Chareze Ri

Chareze Ri
di Luca Vallata
(pubblicato su Annuario Accademico 2019)

A partire dalla metà di agosto 2018, per un periodo di circa un mese, il nostro composito gruppo lombardo-friulano-bellunese ha effettuato attività alpinistica esplorativa nella valle del Rangtik, una diramazione laterale della valle principale, lo Zanskar, nella regione indiana del Ladakh. Si tratta di una zona con vette comprese tra 5600 e 6200 metri, ma con condizioni sostanzialmente simili a quelle che si possono trovare sulle nostre Alpi.

Il tracciato della via Jullay Temù sul Chareze Ri North. Foto: Daniele Castellani.

Poche le visite di alpinisti in quest’area. Nel 2008 un gruppo spagnolo ha operato in queste valli, salendo il Shava Kangri 5728 m, per la via Rolling Stones (D+, 65°, V+). Nel 2012 l’esploratore nipponico Kimikazu Sakamoto, visitando la vicina Haptal Valley, ha realizzato una buona mappa, qui allegata, che include le cime della Rangtik Valley. Nel 2016 Anastasija Davidova e Matic Jošt hanno salito il Remalaye West 6266 m, e nel 2017 Jošt è tornato con Matjaz Dusic e Tomaž Žerovnik, per completare la salita del Remalaye. La cima è a 6278 m, la via D+. I tre hanno poi salito il Chakdor Ri 6193 m, nascosto dalla valle Zanskar, ma ben visibile dal Cerro Kishtwar. La via è Treasure of Zanskar (750 m, ED+ VII- 55°). Infine è stata aperta Cunka, via costantemerite dal V al VII- (650 m, ED), sul Jamyang Ri 5800 m, sperone che guarda l’ingresso alla Rangtik Tokpo superiore, nome proposto).

Luca Vallata e Federico Martinelli al termine dell’iniziale canale di ghiaccio. Foto: Federico Secchi.

Il nostro viaggio ha quindi preso le mosse dall’utile report pubblicato sull’American Alpine Journal da Matic Jošt. Il nostro obiettivo principale era salire una cima vergine e senza nome di 6080 m, vicina alla testata della valle.

Salendo sulla bella roccia della cresta superiore, Enrico Mosetti e Luca Vallata. Foto: Enrico Mosetti.

Il nostro obbiettivo può dirsi, rispetto ad altri, piuttosto “comodo”, per l’avvicinamento sono stati necessari infatti soltanto due giorni di auto (Leh-Kargil e Kargil-Padum) ed uno a piedi. Nel tragitto, compiuto con uno scassato fuoristrada, abbiamo percorso strade asfaltate ma soprattutto sterrate, incontrato alcune delle numerosissime basi militari indiane in Ladakh ed attraversato villaggi sia buddisti che mussulmani. L’avvicinamento al campo partendo da Padum è avvenuto grazie all’aiuto di alcuni abitanti dei villaggi vicini, i quali hanno gestito il trasporto del nostro materiale fino al campo base utilizzando dei grossi tori. Due di loro, il cuoco Sonam e l’aiutante Lobsang sono rimasti con noi al campo per l’intero mese della nostra permanenza aiutandoci nella vita quotidiana del campo.

In arrampicata sul fianco roccioso che dal canale di ghiaccio conduce alla cresta, primo giorno. Foto: Federico Secchi.

Durante la fase di preparazione del viaggio, grazie ai reportage di altri alpinisti e ad articoli sulle riviste specializzate, ci si crea un’immagine della montagna che si andrà a visitare… con la grande paura che questa possa poi non corrispondere alle aspettative iniziali. Arrivati al campo abbiamo invece potuto constatare con grande soddisfazione di tutti che la montagna che intendevamo salire rispondeva esattamente all’immagine che ci eravamo figurati.

Roccia di qualità eccellente, primo giorno. Foto: Enrico Mosetti.

Dopo la prima fase di acclimatamento e dopo aver valutato le possibili linee di salita il nostro gruppo ha sfruttato la prima finestra di tempo stabile e bellissimo per salire in due giorni l’evidente spigolo sul lato sinistro della parete nord-est.

Il comodo bivacco in cresta. Foto: Federico Secchi.
Secondo giorno di arrampicata. Foto: Federico Secchi.

La salita si è svolta dapprima su ghiaccio (max 70°) e in seguito su roccia di ottima qualità (max V+) fino a raggiungere la cima nord della montagna, alla quota di circa 5959 m. Nel tentativo di raggiungere la cima principale e di guadagnare una via di discesa più comoda abbiamo in seguito percorso un’affilatissima cresta, raggiungendo la sommità di una torre a circa 200 m in linea d’aria da quota 6080 m. Ma a questo punto, con il sopraggiungere dell’oscurità, abbiamo dovuto ritirarci lungo la parete nord-ovest, attrezzando una avventurosa serie di doppie al buio. Il brutto tempo che ha caratterizzato la seconda metà della nostra permanenza in Zanskar ha impedito ulteriori tentativi alla cima principale, la quale resta quindi ancora inviolata.

Non distanti dalla vetta della cima Nord. Foto: Enrico Mosetti.
Federico Martinelli sull’ultima cresta oltre la vetta del Chareze Ri North, vicini alla cima principale (ma non abbastanza). Foto: Federico Secchi.

Un po’ di toponomastica: la nostra via si chiama Jullay Temù, ovvero “ciao orso” in Ladakhi, questo per salutare la discreta famiglia di orsi himalayani che hanno visitato la valle durante la nostra permanenza, lasciandoci impronte e sospetti rumori notturni… Il nostro cuoco Sonam e l’aiutante Lobsang hanno suggerito di chiamare la cima Chareze Ri, in quanto, ci hanno spiegato, il chareze è un tipo di stupa abbastanza somigliante per forma alla nostra montagna.

Il gruppo del Chareze Ri 2018. Da sinistra: Federico Secchi, Enrico Mosetti, Federico Martinelli, Daniele Castellani, Luca Vallata e Davide Limongi. Foto: Daniele Castellani.
Lobsang e Sonam. Foto: Daniele Castellani.

Membri della spedizione: Davide Limongi, Federico Martinelli, Enrico Mesetti, Federico Secchi, Luca Vallata e Daniele Castellani.

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Chareze Ri ultima modifica: 2020-06-16T05:14:19+02:00 da GognaBlog

7 pensieri su “Chareze Ri”

  1. vero.
    Mancaza di etica, di valori ed educazione  sommata all’aspetto economico.

  2. Vedo più grave delle spedizioni commerciali, che servono a concentrare in pochi posti deteriorati la mandria degli appecorati, il fatto di credersi “alpinisti” mettendosi in coda sulle normali agli 8000. Il problema è semmai etico e di educazione.

  3. la vedo dura che si possano estinguere dal momento che c’è  tutta una economia di stati e di imprenditoria che ci mangia  soldi.

  4. Intendevo: speriamo che in futuro l’alpinismo extraeuropeo sia SOLO più questo e che le spedizioni commerciali si estinguano completamente e irreversibilmente

  5. Spero davvero che questo sia il futuro dell’alpinismo extraeuropeo e non le spedizioni commerciali (in fila indiana) agli 8000

  6. Quante valli ancora da percorrere, montagne da scoprire… 
    Non credo vedrò più quelle terre. 
    Ma se tornassi mai laggiù mi infilerei in una valletta sconosciuta e salirei anche una montagnola purché senza nome. 
    Non per attribuirne uno. Semplicemente per sapere, dentro me stesso, di essere giunto lontano da tutto. In uno dimensione che trascende il luogo, si mescola al senso del tempo. Vorrei non essere mai ricordato, per godere del nulla, che eppure esiste, è là. 
    Impertinente, svetta. Incurante di noi, si colora e si trasforma nei millenni, nessuno lo sa. 
    Tu solo. Sei stato lì. 

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