In diretta dalla camera 110
di Patrick Cordier
(già pubblicato su Rivista della Montagna, n. 134, ottobre 1991)
(traduzione dal francese di Giuliana Celentano). Foto di Giorgio Daidola.
Lettura: spessore-weight**, impegno-effort*, disimpegno-entertainment***
lo, io (m’han detto di svolgere il tema in modo personale) non abito a Chamonix, perché è una città che detesto. Troppi soldi, troppa vanità, troppe vedove. Fortunatamente là ci sono delle montagne che valgono la puntata e hanno cullato i miei sogni di giovinezza, specialmente le Aiguilles, perché io sono un amante della roccia perché mio padre m’ha chiamato Pietro (e non Patrick come troppo spesso credono polizia, assicurazioni e fisco).
La casa di Patrick Cordier, da lui ristrutturata, nel 1991 (Presles, Vercors)
Così sono un individuo doppio, con un piede nell’arrampicata (a Presles, dove ho costruito la mia baita) e uno nell’alpinismo serio (sono guida dell’ENSA). Nella mia torre ho una piccola stanza (110, primo piano), una vera cella da monaco da cui non esco mai, perché per strada ho paura: d’agosto nella valle ci sono più di 100 mila stranieri, che Dio mi protegga.
Il lavoro all’ENSA è buono, si resta a contatto con la nuova generazione, ci s’impedisce di invecchiare imbecilli, e coi colleghi c’è un’atmosfera calda, di simpatia.
Patrick Cordier nella sua casa di Presles, 1991
Ciò nonostante Chamonix era meglio prima del XIX secolo o, meglio ancora, nel Medioevo, ai tempi in cui l’uomo non era ancora diventato pazzo. Ma forse mi sto sbagliando.
Tredici anni fa sono entrato nell’ENSA… Ero appena uscito dalla Sud del Fou in solitaria, e aprivo vie sulle Aiguilles. La nostra legge (dire etica fa ridicolo) era quella di scoprire delle linee e poi partire con tre dadi in tasca (esagero, ma di poco). Niente martello né chiodi, né trapano né spit né tracce, né visto né preso: per vivere felici, vivete nascosti!
Ci si vestiva come in città, senza segnali distintivi d’appartenenza, e questo si chiamava arrampicata libera. C’era gioia, nel giro, si rideva volentieri dei testoni, delle guide, dei calzettoni al polpaccio. Poi, con Afanassieff e i fratelli Bodin, abbiamo creato la Compagnia indipendente delle guide, che ci ha reso qualche storia piccante con quelli della Compagnia vera. Ma sono passati gli anni, con exploits e morti sul campo dell’onore, e le cose si sono aggiustate. Oggi le vere guide non ce ne vogliono più, soprattutto perché i Bodin e il sottoscritto hanno dato le dimissioni, e Afa è passato al nemico: il traditore non ha princìpi, ma bisogna pur vivere. E poi, come dice il Signor Sindaco (Maurice Herzog, il conquistatore dell’Annapurna, NdT), «ci sono altri Annapurna nella vita d’un uomo». Beh, non è che io voglia diventare ministro (come lo fu Herzog, NdT), ma c’è la fotografia, c’è la scrittura, e soprattutto c’è la musica, tutte cose esenti da rischi mortali. Forza, vieni, Germaine, si va a vedere la televisione: sembra che ci sia la finale di un campionato d’alpinismo sulla Walker.
Ah, sì, sì: una bella guerra, ecco cosa gli ci vorrebbe.
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Uno scriveva così nel 1991? E noi discutiamo o commentiamo cosà – non qui Lorenzo Merlo che condivido – nel 2017!
L’urlo della libertà non è mai stridente, né lontano.
Ha sempre qualcosa di caldo e lo si sente vicino.