Una vecchia cosa… ma molto preziosa
(prima invernale della parete ovest del Campanil dei Zoldani)
di Stefano Santomaso
(già pubblicato su Le Dolomiti Bellunesi, Natale 2018)
Lettura: spessore-weight(3), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(3)
Nell’autunno, in modo fortuito, incontro in Moiazza l’alpinista altoatesino Toni Zuech; ci conosciamo poco, perché fino ad allora i nostri sguardi si erano incrociati non più di un paio di volte.
Iniziamo comunque, molto interessati l’uno all’altro, a discutere di montagna, di pareti, di vie. Toni mi propone subito di arrampicate insieme il prossimo inverno, l’obiettivo è esigente: la parete nord-ovest del Civetta… Io invece tentenno un po’ e provo a coinvolgerlo in qualche nuova ascensione, così per sfruttare i mesi autunnali, ideali per scalare.
Bella arrampicata nelle lunghezze centrali
L’autunno è spesso la stagione più favorevole per le ascensioni in Dolomiti: il tempo si mantiene stabile per lunghi periodi, le temperature sono gradevoli e soprattutto si raccoglie il frutto degli allenamenti e delle scalate effettuate in primavera e in estate. Ma anche Toni in autunno raccoglie il frutto del suo lavoro di agricoltore: da settembre a tutto novembre, infatti, è impegnato nella raccolta delle mele dai suoi frutteti, e per lui in questo periodo è difficile trovare giornate da dedicare alla montagna. Decidiamo così, di comune accordo, di ritrovarci all’inizio dell’inverno, un po’ per “acclimatarci” alla stagione fredda, ma soprattutto per conoscerci un po’ meglio nel gestire un’ascensione in montagna.
Gli propongo così una via storica della Moiazza, a cui manca ancora la prima invernale: la via Gogna-Favetti sulla parete ovest del Campanil dei Zoldani. È una salita sconosciuta ai più, ma che ha fatto discretamente parlare di sé, in quanto all’epoca delle prime ascensioni alla parete questo itinerario fu salito da due cordate diverse, a poche settimane di distanza e all’insaputa l’una dell’altra (vedi https://gognablog.sherpa-gate.com/il-segreto-del-secondo-campanile/). Nel 1974 Alessandro Gogna e Giovanni Favetti avevano infatti preceduto di pochi giorni gli agordini Eugenio e Renato Bien. Solo dopo diversi decenni si è riusciti a stabilire la verità storica, ricollocando le vie nella giusta sequenza temporale e quindi nell’esatto tracciato.
Toni e Stefano sull’isolata vetta del Campanil dei Zoldani
La nostra idea primaria era quella di affrontare la salita in due giorni effettuando un bivacco, in quanto il monte appare isolato dal fondovalle, per cui necessita di un avvicinamento e di una discesa abbastanza lunghi e inoltre la parete è perennemente in ombra.
Natale 2016: cade pochissima neve in Dolomiti, anzi il tempo si mantiene eccezionalmente mite e secco per la stagione. Abbandoniamo così la strategia che avevamo pianificato in autunno e optiamo per un’ascensione leggera in velocità: se non troviamo ghiaccio nei camini, la via dovrebbe essere fattibile in giornata (il condizionale in inverno è sempre d’obbligo, basta un piccolo inconveniente e una notte all’addiaccio diventa inevitabile, con le terribili conseguenze che questo comporta quando non si sia adeguatamente equipaggiati).
Cornelia in arrampicata in Valle del Sarca
All’alba dell’ultimo giorno dell’anno ci portiamo alla base della parete. La giornata è bellissima, il cielo è blu cobalto e il sole fra un paio d’ore inizierà a portare i suoi benefici, anzi sulle cime vicine è già sorto. Ma a noi oggi non porterà conforto, perché siamo immersi nell’ombra invernale della parete occidentale del Campanil. Le prime lunghezze sono quelle tecnicamente più impegnative, raggiungono il VI grado. Fa freddo ma neanche tanto, -5° segnava il termometro dell’auto stamattina presto. Più di una volta prendo i geloni alle dita delle mani, che al contatto con la roccia si raffreddano immediatamente, Toni invece ha le mani calde e non si lamenta, anzi: “quasi troppo caldo” dice!
Dopo sei lunghezze, arrivo alla base di una larga fessura strapiombante; non la si può proteggere adeguatamente perché è troppo larga, ma è anche troppo stretta per entrarci col corpo. Dal canale sovrastante scende un po’ di ghiaccio che ne ricopre il fondo. Toni la osserva perplesso, cercando con lo sguardo una possibile deviazione ai lati, mentre io lo rassicuro, avendo già percorso quel tratto nel 1990 durante la prima ripetizione della Bien: “È un passaggio da capire, non è così difficile, Toni” gli dico timidamente… Ma cosa vuoi dire a un alpinista come Toni? Le uniche parole adatte sono il silenzio, sa lui come fare!
Toni però affronta il tratto incastrandosi in profondità; sale lentamente, non arrampicando ma quasi strisciando, progredisce ansimando e brontolando finché rimane quasi del tutto incastrato, bloccato dalle pareti della fessura. Poco prima di perdere le forze, in un ultimo tentativo di uscire da quella situazione, si sfila il casco e lo ripone in fondo al camino, poi con decisione passa oltre l’ostacolo.
Da sopra la fessura mi prega di provare a recuperare il suo casco, poi parte percorrendo un lungo e facile canale inclinato; sale ora molto veloce, quasi a voler riguadagnare i minuti persi, lo noto dal filare della corda, e raggiunge in alto una buona terrazza dove effettua la sosta. Un tiro di 60 m esatti. Non lo sento e non lo vedo più; appena recupera le corde con forza, capisco che sono in sicurezza e posso iniziare ad affrontare la fessura.
Di corporatura più esile rispetto a Toni, provo ad entrare in fondo alla spaccatura per avvicinarmi al suo casco, ma il grosso zaino che porto mi impedisce l’azione e la forza di gravità mi spinge esattamente dalla parte opposta; provo e riprovo, ma con quel fardello sulla schiena mi è impossibile raggiungere il fondo della fessura. Un po’ affaticato e spazientito, quasi mi convinco a lasciarlo lì, pensando che in fondo è un vecchio casco ormai logoro ed è ora di cambiarlo! D’istinto quindi mi arrampico fuori dalla verticale fermandomi appena sopra, su un piccolo terrazzino… un senso di colpa verso il mio compagno però mi assale! Proverò un ultima volta a recuperare il casco, scendendo nella fessura da sopra; stando attento che non mi si sfili l’imbrago mi capovolgo, chiudo gli occhi e inizio a strisciare a testa in giù verso il basso, ma ancora non basta: il casco è più in fondo.
I minuti intanto passano, non possiamo permetterci di perdere tanto tempo e Toni – intuendo le mie difficoltà – mi urla di lasciarlo là, ma ormai quasi ci sono… Con la becca del martello infine lo pesco per il cinturino e con delicatezza lo porto a me.
Ora posso continuare finalmente l’ascensione, e in pochi minuti raggiungo il mio compagno sulla comoda cengia in alto, dove gli riconsegno il suo vecchio copricapo rosso. Toni è contento e mi spiega: il casco è vecchio, non vale niente. Ma un tempo apparteneva a una giovane di Merano che amava la montagna, l’alpinismo e l’arrampicata. Si chiamava Cornelia Camper: una maledetta pietra dalla traiettoria impazzita, partita chissà dove in alto sulla parete di Mandrea di Laghel in Valle del Sarca se l’è portata via per sempre da questo mondo. Era l’11 aprile 1999 e aveva trentuno anni.
Cornelia Gamper in vetta al Sassolungo
Ecco, quel vecchio casco rosso ormai tutto strisciato dall’uso, che Toni orgogliosamente indossava nel ricordo dell’amica persa, era la cosa più bella che avevamo con noi, ben più preziosa di tutto il nostro costoso equipaggiamento. Anch’io, con la mia azione di recupero, mi sono sentito importante. A posteriori, non mi sarei mai perdonato di non aver recuperato un ricordo così unico per Toni.
Il resto della scalata diventa una pura formalità: i raggi del sole mitigano presto l’aria, lasciandoci assaporare la scalata, anche se su roccia abbastanza fragile. Raggiungiamo al tramonto la bella vetta isolata, dove ci scambiamo in silenzio una forte stretta di mano, poi velocemente giù per i pendii detritici della normale, sfuggendo alla notte e concludendo al buio l’avventura.
È stata, credo, la prima ascensione invernale della parete ovest del Campanil dei Zoldani: fatta da Toni e Stefano, anche e sempre accompagnati da Cornelia.
7
Ho conosciuto Toni per caso una mattina in valle del Sarca e abbiamo fatto cordata insieme sulla via dell’Arcangelo. Lui era solo perché il suo compagno gli aveva dato buca e ci ha chiesto se poteva scalare con noi che eravamo in tre. Così ci siamo divisi in due cordate e io ho scalato con lui. Lo conoscevo già di fama. Una volta ci eravamo trovati alla Casera Bosconero sotto la Rocchetta.
Gran bella persona Ton. Non mi meraviglia che avesse il casco della sua amica.