Metadiario – 19 – La via Oppio al Sasso Cavallo (AG 1969-008)
In quel dolce autunno mi feci prendere dalla magia del Sasso Cavallo, ricordavo bene di come c’ero rimasto male quando l’anno precedente, dopo aver pernottato in chiassosa compagnia al rifugio Elisa, eravamo stati costretti a rinunciarvi. Questa volta eravamo soli, Leo ed io, a dormire al rifugio e il giorno dopo, 26 ottobre 1969, nella quiete di un radioso mattino ci avviammo alla base della via Cassin al Sasso Cavallo. Non ho ricordi particolari di quella salita fino a circa due terzi quando, mentre conducevo in un camino abbastanza faticoso da superare in spaccata, sentii irresistibile l’urgenza di un attacco di vera e propria diarrea. Lottando contro lo stimolo con tutta la mia volontà, ero a quattro o cinque metri da Leo che mi stava assicurando proprio sotto alla mia verticale. Dentro di me risolsi che dovevo almeno arrivare a quel ben visibile chiodo ad anello, poi mi sarei fatto calare alla sosta. Ma andò diversamente. Appena agganciato il chiodo sentii che o mi tiravo giù subito l’imbrago e i pantaloni oppure sarebbe stato il disastro… Scegliendo con frenesia la prima opzione condannai al disastro il mio compagno, che si trovò a fronteggiare un diluvio di merda mai visto, con nessuna possibilità di schivarlo, almeno un poco.
Sasso Cavallo, Sasso dei Carbonari e Grignone dalla Grigna Meridionale
Le stesse montagne viste dal lago di Lecco con Mandello del Lario
Mentre appeso al chiodo cercavo gradualmente di recuperare qualche dignità, Leo mi aveva legato alla sosta con un nodo e cercava di pulirsi al meglio con un po’ di carta igienica. Io mi profondevo in scuse, dicevo che non mi era mai successa una cosa del genere, chissà cosa mi aveva fatto male… e lui cercava di minimizzare, aggiungendo: “la prossima volta che andiamo assieme da qualche parte mi assicurerò di metterti nella colazione al mattino una dose di antidiarroico…!”.
Alessandro Gogna sulla via Cassin al Sasso Cavallo, 26 ottobre 1969
Il Sasso Cavallo dalla Cresta Segantini
Archiviato l’incidente, poco dopo le 16 arrivammo in cima. Si preannunciava uno spettacolare tramonto sulla Grignetta. In discesa verso Rongio, non vedevamo l’ora di tuffarci in una qualche pozza d’acqua della Val Meria per risciacquarci un po’.
Per la 5a ripetizione (ma allora credevamo fosse la 4a) della via Oppio al Sasso Cavallo invece dovevamo essere in quattro. Arrivarono da Genova in tarda serata Gianni Calcagno e Mario Piotti, una cordata che si stava affiatando per le future imprese nelle Alpi Apuane. Per qualche motivo che non ricordo alla fine Leo non fu della partita. Dopo un sonnellino di neppure due ore partimmo alla volta di Lecco e di Rongio, per affrontare di notte la lunga salita ai prati d’attacco del Sasso Cavallo, senza neppure passare dal rifugio Elisa.
Quinta ascensione della via Oppio al Sasso Cavallo, 1 novembre 1969, Alessandro Gogna sulla prima lunghezza (prima del sole)
Quinta ascensione della via Oppio al Sasso Cavallo, 1 novembre 1969, Alessandro Gogna sulla prima lunghezza (raggiunto dal sole)
Il sole del 1° novembre 1969 non aveva ancora indorato le rocce della prima lunghezza quando l’attaccai. Faceva freddino, ma la giornata si preannunciava così bella e mite che nessuno ci faceva caso. Sapevamo che la via era impegnativa, “ostiosa” come dicono i lecchesi: però di mano in mano che salivamo ci trovavamo a vivere quella bella sensazione data dall’amicizia e dal sentirsi all’altezza della situazione. Tanto da non voler correre e non preoccuparci più di tanto della breve giornata novembrina. Ci rendemmo conto solo alle 16 che non saremmo mai arrivati in cima per quel giorno e che avremmo dovuto bivaccare assai scomodi e privi di equipaggiamento. La notte fu lunghetta ma passò, senza nulla da mangiare, né da bere né da coprirsi. In compenso la mettemmo sul ridere, a volte l’allegria è il miglior modo per far scorrere un po’ più in fretta le lancette dell’orologio, specie quando potrebbero sembrare inchiodate… Perfino Gianni era rilassato, anche perché comunque il giorno dopo, 2 novembre, era domenica, dunque non avrebbe perso alcuna giornata di lavoro! Giunti in vetta con comodo, scendemmo per il canalone della Bocchetta di Val Cassina, che già conoscevo. E per una volta, quel giorno, Gianni e Mario, dopo essersi dati il cambio alla guida più volte per il sonno, arrivarono alle loro case di Genova a un’ora decente!
Leo si rifece della mancata Oppio la domenica dopo, quando il 9 novembre 1969 affrontammo la famosa via Milano ’68 alla Corna di Medale. Nella primavera avevamo salito sul Medale la nostra via, che tanto successo ebbe subito dopo. Ci premeva fare un confronto con l’itinerario aperto nell’aprile 1968 da Tiziano Nardella e dall’amico Ettore Pagani. In vetta al Medale alle 17, lo giudicammo altrettanto impegnativo del nostro, che forse aveva qualche lunghezza in libera in più e più “tirata” ma nel complesso era meno lungo e meno faticoso.
Prima dell’inverno, in mezzo alle mie conferenze (28 in tutto l’anno), feci anche qualche uscita in Grignetta, salendo con Leo la via Comici e la via Chiappa (3a salita) al Nibbio (14 dicembre) e con Andrea Cenerini la via Vitali (21 dicembre, prima invernale in una giornata fredda e ventosa) al Torrione Magnaghi Meridionale.
Mario Piotti sulla via Oppio al Sasso Cavallo
Dal Sasso Cavallo tramonto sulla Grigna Meridionale, 1 novembre 1969
Nel frattempo consolidavo l’amicizia con Guido Machetto, del quale ho conservato due lettere. La prima, spedita da Biella, è dell’8 agosto 1969:
“Caro Alessandro, solo oggi ho potuto veramente fare il punto sulla spedizione abruzzese (una spedizione prevista per il 1970 in Pakistan, meta il K6, NdA). Ho tentato per due o tre giorni di parlare al telefono con Pescara, ma non si capiva un tubo e poi le cose erano troppo importanti per essere trattate per telefono, così ci siamo trovati a Torino, il sig. Luigi Barbuscia ed io, e abbiamo parlato. Le cose stanno così:
– vogliono un alpinista solo;
– non gli danno ovviamente niente (soldi);
– le fotografie sono vincolate alla spedizione (non si può pubblicarle).
Ce n’era d’avanzo perché non t’interpellassi e così ho accettato di andare io. Perché io sono un nomade di natura, uno che vive di preferenza sotto la tenda e solo, quindi il viaggio in sé m’interessa e poi può darsi benissimo che tra i componenti vi siano dei robusti alpinisti, anche se non molto bravi, ma resistenti. Si vedrà di scalare qualche montagna.
Vorrei ringraziare infinitamente il Leo (Cerruti, NdA) e te per avermi proposto a quei signori; non so se sarà una spedizione felice, almeno dal punto di vista alpinistico, ma è certo che adesso sono molto felice e riconoscente per la posizione nella quale mi avete messo pur conoscendomi così poco. Certamente se un giorno avrete bisogno di un compagno, anche solo per portare il sacco pesante, oppure per aiutare ad attrezzare e poi scendere, basterà che mi avvertiate e io mollo tutto e arrivo. Buona estate e buone imprese, cordialmente Guido”.
La seconda è invece spedita dal Colle di Tenda (Machetto era direttore degli impianti sciistici, NdA) il 13 dicembre 1969:
“Caro Alessandro, senza avere sentito il parere di Cosimo Zappelli, già io ti dissi che quella scalata era per buona parte questione di organizzazione (qui Machetto si riferisce all’Integrale di Peutérey in invernale, NdA). L’idea però di attaccare in quattro o cinque con tutta la roba sulle spalle è talmente affascinante e contro logica che potremmo anche farcela… Hanno fatto e vinto delle rivoluzioni contro la logica e l’entusiasmo e, appunto, l’assenza di logica hanno giocato a loro favore, quindi se le condizioni della Sud (si riferisce alla cresta sud dell’Aiguille Noire de Peutérey, NdA) lo permetteranno (è basilare) io direi di andare senz’altro anche senza Zappelli.
Materiali: OK e grazie per la mia roba. Aggiusteremo i conti quando ci vedremo.
Film: Renato Gaudioso (il conservatore della Cineteca del CAI, NdA) è pazzo, perché con un milione di lire giriamo un altro Ben-Hur; comunque se potessi interessarmi la spese diventerebbe ridicola; in più, pensandoci, sarebbe veramente troppo il peso (anche se basterebbero 200 m di pellicola). Direi di no per due motivi: Spesa, rimandiamo l’idea del film a quando ci sarà Beppe Re e a una nuova occasione; Peso e Disagio, se siamo solo in quattro (il quinto avrebbe il compito del film).
Dal rifugio Borelli bisogna fare la Sud in due giorni e se la Sud non è in condizioni da essere fatta in due giorni si potrebbe pensare a un’altra scalata che si possa fare in quattro (cresta di Tronchey, per esempio). Tu m’insegni che per le salita “di corsa” occorrono le condizioni, quindi prepara tutto per la Peutérey e se ci sarà troppa neve andremo dove vorrai.
Io sarei sempre dell’idea di fare prima la Nord-est della Grivola (possibilmente tutti noi) per allenarsi, affiatarsi e discutere. Ti ringrazio di cuore mentre ti dico che poter essere con voi a fare una salita mi farebbe molto felice. Salutami il Leo che ormai che ha la Porsche farà solo più il playboy; saluti alle vostre ragazze e arrivederci a presto. Guido.
P.S. Appena dopo l’Epifania mi faccio vivo immediatamente. Ciao”.
Quel periodo di vita è stato tranquillo, le giornate scorrevano attive tra viaggi in auto nelle nebbie di allora, sia per le conferenze che per il mio lavoro per la Cassin. In via Castelfidardo 8 si faceva sempre casino e si dormiva assai poco. Potrei dire un arco di mesi sereno, se trascurassi certe mie irrequietezze sentimentali. Non ero contento d’essere stato ripetutamente infedele, ma non avrei potuto fare a meno di esserlo. In più non avevo rinnovato la mia iscrizione all’università, dunque mi aspettavo la cartolina di partenza per il militare da una settimana all’altra.
Ma le vacanze di Natale sembravano assicurate così Leo, Marina, Nella ed io ci trasferimmo a Courmayeur, nella casa che gli Antonioli da anni affittavano a Dolonne dalla famiglia di Lorenzino Rey, proprio di fronte alla stazione di passaggio dell’ovovia per il Checrouit. Ma invece che migliorare la tecnica sciistica, continuavo a pensare quale prima salita invernale Leo ed io potessimo fare senza mettere in ballo un mucchio di giorni: qualcosa di bello, rapido e indolore, in attesa della prevista Grivola e la vagheggiata Peutérey integrale.
Leo Cerruti in marcia verso la Fourche per il tentativo di 1a invernale alla parete sud-est del Mont Maudit, via Crétier, Natale 1969
Decidemmo per la via Crétier al Mont Maudit. Così, dopo aver festeggiato tutti assieme il 24 sera, nel pomeriggio di Natale prendemmo la funivia per la Punta Helbronner con i nostri grossi zaini e senza indugi ci avviammo sul Ghiacciaio del Gigante per raggiungere il mitico bivacco della Fourche, dove arrivammo nel pomeriggio. Il tempo era bellissimo, il freddo sopportabile.
Nella notte scendemmo sul Ghiacciaio della Brenva e con le prime luci dell’alba ci ritrovammo a condurre le solite operazioni di attacco a una via che proprio facile non sembrava. Salimmo due lunghezze di corda sull’evidente pilastro di granito, in una luce trionfale di roccia rossastra, di neve che la ricopriva, di sole che ci riscaldava. Poi successe qualcosa di strano, non funzionava… Non ci fu bisogno di molti discorsi, con Leo ci si intendeva bene. Mancava la motivazione, potrei dire che non ne avevamo voglia. Così, senza una ragione precisa, preparammo la prima doppia per scendere. Risalendo al Col de la Fourche e poi ancora al Col des Flambeaux la domanda era in sospeso (chissà perché le domande hanno più forza quando si è in salita): perché stavamo tornando a casa? Nostalgia delle nostre donne? Forse la Crétier al Maudit vissuta come dover timbrare un cartellino? Non lo saprò mai. Nessuno sapeva della nostra partenza a parte gli Antonioli: ma i tentativi, specie quelli mai più ritentati, lasciano un sapore un po’ amaro.
Dal Col de la Fourche, uno sguardo sul pilastro della via Crétier al Mont Maudit, Natale 1969
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Mario Piotti genovese di nascita ma pisano di adozione, è stato un uomo molto importante per l’alpinismo apuano.
Decisamente innamorato della parte nord del Pizzo d’ Uccello dove ha aperto la bellezza di 4 nuovi itinerari, che all’epoca della loro apertura e anche per diversi anni dopo, hanno rappresentato il massimo impegno alpinistico apuano.
via “Piotti-Calcagno” alla strapiombante parete nord del monte Bardaiano estrema propaggione della cresta di Nattapiana continuazione della nord del Pizzo d’Uccello.
invernale della via dei Genonesi sulla nord del Pizzo d’Uccello attaccata per la variante della rampa. Salita fatta assieme ad Angelo Nerli e Marco De Bertoldi.
Queste sono le due grandi realizzazioni della cordata Piotti-Calcagno in Apuane.