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Due mesi dopo la scomparsa di Walter Bonatti, come Supplemento a Panorama n. 47 del 16 novembre 2011, uscì un numero speciale di Epoca completamente dedicato alla sua figura.
Ci è parso uno dei migliori documenti in circolazione per riassumere ciò che Bonatti volle esprimere durante tutta la sua avventurosa vita. Lo pubblichiamo qui in undici puntate, con conclusione a fine ottobre 2024.
Walter Bonatti, in cima al mondo – 08 (08-11)
di e con Walter Bonatti
a cura di Emanuele Farneti
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Caro Fissore, effettivamente la castrazione chimica dell’africano dopo il primo figlio è un 8a sprotetto. Richiede una determinazione e un coraggio che la banda di falliti ex sessanottini e di buonisti dalla vacillante virilità che impestano questo blog non può neppure lontanamente immaginare. Per quanto riguarda Pulp Fiction ricorderai il capello lungo e unticcio di John Trovolta, uno dei due killer, anche se hai visto solo i primi 15 minuti. Sempre diffidare degli unti, qualunque sia l’olio con il quale si ungono: santo, di ricino, di oliva o di patatine fritte e rifritte. E su queste note profonde si chiude una triste giornata, mentre urla e biancheggia il mare. Buona notte e che il sonno della ragione non generi ulterori incubi.
quindi programma specchio della società italiana
Pasini. Io da malpensante sinistrorso del politicamente scorretto con tendenza all’anarchia con regole ferree (semplificando, insofferente del potere becero, assolutamente esigente con me stesso per etica), non ci avevo pensato alla castrazione, anche non chimica…
Non sopporto chi vuole impormi il suo vomito (Cruciani), per chiudere con la tricologia sono calvo, e da Pulp fiction mi sono alzato dopo 15-20 minuti.
Fissore. Beh dai, la castrazione chimica obbligatoria per gli africani, proposta qui dalla destra “compassionevole”, non era male. Peccato non si possa fare, a causa dei benpensanti sinistrorsi del politicamente corretto. Direi che il defunto Mauro da Mantova, una delle colonne per molto tempo della Zanzara, e il suo demiurgo Cruciani dai riccioli unti e bisunti a causa del poco uso dello shampoo, teorizzato come segno tangibile di pensiero libertario e aperto, hanno trovato pane per i loro denti. Ho sempre pensato che la tricologia influenza il comportamento. Certo infiniti sono i modi con cui noi umani ci divertiamo nel tempo libero. Alcuni però francamente a me fanno un po’ impressione. Ma forse io sono un benpensante ottuso della vecchia scuola, che veniva bacchettato (letteralmente) sulle nocche dal maestro (maschio e un po’ fascio) in giacca e cravatta quando le sparavo troppo grosse. Altri tempi, signora mia….
A lei non interessa la prestazione, la velocità, arrivare prima. Interessa il viaggio. Come si dice: il traguardo è il viaggio, l’esperienza che si vive sulle due ruote giorno per giorno.
È molto vero quello che dici. La bicicletta di “lungo corso” è un fenomeno che ha raggiunto dimensioni veramente notevoli, accanto alla tradizionale bicicletta di velocità o di montagna. Un po’ come i “cammini”. Ormai ce ne sono un mare, frequentatissimi, con una ricca letteratura di supporto. Spesso con una componente storica importante. Penso alla vostra Via Vandelli ad esempio. Sommando i numeri tra bici di lungo corso e cammini si arriva a migliaia e migliaia di persone. Non può essere un caso o solo il risultato di efficaci campagne di marketing. C’è qualcosa sotto nella coscienza collettiva e nello spirito del tempo. Sarebbe un argomento su cui riflettere anche qui sul Gogna Blog.
Da alpinista a montanaro è un desiderio che mi porto dentro da sempre. Anche se, spero venga il piu tardi pissibile, perchè come ho detto in altre occasioni: quando mi manca la montagna verticale vado in crisi. Sicuramente io ho una visione piu ristretta di mia moglie. E questo complica le cose.
La bici (quella vera) gli ha dato la possibilità di viaggiare in modo lento ma non lentissimo. Di vedere tante cose che prima non vedeva. Quindi il dover smettere con la montagna, e stato doloroso, ma alla fine per lei, non è stato poi così negativo, è stata quasi una porta d’ingresso in un altro mondo, che era lì ed aspettava solo di essere aperta. Ed in giro in bici per il mondo, quando ti fai 1.500 km. e piu pedalando con la bici bella carica, magari sotto la pioggia, a 5000 metri, non è che gli manchi l’avventura.
Roberto, ti do del tu, perchè mi e piu congeniale. Ti posso fare l’esempio di mia moglie. Ho arrampicato tanto con lei, poi a causa di un problema alle ginocchia ha dovuto smettere di andare in montagna e ha inziato con la bicicletta. Da prima in modo molto semplice, poi sicomme gli è sempre piaciuto viaggiare, ha scoperto che poteva viaggiare facendolo con la bici. Caricando la bici per essere autosufficiente. Da li sono anni che fa lunghissimi viaggi con la bici: Europa, Bolivia, Cile, Argentina, Nepal, ect. Insomma e diventata per lei non un’attivita di ripiego ma una vera e propria e forte passione.
Benassi. Piove di brutto e mare in burrasca. Tempo adatto per il confronto tra uomini reali e non tra “figurine”. Il tema della gestione della fase pre-finale del ciclo di vita, diciamo over 70, è un tema molto coinvolgente per chi ci sta entrando o avvicinando e per chi la sta vivendo. Eroi, mediani o terzini. Tutti uomini siamo. Mi pare tu sia ancora lontano ma come il Natale, come diceva Pozzetto, quando arriva arriva. Una strada è quella che hai detto tu, da alpinista a montanaro. Una sorta di ritorno alle origini, a quelle attività di scoperta da cui tutto è cominciato, almeno per le nostre generazioni che spesso iniziavano con quelle che si chiamavano “passeggiate” e non escursionismo. Insomma una riscoperta della dimensione orizzontale della montagna, magari in versione lunga del “cammino” lento o “speed” come si dice oggi, se uno ci riesce. Può funzionare. Altra strada è quella della diversificazione: fare e imparare attività nuove o magari meno praticate in passato. Anzi, secondo chi si occupa dell’invecchiamento questo sarebbe molto utile per il terzo pilastro di una buona vecchiaia: socialità, cura della salute e del corpo e stimolazione intellettuale. Ho visto proprio oggi che anche Manolo ad esempio si è dato alla bicicletta di lungo corso. Molti miei amici hanno preso questa strada. Io sono tornato invece all’andare per mare e con umiltà cerco di migliorare le mie conoscenze e abilità andando a corsi nelle isole della tua terra dove gli istruttori che mi cazziano potrebbero essere miei nipoti, ma mi piace un sacco tornare allievo diligente. Insomma si cercano strade diverse per sfuggire allo slogan di un tempo, ma sempre valido: “Ne uccide più la depressione che la repressione”. Si può anche passare il tempo a litigare sul Gogna blog, per carità ognuno è libero di fare le sue scelte, però non so se faccia così tanto bene. Anche se magari è una sorta di lassativo psichico utile per depurarsi, un’Euchessina mentale, come quella che ci dava la mamma da bambini.
Uscire di scena. A parte che bisogna distinguire tra chi vive la “scena” del palcoscenico alpinistico, e chi invece fa del suo alpinismo una sola e semplice passione personale anche se molto intensa. Se per uscire di scena si intende passare da un alpinismo attivo, tecnico, di alto livello, che ha caratterizzato la propria vita in modo continuo, ad un’attività completamente diversa, rilassata, tranquilla, per motivi ad esempio di età anagrafica, o fisici, sicuramente è un momento non facile. Non sono però d’accordo su quanto diceva Maestri quando affermò che avrebbe smesso di arrampicare quando non sarebbe stato piu in grado di fare alpinismo estremo. Perchè a lui il terzo grado, le vie facili, e le escursioni non interessavano. Non sono d’accordo perchè la montagna si può vivere in tanti modi diversi, ed ognuno puo dare qualcosa di suo. La montagna è verticale ma anche orizzontale. Inoltre da alpinisti ci potremmo trasformare in montanari.
È molto vero quello che dice Cominetti e ho potuto verificarlo di persona per motivi professionali e amicali. C’è una dimensione di “normalità” in molte attività che dall’esterno, appaiono ai non professionisti di quel campo avvolte in luce romantica e immaginifica. Anche il grande artista o il grande avventuriero sono uomini, alle prese con i problemi e le scelte a volte triviali che sono legate alla condizione umana con la sua nobilta’ e le sue miserie. Infatti molti uomini / donne “spettacolo” conosciuti nel loro privato possono essere una delusione per i loro ammiratori, che in realtà, come già detto, spesso sono affascinati dall’incarnazione di un archetipo e non da una persona reale in carne ed ossa. Anzi aggiungo una osservazione. Essendomi occupato di gestione delle persone nelle organizzazioni per una vita, questioni retributive comprese, ho osservato che in certi ambienti, a differenza di quello che uno si aspetterebbe, ci sono delle dinamiche sociali più dure di quelle di ambienti lavorativi “normali” dalle 9 alle 17, invidie, avidità, competizione, sfruttamento, furbizie e miserie varie comprese. Insomma anche i santi, gli eroi e gli artisti, per quanto “outliner” (come si dice in gergo, “fuori dalla norma) condividono lo stesso DNA e lo stesso bagaglio di istinti e di comportamenti che si sono consolidati in un paio di milioni di anni di evoluzione di Homo Sapiens. E così anche noi mediocri possiamo consolarci, anche se è assolutamente normale proiettare le parti migliori o desiderate di noi su qualcuno. Con giudizio però, senza esagerare e senza confondere quello che viene da noi con l’altro da noi perché la delusione è lì pronta ad aspettarci dietro l’angolo.
La tanto discussa “uscita di scena” di Bonatti dell’alpinismo, secondo me è stata un’invenzione del cosiddetto “uomo della strada” e non un’espressa condizione di lui stesso.
Semplicemente ad un certo momento si è trovato davanti alla possibilità di svolgere un’attività alla quale l’alpinismo aveva sicuramente fatto bene sotto ogni punto di vista, e lui l’ha percorsa.
Un po’ come una persona “normale” alla quale la vita propone un cambiamento lavorativo e/o familiare.
Certo che la maggior parte dell’umanità (specie di questa qui rappresentata da gran parte dei frequentatori del gognablog) fa fatica a capire quella scelta perché vede nella montagna e nella pratica alpinistica dei (falsi) tabernacoli di sacralità indotti da una vita routinaria e noiosa in cui la fuga domenicale verso le cime ne rappresenta l’highlight più perseguibile nonché irrinunciabile.
Ma per Bonatti non era così. Lui viveva l’alpinismo ogni giorno e un cambiamento verso altri tipi di avventura (con uno stipendio garantito) sono stati un po’ come per un becchino di paese, aprirsi una piccola azienda di pompe funebri. O, per un benzinaio aggiungere il servizio di gommista alla sua stazione di servizio. O per un operaio la promozione a capo squadra. O per una laureata in economia passare dal fare fotocopie a marketing manager di una grande azienda. O per un ingegnere essere mandato a dirigere una grande opera all’estero dopo anni di galoppinismo industriale nell’azienda del proprio comune.
Insomma, tutte cose che luomo della strada può capire, anche se la domenica si mette lo zaino in spalla per entrare nel tempio che gli fa dimenticare tutte le piccolezze della vita di ogni giorno che il sistema moderno impone.
Chissà, magari, da grande innamorato del Monte Bianco quale era, avrebbe salito, con alcuni anni di anticipo, quella che poi è diventata Divine Providence del mitico GAB (a proposito, anche lui ha comunicato in estate di aver fatto la sua ultima salita al Bianco). Sono d’accordo che anche ulteriori salite poco o nulla avrebbero aggiunto alla grandezza che Bonatti già nel 1965 aveva raggiunto. Più interessante è il tema dell’uscire di scena. Ricordo le parole di Messner, in uno dei suoi primi libri, in cui diceva che a quattro anni il suo obiettivo era stato salire una cima di 3000 metri sopra casa sua, poi salire gli 8000 e che, una volta vecchio, il suo obiettivo sarebbe stato nuovamente la cima di 3000 metri sopra casa sua. Uscire di scena è un tema che riguarda tutti, non solo le star. Per ognuno di noi uscire di scena significa innanzitutto uscire dalla propria scena individuale e più intima. C’è chi volta fisicamente pagina e si dedica ad altro, il chè denota, da un lato, la capacità di cambiare ma, dall’altro, anche e forse l’incapacità di adattarsi alla inesorabile curva declinante della vita. Uscire di scena non è facile per nessuno, anche per chi come molti di noi ha fatto alpinismo anche per spingere in avanti le proprie capacità fisiche e mentali e che quindi deve fare i conti con gli anni che passano e le limitazioni fisiche che inesorabilmente arrivano. Non c’è una uscita di scena giusta ed una sbagliata. C’è chi prende spunto da Bonatti e si dedica ad altro, consapevole che a 60 anni non può fare più quello che faceva a 30. C’è chi ridefinisce i propri obiettivi, a costo di sembrare monotono e un po’ testone, ma che in realtà non fa altro che riadattare la propria passione al tempo che passa, pensando che tutto sommato, vale sempre la pena alzarsi alle 4 del mattino, per fare anche solo una bella gita per vivere in pieno, anche in là con gli anni, quel grande spettacolo che è la montagna.
Personalmente propendo per la seconda via.
Enri:
Sì, avrebbe potuto fare ancora tante altre salite, ma cosa sarebbe cambiato?
Non credo che il personaggio sarebbe ancora più grande.
Anzi, forse senza le “avventure esotiche” non sarebbe entrato nell’immaginario collettivo come invece ha fatto.
bisogna dire che Bonatti è cresciuto divorandosi i libri di Salgari , di Melville. Sognando e immedesimandosi in quegli uomini avventurosi. Insomma la sua infanzia era piena di sogni d’avventura in terre lontane, ma anche di piccole avventure locali sfidandosi traversando a nuoto il Po. Infatti è diventato l’ uomo d’avventura che voleva essere. L’arrampicata è stato solo un mezzo per fare l’esploratore prima verticale.
Enri. Vantaggi e svantaggi delle scelte di vita non mono-tono. Sostituendo il verticale con l’esotico ha vissuto una seconda vita. Sono scelte che magari lasciano indietro qualche rimpianto per quello che si sarebbe potuto fare ma nello stesso tempo evitano la sindrome del vedere progressivamente spegnersi la luce della stella. Molti ex si riciclano più tardi, aprendo un nuovo capitolo che li rilancia, lui ha anticipato i tempi uscendo prima che le ombre del tramonto iniziassero a vedersi anche vagamente all’orizzonte. Forse era anche nel carattere volitivo e orgoglioso dell’uomo. Come diceva un mio collega, meglio dare le dimissioni prima lasciando un rimpianto che aspettare che ti compatiscano quando ti licenziano. Sono opzioni di vita che riguardano non solo gli “eroi” ma anche i “fanti”. In questo senso la vita di questo “eroe” con quel finale tragico e commovente, nella solitudine estiva di una piccola clinica romana, ben lontano dalla “bella morte” che avrebbe chiuso il ciclo narrativo secondo i canoni della sceneggiatura classica è davvero emblematica. Sic transit gloria mundi. Uscire di scena bene è una delle parti più difficili della commedia.
sono domande che mi sono fatto anche io: con l’esperienza maturata e la forza che aveva, perchè??
Lui dice che con i mezzi che aveva deciso di usare, avrebbe solo potuto ripetersi. Altri dicono che Whimper abbia si sia reso conto che andare oltre sarebbe stato troppo. Lui rimarca che era troppo preso di mira e che in molti speravano in un suo insuccesso o peggio…Peccato, sono certo che se avesse continuato, ci avrebbe ancora di più meravigliato. Il fisico c’era ancora alla grande, la mente forse non era piu così determintata?
Mah… a me sorge solo una domanda quando vedo le foto di Bonatti durante le sue avventure esotiche: quante altre salite avrebbe fatto e quali altri salite avrebbe fatto se non si fosse fermato alla Nord del Cervino ed, anziché andare in giro per il mondo, avesse proseguito nelle sue super avventure verticali? So che Bonatti ha spiegato mille volte il senso di quella decisione e lui non sarebbe lui se non avesse deciso in quel modo. Ma, da irriducibile e monotono appassionato del solo verticale quale sono, la domanda me la sono fatta spesso…
Deviando, e tanto, dall’oggetto del discorso, Bonatti, non c’è dubbio che Parenzo sia un disinvolto e duttile mestatore, ma Cruciani ( che ho ascoltato non più di un’ora in 10 anni ) ai miei occhi è semplicemente vomitevole, schifoso, vermifugo, credo anche molto puzzolente. Non so come Radio24, che ascolto volentieri, possa mandarlo in onda. Sfrutta l’imbecillità di base tanto diffusa.
ma li c’è anche una specie di antagonista di nome Parenzo a rimestare…a dargli manforte con la scusa di fare uno specchio dell’Italia, ma forse un po di ragione ce l’hanno.
Appunto. Ci vuole una certa coerenza tra i vari elementi che vanno a costruire l’immagine dell’eroe che incarna l’archetipo. Non puoi costruire la “narrazione”di un eroe ribelle e alternativo su un materiale fisico e iconografico da bancario, magari calvo o con il risvoltino e gli occhiali da miope. Rischieresti di finire nel comico. Un po’ come far incarnare a San Giuliano invece che ad Alain Delon l’archetipo del seduttore. Non ce la può fare neppure il più bravo editor o uomo immagine del mondo. A proposito, anche le scelte “tricologiche” hanno il loro significato. Anzi si potrebbe scrivere un articolo sulla “Tricologia dell’alpinismo”. Sarebbe molto divertente, anche nella versione femminile: dalle folte chiome al vento, ai caschetti intriganti, alle austere capigliature alla maschietto…Dai, molto più divertente che la casa degli specchi quotidiana che magari ogni tanto diverte ma poi che noia, sempre per citare quell’infame misciamerda di Cruciani che però ravanando nel fondo del pentolone dell’umanità fa ascolti stellari.
poi l’immagine da imprenditore da difendere, non permetteva certo di vestire costumini e mostrare pettorali e tartarughe.
“pacco” a parte e con tutto il rispetto ma il grande Riccardo, pur avendo fatto pugilato, non aveva il fisico scultoreo del ginnasta Walter.
Non c’è dubbio che immagini maschili discinte di giovinetti in pose languide o di giovani uomini nel pieno della loro virilità possono suscitare fantasie sessuali attive o passive, più o meno conscie. La storia dell’arte ne è piena, ad uso del pubblico sia femminile che maschile. Ma il punto interessante di questa ripresa degli articoli di Epoca non è questo. Tutti i servizi di quel filone su Bonatti sono simili dal punto di vista iconografico. Bonatti, anche per le sue caratteristiche fisiche, si prestava molto bene ad incarnare l’archetipo dell’eroe dalla prorompente mascolinita’. Certamente si prestava meno un Cassin, l’archetipo dell’eroe “pater familias”. Non me lo vedo Cassin farsi fotografare nella villetta con giardino di Pian dei Resinelli in attillati costumini da bagno che valorizzano il “pacco”. Probabilmente la “costruzione” di quel personaggio fu una coincidenza tra le aspirazioni di Bonatti e i suggerimenti dei suoi editor, anche se allora il mondo della comunicazione sui media era forse meno sofisticato. Questi articoli, insieme ad altri pubblicati sul blog, vengono configurando un’interessante rassegna di “Visioni verticali” (utilizzando il titolo del libro di Gogna) dal punto di vista dell’immagine e della comunicazione iconografica. In fondo anche il mitico Cento Nuovi Mattini era una raccolta di ritratti che fissava in modo esemplare i diversi archetipi che giravano in quel periodo. Allora suscitando processi identificativi, oggi nostalgici ricordi o importanti tessere di una Storia dell’Eroe alpinistico dai centi volti, anche qui saccheggiando il titolo di un famoso libro. Forse condividere intuizioni, conoscenze, pensieri sulla realtà immaginaria e fattuale dell’andare in montagna potrebbe essere più interessante dell’ormai quotidiano ring virtuale. Forse. Perché forse il divertimento sta proprio lì e tutto il resto è noia come dice Cruciani nella sigla di apertura della Zanzara.
Bonatti, con le sue avventure nel mondo, è stato l’antesignano di tutti gli “avventurieri nel mondo” occidentali che impestano con la loro presenza gli angoli più remoti del mondo.
Ha anticipato i tempi.
Piuttosto che crepare di fatica e freddo per glorie fittizie in giro per i monti, ha scelto di fare il turista per tutti: un genio.
Bonatti è stato un uomo che ha anticipato i tempi: un esteta inviso alla pletora degli alpinisti irregimentati nel CAI. Un grande che ha smesso di fare alpinismo quando i mezze maniche dell’etica della scalata iniziavano a tossire.
Questo non toglie che in queste immagini perfettamente instagrammabili si presenti come un idolo dei social del tempo: un eroe bello, se in favore di camera che riempie i sogni delle soubrette.
Detto questo, non si capisce perché abbia sempre masticato amaro per una vanagloria non riconosciuta da un ambiente che in fondo lui ha sempre disprezzato.
@ 1
Mah!
… … …
Ma Bonatti fusse che fusse pure nu poco ricchione?
P.S. Battuta surreale per esprimere meglio il mio totale dissenso a proposito del giudizio su “Bonatti sirenetto”. Il grande Walter, da lassú, saprà comprendere e sorridere.
#1 Ratman D’accordo che Bonatti, come quasi tutti i grandi in qualsiasi campo, può essere amato o odiato, non essergli neutri. Ma sirenetto, muscoli oliati di un precedente commento, e forse altri per lo stesso personaggio, bah! forse è una visione un po’ tarata e volutamente distorta.
Il sirenetto