Pilier Livanos alla Rocher d’Archiane

Metadiario – 232 – Pilier Livanos alla Rocher d’Archiane (AG 2001-002)

L’ultimo capitolo ancora da documentare del volume V de I grandi spazi delle Alpi riguardava la Wildspitze, una delle più belle montagne del Tirolo. Riuscii a provvedere con un viaggio apposta, con Guya e Piero Gomarasca, che in quei giorni ci stava dando una mano in ufficio. La sera del 13 gennaio 2001 ci trovavamo a Sankt Leonhard im Pitztal, dove ci avevano riservato due stanze. Fummo sorpresi che proprio quella sera fosse in programma una gara di coppa del mondo di arrampicata su ghiaccio. Col naso all’in su guardavamo i prodigi di quegli atleti su una torre artificiale con un po’ di ghiaccio e tanto dry tooling. L’ammirazione si mescolava con una vaga sensazione che si poteva riassumere nella frase “quante braccia rubate all’alpinismo”.

Saliti con la funicolare del Mittelberg, Piero ed io facemmo una veloce puntata sulla vetta del Mittags Kogl 3159 m, cresta sud-est, per avere una panoramica sul versante settentrionale della Wildspitze.

La Wildspitze dal colletto a ovest prima della vetta. 14 gennaio 2001.

Riscesi al Bergrestaurant 2860 m, salutammo Guya che si apprestava ad affrontare la stupenda giornata di sole su una sdraio e andammo a prendere lo skilift che ci portò al Mittelberg Joch 3166 m, aperto tra lo Hinterer Brunnenkogel e lo Schuchtkogel. Qui ci si aprì l’intera visuale sulla Wildspitze e sul Taschachferner. Scendemmo brevemente sul ghiacciaio in direzione sud, poi voltammo leggermente a sud-ovest avendo come direttiva l’Hinterer Brochkogel 3628 m sul crinale a ovest della Wildspitze. Ad un certo puntom, però, volgemmo in direzione del Mitterkar Joch 3468 m e, senza raggiungerlo, salimmo sulla dorsale occidentale della Wildspitze 3768 m fino alla vetta.

Piero Gomarasca in salita con gli sci alla Wildspitze: sono visibili la cima nord a sinistra e la cima sud a destra. 14 gennaio 2001.

In quei giorni cambiai la mia auto. Dando dentro la Mondeo acquistai la macchina dei miei sogni, una Volvo V40-T4 color prugna. Ho sempre pensato che in un’auto, oltre alle normali doti che tutti ricercano, più che la velocità sia importante la ripresa. E quel modello, paragonato ad altri simili, non temeva alcun confronto. Ero così fiero della mia scelta che mi risolsi a pagare mensilmente un garage nei pressi di viale Sabotino…
Continuavo a soffrire per la mancanza dei miei libri: non che non potessi consultarli quando volevo, ma che loro fossero in via Scarpa e in via Morgantini era oggettivamente una bella scomodità. Il tragitto quotidiano casa-ufficio e ritorno serale affrontato in auto era scoraggiante, ma non vedevo alternativa.

In salita con gli sci in spalla alla Wildspitze. 14 gennaio 2001.

Un altro problemino che avevamo era lo scaldabagno. Incaricammo un idraulico che conosceva Guya di sostituire quello vecchio. Costui si esprimeva in brianzolo stretto e nel suo lessico lo scaldabagno si chiamava caldera. Dopo una settimana di silenzio gli telefonammo per sapere a che punto fossimo. Dopo un mese e altre tre telefonate la risposta era sempre la stessa: la caldera era in viaggio tra Lecco e Milano. Così ci rivolgemmo ad altro fornitore che fu efficiente, ma che non ci fece mai ridere come quello della caldera, il quale, se gli telefonassimo adesso, probabilmente ripeterebbe la stessa storia: la caldera è in viaggio…

Piero Gomarasca in vetta alla Wildspitze, 14 gennaio 2001

Il 31 gennaio con Marco e il nostro furgone Volkswagen andammo a Solda per perfezionare la documentazione della zona Ortles-Cevedale. Arrivammo in ritardo a destinazione, in fretta e furia facemmo gli zaini e affannosamente salimmo su un seggiolone della seggiovia. Fatti forse 200 metri, senza altra spiegazione, Marco mi affidò zaino e sci e si gettò nel campo di neve sottostante. Mentre lo guardavo attonito, mi urlò che aveva dimenticato il treppiede… Lo vidi correre sfondando nella neve verso il furgone e pregai che potesse risalire prima che io arrivassi in alto e magari l’impianto chiudesse. In effetti ci riuscì e, a team riunito, affrontammo il lungo traverso che porta al percorso di accesso al rifugio Serristori. Procedevamo in una nebbia assai fitta, su un pendio che non ci rassicurava per nulla. Alla fine del traverso emettemmo un bel sospirone e in breve raggiungemmo il rifugio, dove ci appropriammo del locale invernale (non era ancora stagione di scialpinismo). Purtroppo la mattina dopo nevischiava e perciò decidemmo di scendere con un nulla di fatto, evitando però accuratamente il traverso.

Le Ponteil (Briançonnais), Le Surplomb Jaune, Franco Ribetti. 8 aprile 2001.

Nel weekend del 7 e 8 aprile, con Giovanni Alfieri decidemmo di concederci un po’ di sana arrampicata, e Briançon fu subito scelta. In tre (con Franco), dato il tempo fetecchioso, andammo ai monotiri delle Conduites forcées, mentre il giorno dopo potemmo andare al Ponteil, una parete davvero bella e facilmente raggiungibile. Franco aveva già fatto un bel po’ di vie: per noi scelse Le Surplomble Jaune, una via di sei lunghezze spettacolari che ci ripagò del lungo viaggio che fino a quel momento era stato divertente, ma di tanta spesa e poca resa.

Le Ponteil (Briançonnais), Le Surplomb Jaune, Giovanni Alfieri. 8 aprile 2001.

Per Pasqua, visto che le bambine erano con me, con Guya pianificammo una bella vacanza all’Isola d’Elba. D’accordo con l’amica Simonetta che già ci aveva ospitati dopo il capodanno del 2000, arrivammo a Nisporto in cinque, perché c’era anche Alessandra, la nipote di Guya. Ci sistemammo in un appartamento assai vicino a quello di Simonetta: da lì in pochi minuti si poteva scendere al mare e al ristorante che lei gestiva. Trovai modo di andare a scalare il 14 e il 16 aprile, facendo anche provare i primi passi verticali ad Alessandra. A parte alcuni giri turistici per l’isola, appena il tempo pazzerello lo permetteva era vita da spiaggia e, per me, da computer.

8 aprile 2001. Le Ponteil (Briançonnais), Le Surplomb Jaune: Franco Ribetti studia un passaggio…

La cala sabbiosa di Nisporto, larga non più di 150 metri, ai bordi presenta due file di scogli di facile percorso. Sulla fila nord-orientale Alessandra e Petra avevano raccolto due paguri e li avevano “amorevolmente” messi prima in un barattolo pieno d’acqua marina e poi, a casa, in una ciotola. Nessuno di noi sapeva come far sopravvivere il Pagurus bernhardus in cattività, ma non ci preoccupavamo molto, pensando che fosse una mania passeggera.

… poi lo affronta.

Verso le 19.30, quindi ormai al buio, del secondo giorno di possesso, mentre io stavo lavorando al mio pc, Alessandra e Petra chiesero a Guya il permesso di andare in spiaggia per “cambiare l’acqua” ai paguri: lei lo concesse, senza prevedere le possibili implicazioni. Si limitò a raccomandare di non andare sulla scogliera, anche perché il mare non era calmo. Mancavano 10 minuti alle 20 quando Guya si allarmò perché le due deficienti non erano ancora rientrate. Mi spiegò cosa era successo, io mi precipitai come un fulmine in spiaggia, seguito da lei che comunque aveva dovuto spegnere i fuochi e raccomandare a Elena di non muoversi.

Alessandra Thiele al suo primo assaggio di arrampicata, aprile 2001.

Corsi come un pazzo alla scogliera, con le vaghe luci del ristorante sulla spiaggia non si vedeva nessuno. C’era vento e il mare era mosso, ogni tanto alzava spruzzi di due o tre metri sbattendo sugli scogli. Cominciai a chiamare a squarciagola, ma nessuno mi rispondeva. M’inoltrai sulla scogliera, saltabeccando tra le irregolarità della roccia, compreso qualche piccolo saliscendi che raggiungeva il livello dell’acqua. Continuando a urlare feci una quarantina di metri praticamente al buio, immaginando ormai le peggiori cose.

Elena, Petra e Alessandra all’Isola d’Elba, aprile 2001
La svogliata salita a piedi alla Madonna del Monte, Marciana, Isola d’Elba

Mi confortava solo il pensiero che la tragedia, se fosse davvero già successa, avrebbe visto una delle due correre subito indietro: mica potevo pensare che entrambe fossero finite in acqua! Quindi il fatto che non vedevo ancora nessuna era in qualche modo confortante, ma di certo non ero tranquillo, anzi. Finalmente due voci diverse risposero ai miei richiami: eravamo a una sessantina di metri dalla spiaggia e, se possibile, il mare era lì ancora più agitato. Quando c’incontrammo vidi che avevano il barattolo vuoto e capii che le due stordite avevano cercato altri paguri, senza trovarli, visto che era notte. Altro che ricambio dell’acqua!

Dissi loro che avevano disobbedito e che adesso dovevamo andare subito alla spiaggia, dove intravvedevo che era arrivata anche Guya. Di sicuro la poveretta si vedeva a capo chino davanti a due madri diverse…

Madonna del Monte, aerea ma facile arrampicata sullo Spigolo Caprile, Isola d’Elba

In calma apparente la raggiungemmo: ormai potevamo vedere entrambi che le due erano sane e salve. A quel punto demmo libero sfogo alle nostre emozioni. Guya prese Alessandra, io afferrai Petra e insieme infierimmo su di loro, urlando tutta la nostra eccitazione. Colpivamo senza badare ad essere moderati, soprattutto spalle, braccia e sederi. Le due poverine non tentavano neppure di scappare, né di evitare la gragnuola di botte che durò una quindicina di secondi, prima di chetarsi. Io non avevo mai picchiato, per alcun motivo, le mie figlie. E quella fu la prima e unica volta.
Rientrammo in casa, dove nessuno assaggiò cibo. Si udiva solo il loro pianto, non più acuto ma nervosamente sommesso. Ad un certo punto, in un momento di minore parossismo, chiesi dove erano i paguri. Il pianto tornò ad essere disperato, Petra mi rispose che li avevano gettati nel water-closet e avevano tirato l’acqua! Tra i gemiti, seguirono ulteriori rimbrotti per stigmatizzare il loro comportamento. Prendersela con le povere bestie era stato un gesto “vigliacco”.

Pagurus bernhardus

Dopo un’ora di sofferenza, anche Guya ed io cominciavamo a pensare che forse avevamo esagerato: così alla loro contrizione si aggiunse anche la nostra tristezza. E fu allora che Elena, che nel frattempo aveva consumato la sua cena, disse rivolgendosi a lei con le sue treccine e la faccia da incantevole furfantella: “Guya… chi è che oggi è stata la più brava? Io, vero?”.

Rocher St. Julien (Buis les Baronnies, Provenza), 26 aprile 2001.

Nel nostro soggiorno sull’isola, però, non ci fu solo quell’episodio: ci furono tanti momenti di gioia e divertimento. Ricordo per esempio che una sera, dopo la cena in un ristorante, tornando a casa verso le 21 ci fermammo ad un tornante della strada mentre nella mia auto rullavano i Rolling Stones ed eravamo tutti gasati. Alzai il volume, scesi dall’auto e spalancai le quattro porte. Poi cominciai a ballare sulla piazzola lì vicino. In breve cinque figure scatenate danzavano al ritmo dei Simple Minds, ma soprattutto dei Credence Clearwater Revival dei quali, tra gli altri, fu gettonato almeno tre-quattro volte il brano Molina.

Nessuno allora poteva immaginare che Alessandra sarebbe diventata una famosa cantante con il nome di Joan Thiele.

Al rientro, oltre a qualche uscita sui monotiri, ebbi modo di scalare con Piero Gomarasca e Giovanni Alfieri alla Pala del Cammello, sopra Lecco, sulla via Merry Christmas (4L, fino al 6b+) e Lotta col pungitopo (3L, fino al 6b+); affrontammo anche Presente e passato, ma ci limitammo alle due prime lunghezze.

Per la festa del 25 aprile mi misi d’accordo con Franco Ribetti e Luigi Gally per un altro giretto francese: notevole (il 26 aprile) la Rocher St. Julien, nei Buis les Baronnies, dove salimmo Shanti, Les Cigales e La Directissime, tre vie di tre lunghezze ciascuna. Ma ci avevano raggiunti in giornata anche Ugo Manera e la sua nuova fidanzata Valentina Villa, un’architetta della quale qualche anno dopo avrei potuto apprezzare le notevoli doti. Brillante, simpatica, ottima arrampicatrice. Non mi nascondeva la sua curiosità di conoscere questa famosa Guya di cui tanto si parlava relativamente all’uragano che mi aveva colpito… Lei si ricorda ancora adesso di quanto Gally avesse russato quella notte nel B&B. Il mattino dopo Luigi aveva dovuto tornare a casa a Briançon. Noi andammo alle Dentelles de Montmirail e anche quella visita fu assai ripagante.

Rocher St. Julien (Buis les Baronnies, Provenza), 26 aprile 2001. Da sinistra, Franco Ribetti, Valentina Villa e Ugo Manera.
Rocher St. Julien (Buis les Baronnies, Provenza), 26 aprile 2001. Da sinistra, Franco Ribetti, Ugo Manera e Alessandro Gogna.

La guida al volante della mia auto nuova, particolarmente agile sulle strade a curve, non era tanto ben accetta dai miei compagni che protestavano debolmente mentre avevo messo a tutto volume il brano The musical box, dall’album Nursery Cryme dei Genesis, chiedendo per favore (ma in pratica pretendendo) il rispettoso silenzio da parte loro in omaggio alla magia e alla grandiosità del pezzo e per di più accennando a mollare le mani dal volante per seguire eccitato il pezzo anche con le braccia, manco fossi stato il direttore d’orchesta.

Terminato il brano dopo 10 minuti e 26 secondi, ridiedi il permesso di parlare e, per non tirare la corda, evitai di mettere su altro a quel volume. Ma la guida rimase agile. Proprio in corrispondenza di un ponticello che restringeva la strada mi trovai di fronte a uno scassato e inaspettato veicolo a tre ruote tipo Ape. Frenai di colpo ma col muso della macchina gli arrivai a non più di 10 cm. Feci marcia indietro per lasciar passare il francese, un contadino spaventatissimo che nel suo pallore non ebbe neppure voglia di protestare. L’episodio ebbe come risultato un rallentamento generale nella guida, nonché qualche vigoroso commento di Valentina e Ugo che mi sottolineavano che prima avevano ragione… L’unico a tacere fu Franco, che alla fine concluse “Beh, per quello dell’Ape non era destino…”.

Dentelles de Montmirail, Provenza, 27 aprile 2001. Ugo Manera in arrampicata, assicurato da Valentina Villa.

Scesi dalle Dentelles de Montmirail scoprimmo le cantine di Gigondas. Dopo un assaggio di quel mitico vino in tre caves diverse decisi di comprarne dodici bottiglie, e da allora non c’è mai stata volta che, passando da quelle parti, non ne comprassi una scorta.

Tornando verso Torino decidemmo di fare una puntata a una via che Ugo aveva già fatto, ma che tutti desideravamo fare. Il Cirque d’Archiane, nel Massif du Diois, è decisamente un luogo meraviglioso. Al fondo vi si erge la Rocher d’Archiane 1774 m, un bastione di due pareti alte circa 400 metri unite da un estetico e prominente pilastro volto a sud-est, il famoso Pilier Livanos, spezzato in due parti da un’evidente cengia. Questo capolavoro era stato realizzato in due tempi da Georges Livanos con Robert Lepage e Marc Vaucher: la parte inferiore (nella quale era anche la moglie Sonia Livanos) il 16 e 17 maggio 1959, quella superiore il 31 maggio 1959. In totale erano stati usati 100 chiodi.

Rocher d’Archiane. Tra ombra e sole il Pilier Livanos.

Attaccammo il 28 aprile abbastanza presto e andammo su veloci sui primi tre tiri di V+ per raggiungere e risalire un’enorme scaglia rocciosa. Dalla Sosta 3 vedemmo la genialità dell’apritore: giustamente quella traversata a destra viene chiamata “traversata Livanos”. Riuscimmo a salire senza toccare i chiodi (tutti normali), su quel 6c precario, fino a una sosta accanto a un grande albero morto (S4). La traversata continuava ancora, per fortuna più facile. Ma di nuovo, il sesto tiro ci mostrava i denti su magnifiche fessure strapiombanti (6a+) che ovviamente nella prima salita Livanos aveva superato in artificiale. Più facilmente, ma sempre con arrampicata atletica, arrivammo alla grande cengia, che in realtà è divisa in due da un risalto di una quindicina di metri. Franco ed io eravamo davanti e, d’accordo con loro, non aspettammo Ugo e Valentina. Miravamo a una fessura verticale. Decimo e undicesimo tiro potabili.

Franco Ribetti in arrampicata sul Pilier Livanos della Rocher d’Archiane, 28 aprile 2001.
Primavera ad Archiane, 29 aprile 2001

Ci giunse lì dal basso la voce di Ugo che ci comunicava che loro sarebbero tornati indietro a doppie. Il dodicesimo toccò a me: ne uscii davvero stanco, anche se felice per la libera ottenuta. Dunque toccò a Franco quel tredicesimo tiro che a me risultò così ostico da riposarmi due o tre volte sui chiodi, anche se ero da secondo. Peccato. Ancora due lunghezze ci fecero guadagnare il solitario altopiano dal quale potemmo scendere solo dopo aver individuato il modo giusto (perché “ci vuole orecchio”, avrebbe cantato Enzo Jannacci). In quei luoghi si respirava molta pace, ma ci ricordavamo della fine che aveva fatto Danilo Galante in un posto simile a questo.

Aiguilles de Bénevise
La Prima Comunione di Petra

Il 29 aprile scegliemmo una meta meno grandiosa, ma ugualmente bella: il Pilier Sud-ovest (Pilier de la Lavande) alle Aiguilles de Bénevise 1454 m. Salita il 17 ottobre 1971 da Alain Charbonnier e Jean-Jacques Lainez questa via aveva riscosso subito molti consensi per via della sua bellezza e relativa brevità (160 m).

Quella primavera mi candidai nella Lista dei Verdi al Consiglio comunale e alle Circoscrizioni 6 e 5. per le elezioni del 13 maggio. Ma ero del tutto fatalista al riguardo e feci ben poco per una campagna elettorale. Mandai una mail al mio indirizzario che diceva:
Se vuoi votare qualcuno che non è un politico, che pensa che Milano, così com’è da anni, non è qualitativamente vivibile e che di conseguenza si impegnerà per le seguenti priorità:
– drastica diminuzione dell’inquinamento, con ogni mezzo, anche con l’istituzione di tutte le domeniche senza auto e la chiusura al traffico di alcune vie, ma soprattutto attraverso la riprogettazione dei mezzi di accesso a Milano, un reale potenziamento dei mezzi pubblici e la delimitazione di nuove aree ciclabili.
– consistente aumento delle aree verdi e maggiore cura per quelle esistenti.
– costruzione di nuovi spazi pubblici in cui i bambini possano giocare.
– arresto della continua costruzione di nuovi scempi architettonici e di barbari re-styling per sperperare il pubblico denaro.
– aumento di eventi culturali validi e di nuove possibilità di attività sportive.
Allora, per il Consiglio comunale di Milano e per il Consiglio di zona 6 puoi votare per Alessandro Gogna (Verdi).
Trovi informazioni sulla sua attività alla seguente pagina web: http://www.k-3.it.
La campagna elettorale di Alessandro Gogna inizia e finisce con questo unico messaggio e-mail. Non è quindi stata motivo di alcun inutile spreco di denaro, né di carta, né ha comportato l’appestamento dei muri dell’intera città.
Se puoi e vuoi, invia questo messaggio ad altre persone. Grazie
“.

Ero convinto che chi mi voleva bene e credeva in me (!?) mi avrebbe certamente votato, in quanto poteva vedere il mio nome tra i primi dodici. Altro non feci. Il cambio totale di vita che questo mi avrebbe imposto sarebbe stato giustificato solo dal fatto che non l’avessi voluto io ma gli altri. Non fui eletto, anche se ebbi comunque un ottimo risultato.

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Pilier Livanos alla Rocher d’Archiane ultima modifica: 2024-09-24T05:40:00+02:00 da GognaBlog

8 pensieri su “Pilier Livanos alla Rocher d’Archiane”

  1. Proprio ieri pensavo che è un sacco che non vado a ballare e certamente mi divertirei tantissimo con brani come Molina, splendido come il testo di questo metadiario!

  2. Questo capolavoro era stato realizzato in due tempi da Georges Livanos con Robert Lepage e Marc Vaucher: la parte inferiore (nella quale era anche la moglie Sonia Livanos) il 16 e 17 maggio 1959, quella superiore il 31 maggio 1959. In totale erano stati usati 100 chiodi.

    nel massimo rispetto dell’etica Livanos: “meglio un chiodo in più che un alpinista in meno, soprattutto se quell’alpinista sono io”.
    Grande Livanos , ironico, guascone, scanzonato . Non si è mai preso sul serio anche se le sue vie erano serie. Una fra tutte il gran diedro della Su Alto, bellissima!!! Che peccato la frana…

  3. Ottima la scelta musicale e la pretesa di un rispettoso silenzio, credo che sia il miglior modo per ascoltare i capolavori. Al limite ci si può cantare sopra, se il brano “chiama” in quella direzione.

  4. I Verdi sono guidati da Angelo Bonelli, storico cioccolataio e ora pure ciottolataio.* Prima di lui, uno peggio dell’altro, da decenni.
    Se fossero stati guidati da Alessandro Gogna, persona con la testa sulle spalle, credo che li avrei votati.
     
    * Dal Devoto-Oli: sfaccendato raccoglitore di ciottoli, sul greto dei fiumi d’Italia.

  5. Questo racconto riferisce eventi del 2001. ci stiamo pericolosamente avvicinando ai giorni nostri. Prima o poi il Mertadiario terminerà, forse si trasformerà in un racconto in diretta, stile Grande Fratello. magari si potrebbe pensare a una telecamera in casa Gogna accesa in diretta per gli utenti del Blog… Però, che nostalgia per i racconti degli anni Ottanta, li ho trovati i più intriganti. Non per lo stile, che è sempre lo stesso, ma proprio per gli eventi (arrampicatori e non) che avevano un appeal particolare…

  6. I Creedence.
    Dei miti fin dagli anni settanta!
     
    Sempre interessanti questi diari, spesso ti parlano di luoghi che pensavi di avere completamente dimenticato.
    Ed ora si  scopre pure che il capo si era dato, ohibò, alla politica!
     
     
     

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