Come le montagne conquistarono gli uomini
di Ercole Giammarco
(pubblicato su itacatheoutdoorcommunity.it il 28 febbraio 2020)
“(…) The tall forest towers;
Its cloudy foliage lowers
Ahead, shelf above shelf;
Its silence I hear and obey
That I may lose my way
And myself (Edward Thomas)”.
L’amore per la montagna è un sentimento recente nella storia dell’umanità. Fino a tre secoli fa rischiare la vita per scalare una vetta sarebbe stata considerata follia.
I paesaggi alpini con le loro distese di ghiaccio e deserti di roccia provocavano repulsione, erano considerati ambienti ostili di un paesaggio che l’uomo non riusciva a dominare. Se possibile, se ne stava alla larga.
Come le stesse caratteristiche che prima provocavano repulsione siano diventate gli ingredienti di una grande storia d’amore fra l’uomo e le montagne è la domanda a cui Robert MacFarlane cerca di rispondere in un libro pubblicato in Italia ormai 15 anni fa e che resta un punto di riferimento irrinunciabile per noi che amiamo la montagna e la sua potente fascinazione che ci espone al rischio, alla paura ma anche alla contemplazione. E a volte all’estasi.
MacFarlane affronta il rapporto complesso che, a partire dal Settecento, ha avvicinato sempre di più l’uomo alla montagna tracciando tre “vie”.
Quella storica, dell’alpinismo occidentale, dagli esordi ottocenteschi fino alla grande ossessione himalayana, quella naturalistica, che proprio a partire dal diciottesimo secolo contribuisce a sviluppare una mutata percezione delle montagne (la geologia come “un’altra vertigine indotta dalla profondità del tempo che andava ad aggiungersi al più noto e consueto capogiro che si provava sui ripidi fianchi dei monti”). E la via intima, personalissima, del suo rapporto con le vette (dalle catene della Scozia del nord alle grandi cime alpine e dell’America del Nord).
Nel corso degli ultimi tre secoli si è assistito a una grande rivoluzione nella percezione delle montagne da parte dell’uomo occidentale. Le caratteristiche che una volta le rendevano oggetto del rifiuto – verticalità, desolazione, pericolosità – sono oggi fra gli aspetti più apprezzati, e la scalata e la vetta sono diventate metafore di impegno, fatica e successo.
L’inglese to peak significa raggiungere la vetta di una montagna ma anche raggiungere il punto culminante di un’impresa. In italiano invece “si scala il successo” e “si ha il mondo ai propri piedi”.
Il libro indaga anche le origini di un modo molto moderno di affrontare l’esperienza dell’altitudine, della vertigine e della paura, quella sorta di possessione che sbocca verso la ricerca a capofitto del pericolo e dell’emozione estrema, dove c’è gente che si lancia da una gru attaccata a un elastico, da una parte di neve strapiombante con una tavola sotto i piedi o che affronta gli ottocento metri di granito verticale di El Capitan senza protezioni.
Come le montagne conquistarono gli uomini è stato il libro d’esordio di Robert Macfarlane, oggi edito Einaudi con il titolo Montagne della mente, la cui cover è stata illustrata da Nicola Magrin. Macfarlane ai tempi aveva 29 anni e ha mantenuto tutte le promesse di quello straordinario esordio letterario. Se vi siete persuasi a leggere questo libro (lo speriamo: vi sarete fatti un bel regalo) molto probabilmente avrete voglia di andare avanti. Allora proseguite con Le antiche vie. Un elogio del camminare (Einaudi, 2013). Il libro attacca con il primo passo di qualunque viaggiatore, il gesto più semplice: uscire di casa, e iniziare a camminare. A camminare e osservare, a osservare e raccontare.
L’autore batte antichi sentieri dimenticati a due passi dalla sua città (Cambridge, che è una delle aree più urbanizzate del Regno Unito). Poi ci porta in Scozia, e in Spagna, lungo l’antico Camino di Santiago. E continuiamo a camminare con lui per le strade della Palestina costellate di checkpoint e muri di contenimento, lungo esoterici tracciati tibetani.
Ma questo libro è anche il racconto degli straordinari personaggi incontrati, tra tutti il poeta inglese Edward Thomas e il pittore Eric Ravilious.
Luoghi selvaggi. In viaggio a piedi tra isole, vette, brughiere e foreste (Einaudi, 2015) è l’ultimo suo lavoro pubblicato in Italia. Un libro poetico, molto spirituale, che ci insegna come la natura selvaggia, the wilderness, riposi su vette estreme, nelle brughiere deserte, ma anche nei boschi dimenticati alla periferia delle città.
Ma questo libro ci racconta soprattutto che ogni viaggio a piedi svela corrispondenze segrete tra l’esterno e l’interno, tra l’anima del mondo e il mondo della nostra anima. Perché, come sa bene il vero camminatore, ogni viaggio a piedi è prima di tutto un viaggio interiore.
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Ciò che mi ha interessato di più nelle opere di MacFarlane è stata l’analisi razionale della spinta all’alpinismo di punta che inizia spesso come un amore e diviene talvolta una ossessione, una via senza ritorno e chi è conquistato da queste montagne ” crudeli” non ragiona più, non sente più i legami affettivi, perde il senso della realtà e la morte è quasi sempre l’ unica meta possibile.
Ho letto il libro poco dopo la sua uscita in Italia. Su di esso trascrivo i miei appunti di allora.
Come è cambiato, nel corso dei secoli XVIII e XIX, il modo di vedere le montagne. Dapprima considerate regioni ostili, esse divennero luoghi degni di interesse per un numero crescente di persone. In principio furono i geologi, che vi trovarono elementi per leggere il passato (e il presente) della Terra. Poi vennero i romantici, i viaggiatori, i turisti dei ghiacciai, gli avventurosi che cercavano un’alternativa più praticabile all’esplorazione di terre sconosciute.Il libro è stato scritto da un britannico e dunque la maggior parte degli esempi viene presa dal mondo anglosassone, che comunque tanta parte ha avuto nell’esplorazione delle montagne d’Europa e del Mondo. Il titolo originale è “Mountains of the Mind”.
Anno 2000…un residente in montagna dava degli svitati ,sconsiderati, perditempo girando l’indice sulla tempia, ad escursionisti altavia , ferratisti e alpinisti. Al massimo ammetteva di poter andare a caccia dopo aver abituato i caprioli a non avere paura, con pasturazioni di fieno sale ezucchero fino all’agguatofinale. se compiva qualcehpasseggiata, mai tronavaa casa privodi un tronchetto schiantatoportato a spalla…almeno alcuni giorni di stufa calda assicurati