Fermare la perdita continua e preoccupante di biodiversità rappresenta una delle sfide più difficili e ambiziose che le aree protette devono affrontare: sia a livello locale, con la tutela delle specie endemiche minacciate di estinzione, sia a livello internazionale mediante reti di collaborazione a diversi livelli e su scala interdisciplinare.
Il ruolo delle Aree protette nel contrasto alle malattie infettive
di Valentina Carasso*
pubblicato su piemonteparchi.it il 25 gennaio 2022
Perchè la biodiversità si sta riducendo?
Il tasso di estinzione di specie è stato stimato essere tra 100 e 1.000 volte superiore rispetto al passato, tanto che i maggiori gruppi tassonomici di piante e animali sono considerati ad alto rischio di scomparsa (nell’ordine del 10-15%). Le ragioni di questo progressivo impoverimento in specie sono numerose e varie e contemplano, tra i responsabili principali, anche l’uomo. La nostra specie, infatti, con le sue attività sottrae suolo fertile e riduce gli habitat naturali delle specie, altera le condizioni climatiche degli ambienti naturali e preleva un numero sempre maggiore di animali e piante selvatiche destinate al consumo o al commercio.
Con i suoi spostamenti globalizzati, inoltre, trasferisce specie esotiche in ambienti di cui queste non ne fanno parte. Come conseguenza di queste azioni, negli ultimi decenni si è assistito all’incontro improbabile ma, purtroppo, reale tra specie che diversamente non avrebbero mai potuto incontrarsi. Queste situazioni hanno così reso possibile il contatto tra prede e predatori di diversa origine e hanno dato origine a nuove combinazioni di ospiti e patogeni o di vittime e parassiti, con la conseguente comparsa di nuove malattie. Secondo uno studio pubblicato da Science, gli sforzi messi in atto per proteggere la natura e salvaguardare la biodiversità, dal 2010 ad oggi, non sono stati sufficienti. È necessario incoraggiare maggiormente l’istituzione di nuove aree protette, ampliandone le superfici sia in terra che in mare.
Le malattie degli animali
Siccome molte malattie infettive che colpiscono l’uomo sono di origine zoonotica (sono trasmesse dagli animali) e si generano dall’interazione tra specie selvatiche, specie domestiche e l’uomo, diviene di fondamentale importanza preservare gli habitat naturali, frenare la diffusione di specie aliene invasive, contrastare l’inquinamento e il cambiamento climatico e limitare al massimo lo spostamento ed il commercio di specie animali e vegetali dai loro luoghi di origine. Se ciò non avviene ecco allora che compaiono e si diffondono nuove malattie infettive. Relativamente alla continua perdita di habitat è stato appurato che le malattie infettive possono rivelarsi particolarmente gravi laddove si assiste a questo fenomeno e dove, di conseguenza, le popolazioni animali e vegetali possono ridursi di numero e frammentarsi nello spazio. Tale frantumazione determina, da una parte, la riduzione delle possibilità di movimento e di espansione degli individui ma, dall’altra, lo scarso spazio a disposizione genera un aumento dei contatti tra gli individui stessi e quindi, una più alta probabilità di diffusione di malattie infettive. Ad esempio, la più grande popolazione di pecore “dalle grandi corna” (Ovis canadensis) in New Mexico (4200 individui nel 1978) si è ridotta a 25 individui nel 1989, e poi a una ultima pecora nel 1997, a causa di una grave epidemia di scabbia psorottica. Per quanto riguarda la sempre maggiore diffusione di specie aliene invasive introdotte dall’uomo, questa dipende in buona parte dalla mancanza nelle nuove aree di insediamento dei loro patogeni naturali che, invece, esistono nelle terre di origine e svolgono un ruolo importante nel regolare le popolazioni native. Nel caso in cui, invece, le specie aliene si insediano in contesti ambientali a loro sconosciuti portandosi dietro anche i loro patogeni (come è accaduto, per esempio, con gli scoiattoli grigi americani che, introdotti in Europa, hanno diffuso il vaiolo dello scoiattolo tra le popolazioni indigene di scoiattoli rossi), ecco che questi ultimi possono minacciare gravemente la fauna e la flora selvatiche di quella particolare regione in cui sono arrivati, determinando un drammatico declino nelle popolazioni native locali. Le sempre maggiori interazioni tra l’uomo, le specie domestiche e quelle selvatiche si traducono in una diffusione dei patogeni e dei parassiti tra le varie specie. I contatti fortuiti tra specie differenti consentono infatti a microparassiti come i virus di passare dalle specie domestiche a quelle selvatiche, incrementando il rischio di estinzione di popolazioni di animali già in declino. Il virus del cimurro canino, ad esempio, ha portato a massicci cali nelle popolazioni di molti carnivori selvatici come il licaone, la iena maculata e i furetti. In aggiunta, i grandi allevamenti intensivi possono contribuire al diffondersi del contagio perché gli animali vivono gli uni vicino agli altri, in scarse condizioni igieniche, dove si moltiplicano le occasioni per i patogeni di moltiplicarsi e mutare. Allo stesso modo, ma in direzione opposta, le malattie infettive possono trasferirsi dalla fauna selvatica a quella domestica, a causa del disboscamento e della distruzione degli ambienti naturali che spingono gli animali selvatici a cercare nuovi spazi dove insediarsi, avvicinandosi sempre più agli agglomerati urbani o alle aree rurali dove si trovano gli allevamenti di animali utili all’uomo. Il report del 2004 dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) indicava in più di 1.500 le specie animali che si pensava si trovassero in pericolo a causa dell’inquinamento. Ad oggi, la maggior parte di esse sono rappresentate da animali acquatici. L’inquinamento da metalli pesanti, pesticidi e erbicidi è, infatti, stato indicato come il maggior responsabile dell’alterazione del sistema immunitario di numerose specie di anfibi e di uccelli e di mammiferi marini. Ecco quindi che il ruolo giocato dalle aree protette e dai modelli educativi attuati da queste sono di fondamentale importanza nell’indirizzare le scelte agricole ed industriali di una determinata regione, verso una direzione più sostenibile e compatibile con le risorse naturali locali.
Le malattie delle piante
Gli stessi meccanismi che regolano l’interazione tra ospiti e patogeni animali si ritrovano anche nelle piante. Anche queste, infatti, possono rappresentare una potenziale sorgente di diffusione delle malattie infettive. Le patologie dei vegetali sono spesso indicate come causa di pericolo ma non come rischio di estinzione. Verso alcune di esse che hanno provocato gravi danni alle specie arboree (si pensi al cancro del castagno, alla grafiosi dell’olmo, alla malattia delle querce, …) sono state attuate azioni di lotta biologica e non, determinate a debellarle o, per lo meno, a contenerle. Diversamente, molto meno si sa e si sta facendo per contrastare quelle malattie infettive che sono la causa del ridimensionamento o dell’estinzione di specie vegetali meno comuni e conosciute, come quelle che colpiscono le piante rare e endemiche (ad esempio, il nostro garofanino di montagna, Dianthus pavonius) o che vivono in aree ristrette ed isolate e che, per questo, sono di particolare importanza per la biodiversità e l’equilibrio degli ecosistemi più estremi ma anche più fragili e preziosi. Infine, l’incremento delle temperature su scala micro e macroscopica sta modificando il tasso di sopravvivenza dei patogeni e influenzando in modo pesante l’aggressività e la virulenza delle malattie. Ciò si riflette sull’abbondanza e sulla distribuzione dei patogeni e dei loro vettori e sulle dinamiche che ne regolano i fattori di resistenza. Per fare un esempio, gravi flagelli come la febbre dengue e la malaria nei prossimi anni si diffonderanno drammaticamente come conseguenza del riscaldamento climatico, aumentando il tasso di riproduzione del patogeno ed espandendo ulteriormente le aree di presenza delle zanzare che ne sono i principali vettori. Alla luce di queste gravi problematiche la domanda che sorge è non tanto “se”, ma “quando” una nuova epidemia o peggio, pandemia farà la sua comparsa. Ciò che abbiamo vissuto in questi ultimi anni tra epidemie diverse e la pandemia da Sars Cov-2 sono solo la punta di un iceberg pronto ad impattare contro la specie umana. In questo senso il ruolo delle aree protette e dei parchi naturali diventa assolutamente determinante e strategico, sia perché la preservazione di questi territori è fonte inesauribile di conoscenza e di opportunità di monitoraggio di ciò che accade al loro interno, sia in termini di pianificazione e di contrasto a questo rischio, sempre più plausibile. In tal senso è necessario e urgente che questi enti considerino il loro ruolo cardine sia nella lotta ai patogeni e alla perdita di biodiversità, sia nella prevenzione all’insorgenza di nuove malattie. Questa presa di consapevolezza si dovrebbe tradurre in un aumento delle collaborazioni tra gli esperti, a livello interdisciplinare, mediante la riduzione delle occasioni di contatto tra la fauna selvatica e gli animali domestici (si pensi alla gestione del pascolo), con il mantenimento delle condizioni inalterate delle interazioni tra le diverse specie selvatiche (predatore-preda, ospite-parassita) e mediante un monitoraggio scientifico continuativo della salute di animali e vegetali più a rischio. Sono infatti proprio gli endemismi e le loro spesso piccole popolazioni (sovente frammentate) a subire il maggior rischio di impoverimento genetico e, di conseguenza, a manifestare una minore risposta immunitaria e una maggiore suscettibilità a futuri focolai di malattia.
Bibliografia di riferimento a questo link
* Consulente scientifica delle Aree Protette Alpi Marittime
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Con i suoi spostamenti globalizzati, inoltre, trasferisce specie esotiche in ambienti di cui queste non ne fanno parte.
Interessante tema che tocca gli eccessi del vivere moderno sia in merito allo spostamento di materiali, dovuto alle delocalizzazione delle produzioni per lucro economico e sia per gli spostamenti di persone. Tutto ciò contribuisce, anche, ad aumentare consumi ed inquinamento.
Alessandro e tutti voi, scusatemi: sono andato fuori tema. Il mio commento avrebbe dovuto essere pubblicato altrove. Ma la situazione sta peggiorando di giorno in giorno e cosí i miei timori per la guerra.
Hitler, inferocito, sbraitava: “Sono la Gran Bretagna e la Francia ad aver dichiarato guerra alla Germania. Non viceversa. La guerra è colpa loro”.
Con Putin ci stiamo avvicinando velocemente a questi livelli di pensiero. C’è da aver paura.
… … …
E Hitler non disponeva nei suoi arsenali di migliaia di testate nucleari.
Putin: “Le sanzioni alla Russia equivalgono a una dichiarazione di guerra”.
Qui invece c’è un dittatore sanguinario che pretende di sventolare la sua bandiera in casa d’altri e sta elucubrando di guerreggiare contro mezzo mondo.
Carlo, tu hai coraggio. Sali sulle barricate (sulle cattedre) con la bandiera italiana e grida: “Viva l’italiano!“. 🇮🇹🇮🇹🇮🇹
@12 Non sono uno che ama i termini yankee, anzi li aborro. Li utilizzo, a volte, perché mi accorgo, guardandomi intorno (ben oltre i confini di questo blog) che spesso non si conoscono i corrispondenti termini italiani. E’ però un fenomeno che coinvolge maggiormente le giovani generazioni, suddite della tecnologia, che si nutre di termini anglofoni. Cmq: up e down sono su e giù. Downgrading è la revisione al ribasso, upgrading al rialzo. Prima di Natale in un corso di formazione (tra l’altro per gente in media sui 35-45 anni e non fanciulli di 20 anni!), nel mio intervento ho detto “revisione al ribasso” e tutti mi hanno guardato con occhi smarriti. Allora ho subito detto “dowgrading” e tutti hanno immediatamente annuito, tirando un sospiro di sollievo (intendevano: ah sì, così ho capito). Ecco perché stamattina sono andato subito al termine di maggior uso nella società liquida un cui siamo condannati a vivere… Buona domenica a tutti!
Fermare le biodiversità senza firma completa e creare un area blog protetta! Altro che fuori tema😉.
Usare parole yankee è più figo. E’ uno “status simbol” del vassallaggio ad altre culture. Anche il maggiordomo scimmiotta il suo padrone.
Bravo Crovella! Per una volta, eccezionalmente, sono d’accordo con te.
P.S. Che cos’è un «downgradind»? Roba che si mangia? E un «upgrading per il blog»? Se tu usassi parole italiane (quando possibile), sarebbe meglio. Potrei perfino votarti per la carica di vicepresidente del blog.
La pulsione di controllo e sorveglianza mette d’accordo Crovella e Cominetti!
A me continua a sembrare sbagliata, inutile e dannosa.
Non è questa la sede appropriata per discernere di tali risvolti, a maggior ragione perché in scia ad un articolo al cui tema i commenti dovrebbero essere “collegati”. Anche questo è sbagliato: che si concepisca lo spazio dei commenti come una piattaforma di comunicazione fra i soggetti, inserendo temi che, di per sé, non sono collegati all’articolo principale. A volte capita, spesso si è tirati per i capelli, come nei commenti sottastanti. Ma è proprio una cosa concettualmente sbagliata. Quella concezione, con i più i commenti vivaci, è fuori via (tanto per usar un linguaggio alpinistico), perché svaluta il Blog, lo fa scendere al livello di una chat Telegram o un profilo Facebook. Risultato che è un downgradind e non un upgrading per questo Blog. Il modello organizzativo più adatto è quello che, se si vuole commentare, occorre ottemperare ad un obbligo una tantum di registrazione, compilando una anagrafica (non solo nome e cognome e mail, ma anche indirizzo, telefono ecc ecc) in modo tale da fotografare il soggetto, a disposizione della redazione anche in seguito. In tal caso i commentatori occasionali, specie provocatori, e/o i grappoli di nick verrebbero tagliati alla radice. Anche in tal caso, però, è necessario l’attento controllo della redazione al fine di eliminare i commenti inopportuni, nella forma e nel contenuto.
4,5,6 e 7, vedete che il problema, se ognuno si firmasse normalmente con nome e cognome, non ci sarebbe?Se fossi Gogna interdirrei l’accesso ai commenti (non alla lettura del blog) a chi non si firma per esteso, altro che cancellare commenti infuocati che invece vivacizzano la conversazione.
P.S. Il concetto di ecosistema non è un concetto statico, bensì dinamico. Quello che l’ecologia del passato, anche recente, considerava un mosaico di ecosistemi, alcuni interconnessi altri quasi del tutto indipendenti è sostanzialmente superato. L’uomo che viaggia, che si sposta, che migra (e con lui patogeni, animali, piante, parassiti etc.) ha reso ridotto distanze prima incolmabili (per la maggior parte degli esseri viventi) delle inezie.
E aggiungo anche che il cancro corticale del castagno, citato nell’articolo, non è stato contenuto con l’abbandono dei boschi, bensì con una più intensa utilizzazione, ossia accorciando i turni di taglio. Ringhi di motoseghe che echeggiano nelle valli, roba da far accapponare la pelle alla maggior parte degli pseudo ambientalisti nostrani. ..
Tornerei ai contenuti dell’articolo, se è lecito.. Tutto giusto, tutto anche piuttosto risaputo se mi è consentito, in soldoni servirebbero aree protette assai diverse da quello sin qui realizzate in Italia, che constano spesso di aree economicamente marginali e a basso valore ecologico, trasformate in ‘parchi’ più per distribuire risorse e posti di lavoro che per concreta utilità.
Per Gogna Alessandro
chiedo cortesemente di togliermi l’iscrizione al blog ,cancellarmi .
Paolo Conte.”Fuga all’inglese!”
Le dispute tra bloggers si potrebbero interpretare come una contesa per la gerarchia…o per il territorio dentro una stessa comunita’ di persone che magari hanno tutto sommato molte affinita’ .Mi piacerebbe che si trovassero tutti assieme in silenzio entro una situazione che scatena “meraviglia”, ma essendo impossibile ci si potrebbe guardare una serie di foto di paesaggi ..immaginando di essere tutti là.
Nel web”ordine di beccata” e in particolare
https://books.google.it/books?id=_3wrcBEtWe4C&pg=PT21&lpg=PT21&dq=ordine+di+beccata+nella+specie+umana&source=bl&ots=bcTiy6ozIc&sig=ACfU3U3HpWwHHIdWgx4YFtWm6ifD8UdtDQ&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiK64qnyKv2AhXLm6QKHaCaDOcQ6AF6BAguEAM#v=onepage&q=ordine%20di%20beccata%20nella%20specie%20umana&f=false
Il lettore attento ha già adocchiato da molto tempo una famiglia di nickname che sono prevedibilmente riconducibili ad uno stesso individuo. Lo stile è ricorrente, come i concetti e il sarcasmo verso i contenuti proposti negli articoli o nei commenti. Se il lettore, oltre che attento, è anche acuto ha collegato questi nick ad un certo personaggio, quando costui interviene a titolo diretto. È irrilevante se la deduzione sia azzeccata o meno, perché se anche fossero davvero tanti individui diversi, ciascuno con il suo nick, sarebbero accomunati da un elemento ricorrente: il livore. Un rancore esasperato verso tutti, ma in particolare verso Gogna. Ho riflettuto a fondo sulla possibile origine di tale livore verso Gogna e mi pare di averla individuata. Questo “grappolo” di nick, che sia un solo individuo o tanti individui poco importa, è come se si sentisse tradito da Gogna. Mi spiego: il grappolo si e’ costruito nella sua testa l’immagine di un Gogna anticonformista, addirittura ribelle, cioè anticaiano, anticerchiobottista, insomma l’ “anti” per eccellenza. Il grappolo si aspetterebbe che fosse Gogna stesso, e di sua iniziativa, a cacciare dal Tempio gli indegni (cioè i caiani, i cerchiobottisti, i conformisti…), proprio come fece Gesù con i mercanti. Invece cio’ non accade e anzi gli indegni occupano (“indegnamente”, secondo il grappolo) sempre più il Blog. Scatta un senso di tradimento, che col tempo si è accentuato diventando rancore e poi addirittura livore. Ma il grappolo non si interroga sulle scelte di Gogna. Per focalizzare la linea editoriale del blog, scelta indiscutibilmente di sola pertinenza di Gogna, basta leggere il paragrafo di presentazione in alto a sinistra. Il grappolo non si è posto il problema di capire le scelte di Gogna: ne stigmatizza solo il contrasto con l’idea che lui (il grappolo) si era fatto di Gogna e del Gogna Blog. La discrasia fra questa idea soggettiva e le scelte operative di Gogna scatenano il livore. Basta ignorarlo, il grappolo e si stancherà da solo. Buona serata a tutti.
Pergogna. Leggi con più attenzione quello che viene pubblicato e scritto sul blog e scegliti uno pseudonimo meno puerile, se non te la senti di metterci la faccia. Gogna è a volte troppo paziente con chi sputa per terra a casa sua. Sicuramente si guadagna dei punti per la remissione dei peccati che ogni tanto ci racconta con sincerità 😀
Aree protette, malattie infettive, perchè non parlare, allora di paradisi artificiali. Questo sito è il paradiso artificiale. Di tanti che se ne fregano di quanto sta accadendo.La redazione pensa a ONG alla virata elementare del Crovella pensiero,alla lotta del comunismo alla Pasini estensione.Sig. Albert intendo Albert quello vero,…le macerie del comunismo, un pensiero totalitarista che ha sterminato masse per intentarsi la loro liberazione,al pari dello sconfitto Nazifascismo ha prodotto per continuità quanto sta accadendo.I loro orfani non si esprimono perchè in quanto tali,non hanno più argomenti.E non è che l’inizio,date le condizioni non frega più a nessuno della virata elementare, dell’eroica lotta dei sessantottini, della neve che manca e dele piste da bob.Tra non molto non ve ne fregherà neppure a voi.
Niente ci dà la certezza che saremo la specie vincente, siamo talmente sapientes che ci estingueremo col nostro contributo lentamente o per catastrofe e forse prevarranno altre specie piu’adattabili della nostra anche allo schifo che avremo lasciato .Meno pessimisticamente la specie si evolvera’in maniera tale che saremo irriconoscibili secondo parametri attuali.Basti pensare alla guerra Russa.Il comportamento di una specie fa parte delle sue dinamiche evolutive e la nostra e’l’unica che porta l’aggressivita’ rituale alla aggressivita’ criminale sterminatrice.
vedi” etologia della guerra scuola zanichelli” un estratto
Irenäus Eibl–Eibesfeldt. Etologia della guerra. Eibl-Eibsefeldt precisa che la guerra non è semplicemente il risultato della aggressività .