Andreas Fransson – Happy Winter

Da quando l’alpinista svedese Andreas Fransson è scomparso il 29 settembre 2014, vittima di una valanga sul monte San Lorenzo, nella Patagonia cilena, il film Happy Winter, girato da Bjarne Salén è diventato un omaggio allo spirito avventuroso di questo grande sciatore visionario. “Amo andare in montagna, i doni che mi regala la natura… a volte mi piacerebbe darle qualcosa in cambio. La gratitudine rende più felici, e abbiamo tanto di cui essere grati trascorrendo il nostro tempo in montagna“.

Fransson era da tutti conosciuto come uno dei più bravi sciatori estremi del mondo. Alpinista estremamente capace, forte e veloce come pochi, è riuscito a compiere nel 2011 l’audace prima discesa della parete sud del Denali, un exploit che ha coronato una sua breve ma straordinaria permanenza in Alaska. Però, ciò che l’ha reso famoso in tutto il mondo, è stata la sua capacità di vedere oltre, di individuare e provare linee ritenute impossibili oppure nemmeno prese in considerazione. La sua discesa della rampa Whillans sull’Aguja Poincenot in Patagonia nel 2012 è l’esempio calzante, una sciata definita da lui stesso come sicuramente il limite di quello che sarebbe riuscito a fare. Per il suo carisma e per la sua figura di spicco a Chamonix (la sua seconda casa) ma anche per tutto il mondo della montagna, la morte di Fransson è stato un durissimo colpo per il mondo dell’alpinismo in generale ed in particolare per quello svedese che nel novembre del 2013 aveva già dovuto affrontare il lutto del suo caro amico, il 32-enne Magnus Kastengren.

Andreas Fransson
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Andreas Fransson e il canadese JP Auclair sono stati travolti dalla valanga sul Monte San Lorenzo e trascinati per almeno 700 m: gli altri due componenti del gruppo, gli svedesi Bjarne Salén e Daniel Ronnbak, sono rimasti illesi.

Andreas Fransson assieme a JP Auclair
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Il 37-enne Auclair, nato a Quebec, era un fortissimo free skier, considerato uno dei più bravi sciatori del Canada. Famoso anche per la sua interpretazione dello sci urbano, immortalato nel film All.I.Can, il talento di Auclair era stato notato anche dal National Geographic che l’anno scorso l’aveva nominato come uno dei candidati per il suo prestigioso premio Adventurers of the Year.

Andreas Fransson
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Intervista ad Andreas Fransson dopo la prima discesa con gli sci della parete sud del Denali (Mount McKinley) (l’intervista è apparsa su Planetmountain il 21 settembre 2011)
Il risultato più significativo del 2011 nella catena centrale dell’Alaska“. Sono queste le parole che l’alpinista statunitense Colin Haley ha utilizzato per descrivere la prima discesa della parete sud del Denali, effettuata all’inizio di giugno 2011 dallo sciatore svedese Andreas Fransson.
Per due anni la discesa di quei 3400 m era stata un pensiero costante per il 28-enne svedese e comprensibilmente la notizia ha suscitato grande clamore. Come d’altronde anche il fatto che, subito dopo, Fransson ha salito la via Cassin con il suo compagno svedese Magnus Kastengren in 33 ore, prima di scendere con gli sci lungo il couloir Messner sulla parete ovest del Denali. Tra le tracce che lascia a Chamonix e i boulder che chiude a Fontainebleau, Fransson ha trovato il tempo per condividere con noi quella prima discesa lungo la selvaggia parete sud della più grande montagna dell’America Settentrionale.

Ciao Andreas, parlaci della tua Alaska.
Beh, sono andato sul Denali per sciare la parete sud. Sembrava la migliore sfida, la miglior avventura su questa montagna. Non è una discesa difficile, ma le dimensioni sono molto grandi e si inizia ad una quota abbastanza elevata. Direi almeno due, forse tre volte più alta di tutto quello che avevo fatto in precedenza.

Ti sei acclimatato su Orient Express. Due volte.
La parete sud è molto impegnativa. Per farla è necessario in primis acclimatarsi, poi essere fortunati con le condizioni, ed essere consapevoli che ci si espone ad un alto livello di pericolo oggettivo per lungo tempo. Iniziare la discesa è impegnativo psicologicamente e può sembrare qualcosa di molto grande se in precedenza non hai fatto un sacco di grandi discese. Orient Express non è una discesa molto difficile. Come la Gervasutti sulla parete est del Tacul forse, ma tre volte più grande e a quasi 6000 metri. Volevo soltanto arrivare il più alto possibile nel minor tempo e questo era il modo più facile per guadagnare quota e poi scendere rapidamente. In realtà l’ho fatto 2 volte e mezza.

Ci racconti come ti sei sentito, là in alto, in quegli attimi prima di sciare la Sud?
Ero davvero felice perché il tempo era così buono e per quanto potevo vedere, la discesa sembrava in condizione. Avevamo avuto tempo davvero brutto, con forti venti che avevano distrutto alcune sezioni della parte inferiore, ma in verità mi aspettavo condizioni peggiori anche nella parte alta. Ero felice perché avevo la possibilità di scendere, soprattutto perché avevamo un programma fitto e sapevo che non avrei avuto molte altre possibilità. Sul Denali abbiamo imparato che molte persone vengono qui con un sacco di sogni e progetti, ma pochi riescono a realizzare quello che speravano.

Il versante sud del Denali (Mount McKinley) con il tracciato della discesa
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Che ci dici della discesa in sé?
La discesa mi è sembrata facile, ma poi ho trovato un po’ di ghiaccio, così ho subito traversato arrampicando. Per tutto il tempo sentivo che faceva caldo e ho costantemente dovuto prendere in considerazione l’opzione di fermarmi ed aspettare. Poi, quando hanno iniziato a cadere giù i sassi, non c’ho pensato troppo, ho scelto quella che era l’opzione più intelligente: sono rimasto fermo per sei ore prima di continuare la discesa.

Come la valuti?
Beh, se stiamo cercando un grado, direi probabilmente attorno a 5.4 E5, ED, dipende poi come la interpreti. Per dare un’idea prendendo per esempio le discese qui attorno a Chamonix… due pareti nord del Aiguille du Plan, una sopra l’altra, seguite dal Nant Blanc, Couturier o Cordier. A seconda delle condizioni…

Sei mai stato a queste quote in precedenza?
No. L’ho vissuto come un test per vedere se mi piace questo tipo di spedizione, e come funziona il mio corpo in quota. Funziona direi, abbastanza. Con l’andar del tempo mi sentivo sempre più debole, ma questo era probabilmente causato da tutte le cose che ho fatto e anche dal sovrallenamento.

Sì. Quello che ha colpito molti non è stata tanto la discesa della parete sud, ma il fatto che hai fatto un sacco di altre salite una dopo l’altra, quasi senza riposo tra l’una e l’altra.
In inverno scio, corro ed arrampico 4-5 volte alla settimana e aggiungo un mix di alpinismo e sci alpinismo. Per essere uno sciatore penso che mi alleno un sacco, ma a fine spedizione ero abbastanza esausto. Dopo la Cassin il mio polso da fermo registrava 85 battiti, quando normalmente è intorno a 45-55. Ma sapevo di poter stare in Alaska per poco tempo e volevo fare tutto quello che mi ero prefissato. Però, quando sono a casa non uso questa tattica. Detto questo, con questa esperienza del Denali sono molto motivato a portare il mio allenamento ad un livello superiore.

Quindi ci sono altri progetti per l’alta montagna?
Beh, come ho detto, sono andato al Denali per vedere se mi piacevano le spedizione e come avrei retto. Sono abbastanza contento dei risultati, quindi naturalmente sto considerando le mie possibilità. Se riesco a trovare l’aiuto necessario dai miei sponsor farò sicuramente qualcosa. Ma non è la quota in sé che mi attrae, sono le linee più tecniche. Non mi piace semplicemente camminare nella neve.

In Alaska sei arrivato e hai fatto tutto quello che volevi fare… Come te lo spieghi?
La mio percentuale di successo nelle prime discese è attorno al 25%… Solitamente quando affronto una sfida, torno indietro. Mi piace un sacco tentare, anche quando le condizioni non sono perfette, perché a valle non sai mai come stanno veramente le cose… Mi piace salire, non ho affatto paura di fallire e credo che sia questo il motivo per cui arrivo anche a sciare un sacco di cose buone.

Da solo o con qualche altro?
Mi piace sciare da solo, perché mi porta più vicino alla montagna e fa sicuramente più paura. Ma… se avessi sempre un buon partner andrei con lui. E’ solo che è estremamente raro trovare persone che sanno davvero sciare ed arrampicare, sono in forma e accettano lo stesso livello di rischio. Preferisco quindi andare da solo piuttosto che dover aspettare per ore. Detto questo, ci sono alcuni bravi ragazzi là fuori come David Rosenbarger, Morgan Salén, Xavier de le Rue, Tobias Granath, Maxime Turgeon, Colin Haley, Felix Hentz, Davide Capozzi, Te Crew, Rèmy Lecluse, Giulia Monego, Greg Collins e molti altri ancora…

La scena a Chamonix sembra particolarmente fervente…
Penso che ci sia un forte aumento dello sci estremo da parte di bravi e superbi sciatori che vogliono portare il loro freeride ad un livello superiore. Ma lo sci estremo sulle grandi linee, o l’apertura di nuove linee, è ancora un affare molto limitato. Questo probabilmente perché l’accettazione del rischio, del tutto personale, deve per forza essere alta, devi davvero saper sciare e deve avere tutte le competenze di un bravo alpinista.

Un’ultima domanda: il momento peggiore?
Sicuramente la cosa peggiore è stata camminare dal campo base al campo base avanzato con le grandi slitte. Dopo questo, anche il campeggio invernale e il freddo pungente dell’Alaska non mi sembravano poi così male.

Concludiamo questa intervista con il video della discesa, girato da Andreas Fransson. Per usare le parole dell’inglese Will Sim (che era sul Denali nello stesso periodo e che assieme a Jonathan Griffith ha salito la cresta Cassin in meno di 15 ore): “le riprese della discesa della parete sud non sono eccezionali… ma questa è la discesa vera. Cruda, al limite del possibile, devi “leggere tra le righe” tra quello che non riesci a vedere, cioè, non giochi con la macchina da ripresa quando lotti per vedere quel bagliore di luce alla fine del tunnel”

Andreas Fransson intervistato dalla radio cilena dopo la discesa dell’Aguja Poincenot
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Intervista ad Andreas Fransson dopo la prima discesa con gli sci della rampa Whillans all’Aguja Poincenot, massiccio del Fitz Roy in Patagonia (l’intervista è apparsa su Planetmountain l’11 ottobre 2012)

La discesa dell’impressionante rampa Whillans all’Aguja Poincenot (19 settembre 2012) fa quasi impallidire tutte queste discese per le difficoltà tecniche e l’esposizione. Fransson è stato accompagnato dal suo amico Bjarne Salén fino al crepaccio terminale, poi ha proseguito da solo, salendo l’esposta rampa per sciare “uno dei pendii che più mi hanno messo alla prova”. Questo è quello che ci ha raccontato:

Andreas, prima di tutto: perché questa linea?
Sono sempre alla ricerca di linee speciali che si distinguano da tutte le altre e quando, qualche anno fa, il mio amico Colin Haley me l’ha fatta notare, da subito ha catturato il mio interesse. Si tratta di una linea ovvia e Colin diceva che era una delle più assurde discese al mondo. Ora, col senno di poi, lo credo anch’io. E’ più ripida che qualsiasi altra cosa che io abbia mai sciato in precedenza e offre l’esposizione più estrema che si possa immaginare: non è un canalone, ma una rampa che pende verso fuori. Sicuramente è stata il limite di quello che posso fare.

Ci racconti della salita?
Mentre salivo sono rimasto stupito di quanto fosse ripida. E poi, a circa metà, c’erano soltanto 20 cm circa di neve sulle placche… questo mi ha spaventato un po’, anche se sapevo che sarebbe stato più facile con gli sci ai piedi che con i ramponi.

Quindi anche la salita è stata un momento difficile.
Sì, per me la salita è stata una vera e propria battaglia mentale. Sapevo che dovevo scendere di lì e questo mi ha davvero segnato. Sentivo che per riuscirci avrei dovuto mettere insieme, in quel preciso momento, tutto quello che avevo imparato fino ad allora nella vita. Ma il fatto è che, al di là di questa paura, ho comunque sempre avuto la sensazione che ci sarei riuscito, ed è per questo che ho continuato a salire. E’ diventata una sorta di prova, su come affrontare le illusioni della paura e dei dubbi. Suppongo che sia per questo che questa discesa significhi così tanto per me.

Come ti sei preparato per qualcosa di così grande?
Tutto quello che ho fatto finora, in termini di discese tecniche, ha preparato la strada per questa discesa. Prima di iniziare a salire il canalone d’ingresso non avevo alcuna idea che sarebbe stato così spinto. Se l’avessi saputo, beh forse sarebbe stato ancora più difficile!

Questa può sembrare una domanda stupida: sei salito e hai sciato la rampa, ma hai evitato la cima. In discese estreme come queste, quanto è importante raggiungere la vetta?
Hmmm, dipende. Quando è possibile sciare dalla vetta, allora è ovvio che la linea inizi dalla cima. Ma in questo caso sarebbe stato “artificiale” salire fino in cima alla Poincenot, scendere in doppia per alcune centinaia di metri, per poi iniziare la discesa. Penso quindi che la cosa più importante sia essere chiari con sé stessi – e gli altri, se si parla con i media – su cosa e come si è fatto in una certa discesa.

Allora raccontaci adesso della discesa …
Beh, allora il primo pendio era ripido e con buone condizioni di neve, forse attorno ai 50°. Poi c’era un tratto più ripido che ho fatto in dérapage per alcuni metri, e poi ho sciato un po’. A circa metà strada la neve era diventata una crosta ghiacciata e ho dovuto usare il mio bastoncino da sci per creare dei gradini. Questa, tra l’altro, era anche la sezione più ripida. Poi diventava più facile, ma ancora molto ripida. Quando ho raggiunto la neve facile ero così esausto mentalmente che mi sono legato ad un ancoraggio che avevo trovato durante la salita. Ho tirato fuori la corda e mi sono calato, al massimo per 10 metri, giù per una sezione più facile. In quel punto ero davvero fuori di testa. Ma poi, quando mi sono reso conto che la sezione più in alto era stata molto, ma molto più difficile, allora mi sono fermato, ho rimesso la corda nello zaino e sono riuscito a scendere fino in fondo.

Qual era il tuo stato d’animo? al 100% lucido? O forse eri in una sorta di trance?
Sì, penso che si potrebbe definirla così. In realtà mi basta semplicemente dire che sono totalmente concentrato su quello che sto facendo. Questo, e niente di più: la montagna esige tutto da me, e io devo darle tutto quello che ho, altrimenti non mi permetterà di uscire dall’altra parte.

I rischi…
Come sempre quando fai lo sci ripido rischi la vita. Ma non l’avrei fatto se non avessi avuto una totale fiducia in me stesso, che sarei stato in grado di riuscirci. Ovviamente questo è molto soggettivo e non credo che si possa parlare di statistiche a questo punto. O la fai, o non la fai. Per tutta la mia vita sono stato alla ricerca di una linea che mi richiedesse il massimo assoluto e adesso l’ho trovata. Non ho bisogno di andarci nuovamente. Ora è arrivato il momento per altri obiettivi.

Allora cosa cerchi nelle tue discese?
Voglio una sfida. Una bella linea è difficile da trovare, e quindi questa già di per sé è una sfida. Poi la discesa può essere davvero ripida, e anche questa è una sfida. Oppure può essere lunga, molto remota, sciata facendo da guida ad un amico o anche qualcosa di più facile ma sciato con un buon stile. Insomma, mi piacciono le sfide e queste mi hanno sempre dato qualcosa in cambio.

Sappiamo però che hai avuto un incidente piuttosto serio tempo fa …
Sì, si potrebbe dire che sono andato dall’altra parte e poi sono tornato di qua. Credo che tutto si riduca alla propria filosofia di vita, di ciò che si vuole fare con la propria vita. Sono profondamente contento per quello che ho adesso, e che posso fare le cose che amo di più. Nel letto d’ospedale, dopo l’incidente, sono riuscito a sentire veramente l’importanza di vivere la propria vita in pieno. E questa è la mia maniera di farlo. Detto ciò, devo ammettere che ogni giorno sono anche accompagnato dal pensiero di cambiare la mia vita per seguire altri sogni.

L’ultima domanda: Denali e Whillans, due sfide apparentemente completamente diverse… o forse no?

A modo loro entrambe erano sfide molto grandi. La maniera in cui sono state eseguite erano molto diverse, ma entrambe sono diventate la realizzazione di un sogno, un sogno che sapevo fin dall’inizio che sarei riuscito a realizzare, ma dovendo affrontare un sacco di illusioni lungo la via di riuscita. In questo senso entrambe mi hanno aiutato a ridurre il divario tra visione e realtà.

I due video dell’Aguja Poincenot

 

HAPPY WINTER
(Svezia, 2013, 8 min)
Regista e Produttore: Bjarne Salén
Casa di produzione: EndlessFlowFilms

La gratitudine per i doni della natura, per la montagna e per la vita stessa è il filo conduttore di questo film, che vede la discesa della parete nord del Pain de Sucre 3607 m (Aiguilles de Chamoix- Envers du Plan), realizzata da Andreas il 4 giugno 2013. Nonostante non si tratti di una prima discesa, è senza dubbio una tra le più belle linee del mondo, con linee verticali da brivido. Più di sei mesi e diversi tentativi sono serviti per riuscire a riprendere questa discesa: complici le condizioni eccezionali della primavera 2013, il 4 giugno si è rivelato il momento ideale.

Riportiamo un breve estratto di un’intervista rilasciata a Outside Magazine nel novembre del 2012

Nel film Tempting Fear hai detto: “La ricerca dell’avventura fa parte della natura umana e in alcune persone è forte la tentazione di testare le proprie possibilità e i propri limiti.” Puoi spiegarci meglio?
Penso che sia proprio della nostra condizione umana essere curiosi. La paura, nelle sue diverse forme, ci tiene lontani dall’esplorare le possibilità che la vita ci offre. La cosa più saggia che penso di poter fare è prendere la via con uno spirito giocoso, giocare con la laura, con la vita, con l’amore, con il sesso, con le montagne, anche con la morte. Saper giocare è saper valorizzare le cose. Il vero problema è la noia.

Sul tuo blog hai cercato di definire la parola “valore” nella vita. Che cosa nella tua vita ha valore?
Quello che ha valore può cambiare a seconda dei periodi ma se dovessi dirlo ora, dal profondo del cuore, ecco che cosa conta per me: essere capace di giocare al gioco che amo giocare e condividerlo con le persone che amo. Essere libero, il più possibile, ma allo stesso ricordarmi sempre che non è possibile cucinare nulla se non chiudiamo lo sportello del forno. Mangiare buon cibo, bere buon vino. Vedere lo spirito dei luoghi che visito e ricordarmi sempre che infondo, tutto è solo un gioco.

Andreas Fransson e il suo grande amico Magnus Kastengren. Il 3 novembre 2013, circa alle 9.30, i due iniziano la discesa con gli sci dalla vetta del Mount Cook 3724 m, Nuova Zelanda, per il versante occidentale, ma dopo pochissimo Kastengren cade fatalmente
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Andreas Fransson – Happy Winter ultima modifica: 2015-02-21T07:00:34+01:00 da GognaBlog
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