La collana pubblicata dal Corriere della Sera, curata da Alessandro Gogna, ripercorre 250 anni di sfide fra uomo e montagna, imprese gloriose e tragiche raccontate da esperti. Un’opera vasta che ambisce a svolgere la funzione di Summa Storica dell’alpinismo.
A proposito di Storia dell’Alpinismo
di Ledo Stefanini
(pubblicato su altitudini.it il 26 febbraio 2023)
Innanzitutto, possiamo affermare che un’opera di tale vastità, che ambisce a svolgere la funzione di Summa Storica dell’alpinismo come fenomeno planetario, rappresenterà in futuro il principale riferimento di coloro che si occuperanno di questo tema caratterizzato da una sterminata varietà di connotazioni locali e temporali. Apprezzabile è indubbiamente l’acribia con cui il gruppo di collaboratori all’impresa ha curato le singole biografie alpinistiche dei vari personaggi che, in tempi e luoghi diversi, si sono distinti per le loro imprese. Il lettore trova nell’opera, divisi per fascicoli, i pionieri, le grandi realizzazioni sulle Occidentali e in Dolomiti, le Nord e le Invernali, il Sesto grado classico e il Settimo, le Alpi e la Patagonia, senza trascurare l’alpinismo sovietico, quello femminile, l’Himalaya e lo Yosemite.
Un’opera che implementa la grande Enciclopedia della Montagna pubblicata da De Agostini nel 1975. La differenza fra le due opere non è solo di carattere temporale, nel senso che molte trasformazioni sono avvenute, da allora, in campo alpinistico, ma anche nell’ampiezza spettrale dei temi affrontati. Per essere più precisi, l’Enciclopedia della Montagna dedicava spazio a tutte le voci riferibili all’ambiente alpino, quindi all’alpinismo, in tutte le accezioni, ma anche allo sci, all’orografia, alla formazione delle valanghe, ecc. Per contro, come indicato dal titolo, l’opera diretta da Gogna è interamente dedicata all’alpinismo e solo a quello, cosa che riduce l’ampiezza di campo. Ma solo in apparenza.
Il nocciolo vero è che è impossibile isolare l’alpinismo dal contesto storico dell’ambiente culturale in cui è inserito, che ne incuba la nascita e le forme del suo sviluppo.
Quando gli intellettuali si occupavano di scuola e, in particolare dell’insegnamento della storia, la critica principale ai manuali era proprio l’articolo che veniva associato al sostantivo “storia”. Si avanzava con ricchezza di argomentazioni, che “la” storia non poteva essere solo quella dei grandi uomini e delle battaglie, in quanto alla storia dell’umanità contribuisce anche il cuoco di Napoleone. Non ci risulta che Bertold Brecht abbia mai praticato l’alpinismo, ma comunque ne vestiremmo i panni letterari per riportare le ingenue domande del praticante domenicale: «Chi costruì i campi base degli 8000? Dentro i libri ci sono i nomi dei conquistatori dei monti. Sono stati loro a portare i pesanti carichi?». Ma questo è solo un aspetto secondario della questione. Il nocciolo vero è che è impossibile isolare l’alpinismo dal contesto storico dell’ambiente culturale in cui è inserito, che ne incuba la nascita e le forme del suo sviluppo. Le grandi domande schivate da questa, come da altre Storie dell’Alpinismo, sono il contesto culturale che ne ha determinato la nascita nell’Inghilterra della metà dell’800, perché ha assunto forme nettamente difformi presso i Paesi di lingua tedesca; perché si è presentato sotto un aspetto completamente nuovo in Germania, dopo la Grande Guerra; perché ancora nuovo nella California degli anni ’60, e così via.
La verità è che l’alpinismo, in qualunque forma declinato, non può essere ridotto alle imprese; anzi il termine stesso di “impresa alpinistica” è privo di significato quando sia isolato da una rete socio-culturale di cui è espressione. I soldati di Napoleone che nell’inverno del 1812 si scagliarono contro l’esercito russo per passare la Beresina, non sapevano di stare facendo la storia, si battevano per tornare a casa; provvidero gli storici, anni dopo, a dare un senso alla terribile vicenda. L’analogo si può dire dell’invernale alla Soldà in Marmolada di Hermann Buhl e Kuno Rainer nel marzo del 1950, che diede l’avvio ad una lunga serie di imprese invernali. È illusorio pensare che di queste si possa trovare ragione solo all’interno della “repubblica degli alpinisti”.
L’alpinismo, in qualunque modo lo si voglia intendere, è una manifestazione culturale di un gruppo sociale. Può trattarsi dei gentlemen vittoriani, inventori dello sport, della nobiltà mitteleuropea, dei giovani privi di prospettive dopo la Grande Guerra, dei contestatori americani degli anni ’70, sempre il loro alpinismo è espressione di una cultura di gruppo. Qualche volta, ma non sempre, è espressione di disagio sociale che assume le forme della contestazione culturale, e si manifesta attraverso la “conquista dell’inutile”. I regimi totalitari hanno cercato di intestarsi anche questa manifestazione di affermazione personale, indirizzandola al proprio vantaggio politico: ma ciò ha riguardato tutte le manifestazioni artistiche.
La creazione dei miti è affare complesso come dimostrano gli approfonditi studi storici sulla costruzione delle immagini popolari di grandi scienziati (Einstein in primo luogo) o romanzieri o musicisti. Un postulato diffuso è che la Storia abbia un verso: che tutto ciò che avviene tenda ad un fine ultimo. Applicato all’alpinismo, avrebbe due corollari. Il primo che le innumerevoli forme dell’alpinismo fossero i prodromi della sintesi alpinistica attuale, codificata nei modi e nelle forme da chi dispone del potere di farlo. Il secondo che quello esaltato e glorificato nelle riviste e nei festival sia il solo degno del nome: in queste modalità si rende reale l’ottimistico assunto di Pangloss: il migliore degli alpinismi possibile.

Ledo Stefanini
Docente di fisica all’Università di Pavia (sede di Mantova), studioso di storia dell’alpinismo.
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Su ogni tipo di libro, la Biblioteca Naz CAI (Torino) fornisce anche servizio di spedizione via mail di pdf, ma NON di interi volumi. Una piccola selezione di pagine, dando indicazioni precise.
Per consultazioni più vicine alla tua zona, prova a chiedere alla Biblioteca della SAT TR. Recapiti qui sotto.
https://www.sat.tn.it/sat/biblioteca-della-montagna/
Grazie, sempre gentile e disponibile Lei
@3 Alla Biblioteca Nazionale del CAI la collana è già disponibile, purtroppo però solo per consultazioni in loco (Torino). può valer la pena organizzare un weekend di turismo nella capitale sabauda che è molto più piacevole dell’immagine grigia e sporca degli anni ’70.
Sono convinto che a stretto giro (forse è già così) le principali biblioteche “alpinistiche” (es SAT di Trento) disporranno della collana. Occorre informarsi direttamente.
Inoltre i singoli volumi della collana sono ordinabili SEPARATAMNENTE sul sito http://www.primaedicola.it. Se c’è uno specifico argomento che interessa in modo particolare, non è quindi obbligatorio acquistare la serie di 25 volumi.
Ciao!
Che l’alpinismo non sia slegato dall’ambiente storico e sia espressione di gruppi sociali specifici (“La Montagna come costruzione sociale” potremmo dire storpiando il titolo di un classico della sociologia) è vero ma non è una novità e non coglie la specificità dell’opera recensita. Sono d’accordo con Crovella che la novità dell’opera è la natura “monografica” e la scelta di trattare in modo esteso argomenti particolari che di solito sono solo accennati in modo disperso in altri volumi. Certo per gli appassionati si affianca ad altre opere di consultazione che seguono uno sviluppo più classicamente cronologico – lineare e possono servire come fonte di consultazione. Come molti qui io non posso fare a meno della carta perché con quella siamo cresciuti ma penso che presto vedremo anche cose nuove, magari interattive, sul fronte digitale.
Volumi estremamente interessanti. Ho letto, consulto e custodisco con cura quello di G.G.Motti edizioni i licheni. Questo è senz’altro più aggiornato e forse più approfondito. Purtroppo il dubbio mi resterà che 250 euri (costo dell’opera completa) è al disopra delle mie possibilità. Attenderò, con pazienza, l’arrivo in qualche biblioteca.
Le considerazioni dell’autore comprendono anche spunti arguti e interessanti, ma danno un’impressione non perfettamente corrispondente all’effettivo lavoro.
La scelta strategica nell’impostazione della Collana è la sua peculiarità innovativa. Ripercorrere cronologicamente la successione degli eventi alpinistici, dai gentelmen vittoriani fino ai nostri giorni, non sarebbe stato altro che riproporre, con data 2022-23, testi già diffusi diversi decenni fa.
Viceversa l’attuale impostazione (per “temi” autonomi) ha permesso di andare a perlustrare risvolti delle vicende alpinistiche che non sono noti (o, quanto meno, non sono noti a tutti) come l’alpinismo russo, la tradizione slava, l’evoluzione dei materiali.
Anche temi già affrontati nel recente passato (a volte dagli stessi autori, alte volte no) qui sono stati oggetto di analisi molto più approfondite e peculiari. Penso ad argomenti quali “guide e clienti, “l’era dei senza guide”, “la scuola di Monaco”. Lo stesso vale per ile diverse sfaccettature riferite al grande tema degli 8000.
Infine una citazione particolare merita il volume dedicato allo sci e snowboard estremi, davvero molto interessante per completezza e profondità di analisi.
A partire da questa constatazione storica, ci si potrebbe chiedere di quale gruppo sociale è manifestazione questa culturetta dell’alpinismo vero, dello scialpinismo ver; ci si potrebbe chiedere di quale disagio sociale e espressione questa contestazione ambientalista.