Valanghe in pista

Esattamente un anno fa, 28 dicembre 2019, una valanga si abbatté su una pista da sci, a 2400 metri di quota, sul ghiacciaio della Val Senales. Il bilancio appariva subito tragico. Una madre con la figlia di sette anni, di nazionalità tedesca, furono celermente recuperate senza vita dalla massa nevosa. Una terza vittima, anche lei una bambina, fu trasportata all’ospedale di Trento in elicottero: sottoposta a rianimazione, non ce la fece e spirò nel pomeriggio. Altre due i feriti di media gravità, trasportati a Merano: erano il padre della bimba trovata morta sotto la valanga e il figlio più grande di 11 anni, anche loro di nazionalità tedesca.

La valanga si staccò alle ore 12.10 nel comprensorio sciistico del ghiacciaio della Val Senales: era di grandi dimensioni con una larghezza di circa 150-200 metri e una lunghezza di circa 500 metri. La slavina si riversò sulla pista «Teufelsegg» e coinvolse diversi sciatori.

Una curiosità: il quotidiano tedesco Bild riportò che il ministro dei Trasporti tedesco Andreas Scheuer, che si trovava in vacanza in Alto Adige, proprio il giorno prima aveva percorso con gli sci la stessa pista Teufelsegg.

Al soccorso avevano partecipato i militari del soccorso alpino della Guardia di Finanza in servizio di vigilanza piste con un’unità cinofila, il soccorso alpino, i vigili del fuoco dei paesi limitrofi, la Croce bianca e quattro elicotteri di soccorso, il Pelikan 2, L’Aiut Alpin Dolomites, l’elicottero della Sezione Aerea della Guardia di Finanza di Bolzano e l’elicottero di soccorso Christophorus 7 dal Tirolo.

Valanghe in pista
di Carlo Crovella

E’ luogo comune che il rischio valanghe coinvolga i frequentatori del fuoripista: scialpinisti, freerider, ciaspolatori, “cascatori”, alpinisti invernali, ecc. Insomma si lega la possibilità di esser travolti all’andar per pendii vergini, appesantiti da tonnellate di powder o resi insidiosi dagli accumuli del vento. L’uomo della strada, quando legge sul giornale di un incidente da valanga, sotto sotto pensa: “Se la sono cercata”. Nessuno obbliga a lasciare le piste battute e sorvegliate, questo è l’assioma di fondo. In realtà è in fase di crescita anche il fenomeno delle valanghe che arrivano a coinvolgere anche le piste battute, a volte travolgendo gli ignari sciatori. Il pericolo non è mentalmente percepito neppure da scafati scialpinisti che si dedicano ad una giornata in pista. Io stesso, dopo aver letto il sottostante articolo, mi sono immedesimato nello status mentale di quando scio in pista (evento rarissimo: da almeno 35 anni utilizzo gli impianti una, massimo due volte a stagione e certi anni neppure quelle). Per esempio non mi passa neppure per l’anticamera del cervello di portare con me l’ARTVA. Sto parlando di giornate esclusivamente trascorse in pista, perché quando ci si dedica al fuoripista (che oggi chiamiamo pomposamente freeride), l’approccio è già diverso. In pista ci siamo abituati a essere “al sicuro”: è come se entrassimo in una palestra, o meglio in uno stadio predisposto per lo sci, ma curato e sotto costante sorveglianza. Per esempio, in caso di infortunio lungo le piste, scatta il soccorso con tanto di toboga e assistenza fin giù, dove è già stata allertata (se del caso) un’ambulanza. Questo contesto distrae, porta a pensare appunto di essere in una situazione antropizzata e quindi sotto controllo, sia a posteriori, ma anche a priori: in pista il rischio valanghe non viene percepito, perché la gabbia di sicurezza del comprensorio dovrebbe evitarlo per definizione. Dimostrazione di quanto possa essere fuorviante la nostra società sicuritaria. Se uno scialpinista di lungo pelo come me è portato a esprimere un approccio del genere verso le giornate in pista, figuriamoci i pistaioli “puri”: famigliole, comitive di adolescenti, scuole sci, gruppi agonistici o semplici impallinati della pista, che la frequentano da anni, ma senza aver mai messo piede (e testa) fuori dai tracciati battuti e considerati “controllati”. Con i cambiamenti climatici in corso e la crescente irrequietezza della natura, il fenomeno valanghe sarà sempre più imprevedibile e richiederà un acculturamento anche per chi limita al sua attività ai percorsi battuti.

Le dichiarazioni dell’ANEF
di Enrico Martinet
(pubblicato su La Stampa del 5 gennaio 2020)

Valanga, incubo dell’inverno. Quello appena cominciato ha già dato tragici segnali. E con un’anomalia, una grande massa di neve ha travolto il 28 dicembre 2019 cinque sciatori su una pista dell’Alto Adige: una donna e due bimbe di 7 anni morte, altre due persone ferite.

I comprensori attrezzati non sono luoghi d’avventura, alpinismo o scialpinismo: accolgono appassionati dello sci di pista che fra i rischi non mettono certo in conto la valanga. Così la sciagura sulla pista Teufelsegg in Val Senales (c’è un’inchiesta della Procura di Bolzano con cinque indagati) diventa un «caso che non può e non deve ripetersi», dice Valeria Ghezzi, presidente dell’ANEF (Associazione Nazionale Esercenti Funiviari), a capo degli impianti di San Martino di Castrozza, in Trentino.

«Nulla sarà come prima – aggiunge – Prima di tutto bisogna ricostruire i fatti. Noi impiantisti siamo tenuti a dare certezza ai nostri clienti e non certo a dire loro siete nelle mani di Dio». La normativa di riferimento è la legge nazionale 363: impone che le piste siano in sicurezza. «Già – continua Ghezzi – ma come molte cose in Italia, ci sono diversi metodi seguiti. Ogni Regione ha i suoi regolamenti, dalle commissioni valanghe ai piani alle mappe di pericolo. Sono previste ordinanze di chiusura dei sindaci, ispezioni. La questione è che noi dobbiamo prenderci le nostre responsabilità e, in caso di dubbio, chiudere la pista. Dalla Valle d’Aosta al Friuli ogni comprensorio ha zone soggette a valanghe. È normale in montagna, l’anormalità è che accada in pista».

I sistemi usati per la sicurezza sono strutture di contenimento delle masse nevose, come i paravalanghe, o le esplosioni, non più con dinamite, ma con miscele di gas. Dopo un’abbondante nevicata o nel caso di grandi accumuli i comprensori seguono questo metodo o con strutture già piazzate sul terreno o con l’uso degli elicotteri. Lo spostamento d’aria dell’esplosione provoca uno squilibrio nella massa nevosa e la sua caduta. Bonifica preventiva. «Sì, certo – commenta Ghezzi – ma nel caso della Val Senales nessun paravalanghe avrebbe potuto fermare quella valanga. La montagna ci dice che esiste sempre l’imponderabile, il non prevedibile, e allora l’unica misura di sicurezza è la chiusura della pista, in attesa che i versanti a rischio vengano o bonificati o si scarichino. Ma sa che ci sono Regioni che, proprio per la sicurezza delle piste, chiedono una dichiarazione di immunità da valanghe? Un assurdo, nessuno può dire che su un pendio non cadrà mai una valanga. Così come le previsioni non possono essere generiche, devono essere valutate luogo per luogo».

Regole da uniformare, dice la presidente ANEF, con una convinzione: «Una valanga su una pista è caso per fortuna raro, ma quando avviene le conseguenze ricadono su tutti i comprensori. Dobbiamo farcene carico noi esercenti e non parlare di fatalità. Sulle piste la fatalità non può esistere, non per le valanghe. Non è tollerabile che non si parli di responsabilità».   

Valanghe in pista ultima modifica: 2020-12-28T05:36:30+01:00 da GognaBlog

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33 pensieri su “Valanghe in pista”

  1. La polemica sui gestori mi sembra il solito riflesso condizionato ideologico per cui tutto ciò che non è puro alpinismo o scialpinismo è l’incarnazione del male o forse è scarsa conoscenza di come sono gestite le stazioni sciistiche.  
    A nessun direttore impianti piace finire davanti ad un giudice con l’accusa di omicidio colposo e infatti capita normalmente che nelle stazioni, dopo abbondanti nevicate e nell’impossibilità di operare le necessarie bonifiche, alcune piste vengano chiuse proprio per scongiurare che dei potenziali distacchi, invadendo la pista, mettano in pericolo gli sciatori. 
    Poi ci potranno essere errori di valutazione o superficialità ma tutto questo fa parte del normare errare umano incluso il caso in questione visto che proprio quella pista veniva spesso chiusa per il pericolo di distacchi a dimostrazione che  i gestori degli impianti non sono necessariamente sempre degli avidi criminali con la bava alla bocca ansiosi di spillare soldi a degli irresponsabili dementi appassionati di sci da discesa.

  2. Con particolare riferimento agli ultimi commenti. Non li cancello proprio perché servano da monito per ciò che io, come curatore di questo blog, fermamente non voglio. Questo è un avvertimento, per ciò che può servire.
    GognaBlog non deve essere palestra per schiamazzi e bisticci che lasciamo volentieri a facebook o ad altri social. Soprattutto non vuole esserlo per i soliti (per fortuna pochi) protagonisti. Per nostra natura saremmo più portati (come abbiamo quasi sempre fatto finora) a fidarci della buona natura e del buon senso dei commentatori, perciò ci ripugna ricorrere a cancellazioni e censura. Che non esiteremo però a mettere in atto se qualcuno vorrà continuare così.
    Grazie a tutti della collaborazione

  3. “Poi ognuno dei clienti deve usare la testa e valutare, non vado a 300 all’ora in autostrada tedesca anche se mi e’ consentito…”
     
    vabbeh buon divertimento a voi analisti di mercato dello sci da pista…
    continuate a pesare le mele con le patate e poi pagate tutto insieme. Se vai a trecento all’ora in un luogo dove è consentito assumi tu una condotta da valutare in base al tuo mezzo, alle condizioni della strada alle tue capacità di guida, esattamente come se ti schianti contro un albero perché stai facendo i 110 allora con gli sci e non li sai governare. 
    se cadi dal ponte del’Autobahn perché c’è caduta sopra una frana è un pò diverso ed è inutile ( e da incompetenti) inneggiare alla sensibilità dei guidatori, perché con l’emergenza climatica ogni autostrada sarà soggetta a frane
    Detto ciò buon divertimento con il vostro giochino :o) io mi sono rotto 
     

  4. Certo Crovella
    a parte la tua pochezza nel continuare ad usare insulti, ti rammento che sono commenti aperti.
    se ti infastidisce quello che scrivo puoi saltarlo api pari, senza insultare.
    Se tu continui a scrivere castronerie e mediocrità generiche in termini di diritto e di apprezzamento delle circostanze io continuerò a rimarcarlo, almeno sino a che qualcuno non mi banneranno, ogni volta che ne avrò voglia e non avrò di meglio da fare. 
    Chi legge può rendersi conto delle posizioni
    stai bene, ti vedo un pò iper reattivo (e parecchio maleducato). 

  5. Il covid con il rischio valanghe non ha a che vedere ma alla base sta sempre il rischio che prevalgano sempre e prima gli interessi economici. In questo senso quindi le due cose si parlano. Non avete anche voi avuto la sensazione che piuttosto che tirar su i soldi si faccia di tutto per urlare, pressare, pretendere? E che non e’ certo un remoto rischio valanga se non un remoto rischio di contagio in funivia che possa far indietreggiare quando si tratta di soldi? Questa e’ una attitudine errata, punto. Anche perche’ dopo gli incidenti ( o i contagi) il danno economico e’ ancor maggiore. Cio’ detto, se una valanga arriva in pista e’ perche’ qualcuno dei gestori non e’ stato abbastanza prudente. Trattandosi di piste la responsabilita’ e’ dei gestori, che tra l’altro ci guadagnano. Poi ognuno dei clienti deve usare la testa e valutare, non vado a 300 all’ora in autostrada tedesca anche se mi e’ consentito…

  6. @25: non ho proprio scritto quello che hai riportato tu e se non capisci, in profondita’, quello che viene scritto, evita di leggere, evidentemente travalica le tue capacità. Mi pareva che tu avessi recepito il mio suggerimento (che ti ho ripetuto più volte) che, se i miei scritti ti infastidiscono, puoi saltarli a pie’ pari: se hai ripreso a cadere nello stesso errore, si vede che la tua memoria inizia a difettare e bisogna ricordarti le cose periodicamente. Evita di infastidirmi ulteriormente perché non ho nessun piacere di interfacciarmi con te, te l’ho gia’ detto in tutte le salse.

  7. Utilizzo il termine poveretto nei confronti di chi non riesce ad avere una visione di campo aperto e si intestardisce solo su singoli risvolti del tutto irrilevanti o cmq marginali rispetto al discorso principale. Continui a non capire il concetto chiave di queste riflessioni, ma evidentemente ciò dipende da limiti tuoi. Con il rialzo termico generale io ho visto, da circa 10 anni in qua, dei distacchi (a volte che di piccolissime dimensioni)  che non si erano mai visti in precedenza. Il che rende TUTTE le piste potenzialmente pericolose in qualsiasi momento e richiede, per chi lo desidera, un approccio diverso da quello storico, di quando cioe’ non si prendeva neppure in considerazione l’ipotesi di valanghe che arrivassero a invadere le piste. Io leggo con una certa sistematicita’ le cronache legate agli incidenti di montagna, intesi in senso lato, e non ho memoria di valanghe in pista nei decenni ’70, ’80 e anche per buona parte dei ’90. Negli ultimi 10-15 anni il fenomeno è in fase di forte intensificazione, a giudicare proprio da quanto sono diventati numerosi gli articoli specifici. Questo è il punto, poi ognuno agisca come ritiene piu’ opportuno. Per esempio trovo che il commento del lettore che utilizza anche in pista l’artva e i bastoncini estensibili in sonda sia un approccio più adeguato al tema che continuare a berciare come oche che esistono le responsabilità giuridiche dei gestori. Premesso che a titolo personale non sono un appassionato dello sci di pista, per quella volta a stagione che tornerò a utilizzare in futuro gli impianti (quando li riapriranno), seguirò il suggerimento del lettore citato, che non considero un poveretto di spirito proprio perché ha focalizzato l’approccio individuale ora più opportuno anche per la pista, piuttosto che le tue noiosissime litanie sulle responsabilità dei gestori (che evidentemente non conosci di persona, come invece capita a me, perché altrimenti sapresti che NON ragionano affatto secondo i tuoi parametri, anche per le tante pressioni economiche degli altri operatori in valle: ne ho parlato in profondità qualche settimana fa- in un commento – e non mo ripeto). A questo punto ritengo che sia meglio che, piuttosto che stare a menarcela ripetendo all’infinito le stesse cose, andiamo sul terreno, ovviamente in modo separato. Io fra mezz’ora attacchero’ le pelli agli sci e mi godrò la giornata in modo molto più divertente che stare a leggere i tuoi commenti. Infine, come ad altri in passato, do anche a te lo stesso suggerimento strategico: se i miei articoli e i miei commenti ti infastidiscono, saltali a pie’ pari, cosi’ eviterai di infliggerti una sofferenza e, parallelamente, di continuare a rompere al sottoscritto.

  8. continuare a parlare a vanvera di gestori pressati da esigenze economiche che non chiuderanno mai è parimenti da incompetenti (io non ho mai usato il termine poveretto, che l’estensore, con eleganza sabauda, dispensa ai propri lettori).
    tenere aperta una pista a rischio valanga espone ad una serie di elevati rischi penali (se la valanga cade e ci scappano un pò di morti, auguri…) che nessuna polizza garantisce  e che, oltre a grave sui singoli, possono incidere fortemente sulla appetibilità commerciale di una località… non credo che nessun gestore di impianti lo prenda alla leggera
    che poi ci possa essere del tutto episodicamente  una colposa sottovalutazione del rischio fa parte dell’agire in tutte le attività umane. ma se hanno sottovalutato i tecnici addetti alla sicurezza delle piste dubito che la sensibilità da volpe scialpinistica crovelliana arrivi più in là.
    altro discorso è il Covid e la riapertura in questo periodo, che non c’entrano nulla con il rischio valanghe… ma ovviamente facendo il solito frullatone si alza un bel nebbione e hanno tutti ragione.
    del resto basta aver sciato tre volte in pista per rendersi conto che per il 90 % dei percorsi il rischio non si pone oggettivamente per ubicazione e modalità di realizzazione. 
    per il resto quoto caminetti.  
     

  9. Sostenere che sciare in pista (da scivolare inconsapevole e apprezzatore di baite & bombardino) è pericoloso come fare scialpinismo (da volpe delle nevi o esperto o istruttore o guida, ecc) è da incompetenti.

  10. @20 due cose. 1) va precisato che ci sono scialpinisti di un tipo e scialpinisti di altro tipo: ci sono quelli, sempre piu’ rari purtroppo, che tengono sotto stretto monitoraggio l’evoluzione niveometereologica da inizio (novembre) a fine (maggio-giugno) stagione, attraverso l’analisi sistematica dei bollettini Aineva o Arpa, per cui danno.muoversi adeguatamente sul terreno, e poi si sono altri scialpinisti, sempre piu’ numerosi purtroppo, che magari decidono di punto in bianco di andar a fare una gita, senza alcuna valutazione scientifica della situazione, senza saper come e quanto ha nevicato e dove ha tirato vento ecc. Quindi parlare di generica capacità di valutazione degli scialpinisti è improprio.
     
    2) Inoltre i gestori degli impianti, a parte che non li ho mai visti porsi il problema delle valanghe che invadono le loro piste, sono sottoposti a tali pressioni di natura economica che mai chiuderanno gli impianti in via preventiva e prudenziale solo perché temono che quel giorno possa cadere una valanga che arriva a invadere una delle loro piste. Non li avete visti in TV i gestori nei giorni in cui (tre settimane fa circa) c’era dibattito se aprire o meno gli impianti in queste vacanze? Ne avete sentito uno, uno solo, dire che “in effetti con la curva epidemica in salita (e i morti giornalieri vicini a 1000) forse la prudenza suggeriva di non aprire???” Ma no, invece tutti a imprecare contro il governo che li costringeva a tener chiuso. E tu ti aspetti che quegli stessi gestori, di loro iniziativa, chiudano una o tutte le loro piste per un supposto rischio di valanghe che possono arrivare a invadere le loro piste? Ma non succederà mai. Preferiscono sottoscrivere delle mega assicurazioni R.C. e tenere aperto. È lì che il singolo, se ci tiene alle sua pelle, deve compensare mettendoci la sua testa. O vi interessa di più il risarcimento che daranno ai vostri eredi? Io preferisco che non ci sia risarcimento futuro ai miei eredi in quanto non c’è stato un incidente oggi perché sono stato prudente e ho saputo evitare i pericoli. se preferite l’ipotesi opposta, affidatevi pure in toto ai gestori, poi vedremo quanto sarà il risarcimento per i vostri eredi e quale tempistica richiederà per arrivare a loro.

  11. Non ho mai sostenuto che vada trasferita la responsabilità giuridica dal gestore di impianti all’utilizzatore degli stessi. Dico una cosa diversa. More solito ci sono i soliti lettori che, poveretti loro, non colgono fino in fondo quanto esposto. Il succo del mio ragionamento e’: io sostengo che, con il rialzo termico generale, il manto nevoso nel suo complesso sia più fragile di quello che poteva essere 30 anni fa (circa). Di conseguenza vengono giù valanghe che, in quei luoghi, io non avevo mai visto nei decenni precedenti. Molte di queste invadono le piste da sci, che erano state tracciate in certi posti proprio perché li’ non scaricava mai. La grossa novità e’ che le piste, da percorsi al di sopra di ogni rischio, in certe condizioni, oggi sono diventate rischiose quasi quanto le gite scialpinistiche. Di conseguenze delle due l’una: o si chiudono gli impianti (ipotesi che a me piace molto, ma che giudico irrealistica perché dubito che i gestori lo facciano di loro iniziativa) oppure il singolo sciatore, quando apre la finestra al mattino, “annusa” l’aria che tira quel giorno e deve saper capire se è giornata da potersi permettere una sciata sulle piste oppure no. Se in quello stesso giorno, lo scialpinista richiude la finestra e dice “oggi prudentemente me ne sto a casa e rinuncio alla gita scialpinistica”, probabilmente dovrebbe dire lo stesso anche il pistaiolo. Trent’anni fa non era così, anzi spesso lo scialpinista che, in in una determinata giornata, rinunciava alla gita scialpinistica per prudenza, si concedeva una giornata in pista, tanto lì non c’era lo stesso pericolo (allora). Oggi non è più così: quando è pericoloso lo scialpinismo, lo è anche la pista a causa delle valanghe che, dai fianchi, arrivano a invadere le piste. Meglio saper riconoscere “quei” giorni e astenersi anche dalla pista, a prescindere che le chiudano o meno. Fermo restando la responsabilità giuridica dei gestori, ma i ragionamenti sopra esposti non hanno minimamente a che fare con la responsabilità giuridica. E’ una questione di “testa” individuale, dote oggi sempre più rara e che invece dovrebbe a questo punto coinvolgere anche la massa dei pistaioli. Chimera iperbolica, perché la massa, per definizione, non ha propensione a usare la testa, altrimenti non sarebbe più “massa”. Vedremo come si evolverà la problematica quando e se ripariranno gli impianti dopo la chiusura per Covid. Buona serata a tutti!

  12. Ci puoi mettere tutta l’attenzione che vuoi ma l’incidente può sempre capitare, tanto più se poi magari in zona si pratica il fuoripista in barba ai divieti…

  13. more solito l’estensore dell’articolo ha travisato quanto ho scritto.
    Ho semplicemente detto  che  affermare “Con i cambiamenti climatici in corso e la crescente irrequietezza della natura, il fenomeno valanghe sarà sempre più imprevedibile e richiederà un acculturamento anche per chi limita al sua attività ai percorsi battuti” è una castroneria.
    Cambiamenti climatici o meno, un comprensorio sciistico, salvo che riservi zone in cui il fruitore assume consapevolmente il rischio, deve garantire che le piste siano sicure al 100%.
    Se non lo sono, non dovevano essere lì o non dovevano essere aperte. 
    Ma non si può trasferire sull’utente un obbligo di allertamento o suggerire simili presupposti, oppure si fa informazione a capocchia.
    Poi condivido quel che dice cominetti, da quarant’anni faccio sci alpinismo (e ghiaccio) seguendo il motto “la valanga non lo sa che sei esperto”.
    MA chi gestisce un impianto ha l’obbligo di vigilare al 300% 
     

  14. Le valanghe sono prevedibili, non nel senso dell’ora e del distacco, ma nel senso del pericolo. Per analogia: non si tratta di prevedere un terremoto ma di individuare una zona sismica (che però è tale solo per un tempo limitato). Se lo scialpinista di passaggio si ritiene in grado di fare ciò, il responsabile della sicurezza di un certo cpmprensorio dovrebbe riuscirci meglio. A meno che lo scialpinista non dia per scontato di essere un assoluto genio 

  15. Mah…più che rincorrere i responsabili per farsi risarcire credo sia meglio guardarsi intorno ex ante per capire che aria tira quel giorno, se c’è rischio o meno. Mi sembra che, a differenza di diversi decenni fa, oggi anche per andare in pista ci vuole la “testa” come per fare una gita scialpinistica. Almeno porsi il problema a titolo individuale. Il cambiamento strutturale non è giuridico, dove permane la responsabilità di chi gestisce gli impianti (che c’era allora come c’è adesso), ma del diverso equilibrio climatico, in particolare sul fronte delle temperature. Questo mi dice il mio istinto a seguito di osservazioni meticolose. Negli ultimi anni ho visto valanghe capaci di invadere le piste e questi distacchi non li avevo mai visti in decenni e decenni. Io piuttosto che stare a far causa, a posteriori, preferisco estendere la mia testa da scialpinista anche alla pista e capire quando è opportuno andarci e quando no. Non e’ un obbligo, è un consiglio da vecchia volpe delle nevi. Il problema grosso è che la massa dei pistaioli non ha la testa da scialpinista (se per quello, anche la maggioranza degli attuali scialpinisti non ha la “testa” giusta da scialpinista!). Ciao!

  16. a Simone: 
    non mi sembra che si possa accettare un crollo come quello del ponte autostradale di Genova.
    Non mi sembra che ci fosse un cartello che avvertiva:
    “se ci passi è a tuo rischio e pericolo”.
    Quando il mare è incazzato, si mette la bandiera ROSSA e il bagno è vietato.

  17. Volendo essere più precisi: gli stabilimenti balneari sono sorvegliati da bagnini, le strade vengono chiuse per rischio di frana o valanga, persino i sentieri CAI, che non sono vie di roccia, vengono chiusi se non rispettano standard minimi. Sono ovvietà 

  18. A Simone: con mare grosso si chiudono gli stabilimenti balneari. Se sali la scala di un hotel non è previsto che tu sia uno scalatore. Lo sci alpino non è scialpinismo 

  19. Le cose capitano, quanti perdono la vita al mare in estate vittime di annegamento, non per questo ci si sogna di chiudere le spiagge, quanti incidenti stradali succedono con morti, giusto il tempo di fare i rilievi e di ripulire l’asfalto e la circolazione riparte, non mi sembra che anche qui nessuno si sia mai posto il problema di mettere da parte le auto. Potrei suggerire di restare a casa, ma se si leggono le statistiche è altissimo il numero di decessi a causa di incidenti domestici,…quindi prendiamo la vita per come viene e speriamo di ritornare presto in pista.

  20. sono d’accordo con Ginesi. Apri una pista da sci per farci soldi. Quindi te ne assumi la responsabilità. Troppo facile scaricare il tutto sugli altri o sul fato.
    Se ci fai sciare, vuol dire che la pista è sicura, altrimenti la chiudi.
    E’ un pò come con le autostrade, piene di disservizi ma le tariffe sono come se fossero perfette. I ponti crollano ma nessuno si sente responsabile. I ponti sono pericolosi ma nessuno li chiude. Si giustificano dicendo che sono monitorati…ma che vuol dire !!!?!!?? Se il ponte crolla, come è accaduto, sai che me ne faccio del monitoraggio.
    Stessa cosa per il covid. Tutta colpa del cattivo comportamento dei  cittadini. Ma nessuno si assume la responsabilità di avere sottovalutato il problema, di non avere un adeguato sistema sanitario, di non aver rivisto il piano pandemico, ect. 

  21. Ritorniamo alla concenzione elitistica della “montagna per pochi”. Sarebbe piu’ onesto e schietto dire che si dovrebbero abolire gli impianti di risalita.
    Ma e’ del tutto improbabile e irrealistico che un fenomeno di massa come lo sci di pista possa essere gestito facendo affidamento sulle capacita’ di valutazione degli utenti. Questo naturalmente non significa che le conoscenze individuali non siano importanti e che possano fare la differenza, fino anche a salvarti la pelle. Rimane pero’ vero che impianti e piste sono un qualcosa che l’utente legittimamente si aspetta di fruire sotto l’ombrello di precisi standard di sicurezza. Come ha detto bene Ginesi, aprire un impianto a pagamento e le relative piste richiede che tali standard possano essere garantiti.  I rischi del garantire ( che e’ effettivamente certo solo sulla carta ) se li deve prendere prendere in toto l’impresa che gestisce. Se questo non e’ possibile, si prende atto della scelta errata del percorso della pista, e si chiude.

  22. Da cosa dipenda questa diversa sensibilita’ non saprei.

    Mica siamo dei robot.

  23.  A volte uno sciatore  fuoripista in solitaria ..si prende i tempi , valuta e  non avendo una platea di  spettatori , si ritira  all’occorrenza non dovendo rendere conto se non a se stesso. Se invece si e’ in gruppo..sorgono varie dinamiche : prudenti, temerari e gregari di chi si impone nella decisione da prendere su come proseguire su  manto incerto. .Interessante  il concetto di”campanello d’allarme”, per alcuni scatta presto, per altri al momento opportuno e per altri  ..ce ne vuole parecchio..forse c’e “un filo staccato”. Da cosa dipenda questa diversa sensibilita’ non saprei.  A volte per una stessa persona , c’e’la giornata   che incita ad osare e la giornata  eccessivamente prudente.Poi nel ricordo  si rimugina :ho osato troppo oppure sono stato  troppo arrendevole.Importante e’continuare a ricordare , il che non succede per chi ci e’ rimasto.

  24. Tipicamente la valanga non è imprevedibile e quando si dice di non uscire di pista, giustificando l’invito col rischio di valanga, si ammette la propria responsabilità. Dopo di che, non tutto avviene in modo tipico e i processi non si fanno al bar 

  25.  “Con i cambiamenti climatici in corso e la crescente irrequietezza della natura, il fenomeno valanghe sarà sempre più imprevedibile e richiederà un acculturamento anche per chi limita al sua attività ai percorsi battuti.”
    no, per niente.
    sciare in pista significa concludere un contratto con un soggetto che mi assicura la fruizione di un bene che deve essere tendenzialmente sicuro, non solo un mezzo di risalita. Se le condizioni non  vi sono è suo onere chiudere quella pista.
    Troppo comodo ribaltare  ai fruitori il rischio.
    i mutamenti climatici non c’entrano un tubo. Sotto i profilo giuridico non si può traslare sull’utente il rischio di incidente da valanga, salvo avvertirlo  prima che si sta recando su terreno di avventura ed ottenerne il consenso. 
    nel lontano 1997 mi capito di essere  a sciare allo checrouit quando cadde una frana enorme  dalla parete della brenva e provocò una valanga terrificante, che saltò il plateau della brenna e spazzo l’intera val veny.
    Morirono due sciatori sulla pista di rientro di quella valle,  e segui un processo di cui – per ragioni che qui non rilevano – mi capito di interessarmi. Finirono indagati il responsabile del soccorso locale, il responsabile degli impianti e altri soggetti connessi alla gestione della zona poichè sottovalutarono i segnali di distacco che si erano manifestati sin dal mattino.
    chi utilizza un percorso gestito non può ritenersi titolare di alcun rischio, che non sia conseguente ad eventi assolutamente straordinari ed imprevedibili.
    Se andate al luna park non vorreste che i vostri parenti cghe vi piangono perché uno dei carrelli si è staccato dalle montagne russe si sentisse rispondere che era una attività con un certo margine di rischio.
    Se invece vi buttate giù dal capitan con un carrello per i fatti vostri, se vi schiantate rimangono tutti fatti vostri.
    stessa differenza  in pista e fuori. 
     

  26. Chiedo perdono… Ma quando si parla di neve si deve conoscere l’elemento… Effimero e infingardo… Il garantismo assoluto non esiste… Tanti auguri 

  27. Quando scio in pista porto l’artva acceso e bastoncini che possono funzionare anche come sonde.

  28. Quando scio in pista porto l’artva acceso e bastoncini che possono funzionare da sonda,  non la pala.

  29. Il paradosso di questa Italia che cerca sempre responsabili (leggasi capri espiatori)  è che tra qualche anno non troveremo più un meteorologo o un centro previsionale che accetterà il rischio di una mancata allerta valanghe, alluvione, meteo in senso lato. Vanificando in questo modo una corretta gestione del rischio che rappresenta lo stato dell’arte di qualunque paese moderno. ‘Gestione’ del rischio, non annullamento. La differenza è culturale, prima ancora che tecnica.

  30. Nella natura la totale sicurezza non è mai esistita né mai esisterà. 
    In questi giorni si parla della riapertura “in sicurezza” degli impianti, che infatti è stata bocciata. La parola sicurezza per ogni cittadino dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme, specialmente per come oggi se ne abusa, ma invece la massa ignorante e benpensante (ca il 99% della popolazione) vive nella spasmodica ricerca di qualcosa che gli “altri” dovrebbero organizzargli. Ma gli “altri” fanno parte della stessa risma e quindi è impossibile uscirne. Rassegnamoci.

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