Con Stellantis è finita la storia della Fiat

Con Stellantis è finita la storia della Fiat
di Salvatore Bragantini
(pubblicato su Domani, 5 gennaio 2021)

Da ieri (4 gennaio 2021, NdR), Fiat Chrysler Automobiles (Fca) e Peugeot non sono più indipendenti, ma parte di una sola impresa: Stellantis. Dopo poco più di 120 anni finisce la storia Fiat. È singolare che l’operazione unisca, dopo 50 anni, il marchio Fiat a Citroën, che già nel 1968 Gianni Agnelli voleva comprare; lo bloccò Charles De Gaulle, per cui dire Citroën era come dire Francia.

Intervistato da Ezio Mauro di La Repubblica, al crepuscolo della vita l’Avvocato si disse orgoglioso che il gruppo fosse ancora una fabbrica italiana di auto con base a Torino. Oggi tutto è cambiato.

Una Fiat 3½ HP del 1899, la prima auto prodotta dalla Fiat, esposta al National Motor Museum, nel Regno Unito

Sarà stato un gran charmeur, ammirato ambasciatore dello stile italiano nel mondo, ma egli privilegiò la finanza e le relazioni di Cesare Romiti fra Roma e Milano, emarginando la competenza industriale di Vittorio Ghidella, poi costretto all’uscita. Vennero altre crisi, le morti in rapida successione di Gianni e del fratello Umberto con l’arrivo, in emergenza, dell’italo-canadese Sergio Marchionne, forte anche di esperienze americane. Queste furono utili, prima quando, nel mezzo di una delle tante crisi, Marchionne costrinse General Motors a sborsare 2 miliardi di dollari in cambio di nulla: solo per non dover acquistare, come chiesto dall’accordo chiuso qualche anno prima da Paolo Fresco, l’80% di una Fiat alle corde. Nel 2008, poi, a Marchionne riuscì un’azzardata mossa da gran giocatore di poker: farsi regalare la Chrysler, in bancarotta, conferendo in cambio expertise Fiat nei piccoli motori. Dopo la nascita di Fca egli riuscì con ardita manovra a smistare il controllo di Ferrari ad Exor, principale azionista di Fca, privando però questa del suo marchio più prezioso; l’operazione, certo approvata con tutti i crismi, si è trasformata, come facilmente prevedibile e da qualcuno pur previsto, in un gigantesco trasferimento di risorse a vantaggio del soggetto controllante. Così accade che oggi Fca capitalizzi 38 miliardi di dollari, contro i ben 55 miliardi di una Ferrari che Marchionne abilmente vendette al mercato come marchio del lusso.

Gianni Agnelli voleva un gruppo globale, centrato sull’auto, italiano certo, pur se dell’Italia quasi si vergognava, come di un parente povero che non puoi rinnegare. Il suo erede designato John Elkann l’ha trasformato in un gruppo finanziario cosmopolita, controllato dall’Olanda e che paga le tasse a Londra. L’Italia non serve più, senza escludere, certo, i finanziamenti per 6,3 miliardi, garantiti dalla italiana Sace, a fronte delle vestigia industriali domestiche del gruppo.

La strategia resta quella di Marchionne; aumentare il peso della finanza e ridurre quello dell’auto, che richiede grandi capitali per finanziare gli investimenti. La transizione all’elettrico lo espone a rischi immensi: per gli effetti sul bilancio energetico complessivo, ancora da sviscerare, per problemi tecnici nel motore, nella distribuzione di potenza, nei freni, nella ricarica, ecc.

Su questo sfondo vanno viste le prospettive aperte dalla fusione Fca-Psa, partendo da una banale constatazione: il 30 per cento di Exor in Fca vale, pre-fusione, 11,4 miliardi di dollari, mentre il 30 per cento di Ferrari vale 5 miliardi in più. A Ferrari la minaccia dell’elettrico non fa paura, nel mondo ci saranno sempre 10 mila ricconi disposti a spendere un piccolo capitale per comprare un’auto, magari anche elettrica, che non va guidata, ma solo mostrata; non davvero un auto, ma un investimento, anche perché delle sue prestazioni non ci si può avvalere.

E la percentuale in Ferrari resta immutata, mentre Exor avrà il 14,4 per cento di Stellantis; qui gli altri principali azionisti saranno la Francia con il 6,2 per cento e la famiglia Peugeot con il 5,5 per cento. Exor è sì il primo azionista, ma il prospetto di ammissione al mercato di Stellantis, dovendo specificare chi ha comprato chi, dice: “Sulla base del principio 3 degli International Financial Reporting Standardse considerando tutti i fatti e le circostanze pertinenti, i management di Fca e Psa hanno determinato che ai fini contabili Psa è l’acquirente, e di conseguenza la fusione è trattata come un’acquisizione inversa”. In chiaro, Exor ha venduto Fca a Peugeot, divenendo un importante azionista di questa, cosa peraltro evidente nella distribuzione del numero di posti (sei su undici ai francesi) e del potere nel CdA di Stellantis, che sarà guidata dal gran capo di Peugeot, Carlos Tavares. Per Exor Ferrari vale, e conta, molto più di Fca. Se la prima è il gioiello della corona, la seconda è un asset disponibile in ogni momento a fronte dei futuri sviluppi, magari riguardanti l’eliminazione di capacità produttive eccedenti; in chiaro, la chiusura di impianti industriali resi superflui dalla fusione.

Di queste chiusure finora non si parla, ma non serve il profeta Ezechiele per vederle all’orizzonte. Facile pensare che la Francia sarà l’ultima a subirle. Se poi serviranno aumenti di capitale, Parigi farà i propri conti complessivi, e le famiglie azioniste i loro: Exor, grande gruppo finanziario, valuterà piani di investimento e rendimenti attesi, decidendo di conseguenza. Dati i forti rischi dell’investimento nell’auto, si raccomanda di non trattenere il respiro; quel disimpegno che per Marchionne era una buona possibilità, per Exor sarà una quasi certezza.

L’operazione Ferrari ricorda il riacquisto, nel 1986, delle azioni Fiat vendute alla Libia di Gheddafi nel 1976, per quella che da noi fu la crisi petrolifera, ma nei petro-stati una manna. Le società quotate del gruppo furono allora messe al servizio degli interessi della Fiat, incluse quelle che erano state vendute al mercato promettendo che si sarebbero occupate di tutt’altro; su ordine del Comando Supremo esse corsero come soldatini a svenarsi in battaglia per il bene sabaudo.

Una nota finale la merita la presenza di Exor nella stampa; dopo l’uscita, su input di Marchionne, da Rcs- Corriere della Sera, essa ha acquistato il 44% del settimanale britannico The Economist, quota che le dà in teoria il controllo. Exor ha anche recentemente rilevato la quasi totalità del capitale di Gedi, che controlla anche Repubblica. A Londra Elkann ha però dovuto accettare il limite statutario del 20% per l’esercizio dei diritti di voto, e che la designazione del direttore del settimanale vada approvata da un comitato di trustee, che veglia sull’indipendenza del periodico fondato quasi 180 anni fa. Diciamo solo che a La Repubblica non è andata proprio così.

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Con Stellantis è finita la storia della Fiat ultima modifica: 2021-04-15T04:40:00+02:00 da GognaBlog

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22 pensieri su “Con Stellantis è finita la storia della Fiat”

  1. Caro Dino, interessante scoprire queste storie di vita vissuta dietro i comuni interessi per i monti. Ho sempre pensato che il problema delle organizzazioni non sia tanto il mercato ma la classe dirigente. I più grandi disastri che ho visto succedere sono stati proprio determinati non dal mercato ma dalla classe dirigente. Nel mio mondo qualcuno pensava che avere interlocutori “difettosi” facesse il nostro gioco, favorendo presso gli azionisti che pagano le fatture il business di “sostituzione” ad alta redditività. Io ho sempre pensato che cliente competente e forte crea consulente bravo e utile. Mi sono sempre visto come un compagno di cordata dei miei interlocutori interni, alternando il ruolo di primo, a seconda dei tiri da fare e trovando il mio valore aggiunto spesso nel fare sicurezza e supporto. Credo di essere riuscito a fare “vie” decenti e di aver aiutato qualcuno a crescere, ma non ho mai fatto grandi exploit commerciali. Una vita da mediano, esattamente come in montagna.  Ma va bene così. E adesso torniamo alle passioni del tempo libero, che ora sono diventate primarie, almeno per me, anche se il tempo passato ho riscosso il suo pedaggio limitando le possibilità. Scelte di vita. Vedremo nella prossima cosa fare. Passo e chiudo. Ciao.

  2. Guarda Roberto, io ho vissuto completamente dall’altra parte …… della trincea. Ho lavorato nel business con le più grosse ed affermate società di consulenza a livello mondiale in un settore ad alta intensità finanziaria. Quelle per intenderci che staccano fatture con parecchi zeri. Ben raramente il parere finale si discostava molto dall’idea del management interno o al massimo ne modificavano di poco l’idea strategica e valoriale. E’ il management interno che deve avere le idee chiare su strategia e valori per governare l’azienda ogni giorno nel breve, medio e lungo periodo. Poi ovviamente per presentare agli azionisti il piano occorre una bella grafica sotto un affermato logo consulting. Ed il management interno cresce se ha l’opportunità di crescere e di imparare. Solo così si crea sviluppo. Altrimenti si individua anche casualmente un prodotto, lo si porta a maturità poi si vende tutto o si chiude la fabbrica fallita. Il danno maggiore fatto a Torino non è quello fiscale (seppur importante) è quello di estirpazione del tessuto manageriale.

  3. Dino, sono d’accordo con te. Ho fatto l’esempio delle scuole interne perché erano il luogo di trasmissione della cultura aziendale, ma il fenomeno ha riguardato tutte le strutture centrali che sono state alleggerite, decentrate, destrutturate o date in appalto, nella logica della flessibilità e dell’accorciamento delle linee di comando. È proprio un altro modello, che ha rovesciato gli schemi. Non so quali saranno gli esiti e le conseguenze. Ormai sono fuori e mi mancano le informazioni. I miei capi americani lo avevano capito già più di vent’anni fa e ci indicavano la strada dove avremmo dovuto andare a cercare il business della consulenza ad alta redditività intercettando questa domanda di esternalizzazione. Noi, cresciuti in un altro mondo, li guardavamo stupiti e un po’ increduli e facevamo finta di essere d’accordo per evitare di essere segati e dicevamo tra noi nella pausa caffè, a bassa voce, come nel famoso carosello della China Martini del tempo che fu: “dura minga, non può durare”. È andata a finire dove dicevano loro. E adesso ? Ah, saperlo ! Buona notte.

  4. Vero Roberto ma non è solo questione di scuole di Management. E’ tutto l’insieme che viene a mancare. Ad esempio quando imposti operazioni di M&A o di posizionamento strategico etc etc è tutto un insieme di manager interni, consulenti etc  che cresce. Quando sposti il centro pensante dell’attività è tutto il contesto che si impoverisce. 

  5. Dino. Lo smantellamento delle strutture centrali fu portato a termine da Marchionne già dieci anni fa. In linea con quello che hanno fatto molte aziende. Le cosiddette Corporate University sono state chiuse. Lavorano per progetti o in subappalto. Finita l’epoca del Castello di Marentino (FIAT); Castel Gandolfo (Eni) ; l’Aquila (Telecom), diretta da un ex ammiraglio e dove  la sera si doveva cenare in giacca e cravatta e molti trovavano moglie o marito nel corso introduttivo di sei mesi uguale per tutti e si formavano le cordate aziendali. Così è. Il tempo è passato e una vita è già quasi trascorsa, dice il poeta. Inutile rinvangare o rimpiangere. Però non è inutile ricordare. Cambiato il modello, il castello e’ caduto, con dentro ricordi e fantasmi, lodi e infamie, integrità e  meretricio cortigiano. Una nuova fase è iniziata. Vedremo, o meglio, vedranno.

  6. Disquisire del passato, ormai, ha poco senso. Nella mia zona fu abbandonato dal sistema Italia, solo per problemi finanziari, il primo gruppo elettromeccanico italiano degli elettrodomestici. Nel giro di 10 anni l’headquarter fu smantellato e man mano tutti gli stabilimenti ridimensionati. Il problema occupazionale degli stabilimenti c’è, è importante ma ancora peggiore è il trasferimento del management e di tutta la struttura che allevava i nuovi manager, ricerca inclusa. Spero che ciò non accada anche a Torino.

  7. Ma perché siete così caustici verso l’Avvocato? Intendo: solo verso gli Agnelli. Tutto quel parterre italiano ha miriadi di scheletri nell’armadio. Si potrebbe scrivere un articolo di dieci pagine sulle manovre border line di tutti i cosiddetti “imprenditori”. Palazzinari romani o siderurgici sia nordisti che sudisti. Non faranno eccezioni neppure le aziende dell’Ingegner De Benedetti, per non parlare delle vicende processuali di Berlusconi. Eppure nessuno inten disprezzare i dipendenti Mediaset, e per estensione i milanesi (o i milanisti), perché lavorano in un’azienda che ha registrato (come azienda o come azionista) non poche vicende molto chiacchierate. Tutto il mondo è paese. Ciao!

  8. Si, bei tempi.
    Nello stesso periodo, Giacinto Facchetti andava ad aspettare fuori dalla Breda un’operaia a cui faceva il filo e Valletta prendeva meno di quaranta volte quello che prendeva un fattorino.
    Poi si è arrivati a simpatia Ibrahimovic (che avrà un media manager e il suo staff) e Marchionne (che prendeva circa 40 volte di più che mille operai).
    L’avvocato nel frattempo incamerava molto di più di tutti loro assieme. Ma era tanto una brava persona.

  9. No, non c’è “solo” Lapo. C’è ancora un sottosuolo torinese molto laborioso che, per chi lo conosce epidermicamente, trae origine dal “quel” mondo (quello di cui l’Avvocato era la punta apicale dell’iceberg) e che è ancora molto attivo, anche e soprattutto in compiti di volontariato o di impegno civile. Potrei raccogliere l’invito di Pasini e metter giù il racconto della vita torinese dai ’70 in poi. Mio padre diceva che i “veri” comunisti sono stati quelli torinesi. Una fotografia emotiva: una volta (1983?) incontrai casualmente Dino Zoff (portiere della Juve e della Nazionale) che usciva dalla posta centrale di Via Alfieri. Era pensieroso e guardava le bollette che aveva in mano, come se non gli tornassero i conti dei pagamenti che aveva appena fatto di persona. Ve lo immaginate, oggi, Cristiano Ronaldo che fa la fila alla posta per pagarsi le bollette? In questa immagine felliniana (“amarcord”) sta tutta la differenza fra prima e dopo il 2000 (che a posteriori è davvero uno spartiacque epocale, non solo a Torino). Buona serata a tutti.

  10. La nottola di Minerva esce sul far della sera. Ora, quando quel che resta di quel mondo sta per finire, ne vediamo più chiari i contorni. Facevano parte di quel mondo la dinastia venuta in città da Villar Perosa a soppiantare un’aristocrazia ormai esangue, legata ad una delle monarchie più antiche d’Europa. Ma anche l’altro lato della medaglia. Gramsci, i Quaderni rossi di Panzeri, la Fiom, il Partito d’Azione, Franco Antonicelli, il precettore antifascista dell’Avvocato, scelto per lui dalla sua eccentrica e anticonformista madre, persino il giovane Giuliano Ferrara, giovane responsabile fabbriche del PCI, l’aristocrazia operaia comunista con la cravatta sotto la tuta, Berlinguer convinto dal gruppo dirigente torinese del PCI a minacciare l’occupazione in un comizio davanti a Mirafiori. Opposti e avversari, ma legati inesorabilmente dal destino che sembrava eterno della grande fabbrica fordista. E tutti questi momenti andranno persi, come lacrime nella pioggia (uau!). Prima o poi qualcuno li fermerà per sempre nel tempo attraverso le pagine di un romanzo. Purtroppo Primo Levi non c’è più e non sarà Baricco. Aspettiamo con fiducia e magari con un po’ di nostalgia canaglia per un mondo dove i contorni erano più netti, come le montagne viste dalla collina nelle belle giornate. Romantico no ?

  11. A posteriori, purtroppo, ma appare chiaro che il nutrimento culturale, ideologico, esistenziale nato dalla FIAT trovi la sua espressione compiuta e naturale compimento in Lapo Elkann

  12. Bhe, quel sistema caratterizza l’intera vita italiana, non solo la FIAT, che salta all’occhio per le grandezze dei numeri. Ma io, in 35 anni di lavoro, ho conosciuto così tante realtà imprenditoriali (piccole-medie-grandi) con tutte le loro misfatte che potrei scrivere un libro più lungo di Guerra e Pace. Però ci tengo a dire che la creazione di ricchezza in ambito fiatino, e torinese per estensione, non è solo la parte finanziata dallo stato. In questo sta la filosofia del duro lavoro, cui noi torinesi (di certe generazioni) siamo stati educati. Continuiamo a vivere così, anche senza gli Agnelli. In più, quando parlo di “nutrimento” della FIAT mi riferisco a un concetto molto più ampio e variegato. Forse è impossibile da comprendere per chi non l’ha vissuto. Nutrimento culturale, ideologico, esistenziale. Tutte cose che vanno al di fuori dei tempi lavorativi. Dopo la scomparsa dell’Avvocato, l’onda lunga è durata un po’, ma si è poi insabbiata. Ora non la avverto più: l’intera vita cittadina è  più gretta e superficiale. Ora pare che John Elkann si sia trasferito a Parigi. Io non ho rapporti diretti con Elkann, ma ho avvertito un senso di abbandono: è davvero finita una lunga stagione. In quella stagione io mi sono trovato benissimo (sia come lavoro che come vita in generale) e quindi le recenti novità non mi piacciono per nulla.
     

  13. “noi tutti abbiamo preso (legittimamente) il pane al forno FIAT ma ” ovviamente avete legittimamente preso i soldi dopo dure giornate di lavoro, ma la questione è da dove arrivavano quei soldi?
    Il problema evidente è quello del sistema della privatizzazione dei profitti e della collettivizzazione delle perdite su cui il “sistema FIAT” è stato fondato e a cui ha abbondantemente attinto. E delle relative collusioni politiche.
    Ma qui esco dal seminato (oltre che dalla mia competenza)

  14. Ovviamente non concordo: noi tutti abbiamo preso (legittimamente) il pane al forno FIAT ma solo al termine di dure giornate di lavoro, il sudore e la fatica sono sempre stati il nostro driver quotidiano, magari in doppio petto manageriale, ma sempre quello è stato (ed è tuttora) il film della giornata. Inoltre la tradizione torinese è storicamente caratterizzata da imprenditori finanzieri più che imprenditori puri. Potrei citarvi caterve di nomi, io sono un estimatore di Riccardo Gualino (SNIA Viscosa ha caratterizzato a lungo il listino di Piazza Affari), mecenate e appassionato di cultura, prima socio del Senatore Giovanni Agnelli (il nonno dell’Avvocato) e poi epurato dal regime, si dice proprio per pulire la scena imprenditoriale da un competitor scomodo. Non parliamo dell’Ing. Carlo De Benedetti, oggi editore del quotidiano Domani, nelle cui pagine mi pare che pubblichi anche Bragantini… porterebbe via troppo tempo discettare sulle manovre dell’ingegnere, però rendo noto a tutti che egli, all’inizio della sua esperienza professionale, collaborò con un noto Studio di Agenti di Cambio (dove, circa 20 anni dopo, ho lavorato anche io). Più “finanzieri” di così…e non mi tolgo dalla bolgia neppure io. In ogni caso: scagli la prima pietra chi non ha peccato. 

  15. Beh Carlo, credo che quello di Salvatore non sia livore, ma voglia dire che tu e i torinesi (e molti altri) avete mangiato a lungo non grazie ma nonostante Gianni Agnelli.
    E grazie a parecchie schifezze che tutti noi abbiamo pagato e stiamo pagando ancora.
    C’è un suo libro (Capitalismo all’italiana?) a riguardo

  16. FIAT voluntas tua. Molti fecero questo atto di fede. Per ragioni diverse, anche molto diverse, non solo di convenienza. Pure noi abbiamo avuto i nostri Buddenbrook. La saga però non si è ancora conclusa. Forse per questo ci è mancato, per ora, un Thomas Mann. Abbiamo tuttavia buoni storici. Primo fra tutti Giuseppe Berta. “Mirafiori” ad esempio. Utile per capire un mondo e una cultura scomparse, il padrone e gli operai. Per chi la’ dentro non ci è mai stato e al massimo ha distribuito volantini ai cancelli. 

  17. Bellissima la definizione di “acquisizione inversa”…dice tutto o quasi.
     

  18. Non comprendo tutto questo livore verso gli Agnelli, in particolare l’Avvocato… sarà che a Torino l’Avvocato ha rappresentato la punta di un iceberg dentro al quale sguazzavamo tutti, e con grandi soddisfazioni e sicurezze. Dai figli dei dipendenti (fin dal dopoguerra la FIAT ha organizzato colonie marine e montane per offrire vacanze altrimenti inimmaginabili), ai lettori di quotidiani (La Stampa non mancava neppure in casa dei più accesi rappresentanti sindacali di Mirafiori), ai tifosi (non solo di calcio), ad una platea sterminata di imprenditori (e loro dipendenti) del cosiddetto indotto (dai tiranti alle molle…), fino a miriadi di consulenti (tra i quali il sottoscritto) che, attraverso collaborazioni dirette con la FIAT o indirette verso i fornitori, hanno sbarcato il lunario e sono ampiamente cresciuti nel corso di lunghi decenni di impegno professionale… Ebbene qui a Torino (e dintorni) tutti abbiamo letteralmente mangiato grazie alla FIAT e quindi grazie agli Agnelli.  Da questo punto di vista ci importa veramente poco (per non dire nulla) se l’Avvocato sia stato un geniale imprenditore o un azionista passivo, perché la FIAT era “sua” e poteva gestirla come più gli piaceva. Lo stesso vale per i suoi eredi, anche se si sente molto l’assenza di FIAT dalla nostra quotidianità.

  19. Il mio è solo un articolo di circa 6000 battute che vuole sfatare il mito di Gianni Agnelli grande capitano d’industria, quando era solo un azionista, distratto e inefficiente; la storia del salario e dei posti di lavoro della Fiat è la storia d’Italia, non c’era bisogno di ripercorrerla qui. Quanto alle tasse, devo precisare, per amore di verità e nonostante la mia critica agli Agnelli ora Elkann, che la capogruppo le paga nel Regno Unito, ma una parte sono pagate in Italia

  20. Come consumatore mi interessa  SOPRATTUTTO, A PARITA’ DI PREZZO, l’affidabilita’ nel tempo e la sicurezza attiva e passiva ed il consumo..l’inquinamento . Piuttosto mi tocca la sparizione di un marchio  nazionale,SCLAVO, che produceva sieri e vaccini, assorbito da multinazionale.Ora siamo semiricattati.Ci vuole un niente a bloccare o  ridurre forniture di pezzi di ricambio.La mia auto straniera va benone, ma ad esempio irreperibile un pezzo malfunzionante per una stupida guarnizione da pochi euro, solo dallo sfasciacarrozze trovato uno  buono  da riciclare. Dalla casa madre dopo  soli 2 anni inviti a cambiare e rinnovare modello e look indipendentemente dai chilometri percorsi. Notizia recente.. mancano componenti per apparecchiature meccaniche, assemblate in un posto ma fabbricate altrove in altri sistemi economici.Per assurdo le apparecchiature difesa di una nazione hanno componenti fabbricati in nazione antagonista.Basta  una questione di contrasto..e la fornitura si blocca o viene neutralizzata. Quindi possiamo  acquistare o vendere navi ed aerei che si bloccano o si autodanneggiano  per decisioni altrui attivabili a distanza  nell’hardware e nel software.
    Un Politico disse che la  Fiat avrebbe potuto essere nazionalizzata  ad 1 euro, stanti i contributi ed agevolazioni  di   Stato ricevute nel tempo.Invece..paga le tasse in Olanda.

  21. Interessante il grafico finaziario economico che emerge.
    Potresti fare anche quello della ricaduta salariale e quello dei posti di lavoro/disoccupazione ad esso connesso?
    Per chi si occupa di “vita reale”, dovrebbe essere cosa elementare.
    Per Repubblica/Gedi, faccio da solo.

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