Considerazioni per riconoscere la natura della storia e quella della vita.
Astrazione
di Lorenzo Merlo
(ekarrrt – 21 novembre 2022)
Tutto è piatto
L’interesse personale ci impone la separazione e la diversità dall’altro, nonché la somiglianza, se questa ci eleva.
L’interesse personale è un prodotto dell’identificazione di noi stessi con il nostro io.
Questo è una incastellatura che gli ambienti culturali di cui risentiamo hanno montato e montano con silente pazienza.
Così pensiamo di essere realmente il nome che portiamo, il titolo che abbiamo, il ruolo che svolgiamo nei luoghi privati e sociali che frequentiamo.
Ne scaturisce una dimensione effimera della realtà. Ovvero la sua presunta oggettività. Nonché l’idea che il sapere cognitivo, lo studio, l’erudizione, la scienza possano portarci a scoprire verità come, per esempio, “la più piccola parte della materia”. Effimera, in quanto lo spirito che tutto genera rimane sopito sotto il peso greve della concezione materialistica della vita e del cosmo. In quanto non ci avvediamo di essere noi stessi, con il nostro sterile pensiero, ad aver creato ciò che riteniamo di osservare neutralmente. Sterile, poiché abbiamo generato un criterio di conoscenza esaurito nella misurazione, soggiogato dalla disgraziata idea che il nostro pensiero abbia il diritto assoluto e definitivo di porsi sul trono della conoscenza.
Non vediamo l’autoreferenzialità delle affermazioni che esprimiamo, loro argomentazioni a sostegno incluse. Non riconosciamo in esse un imperativo categorico dell’io, obbligato a ciò per alimentare la sua struttura e il suo dominio su noi. Un frutto a cui cediamo tutta la nostra energia al fine della sua sopravvivenza, nonché della sua difesa. Se necessario, fino al conflitto o all’adeguamento o alla frustrazione, qualora un’affermazione opposta dovesse avere la meglio sulla nostra. Un gioco delle tre carte dal quale usciamo sempre perdenti. Nel quale si trova la sede della sofferenza e delle malattie.
Quantomeno, fino alla scoperta del proprio sé. Fino all’emancipazione dall’io e dal suo potere, momento nel quale potremo disporre dell’energia, prima regalata, a vantaggio della vita ora nostra e creativa. Non più ordinata e dipendente da cliché altrui, né dal pensiero debole e uniformato o dall’apparenza.
Senza quell’emancipazione, non vediamo che la burrasca di malessere/benessere dipende dall’io. Se soddisfatto ci beiamo; se insoddisfatto, alienato, violentato, umiliato, ne soffriamo.
Tutto è in noi
Nonostante la pesca a strascico che la rete dell’attuale cultura raschia sui fondali delle nostre vite, qualcuno si trova nelle circostanze adatte per prendere coscienza che un altro ordine delle cose sia possibile. Che quello che ci viene inconsapevolmente imposto non è il solo, come ci ripetono e costringono a farci credere. Che ha un limite oltre il quale si inceppa, come cadesse oltre il profilo della sua piatta terra. Si tratta della presa di coscienza della artificiosa ed effimera natura dell’io. Un passo che, contemporaneamente, comporta il riconoscimento del proprio sé. Quello che Jung ha chiamato individuazione. Quel luogo in cui troviamo noi stessi. Quello che fanfare e gran pavesi culturali, scientisti, razionalisti, etici, irresponsabili fautori del mito della conoscenza cognitiva, quale sola e rispettabile, ci impediscono di vedere. Costi quel che costi.
Ed ecco, allora, i giovani suicidi perché tenuti fuori da gruppi social. Persone che, per eccellenza, rappresentano l’ultimo campione di una concezione di sé, del mondo, della vita, che dire superficiale non basta, in quanto anche autodistruttiva, esiziale.
Chi ha l’opportunità di vivere certe consapevolezze, di vedere più in profondità ciò che ci muove, riconosce senza sforzo le ragioni storiche del mondo che abbiamo e le legittima. Ma, contestualmente, si avvede della dimensione spirituale che in esse manca. E la auspica. Ha chiaro ciò che è effimero e impermanente e, viceversa, ciò che è imperituro e sostanziale. Ciò che ci distingue e ciò che rende identici.
Riconosce cioè la struttura dell’io. Non se ne libera, in quanto la vita nella storia non lo permette, ma se ne emancipa. Non si fa più dominare e inconsapevolmente succhiare energie da ciò che sa e che deve, ma si muove secondo quanto sente.
Tutto cambia
Per gli interessati a questi temi è necessario precisare che il culmine del discorso non indica, né comporta, buttare a mare tutto e votarsi a mistica santità. Tutt’altro. Significa adottare scelte e pensieri corrispondenti alla nostra natura e talento, i soli idonei alla nostra realizzazione e felicità. Ideali per rischiare di realizzare al meglio le progressioni che ci stanno a cuore. Significa anche adeguarsi, ma senza più alienazione, frustrazione, mortificazione e prevaricazione del brutto e del cattivo nella nostra esistenza. Nonché alzare al massimo il rischio di realizzare una cultura e, quindi, una società diversamente ordinata da quella creata dai pensieri egoici che ci avviluppano. Non si tratta, perciò, in nessun modo, di reprimere le passioni e l’implicita identificazione col fare e progettare, ma di elevare al massimo l’invulnerabilità e il mantenimento della capacità di riconoscimento e accettazione di posizioni differenti.
Significa conoscenza empatica, educazione all’ascolto, riconoscimento di noi nell’altro, consapevolezza della creazione del mondo, dell’identicità degli uomini, della circolarità del tempo, della sua variabilità in funzione del sentimento e dello stato di benessere/malessere. Tutti aspetti oggi misconosciuti, quando non derisi. Significa tolleranza autentica, capacità di legittimazione, consacrazione del principio di reciprocità, assegnazione di pari dignità a quella che chiediamo all’altro per noi stessi. E, anche forza sufficiente per rifiutare l’ipocrisia e la menzogna come ordinari elementi del nostro dire nelle relazioni e nella vita. Significa accettazione di sé e, dunque, disponibilità del necessario per migliorarci, per non nasconderci più dietro quelle bugie, finzioni, simulazioni e dissimulazioni. Significa saper esprimere i nostri sentimenti e non negare le nostre emozioni. Significa sapere cosa è adatto a noi e cosa è opportuno tenere alla larga; e sarà una discriminazione energetica. Perché di energia cosmica è costituito il nostro sé. Significa astrazione, perché le forme fanno la storia ma la vita è una soltanto.
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Sospettavo mi fosse sfuggito il concetto.
Siamo d’accordo.
La volontà che fa capo al dominio dell’io, corrisponde a quella citi, ma non è la volontà che fa capo al sé. Era a quest’ultima che mi riferivo.
Penso che volontà e potere creativo viaggino su diverso denari.
La volontà è importante, per esempio, durante la resistenza, o per portare avanti un progetto, ma non è utile per la creazione.
Per creare bisogna, invece, abbandonarsi, allontanarsi dal razionale.
Colpevolizzare il singolo è ritornare preda del dominio dell’io separatore.
La volontà, il suo potere creativo, diviene possibile, solo dopo la presa di coscienza della struttura dell’io.
La disponibilità disponibile all’io non è in nostro controllo. Essa corrisponde alla cosiddetta forza di volontà, o alla passione che molto permette ma soltanto per soddisfare l’interesse egoico, personale, la cui tipicità è credersi indipendente dal tutto.
Andando oltre questo stadio, il legame con il sé e poi con il tutto rischia di compiersi. La volontà o il pensiero realizzano il loro massimo potere.
L’uomo protocollato non è lui il male, ne è semplicemente un latore, in quanto ne dominato da forze egoiche, maligne.
Quello compiuto, operando come espressione della vita e non suo possessore, nè è emancipato.
Però io non credo che in natura esistano altre forme di vita che volontariamente indugiano nella cecità.
Il mio pensiero è che nel mondo materiale si mostrino tutte le misure proprio per prendere coscienza che le differenze siano necessarie alll’equlibrio della natura. Essa le usa come informazione per mantenere il proprio essere. Noi – la coscienza – invece, attraverso le differenze possiamo cogliere la caducità della storia e così trovare la via per ritrovare l’uno, dove tutto, ancora indistinto, genera le differenze necessarie al due. Vero campo scuola della spiritualità e della libertà dal conosciuto sempre origine del dolore.
Ritengo anch’io che tutte le risposte dimorino in noi stessi, ma ignota mi è la ragione per cui qualcuno le raggiunga e le esplori, mentre per altri siano inaccessibili.
Amo pensare che ognuno di noi porti avanti la propria missione nel mondo materiale e spirituale o che, chissà, a molti sia negata appositamente la possibilità di rimirarsi dentro scoprendo il proprio io.
Sicuramente è importante concedersi del tempo per essere se stessi, riconoscere il valore e l’utilità dei propri talenti e della relazione con l’altro.
Grazie a te. Alle tue note, che mi permettono queste altre.
Quanto dici è condivisibile. Aggiungerei che le risposte ci sono già tutte in noi. Esse si mostrano solo in caso di corrispondente domanda.
Questa ha un movente sempre identico. Che a sua volta porta a chiedersi, non se una cosa è vera o no, ma in che termini lo è?
Aggiungo che non si tratta di un interrogativo che alimenta e legittima il relativismo e suo implicito nichilismo esistenziale.
Essa è invece dirimente tra l’io effimero e il sé imperituro.
L’io, è vero che si dibatte tra campi diversi, ogni volta con l’intento di superare il contendente del momento. È la sua natura/struttura, il cui scopo è succhiare tutta la nostra energia. È l’affermazione del male in quanto cecità esistenziale o velo di Maya o caverna platonica.
Scoperta la struttura dell’io e la sua logica e la via dell’emancipazione da essa, si alza il rischio di arrivare al sé. Punto centrale di noi e del cosmo, sede della salute e del benessere. Dove le energie sono ora donate al vero noi stessi. Solo modo per toccare anche il prossimo, come dici tu, in qualche modo pronto a riconoscere cosa significa libertà dal conosciuto.
Diversamente, in modo razional-dialettico non si fa che restare sotto il dominio dell’io.
Interessante testo e utile, su cui riflettere. Concordo pienamente sulla necessità di un percorso verso l’ Individuazione, come la prospetta Jung. Spesso, però, non è facile trovare la strada per arrivarci. Non a tutti è concesso la fortuna di avvicinarsi a quel traguardo da soli. Forse, scritti come questo possono aprire qualche finestra verso altre visioni. Chi ci riesce, è perché ha già dentro di sé qualcosa che lo muove in quella direzione, dato dalla vita che ha fatto, e da qualche esperienza significativa che lo ha portato ad acuire la propria capacità di percezione. Lo farò girare. Grazie Lorenzo.