomi agli sport invernali), non mi scandalizzano più di tanto, senza dubbio molto meno di quelli della neve artificiale che sostituisce ormai con percentuali del 90% quella naturale in vasti comprensori. 

  4. Ha ragione chi parla di accanimento terapeutico, almeno per l’ambiente montano.
    Le strutture urbane, come quella sul termovalorizzatore non le trovo male. Del resto tutto il marketing che gravità attorno a queste operazioni, mostra il livello di feticismo green che sta permeando la nostra società urbana. Ma almeno resta confinato nelle aree a forte antropizzazione.
    Perché l’impatto ambientale questa roba lo ha di certo e anche pesante. 

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