Due fiorellini nelle Dolomiti

Ecco cosa succede quando due giovani e creative amiche, l’una nata sotto alle grandi pareti del Sarca, l’altra in piena metropoli milanese, si mettono d’accordo per vivere assieme una bellissima avventura.

Due fiorellini nelle Dolomiti
di Elena Pellegrini (con Lucia Furlani)

L’arrivo dell’estate 2020 è stato sicuramente salutato con gioia da tutti gli studenti, finalmente liberi dagli impegni scolastici, e tra questi c’eravamo anche noi, io e Lucia, che abbiamo deciso di celebrare l’inizio della stagione con un piccolo trekking iniziato un paio di giorni dopo il solstizio.

La scelta della destinazione risaliva a qualche tempo prima, intorno agli ultimi giorni di febbraio, quando ho espresso il mio desiderio di vedere il lago d’Antermoia e le zone circostanti, dove non ero mai stata. Intorno a questo luogo già scelto abbiamo sviluppato un percorso di più tappe.

Abbiamo progettato la prima tappa come un tour tra le pareti del Sassolungo e del Sassopiatto e una (faticosa) scampagnata sulle crode scoscese che circondano queste due vette. Siamo partite dalla stazione della funivia del Col Rodella, da lì siamo salite al rifugio Demetz e con una ripida discesa siamo arrivate al rifugio Vicenza, costeggiando le pendici del Sassopiatto abbiamo raggiunto l’omonimo rifugio e infine la piana dove si trova il rifugio Micheluzzi.

Il percorso della seconda tappa si snodava invece nel cuore del gruppo del Catinaccio: smontato il nostro “campo”, ci siamo alzate fino al rifugio Antermoia e al lago contiguo (che non ha deluso le aspettative) e abbiamo conquistato il passo di Lausa, uno dei punti di massima elevazione di tutto il trekking, da cui abbiamo raggiunto il rifugio Gardeccia, transitando per il passo delle Scalette, e poi il rifugio Vajolet.

La terza tappa prevedeva di raggiungere il rifugio Passo Principe, il passo del Molignon, il rifugio Alpe di Tires e il lontano (almeno per le nostre gambe affaticate) rifugio Bolzano, per scendere poi al paese di San Cipriano.

Dopo mesi di inattività forzata dovuti al CoViD-19, un processo logico deduttivo indubbiamente lineare ci ha portate ad una conclusione assolutamente ineccepibile, cioè disdegnare le comodità offerte dai rifugi e caricarci sulle spalle il peso di una tenda e di tutta l’attrezzatura necessaria. L’altra faccia della medaglia effettivamente non può essere ignorata: ci siamo tenute a debita distanza da potenziali luoghi di contagio (anche se c’è da dire che probabilmente nei rifugi non ci sarebbero stati molti avventori).

Come tutti i migliori progetti, anche il nostro ha incontrato alcuni imprevisti, che non hanno però impedito la buona riuscita della vacanza. Il primo che voglio riferire è sicuramente la discesa dal rifugio Demetz al rifugio Vicenza, che ha ridimensionato le nostre aspettative di gloria e ci ha riportate alla realtà. Dietro al rifugio attendeva in agguato un nevaio alquanto ripido, che minacciava di far scivolare chiunque vi si fosse imprudentemente avventurato; le circostanze avverse hanno favorito l’ascesa dell’intrepida Lucia, che si è posta alla guida non solo mia, ma anche di una piccola colonna di escursionisti che hanno prontamente approfittato delle tracce da lei scavate nella neve.

Non volendo io contribuire ad accrescere in modo smisurato l’ego della mia compagna di avventure, ritengo necessario riportare un altro episodio, di cui Lucia è stata protagonista un po’ meno positivamente. Durante la preparazione della nostra prima colazione, mentre attendevamo che l’acqua nel pentolino sul fornelletto giungesse ad ebollizione per poter ottenere del tè, Lucia, tra le cui doti scarseggia la delicatezza, ha innaffiato il pascolo, per usare una perifrasi (pascolo che tra l’altro era attraversato da un fiume e dunque non sentiva per nulla la necessità di assorbire ulteriore acqua). Si sa che il cibo è in grado di provocare significativi cambiamenti nello stato d’animo di una persona e perciò trovarsi costrette ad attendere una seconda volta che l’acqua bollisse (procedimento che, se non fosse chiaro, ci richiedeva molto tempo) avrebbe potuto facilmente avvilirci, ma nonostante ciò abbiamo raccolto tutte le nostre risorse mentali e abbiamo aspettato pazientemente l’agognata colazione. Rimanendo in tema di cibo, al termine della stessa giornata (la seconda) anche la preparazione della cena si è rivelata un’impresa più ardua del previsto: la fiamma stentata del nostro fornelletto impiegava decisamente troppo tempo per far bollire l’acqua, per non parlare della cottura della pasta disidratata. Se a ciò aggiungiamo il fatto che ogni tre minuti la nostra impazienza ci spingeva ad assaggiare la pasta nella speranza che fosse finalmente pronta e se consideriamo che ad ogni assaggio Lucia, che vi ricordo è anche un’ottima cuoca, perdeva un pezzo di pasta nel prato, ecco che si spiega il mio impulso a raccogliere ognuno di questi pezzi per far in modo che alla fine di questa epopea ci rimanesse effettivamente una cena. L’ultimo avvenimento notevole legato al cibo è stato la consumazione di una deliziosa fetta di torta al cioccolato presso il rifugio Vajolet, che ha sicuramente portato sollievo alle menti e ai corpi affaticati dalla camminata appena conclusa.

La terza giornata è forse stata quella più densa di eventi significativi. Primo fra tutti è stato il momento della dolorosa rivelazione che il passo Principe e il passo del Molignon, nonostante presentino una differenza di altitudine di pochi metri, sono separati da una profonda valle; le protagoniste di questa narrazione hanno quindi dovuto dapprima scendere e successivamente risalire, quando si erano convinte del contrario, ossia che avrebbero percorso un tranquillo sentiero in piano. Ovviamente chi presta attenzione alle carte geografiche (e noi per non farci mancare nulla ne avevamo ben due), non cade in questi errori banali e io, dall’alto della mia saggezza, mi rifaccio ad un proverbio che afferma che “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”: sì, perché io non ho consultato la cartina, ma mi sono ciecamente affidata alla sommaria lettura svolta da Lucia, che, a sua discolpa, adduce la scusa che l’ha fatto per il mio bene, perché non mi cadesse il morale sotto le suole degli scarponi di fronte alla prospettiva di una tale fatica.

So di non poter sorvolare sui miei errori, perché perderei anche quel minimo di obiettività che sono riuscita mantenere sino ad ora. Ecco dunque che è giunto il momento di raccontare come mi sono ustionata la riga dei capelli (pochi semplici passi che ognuno può scegliere di replicare, per amore della conoscenza diretta, o evitare, per amore del proprio benessere). Come ho già accennato, a causa del CoViD-19, non ho avuto molte possibilità di stare all’aperto e sviluppare una leggera abbronzatura che mi proteggesse, primo motivo per cui avrei dovuto prendere precauzioni per quanto riguarda il sole; inoltre, le prime volte che mi espongo al sole, la mia pelle tende ad ustionarsi (talvolta anche se uso la protezione solare); infine non è la prima volta che, avendo acconciato i miei capelli in due trecce, che lasciano scoperta la riga centrale, mi sono procurata un’ustione. Ho scelto però di lasciar prevalere la mia natura diabolica e perseverare nell’errore e così, alla fine del secondo giorno, la bruciante consapevolezza del mio sbaglio si è fatta strada nel mio animo (e sulla mia testa) senza che io potessi rimediare in alcun modo; chi avesse avuto la fortuna di incontrarci durante il terzo e ultimo giorno, è stato benedetto dalla visione quasi ultraterrena di due fanciulle con la testa coperta l’una da un asciugamano e l’altra da un cappello, che assomigliava a tutto meno che ad un cappello, nel tentativo di proteggersi dal sole.

L’ultima parte della terza giornata ci ha indotte forzatamente ad un confronto diretto con il bilinguismo altoatesino. Dapprima abbiamo chiesto informazioni riguardo al percorso più conveniente da seguire ad un uomo che lavorava presso il rifugio Bolzano, il quale però non conosceva l’appellativo italiano di un altro rifugio della zona da noi nominato. Dopo esserci assicurate che suddetto rifugio esistesse con l’aiuto della cartina (utilizzata nel modo corretto questa volta), la nostra richiesta di informazioni è stata soddisfatta.

Successivamente abbiamo dato inizio ad una corsa contro il tempo per raggiungere la fermata degli autobus di San Cipriano in modo da poter tornare a casa. Ci trovavamo al rifugio Bolzano alle ore 14.20, la partenza dell’autobus era prevista per le 17.10 e, stando ai cartelli, avremmo impiegato 2 ore e 30 minuti per raggiungere il paese. Inoltre, se non fossimo riuscite a salire su quell’autobus, molto probabilmente, una volta arrivate a Trento, non sarebbero partite più le corriere di cui avevamo bisogno per ritornare a casa. Abbiamo allora rivolto tutti i nostri sforzi in una discesa precipitosa, trovando tuttavia il tempo di scattare una foto a due escursioniste, che l’avevano gentilmente richiesta. Contro i migliori pronostici siamo arrivate a San Cipriano con un piccolo margine di anticipo, ma le difficoltà non ci hanno abbandonate. Giunte ad un bivio sulla statale privo di segnaletica stradale, non sapevamo da che parte fosse il paese, dopo aver fermato una delle poche automobili che passavano, abbiamo preso la direzione corretta; arrivate in paese non avevamo idea di dove fosse la fermata dell’autobus, chiedendo informazioni ad un simpatico valligiano, siamo venute a sapere che ce n’erano ben due e che ovviamente quella che cercavamo era la più lontana (volendo essere precisi, si trovava dall’altro lato della valle). In una sorta di cliché, siamo scese da un versante della valle e risalite dall’altro, ma, ancora una volta, ci siamo trovate obbligate a chiedere aiuto agli abitanti del posto: scorgiamo una vecchia signora nel giardino della sua abitazione, Lucia si rivolge a lei in italiano chiedendo dove fosse la stazione degli autobus, poiché la signora non capiva decide di tentare con il tedesco e inaspettatamente questa si rivela la mossa vincente.

Arrivate finalmente alla fermata, in attesa dell’autobus (perché nonostante tutto siamo arrivate in anticipo!) ripercorriamo velocemente con la memoria la nostra impresa, dal primo al terzo giorno, e salutiamo queste magnifiche montagne che hanno benevolmente ospitato la scorribanda di due “fiorellini” (come amiamo affettuosamente definirci con un riferimento all’indubbia delicatezza che ci contraddistingue).

Tre giorni, un’estate
di Laura Furlani

Lucia (Trento, 25 aprile 2005) ed Elena (Milano, 31 dicembre 2002), due ragazze in apparenza destinate a non incontrarsi mai; una cresciuta in un piccolo paese del Trentino, l’altra nella grande Milano, invece il destino, che tesse la sua tela con trame che a noi non è dato di capire o prevedere, le fa conoscere.

Il terreno comune è la montagna; i genitori di Elena la frequentano da sempre e sono amici di altri nostri amici, tutti uniti dalla stessa passione. Ci incontriamo e nasce un’amicizia che spero duri per sempre, tra le ragazze e tra noi adulti.

Le ragazze scalano assieme, studiano assieme, crescono assieme approfittando di fine settimana, vacanze di Pasqua e Natale ed estati sempre troppo corte per tutto quello che hanno da fare i ragazzi. Ora hanno 15 e 17 anni e per loro nessun sogno è troppo grande ed il gioco vale sempre la candela.

Lucia Furlani (a sinistra) ed Elena Pellegrini (3° giorno di trekking)

Concedetemi un’immagine forse, anzi, sicuramente, un po’ retorica: l’aquilotto che ormai cresciuto saltella su di un nido diventato troppo piccolo ed allarga e sbatte le ali impaziente di provarle. Lucia ed Elena sono così. Per cominciare bene l’estate, progettano 3 giorni di trekking nel cuore delle Dolomiti in totale autonomia: tenda e sacchi a pelo, viveri, organizzazione dell’itinerario e dei trasporti, e quindi cartine, orari, biglietti. Non è così scontato, in un’epoca in cui i ragazzi sono sempre diretti da qualcuno, in famiglia, nella scuola, negli sport, negli hobby.

Noi abbiamo solo dovuto fare le scontate, inutili, raccomandazioni: assicuratevi di aver preso tutto, fatevi sentire, accampatevi vicino ai rifugi facendovi vedere dal gestore, eccetera eccetera….

Partono dal Passo Sella e si dirigono verso L’Antermoia, Passo delle Scalette, Gardeccia, Passo Principe, Passo del Molignon, Rifugio Bolzano per scendere velocemente a San Cipriano. Sono zone che Lucia conosce in parte per averci scalato e camminato e che per Elena sono meravigliosamente nuove.

Quindi luoghi noti e solitamente iper frequentati ma che, complice l’inizio stagione, i giorni infrasettimanali e le limitazioni CoViD-19, loro hanno trovato stranamente solitari. E devo dire che anche a me, quando ho visto il video che hanno montato non sono sembrati mai tanto belli, tanto ampi e tanto luminosi. Forse perché li ho visti attraverso gli occhi e il cuore di adolescenti che, si sa, sono molto più grandi dei nostri di adulti.

Buona vita Lucia ed Elena! Alla prossima avventura!

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Due fiorellini nelle Dolomiti ultima modifica: 2021-02-02T05:16:00+01:00 da GognaBlog

43 pensieri su “Due fiorellini nelle Dolomiti”

  1. @albert #7, quello che hai scritto non è corretto.Nessun problema legato alla relazione tra altitudine e temperatura di ebollizione, in effetti al massimo l’acqua bolle a temperatura più bassa, salendo di quota, quindi dovrebbero fare meno fatica.Il problema è che, da quanto vedo dal video, hanno il fornello della Decathlon, che è una ciofeca, ne ho avuti tre e fanno tutti fatica, qui il problema è un po’ più complicato dal punto di vista fisico ed è che la potenza fornita dal fornello non bilancia la potenza termica dispersa dal pentolino quando l’acqua salendo di temperatura inizia a sviluppare i moti convettivi e diventa più efficiente nel disperdere il calore, cosicchè non si arriva mai ad ebollizione o ci si arriva con estrema fatica a meno di non usare un pentolino molto piccolo, mettere il coperchio e magari proteggere la fiamma. Che è poi quello che fanno i Jetboil, meno dispersione del calore dalla fiamma e meno dal pentolino che è bello isolato e stretto e alto.

  2. Sono contento e davvero sollevato (lo dico con grande sincerità) che abbiate apprezzato lo spirito del mio intervento. Questa notte ho dormito poco e male. Ero molto preoccupato che ci fossero stati degli equivoci che mi avrebbero fatto soffrire. A volte faccio fatica a farmi capire quando, io – uomo anzianotto- sollevo un po’ provocatoriamente questi temi degli stereoripi maschili. Mi era già successo nella discussione sulle guida donne e su Tiziana Weiss. Le esperienze di lavoro e gli errori della mia vita privata mi hanno sensibilizzato su alcuni temi e le due donne cruciali della mia vita si sono occupate professionalmente di questi problemi. Sono state per me una dura scuola e lo sono ogni giorno, perché con la seconda tuttora vivo. Ciao. 

  3. (scrive Elena Pellegrini, a nome anche di Lucia Furlani)
    È uno spunto di riflessione molto interessante quello offerto da Roberto Pasini. Sono d’accordo con lui nell’affermare che, se lo stesso trekking fosse stato svolto da due ragazzi della nostra età, probabilmente sarebbe stato percepito in modo diverso, come una cosa normale, e avrebbe sicuramente ricevuto i commenti da lui ipotizzati. Questo a causa di una forma mentis che ancora oggi è soggetta al retaggio di un passato non troppo lontano (e non ancora del tutto passato) in cui patriarcato e maschilismo erano le basi fondanti della società; definire questi stereotipi “italici” risulta però un po’ riduttivo nei confronti di un problema che non è limitato geograficamente al nostro paese e sicuramente non è legato esclusivamente a quella che può essere identificata come una “mentalità italiana”. Perciò molti si sorprendono quando ragazze e donne realizzano qualcosa che per gli uomini sarebbe considerato normale e ciò è sintomo proprio del fatto che il genere femminile non ha ancora raggiunto una completa parità con quello maschile. Un’altra sfaccettatura di tale questione è costituita dall’atteggiamento paternalistico che si ritrova in alcuni commenti: nonostante comprenda le buone intenzioni degli autori, è innegabile che emerga una velata aria di superiorità (che non può forse essere ricondotta unicamente al rapporto uomo-donna, ma anche a quello anziano-giovane, esperto-inesperto). Aggiungerei anche che, nel caso si fosse trattato di due ragazzi, i commenti avrebbero probabilmente rivelato quel machismo che non di rado emerge nei rapporti tra uomini, frutto della stessa mentalità che genera le situazioni appena messe in luce.
    “Sono adeguatamente mature e intelligenti per capire di cosa si sta parlando e che il tema non sono loro, ma gli stereotipi di una società arretrata come la nostra, che apparentemente protegge e valorizza, ma che in realtà impedisce alle giovani donne di occupare quegli spazi che meritano.” Apprezzo che tu abbia riconosciuto le capacità nostre e di ogni altra donna, che vengono spesso sottovalutate se non messe in discussione.
    Per rispondere a Fabio Bertoncelli non penso che le donne siano meno aggressive o di natura più buona, penso che semplicemente non abbiano avuto la possibilità, per i motivi di cui sopra, di tradurre in realtà ciò che invece gli uomini hanno avuto l’opportunità di attuare.
    Infine sono contenta che da un articolo scritto con leggerezza, con l’intento di risultare piacevole e raccontare quella che certo ai nostri occhi non appare come una grande impresa (ma come un’avventura divertente e di crescita personale), sia potuto nascere un confronto riguardo ad una tematica di spessore non indifferente (anche perché, detto sinceramente, non ci aspettavamo una risposta tanto positiva e una simile partecipazione).

  4. Massimo. Va bene. In coscienza non vedo comunque nulla di inopportuno o volgare in questo discorso che non avrei alcun problema a fare di persona. Io ci ho provato. Non sono forse riuscito a spiegarmi. Io alle autrici non dico “ o’ belline, quanto siete bravine, ma mettetevi la cremina perché altrimenti vi scottate”,ma occhio al paternalismo dei maschi, apparentemente vi aiuta ma in realtà vi frega. Penso che comunque lo abbiano già capito da sole. Anche se sono più educate e gentili nelle forme, ma altrettanto determinate, delle protofemministe che non ce perdonavano una e che tuttavia, guardando le cose da lontano, ringrazio, perché a furia di sberloni ci hanno fatto fare qualche passo avanti nella consapevolezza autocritica. Adieu

  5. Roberto @38: a quanto mi consta le due ragazze sono ancora delle minori ….. Comunque in merito a quanto sollevi e per quanto mi riguarda le reazioni sarebbero state le stesse: a quell’età le ragazze sono più mature dei maschi, e lo hanno dimostrato. Se fossero stati dei maschi il plauso sarebbe stato eguale, forse ancora maggiore per quanto detto sopra.
    Suggerisco piuttosto a Lucia e Elena di mettere a disposizione la loro esperienza a favore dei loro coetanei e di ragazzi ancora più giovani di loro presso uno dei tanti gruppi di Alpinismo Giovanile sezionali sparsi ormai dovunque e di frequentare uno dei tanti corsi per diventare a loro volta accompagnatori di AG: la condivisione delle conoscenze è formativa, in tutti i sensi, sia per chi è accompagnato ma soprattutto per chi accompagna. Lo dico per personale esperienza ricordando numerosi episodi che mi riguardano personalmente.
    Saluti.
    MS

  6. Lascia perdere le digressioni su potere esercitato da maschi e femmine. Tema secondario che riguarda comunque gli stereotipi maschili. Silvestri le due ragazze, a cui va la mia simpatia, non c’entrano. La mia domanda riguardava le reazioni dei lettori, che sono altrettanto interessanti degli articoli, a volte di più. Come altri sono partito dalla constatazione che questo è uno dei pochi pezzi che ha avuto reazioni positive unanimi, invece delle solite discussioni. Mi sono chiesto e ho chiesto ai lettori – ma per ora non ci sono state risposte- se sarebbe accaduto lo stesso per due ragazzi che raccontano un trekking estivo in tenda di tre giorni in Dolomiti. La mia risposta è stata no. Sono sicuro, ma forse mi sbaglio, che ci sarebbero stati sicuramente commenti incoraggianti ma anche commenti ironici. Ulteriore domanda: perché? La mia risposta è che entrano in gioco gli stereotipi di un pubblico al 99% maschile e anzianotto, che tende ad assumere nei confronti di donne, per di più giovani, un atteggiamento protettivo che porta a valutare in modo particolarmente positivo qualcosa che per dei maschi risulterebbe assolutamente normale e non degno di nota. Questo pregiudizio ha una duplice valenza: da un lato lascia più spazio perché meno competitivo e castrante, dall’altro tende a considerare che alcune cose per le ragazze non siano così “ normali.”. Anche la tua preoccupazione sul fatto che le autrici leggano, sicuramente in buona fede, è manifestazione di questo stereotipo. Guarda che le ragazze di cui Lucia ed Elena sono tipicamente rappresentanti non hanno alcun bisogno di questa protezione paternalistica. Sono adeguatamente mature e intelligenti per capire di cosa si sta parlando e che il tema non sono loro, ma gli stereotipi di una società arretrata come la nostra, che apparentemente protegge e valorizza, ma che in realtà impedisce alle giovani donne di occupare quegli spazi che meritano. 

  7. Non vi sembra di stare andando – come spesso capita nel blog – un pò troppo fuori tema? Cosa c’entra Maria Stuarda con Lucia e Elena? Diamine, cerchiamo di essere seri …. !! Lucia e Elena stanno leggendo ….. !!!
    Saluti.
    MS
     

  8. Marcello, briccone. Mi ero fermato apposta. Quello era un altro stereotipo del grande Fabrizio sulle figlie di famiglia appunto e sulla loro innocente bontà, contrapposte all’altro stereotipo di Bocca di Rosa, che sempre tutti indistintamente noi maschi commuove. Affideremo Fabio Bertoncelli, alfiere della bontà delle donne al potere, a Maria Stuarda, detta Maria la Sanguinaria, per evitare di fare esempi contemporanei che sarebbero divisi. Non siamo creature angeliche, le forme sono diverse, ma il potere non sempre tira fuori il meglio. Ma non di questo si parlava, ma di un altro potente mito che fece intenerire persino il cinico e astuto Ulisse: Nausicaa.

  9. Caro Roberto, non fare il Crovella che si arrampica disperatamente sugli specchi per aver ragione! Qui non si tratta di stereotipi: si tratta di statistica, nuda e cruda.
     
    P.S. Si attende il colpo di bombarda di Carlo. Preparate gli elmetti.

  10. Caro Fabio, attento agli stereotipi. Il sadismo materno può fare più danni del sadismo paterno. È proprio la potenza degli stereotipi ( in particolare italici) ciò a cui alludeva il mio interrogativo.

  11. È sempre stata mia convinzione che, se il mondo fosse governato dalle donne, ci sarebbero meno guerre: sono meno aggressive. Insomma, una versione femminile di  Hitler nella storia io non sono riuscito a trovarla.
    In quanto alla montagna, beata gioventú che vaga spensierata! Maschio o femmina non importa.

  12. Sono convinto che se fossero stati due maschi di 15 e 17 anni e non due “figgie de famiggia” che fanno un trekking estivo di tre giorni in Dolomiti in tenda, sarebbe stato considerata una cosa scontata,  di cui neppure parlare e visto lo spirito aggressivo e polemico che spesso gira nel blog ci sarebbero stati commenti mordaci.  Questo dovrebbe portarci a riflettere su di noi, sui nostri schemi e modelli mentali ed emotivi, non sulle due simpatiche ragazze. Anzi la loro risposta di gentile ringraziamento, anche per i consigli non richiesti, mi ha confermato di quanto buoni, educati e rispettosi siano  i ragazzi di questa generazione, persino troppo. 

  13. Alla loro età io ce l’avevo qui la brioscia.
    … … …
    Ecco, Roberto, ti ho risposto. Ho evitato il politicamente corretto, ma non sono riuscito a evitare il tono scherzoso.

  14. Avrei una curiosità. Pensate che se l’articolo e  l’esperienza raccontata fossero stati opera di due maschietti della stessa età ci sarebbero state le stesse unanime reazioni? Io penso di no. Sarei pronto a scommettere che ci sarebbero state reazioni competitive tra stambecchi, magari anche del tipo “alla vostra età io oppure noi…..”. Cosa ne pensate, sinceramente pero’, evitando il “politicamente corretto”. 

  15. Bravissime! Certamente avere dei genitori che vi hanno educato con responsabilità,  severità e comprensione aiuta molto.
    Quanto avete fatto resta però tutto merito della vostra genuina  e sana passione.
    Su abbigliamento, creme, calzature e/o altro….  solo sbagliando si impara e si accresce così la necessaria esperienza per alzare l’asticella.
    Avanti così! Un forte abbraccio !

  16. Ho letto stamattina il testo e visto il filmato. Poi ho letto i commenti. Forse mai su questo blog c’è stata una simile comunanza di opinioni espresse nei commenti. Sono andato con la memoria ad una gita che nella prima metà degli anni ’80 con l’Alpinismo Giovanile della mia sezione del CAI avevamo fatto tra Tires, con pernottamento al rifugio Bergamo / Grasleitenhutte, salita al Passo Principe, Gardeccia e discesa a Pera di Fassa. Allora ero accompagnatore sezionale. Sebbene non in autonomia come Lucia ed Elena lo spirito era lo stesso, come lo stesso è stato – e spero sia tuttora – di tutti i gruppi di alpinismo giovanile sparsi dovunque nelle sezioni CAI. Tra l’altro mi piace quando si sono citati gli aquilotti: l’aquilotto era proprio il simbolo scelto dal pittore Maraja all’inizio degli anni ’80 per i gruppi che allora stavano nascendo nelle sezioni:
    https://www.google.com/search?q=alpinismo+giovanile+logo+con+aquilotto&sxsrf=ALeKk0169zCh99ag4QIZgfTyoZvmDNGZAw:1612691209946&tbm=isch&source=iu&ictx=1&fir=jnSvulJRbGge9M%252COMkFFLNwDvaBWM%252C_&vet=1&usg=AI4_-kQdoxpFic8C_-wZA8H2XMdfQmtWNg&sa=X&ved=2ahUKEwiTzs31vtfuAhUZ_6QKHckLA9gQ9QF6BAgLEAE#imgrc=SishS3f36nv37M
    A Lucia ed Elena non servono plausi. Il plauso è insito in ciò che hanno fatto e come l’hanno voluto comunicare. Ciò che suggerisco è di imparare a ‘leggere’ l’ambiente che si percorre. Un conto è vedere ed un conto è ‘leggere’ il territorio. E’ una cosa che si impara con il tempo e con la frequentazione della montagna. Sicuramente in biblioteca trovate i libri del Bosellini ‘Geologia delle Dolomiti’ e ‘La storia geologica delle Dolomiti’, penso ormai altrimenti introvabili. Ovviamente è un esempio, lo stesso vale per gli aspetti floristici, faunistici, antropologici, storici ….. gli aspetti geografici e geologici sono solo una parte. Ma se leggete quei testi troverete spiegazione della cengia del Ciavazes, così ben visibile dalla forcella del Sassolungo, o dei Denti di Terrarossa e la Val Duron, e del motivo per cui gli strati di dolomia verso il passo di Costalunga siano inclinati …. 
    Sulla tessera del CAI di mio padre Hermann Buhl aveva scritto: ‘Berg heil’ ossia ‘Viva la montagna!’ E’ ciò che vi auguro con tutto il cuore.

  17. In effetti, conoscendole, è meglio che non ci siano orsi in giro…per gli orsi, povere bestie!

  18. Figlie d’arte, direi! È bello vedere che l’educazione familiare ha ancora un senso. E che ci sono ragazze (e ragazzi) così appassionate di vera avventura. Per i prossimi trekking spero sceglieranno aree con meno rifugi, possibilmente “bear free”, dove l’esperienza della tenda e del bivacco sono ancor più belle e significative (oltre ad evitare le possibili già citate multe!).  Complimenti anche per il bel video.

  19. Noi amicianni ’70  del campeggio libero itinerante  ,decenni fa , decidemmo di tenere un elenco in ordine alfabetico  scritto in una rubrica  ,di cosa portarci appresso… si spuntava alla partenza e poi al ritorno. Ci si spartivano gli oggetti nei rispettivi zaini ma si sapeva dalla rubrica chi  aveva cosa al bisogno..La chiamano Check-list .Col tempo abbiamo imparato a togliere o ad aggiungere…prima di  dirottarci lentamente sul piu'”comodo”appartamento campo base.Solo tra di noi ormai pensionati ci postiamo i ricordi narrati  o le foto biancoenero o le dia digitalizzate. . Qualcuno diventato serio professionista..si sganascia ancora dalle risate.Forse oggi l’escursionismo in tenda e’scoraggiato e vietato per un aspetto:”i bisognini”.Comunque se ci sono rifugi lungo il percorso ..una capatina con contemporanea assunzione di torte o  bevande calde ci puo’stare.   Certi rifugi hanno persino un mini depuratore  tecnologico biologico ad energia solare.. altrimentisi fa e non si dice e poi le pianticine  in certi punti cresceranno piu’rigogliose.Se nel trasferimento ci si imbatteva in paese con piscina pubblica, si pagava ingresso  e ci si facevano ben 2 docce …con mucho sapon.Per soli 3  giorni..si puo’ anche sopportare un calo degli standard iper igienici imposti dalla pubblicita’ .I consigli su protezione solare..non sono da parte di saccente grillo parlante  ma di uno che ha avuto le sue scottature e congiuntiviti…e ha aggiunto poi alla lista: crema, occhiali filtranti, cappello..poncho.Cosa mettere nello zaino? ci sono persino studi di programmazione matematica con tanto diformulacce, ma poi si va ad esperienza e consigli degli anziani.

  20. Vorremmo ringraziare tutti voi che avete letto e apprezzato il nostro articolo e avete condiviso con noi i vostri consigli (anche se la lezione del cappello e dei bastoncini l’abbiamo imparata a nostre spese e la prossima volta non dimenticheremo di portarli con noi!)

  21. Non convenite che andar per monti sia l’arte di cacciarsi nei guai per cavarsela con eleganza? Inutile, irrilevante…sublime. Lode a chi la pratica e a chi…la sostiene!

  22. Davvero bella, cara Lucia, la vostra avventura estiva. Sinceri e intensi i vostri racconti. Mi piace anche la vostra saggezza che vi porta a non pensare mai di essere arrivate ma di proseguire diritte verso nuove mete! Le cose che vediamo, le persone di cui ci circondiamo, le idee in cui crediamo  consentono alla nostra anima di esprimersi e di crescere. Aspetto altri vostri cammini! …con affetto e un po’di invidia.

  23. Bellissima storia! ..e bel video, complimenti! Storia scritta con giusto senso di ironia ove necessario,  ma soprattutto di sano entusiasmo per l’avventura. Proprio brave e, devo dire, che la storia è anche sorprendente perchè, data l’età, Elena e Lucia hanno dimostrato, oltre alle tante capacità di adattamento, la dote dell’equilibrio nell’affrontare, in amicizia, la loro impresa… Laura ha chiamato quest’avventura: tre giorni un’estate ( sulla falsariga del bellissimo film “cinque giorni un’estate” di Zinneman) perchè una storia destinata a restare nel loro bagaglio di adolescenti per sempre come un dolce ricordo. So che Lucia ha successivamente affrontato un’altra avventura di più giorni nelle Dolomiti di Brenta, scalando su roccia delle  belle vie classiche, meritando il rispetto di alpinisti di rilievo. Oggi molti giovani si stanno avvicinando all’escursionismo, alle ciaspolate, allo scialpinismo e all’arrampicata sportiva e ciò fa veramente piacere perchè fino a qualche anno fa, nelle falesie o sulle vie, ci incontravamo sempre tra vecchi amici, ma… vecchi! appunto.
    Recentemente c’è una nuova ondata di giovani che viene in parte dalle palestre indoor di arrampicata, in parte dal bisogno di scappare dalle città per il covid,  in parte dal bisogno di libertà e avventura ( che è sempre esistito )  e ciò comporta un rimescolamento salutare delle generazioni di frequentatori della montagna…tuttavia Lucia ed Elena, devo dire, a loro merito, diversamente dalla massa, hanno dimostrato una maturità rara nel mondo giovanile ( e spesso anche adulto, non dando valore soltanto ai “tempi”, ai “cronometri”, ecc.). In particolare, come hanno fatto successivamente (e  di cui immagino presto seguirà un’altra loro storia..) nell’alpinismo classico, dove il senso dell’avventura deve per necessità essere controbilanciato dalla prudenza nelle scelte, queste ragazze hanno continuato a darci un bell’esempio. 
     

  24. Altro piccolo particolare , dato che  hanno raccontato molti fatti  con poche righe:l’uso delle carte…e la questione delle salite  impreviste.Puo’darsi che le carte usate non avessero le curve di livello abbastanza fitte (a 25 metri di solito, ma ce ne sono a 10 e persino a 5 se sono quelle tecniche regionali o speciali per orienteering), oppure  che  non ne conoscessero l’utilita’  pratica  vicendo in pianura, e  che tra una miriade di nozioni di geografia, quella delle isoipse  fosse rimast a nel dimenticatoio. Oppure che pur  sapendo, non hanno guardato con attenzione le microincisioni.Peggio, che a scuola non le abbiano mai insegnate.Se studieranno Matematica o Scienze  o  Economia, rispunteranno.Quella del tedesco usato a fini pratici , dopo anni distudio a scuola.. finalmente un sapere speso nella vita .Con delicatezza da fiorellini, appunto, accennano alla  doppia toponomastica sud tyrolese o altoatesina, che da tempo ha suscitato vespai di polemiche , anche nella segnaletica.Beata giovinezza che supera le barriere  pretestuose o fondate che siano,senza incavolarsi .Un tempo si riportavano proteste di  escursionisti parlanti solo italiano che in bar  e rifugi venivano ignorati o serviti per ultimi , con insofferenza.

  25. Cosa aggiungere…una certa dose di moderato orgoglio paterno (anche perché tutto sommato sa scrivere!)
     
    Vorrei rassicurare Emanuele che i genitori, conoscendo le bestie in questione, erano piuttosto invidiosi che preoccupati

  26. Brave, complimenti! Continuate così.  Anch’io consiglierei indumenti che coprono di più dai raggi solari ed anche l’uso di bastoncini telescopici che oltre a far muovere le braccia sono utili anche (ma non solo) nei percorsi su nevaio. 

  27. Bravissime!!!
    Per Lucia: E finita l’era della donna “bonsai”, secondo la definizione di Elio Bonfanti ad Ailefroide?
    Un abbraccio a tutte due.

  28. Una boccata di aria fresca e nuova che ci riporta indietro nei tempi ma che ci fa capire che i giovani ma che soprattutto le giovani, oggi ci sono. Volitive e consapevoli e determinate.
    Brave non cambiate mai la fuori c’è un mondo meraviglioso che vi attende.

  29. Bello! Una piccola avventura,  come quando eravamo noi ragazzi! Un amicizia, due zaini, una tenda, poche cose e tanta passione, è l’essenza di andar per monti.
    What else, direbbe qualcuno! ?

  30. L’impresa piu’ardua realizzata: essere riuscite a pernottare in tenda..senza essere sanzionate da qualche solerte vigile..mi sa tanto che in quelle valli vedono male i campeggiatori liberi… o addirittura ci sono sparpagliati i cartelli di divieto.
    Piazzate tende tra mughi  a pian de Schiavaneis alle 22.30..alle 2 di notte miei amici venenro scoperti e sanzionati 200 mila lire…di quelle ancora buone e dure da guadagnare.

  31. Non e’ questione di   censura o braghettoni  o di vietare  ammirazione estetica ma solamente pratica..cioe’ 😮  ci si lasciano le braghette corte e le braccia al sole e quant’altro e ci  si spalma di crema con filtro  medio alta protezione   specie se di tipo biondopellechiara ed allora tutti contenti..o ci si scotta se  c’e’riflesso su neve o rocce biancastre.Il giorno dopo esposizione non protetta  facile avere gambe e altre zone  rosse come peperoni o anche vesciche e addio look .Poi  fuori dal bombardamento dei raggi solari…di tutto di piu’ oltre gli standard delle famose gemelle.Anche  gli  occhi piu’  belli, se hanno preso la congiuntivite  , perdono fascino.Gia che ci siamo ..un esperimento: stappare bottiglia di spumante ad alta quota e anche scolarsela..a digiuno.

  32. Albert. Sei come Bernabe’ che voleva mettere i mutandoni neri lunghi alle gemelle Kesler. Perché ti vuoi così male e ci vuoi così male ? Sui pantaloni corti  e a maggior ragione sui pantaloni alla “pinochietto” a tre quarti magari con vezzoso laccino in fondo e calzino a vista,  l’unico provvedimento su cui andrebbero raccolte le firme è la proibizione all’uso per noi uomini dopo una certa età. Se la categoria non tutela la sua dignità e la sua autorevolezza siano le autorità a provvedere. Siamo la terra di Michelangelo e Raffaello. Non possiamo permetterci certe cose. Ciao.

  33. Magari l’avevano studiato a scuola ,mescolato tra altre centinaia di nozioni inutili.. il legame tra pressione atmosferica e temperatura di ebollizione.Volendo cuocere la pasta, se ne sono accorte sul campo.!Se studio imparo , prendo il voticino e metto nel dimenticatoio, se faccio capisco e memorizzo. Allora alle due ragazze se tentano escursione invernale regalo una esperienza negativa. Non ostante l’anzianita’, ho sperimentato che da  – 2 gradi Centrigradi   in giu’, , il fornelletto con bombola di butano , tipico da campeggio, non funziona.Il butano non passa da liquido a gassoso!.”Grazie ” a bar  e rifugi chiusi  per covid a quota 1000 in conca del gelo con inversione termica, , avevamo deciso di farci il caffe’con moka…portato di tutto e di piu’nel bagaglio.Ma la fiamma non partiva.Svitata la capsula per metterne  una di riserva, dal forellino  usci’ il liquido maleodorante.A casa, consultato web ,  confermata l’ipotesi fatta  ad intuito ..sulaltemperatura di evaporazione diversa di ogni combustibile liquido.. Con sottozero meglio fornelletti con altrigas (propano)o alcool o  benzina o combustibile solido..ci sono pure stufette a legna portatili!Confermo che la Montagna e’ maestra in ogni campo ma ancora  nei programmi ufficiali  si punta   alla quantita’ nozionistica…persino in scienze fisiche e naturali.

  34. Sconsiglierei pantaloncini corti, specie se si camnina su neve sopravvissuta e sole battente estivo.Il riflesso sulla neve arroventa la pelle ma non ce se ne accorge ..a sera ci si ritrova con le gambe e cosce arroventate! consiglio pure cappello a tese larghe per non incorrere in simili arrostimenti di naso e orecchie…e creme , occhiali filtranti.Pue  maniche  di camicia arrotolabili e srotolabili dato che anche le braccia sono soggette.Poi poncho impermeabile nel sacco . Nel giro di poche ore, si arriva  da sole battente e cielo limpido pure a pigliare acqua, grandine e neve.C’e’da giurare  che nel medesimo periodo le spiagge sabbiose fossero un carnaio , non ostante i decreti inapplicabili.I medesimi posti  dolomitici griffati ,in autunno sono pure meglio…con atmosfere e colori magici e magari anche tempo piu’stabile.

  35. che bello!!!! bravissime!!!!
    da genitore mi immagino l’ansia delle notti pensandole lassù da sole, allo stesso tempo l’orgoglio per una scelta consapevole e adulta che le porterà una crescita personale immensa da riversare sul quotidiano, dando vita ad un arcobaleno di emozioni positive e contagiose. Evviva

  36. bravissime ragazze
    in un mondo dove i giovani sono bloccati, chiusi, disincentivati a prendere decisioni altre, fuori dal coro, decisioni ed iniziative del cuore, della natura
    Lucia ed Elena ci raccontano la possibilità di prendere la propria strada con entusiasmo 

  37. Che dire?
    Sono felice! Che ci siano ragazze così.
    Che sognino un’avventura e la realizzino. Che si muovano tra i monti come si fa in una avventura come si deve: prendendo improbabili bus locali, interfacciandosi con gli autoctoni, sbagliando strada, rovesciando l’acqua, scottandosi in testa. Soprattutto, cosa a me cara, che si siano spostate in tenda.
    Questa avventura rimarrà nelle piccole leggende della loro gioventù. 

  38. Brave.
    Tre giorni e corollario di crescita tecnica e personale.
    Di relazione con l’ambiente, più maestro dei genitori.

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