Calanques in barca a vela

Metadiario – 159 – Calanques in barca a vela

Quando ero bambino non potevo salire su una corriera senza che patissi nausee anche violente. Non so dire se in automobile mi facesse lo stesso effetto, visto che mio padre non aveva né patente né auto e dunque non facevamo mai viaggi in macchina. Con l’adolescenza questo problema scomparve. Un giorno però lo riscoprii. Credo fosse il 1966, ed era una giornata “tra il gnacco e il petacco”: le rocce dell’Appennino erano bagnate per piogge recenti. Con Piergiorgio Ravajoni eravamo d’accordo di andare a scalare da qualche parte vicino a Genova, ma il tempo non prometteva niente di buono. Una telefonata con Renato Avanzini aveva però risolto i dubbi: ci aveva proposto di andare ad aiutarlo per un qualche lavoro di manutenzione alla sua barchetta a vela, ormeggiata nel porticciolo di Vesima. Tre anni prima lì vicino avevo scalato con Marco Ghiglione l’appuntito scoglio dell’Agugia (poi miseramente crollato nel 1969).

Vendol
En Vau, Rive Gauche e Doigt de Dieux

Così ci ritrovammo in quattro (alla fine ci aveva raggiunti anche Rita Corsi) a salpare con mare discretamente mosso, un bölesömme (che si scrive anche bolezùmme) parecchio agitato. Non facemmo molta strada, una cinquantina di metri dalla costa, quel tanto che bastava per fare le verifiche al natante, al sartiame, al timone e alla vela.

Nel viaggio di andata il mare era calmo. Chi è al timone (Giovanni), chi guarda all’orizzonte (Paola), chi filma (Alessandro).

Fu una sofferenza notevole, perché già dopo pochi minuti avevo una nausea terribile. Non riuscendo neppure a stare in piedi, decisi di scendere all’interno per sdraiarmi su una cuccetta. Ricordo che cercai anche di dormire, mentre attendevo che le maledette manovre finissero. Ogni tanto mi chiedevano come stavo, ma il più del tempo lo passavano a far battute e a cazzeggiare (oltre che a prendermi in giro). Un incubo che terminò solo tre ore dopo quando finalmente riguadagnammo terra.

Con questa esperienza alle spalle, si capirà il perché non fossi mai stato tentato dalle esperienze marine, a dispetto di alcune proposte che nel frattempo mi erano state fatte.

En Vau. A sinistra il Doigt de Dieu e a destra la Rive Droite (1972)

Ma quando Giovanni Sicola, skipper di provata esperienza in regate e traversate varie, propose a Bibi e a me di farci una settimana in Calanques non seppi dire di no. Ero allettato dall’idea dello scalare in quel posto meraviglioso approcciando le pareti con il tender di servizio. Speravo solo che i venticinque anni trascorsi dall’episodio di Vesima avessero un po’ fatto maturare le mie debolezze fisiologiche; inoltre mi dicevo che magari non saremmo stati necessariamente perseguitati dal bölesömme… Anche se la possibilità di mare “grosso” non era comunque da scartare e forse sarebbe stata peggio.

Alessandro prova il temuto timone
Bibi al timone

Partimmo da Milano sabato 22 giugno 1991, in quattro: l’equipaggio comprendeva anche Paola Mazzucchi, la futura moglie di Giovanni. Bibi era al terzo mese, ma praticamente nessuno se ne accorgeva, neppure lei.
Nel primo pomeriggio raggiungemmo il porto turistico di Bandol, non distante da Tolone. Era lì che avevamo noleggiato una signora barca, non ricordo di quanti metri, in ogni caso ben più grande di quella di Renato.

En Vau: il passeggero Alessandro e il marinaio Giovanni

Fatta un po’ di spesa, fui iniziato al cerimoniale dei velisti, piccole cose che comunque creavano una certa necessaria disciplina. Non ricordo se quella sera cenammo in qualche ristorante o se sperimentammo la cucina. In ogni caso la prima notte in porto trascorse tranquilla, il dondolio era appena percettibile. In più eravamo in cabine separate e ciò era grande cosa.

Salpammo la mattina dopo con mare calmo. Dopo il recupero dell’ancora, imparai qualche altra semplice manovra e provai anche l’ebbrezza di stare al timone.

Dal Col de Sormiou panoramica sulla Calanque de Sormiou. In lontananza, a destra, l’Île de Riou

Quel giorno puntammo ad En Vau. Giovanni scelse accortamente una posizione ottimale per buttare l’ancora, poi lasciammo le donne a prendere il sole e ci trasferimmo in tender sulla Rive Gauche. Lì arrampicammo al Doigt de Dieu, sulla prima lunghezza di 6b dell’Integrale; poi su Mort pour la Transe, bellissima lunghezza di 35 m di 6c e infine sulla prima lunghezza di Yogurth acide (6c). Fame e sete ci riportarono alla nostra barca, e lì la giornata terminò gloriosamente con qualche ora di serenità assoluta e gioia di stare assieme. Non facemmo neppure caso alla mancanza del tramonto (il sole era ormai dietro alle rocce della Rive Droite di En Vau), anzi a quell’ora eravamo già al terzo aperitivo e ci aspettava una serata magica.

In giornata Paola e Bibi avevano pescato una discreta quantità di occhiate, che fu Giovanni a preparare al forno con le erbe appena raccolte sugli scogli. Forse fu quella la sera più divertente di tutta la settimana: in stato discretamente alcolico preparavamo da mangiare e intanto danzavamo al ritmo dettato da Prince con la sua Kiss (You don’t have to be rich / To be my girl / You don’t have to be cool / To rule my world…).

Sormiou, Falaise de La Tiragne

Il 24 giugno ci trasferimmo, senza alcun problema di mare, alle Calanques de Sourmiou. Questo toponimo provenzale significa source bonne, cioè “fonte buona”). Ci ancorammo a qualche distanza dal porticciolo. Avevamo “soltanto” intenzione di andare a vedere la falesia della Tiragne che, essendo questa rivolta a sud, supponevamo essere assai esposta al calore pomeridiano. Ma, guarda caso, quando tutti e quattro mettemmo piede sugli scogli, proprio sotto a dove si svolgeva il sentiero per il Col de l’Uï d’Aï (provenzale per Oeil de l’Âne, occhio d’asino), avevamo i nostri zaini con dentro il necessario per arrampicare (non si sa mai).

Anche Paola al timone
Giovanni e Paola

Bibi non era così motivata: non l’allettavano certo quei circa 150 m di dislivello su sentiero abbastanza ripido e sconnesso. Così decise di restare lì, su uno scoglio abbastanza piatto. Purtroppo però Giovanni aveva già nascosto in qualche anfratto degli scogli i remi del tender (come fanno i “veri” marinai) e nessuno di noi si ricordò di avvisare Bibi, che fu condannata quindi a stare varie ore abbandonata e senza riparo dal sole.

Al di là del valico ci si offrì una visione di mare e roccia ineguagliabile. Scendemmo lungo il Sentier des Pêcheurs e poi passando sotto alle paretine dell’Apanaù e di Ali Baba, fino a ritrovarci sotto a La Tiragne. Incominciammo con Prochaine Éternité (6b+), poi continuammo con l’unione del monotiro Bons Baisers Salés (6a) con la prosecuzione di Topless (6c): Paola salì fino al punto d’incontro, poi si fece calare. E infine, ormai provato dal caldo, mi feci assicurare da Giovanni su En avoir ou pas (6c). Entrambi i 6c mi sembravano assai severi: sarà stato il caldo, ma in ogni caso li mancai entrambi per poco.

A quel punto convenimmo che forse era il caso di scendere da chi ci stava aspettando…

Giovanni a La Tiragne
Giovanni Sicola
In discesa dal Col de l’Uï d’Aï verso Sormiou

Trovammo Bibi piuttosto alterata con noi: era stata lì quattro ore al sole, senza acqua e senza niente da mangiare. Non aveva ritenuto opportuno spostarsi al bar del porticciolo, anche perché era senza un franco.

– Torneranno ‘sti bastardi – continuava a ripetersi – lasciarmi così da sola, incinta…

Piuttosto contriti ascoltavamo le rimostranze senza opporre resistenza. Anzi accelerammo le manovre per salire sul tender e riguadagnare la barca che ci prometteva vino bianco e bevande fresche.

Ma ci fu una discussione tra noi due che presto divenne un vero e proprio litigio: eravamo così alterati che, quatti quatti, Giovanni e Paola senza dirci nulla se la svignarono con il tender e andarono a mangiare al ristorantino. Nell’infocato nostro alterco ce ne accorgemmo solo dopo un po’, quando l’esigenza di pace si fece strada…

Calanque de Morgiou

La mattina del 25 realizzammo il vecchio sogno di arrampicare all’Île de Riou, un’isola a circa 3,5 km da Sourmiou, disposta grossolanamente ovest-est, lunga 2,3 km m e larga al massimo 750 m. Su di essa non c’è alcuna costruzione: alta al massimo 191 m (Tour de Riou), è completamente rocciosa e disabitata. Curiosità: a est dell’isola, a sessanta metri di profondità, furono ritrovati i resti dell’aereo su cui si trovava Antoine de Saint-Exupéry (l’autore de Il piccolo Principe) quando scomparve durante la missione ricognitiva del 31 luglio 1944.

Île de Riou: parete sud delle Tours (da sinistra, Occidentale, Centrale e Orientale). Al centro della parete sud della Tour Centrale si nota l’evidente linea di diedri seguita dalla via della face sud.

Prima di approdare nel solo luogo possibile, la Calanque de Monastério, circumnavigammo l’isola in senso orario, soprattutto per avere un’idea di come era fatta la parete che andavamo a scalare, quella meridionale. La Calanque de Monastério, chiamata anche “de l’Aiglon”, è una piccola spianata rocciosa che offre riparo e sosta al massimo a qualche barca. Ma noi eravamo del tutto soli, in quel meraviglioso luogo di silenzio e solitudine. Questa volta Bibi se ne guardò bene dal mettere piede fuori della barca: prendere il sole sì, ma con tutti i comfort…

Alessandro Gogna sulla via della face sud alla Tour Centrale dell’Île de Riou
Paola e Giovanni sulla via della face sud alla Tour Centrale dell’Île de Riou
Giovanni Sicola in discesa dalla Tour Centrale

Noi seguimmo una traccia con radi bollini neri sbiaditi che, superato un lungo valloncello, ci condusse alla cresta sommitale per poter passare dal versante nord a quello sud; passammo al di sopra della Calanque des Anglais, quindi guadagnammo un sistema di cenge che porta all’attacco delle cosiddette Torri. Scegliemmo la voie de la face sud sulla Tour Centrale, alta circa una novantina di metri sul mare. La via era stata aperta da Georges Albert e Jean Meunier nel 1942. Del tutto disattrezzata, la guida la dava TD, con la seconda lunghezza di V e V+. Divorammo le quattro lunghezze, arsi dalla curiosità di trovarci sempre più in alto in quel luogo che nella nostra fantasia ci era sempre apparso misterioso. Attorno a noi volavano esemplari di berta maggiore e minore, presenti in numerose colonie su quest’isola. A volte sembravano piuttosto incazzati, evidentemente non erano abituati a visite umane di alcun tipo.

Paola, che si considerava ancora neofita dell’arrampicata, era molto intimorita da quell’ambiente così selvaggio. Ma il culmine lo ebbe quando occorse scendere dalla vetta con una doppia effettivamente spettacolare, per lei nauseante. Ci volle una mezz’ora buona per convincerla, io ormai in basso alla S2 e Giovanni accanto a lei che cercava di calmarle il panico. Finalmente riuniti, lungo la comoda Corniche de l’Araignée ci spostammo a ovest per risalire facilmente alla brèche con la Tour Occidentale. Da lì seguimmo per due lunghezze l’itinerario della face est (IV+) della Tour Occidentale, aperto da Gisèle Albert e Georges Albert il 2 luglio 1942. Dopo questa seconda cima non ci rimaneva che scendere (qualche doppia) per riguadagnare la Calanque de Monastério.

Île de Riou: volo delle berte
Gli esploratori dell’Île de Riou: al ritorno dalla parete sud delle Tours, Alessandro, Giovanni e Paola.

Avevamo promesso a Bibi di non indulgere ulteriormente in queste pratiche esplorative che la costringevano a una forzata solitudine. Già il giorno dopo infatti ci rivolgemmo a luoghi facilmente raggiungibili come la Paroi des Cabanons, proprio sopra al porticciolo di Morgiou. Rivolta a nord prometteva frescura per l’intera giornata. Mentre Paola e Bibi se ne stavano tranquille al porto, noi iniziammo con Le Cimetière des Arlequins (6b), continuammo con la bellissima Contact Magazine (6b) e terminammo in bellezza con Passage a l’Acte, il cui 7a mi riuscì al secondo tentativo.

La sera aperitivi vari, cena nel localino del porto e ritorno alla barca difficoltoso per l’oscurità e l’eccessiva allegria.

Il Cap Morgiou e, in lontananza, l’Île de Riou

Anche le colazioni erano un momento di pura felicità. Si vede che l’essere cullati dal movimento del mare ci provocava una fame da lupi. Ma quella mattina del 27 giugno non facemmo molta strada, a causa del mare. Tutti e quattro andammo alle couenne dell’Aiguille de Sugiton. Dopo una ribattuta sul primo tiro dell’atletica fessura Les Michels (una via aperta nel 1969 da Michel Fraget e Michel Perrottet: si vede ancora qualche cuneo marcio risalente alla prima ascensione), mi feci assicurare da Bibi sulla prima lunghezza della via ANPE. Subito dopo salii con lei i tre tiri (5c, 5b, 5b) dell’Italienne, una via aperta il 23 maggio 1965 da Bernard Amy e Pierre Cotillon.

Morgiou: la Falaise du Renard

Assicurato da Bibi salii la L1 della via Guenille (6a); infine conclusi la giornata con Giovanni sulla via Ludovic, un 6b sulla parete sud-ovest.
Al di là di questi appunti tecnici, non ho così tanti ricordi particolari: forse succede quando una barca è così piena d’amore.

A fine pomeriggio aiutai a Giovanni a sistemare la seconda ancora, perché si vedeva che il vento era in aumento. Ed era un forte maestrale. Passammo la notte a ondeggiare, ma Giovanni era tranquillo per via del doppio ancoraggio.

Alessandro
Bibi

Il 28 giugno eravamo ancora fermi al porto di Morgiou: con Giovanni andammo alla Falaise du Renard. Lì attaccammo la bellissima Directe du Plan Gauche, di tre lunghezze (6c, 6a, 5c), fallendo il primo tiro per un’inezia. La via era stata aperta nel 1970 da Robert Le Batard e Roger Lepage.

Morgiou, Falaise du Renard: Alessandro Gogna sulla Directe du Plan Gauche

Nel pomeriggio iniziammo la traversata di ritorno a Bandol: si sapeva che le condizioni del mare non erano ottimali, ma Giovanni non mi sembrava preoccupato. Io lo ero doppiamente, sia perché temevo l’eventuale naufragio sia perché avevo ancora lo spauracchio della nausea. Con il forte vento di poppa, la barca s’inclinava in tutti i modi, io vedevo muri d’acqua ovunque: ma in quel gran ballare, se non altro, potevo morire contento perché di nausea non c’era la minima traccia! Cercavo di essere ottimista, visto che nessuno dei compagni aveva gli occhi sbarrati come i miei: ma mi riusciva molto difficile. In più un vero uomo non deve mai mostrare le sue paure… Poi Bibi fu presa da un accesso di nausea e si rintanò in cabina in agonia. Cessai di agitarmi solo in vista del porto vicino. Eravamo tutti abbastanza provati ma, baciando terra, pensavo che Giovanni era stato bravissimo: e nessuno me lo toglierà mai dalla testa.

Le Gorges du Blavet

Trascorsa l’ultima notte in barca, la mattina dopo, 29 giugno, Giovanni e Paola ci lasciarono prestissimo per andare a Marsiglia dove avevano prenotato un aereo per Milano perché in giornata si sarebbe sposato il fratello di Paola. Anche noi puntammo l’auto verso l’Italia ma, prima di passare il confine, andammo a visitare un posto nuovo, le Gorges du Blavet, vicino a Roquebrune-sur-Argens en Var. Altro posto bellissimo e poco frequentato. Mi feci assicurare da Bibi su Pétomania (2 lunghezze in una, 6a+ e 6b) e su Les Caprices du Colon (anche qui due lunghezze in una, 6a+ e 5c).

Chi avesse tempo può perderlo impegnandosi nella visione di questo filmino artigianale (17’58”), ma anche quest’altro (39’57”), entrambi sulla settimana in Calanques.

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Calanques in barca a vela ultima modifica: 2023-12-04T05:59:00+01:00 da GognaBlog

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8 pensieri su “Calanques in barca a vela”

  1. Del Dito di Dio ( minore )francese mi piacerebbe ricordare solo lo splendido(straunto) calcare invece rammento🤩 ragazze sbarcate da yacht nei pressi attraccati nel gesto umano più intimo e fetale tese nel atto dell espulsione da tergo,carta igienica rosa e relativi annessi in ogni sentiero e arbusto nei paraggi che col caldo agosto crea il giusto aroma 🤧,e amarus in fondo nella grotticella alla fine della calata di discesa del Doigt de Dieu un vero e proprio gabinetto in cui finì la nostra cara e a volte😱 morsecchiata corda ricordo i numeri e le acrobazie degne del Cirque du Soleil per non peggiorare la situazione e non fare l onda (proverbiale)
    Meno male che l acqua salata fa miracoli e ha tolto un po di incubo dei cugini.

  2. Mi fermo qui, sono diventata molto sentimentale e non vorrei scadere nel patetico: gli anni che mi porto addosso ormai, mi fanno sentire malinconica.

    Mi scuso anche io per la confidenza, cara Paola ce ne fosse!!!

  3. ———  INCONTRO  ———
     
    E correndo mi incontrò lungo le scale; quasi nulla mi sembrò cambiato in lei. La tristezza poi ci avvolse come miele per il tempo scivolato su noi due. Il sole che calava già rosseggiava la città, già nostra e ora straniera e incredibile e fredda. Come un istante déjà vu, ombra della gioventù, ci circondava la nebbia…Auto ferme ci guardavano in silenzio, vecchi muri proponevan nuovi eroi. Dieci anni da narrare l’uno all’ altro, ma le frasi rimanevan dentro in noi: “Cosa fai ora? Ti ricordi? Eran belli i nostri tempi! Ti ho scritto, è un anno; mi han detto che eri ancor via”.E poi la cena a casa sua, la mia nuova cortesia, stoviglie color nostalgia.E le frasi, quasi fossimo due vecchi, rincorrevan solo il tempo dietro a noi. Per la prima volta vidi quegli specchi, capii i quadri, i soprammobili ed i suoi.I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway, il sentirsi nuovi, le cose sognate e ora viste. La mia America e la sua diventate nella via la nostra città tanto triste…
    […]Io pensavo dondolato dal vagone: “Cara amica, il tempo prende, il tempo dà…Noi corriamo sempre in una direzione, ma quale sia e che senso abbia chi lo sa… Restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento, le luci nel buio di case intraviste da un treno. Siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno…”.
     
    … … …
    “[…] sono diventata molto sentimentale e non vorrei scadere nel patetico: gli anni che mi porto addosso ormai, mi fanno sentire malinconica.”
     
    Cara Paola (perdonami la confidenza), lasciati guidare dal cuore. Spesso è piú saggio della mente.
     

  4. Caro Ale,
     
    Ho letto finalmente il tuo scritto sulla nostra vacanza alle Calanques. Mi sono pure guardata i filmini ( che non vedevo da allora) e le foto.
     
    Grazie Ale, è stato proprio un bel momento: ritrovare la me stessa di allora giovane, bella, spensierata, innamorata e felice mi ha fatto stare bene. Perchè poi ci si dimentica di come si era, rimane del ricordo di sé da giovani più che altro una sensazione, qualcosa che magari si è un po’ mitizzato. Il rivedersi come si era realmente, sentendo le parole, vedendosi ridere e scherzare, riporta molti ricordi a galla e, nel mio caso,mi è piaciuto molto. 
     
    Eravamo tutti e quattro in un bel periodo e lo abbiamo condiviso con tanta allegria e serenità; poi la vita ci ha preso a sberle, chi più chi meno, ci ha separato e riunito più volte ma quei momenti hanno saldato un’amicizia che va avanti ancora dopo tanti anni.
     
    Mi fermo qui, sono diventata molto sentimentale e non vorrei scadere nel patetico: gli anni che mi porto addosso ormai, mi fanno sentire malinconica.
     
    Ah, piccola annotazione a lato: con la calata in doppie sono migliorata tantissimo (la trovo quasi divertente) e nell’arrampicata ho trovato tranquillità e gioia. E di questo devo ringraziare il mio Gi.

  5. J’adore les Calanques.
    Un rocher fantastique, la mer, le soleil, et les amis bien sûr ! Le paradis.

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